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Autore: Newyorkese19    11/06/2013    1 recensioni
Tratto dal secondo capitolo.
-Brava. Nasconditi. Chissà cosa mi è passato per la testa! Sei sempre la stessa codarda di tre anni fa e l'incidente non ha cambiato un bel niente- mi urla mentre io entro. Mi sento mancare il respiro.
Spero di avervi incuriositi abbastanza da dare un'occhiata alla mia nuova storia. Non vedo l'ora di leggere cosa avete da dire.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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How can I have answers when you drive me in question?.







Sento il rumore di un motore entrare nel vialetto di ingresso della casa dei miei vicini, poi torno a guardarmi allo specchio. Mi sistemo meglio il vestito grigio fumo stile impero, lungo fino a metà coscia e con i bordi di cotone fatto ad uncinetto. Ci ho impiegato un mese per capire come poterlo lavorare, perché non sono molto brava con i ferri e l’uncinetto, ma mamma ha detto che se mi fossi impegnata il risultato sarebbe stato bellissimo. E aveva ragione. Aggiusto anche la coda di cavallo e pulisco gli occhiali da vista. Non sono sporchi, ma ormai è un rito fondamentale ogni volta che metto piede fuori da casa. Certo, se avessi più tette e un po’ di pancia in meno il vestito sarebbe proprio stupendo, ma questo è quello che passa il convento e più di così non so cosa fare.
Da fuori sento delle urla di una ragazzina e sorrido. Ogni volta che lo vede inizia ad urlare come una matta. Ne è davvero innamorata, ed è normale. Sarebbe strano se fosse il contrario. Lui stravede per lei, lo si nota da come la guarda quando torna a casa, da come la abbraccia e le strofina la mano sulla schiena.
Sospiro e prendo il coprispalle e la borsetta, quindi mi chiudo la porta di casa alle spalle. Mamma stasera ha il turno di notte, quindi posso fare anche più tardi del solito, non credo che se ne accorgerà. Cammino avvolta nei mie pensieri fino a raggiungere la macchina, o meglio, il catorcio di auto che apparteneva a mia zia e che ha voluto rifilare a me come regalo di compleanno. Nel momento il cui sto per prendere le chiavi dalla borsetta mi sento chiamare.
-Sei davvero bellissima!- mi dice la ragazza, dall’altro lato della siepe che separa i nostri giardini. Io sorrido e mi volto verso di lei, che sta sorridendo squadrandomi dalla testa ai piedi.
-Grazie, anche il tuo pigiama è molto bello- le dico puntando lo sguardo sulla sua maglia arancione con un enorme faccia di coniglio al centro. La ragazza ride e si sistema una ciocca di capelli dietro all’orecchio, poi mi osserva più attentamente e lancia un grido all’improvviso.
-Te li sei tinti sul serio?! Oh cavolo! Sei.. stai.. cioè sono stupendi!-
Io rido e prendo tra le mani la punta della mia coda di cavallo blu elettrico. Ho deciso di tingermi i capelli di blu dopo aver compiuto diciotto annie anche se è successo qualche mese fa, li ho tinti solo la scorsa settimana. Strano che non mi abbia ancora vista, insomma una tizia con i capelli blu si nota anche in mezzo al mare.
-Mamma non è stata molto contenta, però ieri mi ha detto che mi stanno bene. Tanto ormai il danno l’ho fatto- rido, ma mi sento osservata da un altro paio di occhi, quindi indirizzo il mi sguardo al ragazzo che sta accanto alla mia vicina di casa e lo scopro intento a guardarmi come se non avesse mai visto una femmina in tutta la sua vita.
-Sono Elena, ma puoi chiamarmi Nina- dico sorridendogli.
-So chi sei. Ci siamo già conosciuti qualche anno fa, quando avevi ancora i capelli castani e tutto era più semplice di quanto non sia ora- dice freddamente.
Eccone un altto. L’ennesima persona che non riconosco. L’ennesimo viso di cui non ricordo il nome e non perché sia una ragazza completamente sbadata. Rimango in silenzio e inizio ad osservare la punta delle mie scarpe. Mamma me le ha comprate l’altro ieri e mi fanno un male allucinante, però sono delle Jimmy Choo e non potevo rifiutarle.
Sento la ragazzina che lo sgrida, mentre lui rimane in silenzio e dopo un po’ entra in casa.
-Nina, non ti preoccupare. È fatto così, non riesce a stare zitto quando invece dovrebbe-
-Lo so, ma mi dispiace. Ma io non lo faccio di proposito è che…-
Lei mi fa cenno di piantarla. Abbiamo affrontato questo discorso mille volte e ormai sa come continuerebbe la cosa se andassi avanti a parlare.
-Grazie Lottie. Ci vediamo dopo alla festa?- lei annuisce, poi si volta a guardare il ragazzo che sta fermo sull’uscio della porta di casa. Si guardano a lungo, lui ha uno sguardo freddo e teso.
-Forse è meglio se resto a casa con lui. E’ un sacco di tempo che non lo vedo e devo spiegargli alcune cose- afferma tristemente.
Annuisco e le sorrido, quindi mi volto verso la macchina e nel giro di cinque minuti esco dal vialetto.
Mamma non vuole che io guidi, dice che è pericoloso per me, che dopo quello che è successo sarebbe meglio mettere le chiavi della macchina sotterrate in giardino, e altre mille cose pericolose di cui io me ne frego altamente. Da quando mi hanno dato il foglio rosa non faccio altro che andare in giro con la macchina e sono diventata anche brava nei parcheggi. Devo dire a mamma di prenotare il mio esame.
Alla radio iniziano a parlare di un gruppo musicale molto famoso in tutto il mondo, “One qualcosa”, e non fanno altro che mandare le loro canzoni ogni due minuti. Mamma dice che mi piacevano un sacco, che sapevo le loro canzoni a memoria, che quando tornavo a casa da scuola mi mettevo a cantare a squarciagola una canzone che in quel momento mi faceva impazzire.
Mi piace quando mamma mi dice queste cose. Quando ci sediamo sul divano, la sera, a guardare un film e ogni tanto si ricorda qualcosa di me, di quella che ero, di quello che mi piaceva o che detestavo. Mi sembra che mi stia raccontando una favola, una cosa che non è davvero successa anche se riguarda me. Mi piace che si ricordi di me, perché io non ricordo più niente.



***




La festa è grandiosa, anche se un po’ in ritardo. Ho compiuto diciotto anni a novembre e sto festeggiando ad aprile. Durante questi cinque mesi sono successe un sacco di cose. Ad esempio, mamma ha avuto una promozione nell’agenzia di viaggi dove lavora da anni, papà è riuscito a trovare un appartamento decente dove andare a vivere dopo la loro separazione e io sono tornata a casa dopo parecchi mesi dall’incidente.
Non saprei dire con esattezza cosa sia successo, ricordo solo di essermi risvegliata in un letto di ospedale, con una puzza di cloro allucinante e un ago da flebo conficcato nel braccio. Avevo ancora qualche livido e le gambe mi facevano male. I dottori avevano detto a mamma che sarei guarita presto, che bastavano degli antidolorifici per le gambe e un po’ di tempo per i lividi, ma non avevo pensato ad una conseguenza, la più grave.
-Chi sono? Dove dono? E voi chi siete?- chiesi e il sorriso dei medici e quello di mia mamma si spensero.
Mentre i due uomini in camice bianco decidevano che terapia usare con me, mamma iniziò a piangere.
Venne chiamato il primario di neurologia e discussero a lungo, mentre mamma mi diceva chi fossi e cosa mi fosse successo.
-Mi dispiace, io non ricordo nulla- dissi. Ed era vero. Mi dispiaceva per quella donna con i capelli scuri e gli occhi tristi.
Vollero farmi degli esami per vedere come “aggiustare la mia testa”. Esatto, volevano aggiustarmi come un frullatore. Mamma si mise subito in contatto con un centro in Svizzera che era stato creato apposta per questi problemi e arrivai lì nel giro di una settimana. Passai tre anni lì, con delle infermiere dolcissime che mi aiutavano a recuperare almeno un briciolo di memoria, per quello che riguardava l’istruzione, il comportamento e le funzioni motorie. Verso marzo mamma mi riportò a casa e ricominciai a studiare da casa, mi presentò Lottie, le sue sorelle e altri vicini. All’inizio di aprile avevamo pensato che sarebbe stato carino dare una festa per i miei diciotto anni, visto che avevo trascorso il giorno del mio compleanno lontana da casa..
Ed eccoci qui, alla festa dove la musica è così forte che non riesco a parlare con Calli, mia cugina. E’ venuta da Manchester apposta per me. È l’unica cugina che ho visto che mamma ha solo una sorella e papà è figlio unico. Nella sala che mamma ha prenotato per la festa c’è un sacco di gente che non conosco, o meglio che non riconosco, ma mi è stato insegnato a sorriedere e fare “si” con la testa con alcuni parenti, per non far capire loro che non ho la minima idea di cosa stiano dicendo. Le mie insegnanti svizzere dicevano che non è gentile mettere a disagio gli ospiti.
Cerco di divertirmi il più possibile, ma è non mi sento molto a mio agio tra tutte queste facce sconosciute, credo dovrò farci l’abitudine.
  
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