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Autore: Ukki    11/06/2013    9 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “Let’s go have some craic” di Caffelatte e Bloody Alice]
È questo il prezzo da pagare per un bel faccino: tutti ti tratteranno come un animaletto grazioso.
Ma non sempre ciò che è carino esteriormente lo è anche interiormente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Shawn/Shirou
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Innocence

 

Autore: Ukki
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Pairing: TeruShi (Terumi x Shirou)

Parole: 3301 (note e introduzione escluse)

Eventuali note: Non ho molto da dire qui in cima, a parte che non potevo partecipare a questo contest senza la mia amata OTP. Già, il mio scopo ultimo è quello di diffonderla nel fandom (un po' come la peste, ma senza vittime)... Credo che continuerò a sognare. Ho scelto questa coppia perché nell'episodio 58, durante la partita contro la Chaos, ho trovato davvero commovente il modo in cui Terumi si sacrifica per Shirou, quando affronta sei (le ho contate ^^) Scivolate di Fuoco e di Ghiaccio per farlo "risvegliare". Ogni volta che lo rivedo mi si stringe il cuore durante quella scena. Per ulteriori spiegazioni ci vediamo in fondo!

 

«Sei bellissimo, sai?»

Certo che lo so. Sorrido come mi è stato insegnato, anche se il mio istinto al momento è quello di spaccare il naso all'anonimo tizio che sta flirtando con me.

Mi accoccolo meglio sulle sue ginocchia, la testa appena inclinata e gli occhi socchiusi. Crepa, crepa, crepa. Si sarà rovinato, tutto quel trucco che mi sono spalmato sulla faccia? In definitiva, non è così importante: sono affascinante anche senza, no?

Il tipo annuisce con convinzione, come se avessi appena confermato una sua brillante teoria. «Già. Il ruolo di Afrodite ti calza proprio a pennello.» afferma con la voce strascicata dalla sbornia.

Non sospirare, non sospirare, non sospirare. Sarebbe solamente controproducente fargli notare che è l'ultimo di una lunghissima lista a dirmi qualcosa del genere. Non sia mai che il vecchietto in nero venga contrariato. Mi giro appena nella sua direzione. Se ne sta là, quasi tutt'uno con quella specie di trono su cui passa buona parte della sua giornata, a vigilare l'intero locale da dietro le impenetrabili lenti nere. Anche se ormai è da anni che la scena non cambia, Kageyama continua a darmi i brividi. Proprio come la prima volta che lo incontrai, quel maledetto giorno in cui vendetti l'anima per un pugno di spiccioli. Continuo a chiedermi che fine abbia fatto, la mia anima.

Il tizio intanto continua a blaterare frasi sempre meno sensate, senza smettere di riempirsi il calice di una robaccia alcolica che Kageyama non ci ha mai permesso nemmeno di toccare. L'ultima cosa che gli serve è che l'alcol ci infiacchisca: arriverebbe a drogarci, pur di non far calare le entrate. L'ha fatto più di una volta.

«Afuro~chan... mi fai divertire un po'?» domanda il tipo tra i singhiozzi dell'ubriachezza.

Quando mi chino a stampargli l'impronta di un bacio sulle labbra arrossate, il tanfo dell'alcol appesta l'aria intorno a me.

 

«Esperienza interessante?»

C'è solo una cosa peggiore del terrore che riesce a incutere: il suo sarcasmo che non perde mai un colpo. Stringo i pugni sui fianchi. Se un pensiero potesse uccidere, lui e una buona metà dei nullafacenti che frequentano questo posto sarebbero già polvere nel vento.

«Credevo che la nostra salute ti interessasse almeno un po'! Secondo te che razza di malattie potevo beccarmi da quello?»

Indico rabbiosamente la porta socchiusa dietro la quale so celarsi il corpo esanime dell'ubriacone di prima. Kageyama allontana la mia domanda con un gesto incurante della mano.

«Ah, sarà durato neanche dieci minuti, dopo tutto l'alcol che si era scolato.»

«Comunque fallo portar via.» gli sibilo «Ha un odore tremendo.»

Quando mi pizzica una guancia devo reprimere il desiderio di staccargli un dito con un morso. Non sono un peluche, dannazione, e neanche la sua bambolina, anche se so che gli piace pensarlo.

«Terumi, è questo il prezzo da pagare per un bel faccino: tutti ti tratteranno come un animaletto grazioso.»

Ho passato metà della mia vita accanto a lui, sguazzando nella sua ombra, ma questa è l'unica volta in cui ricordo di essere stato d'accordo con le sue parole. Ipocrite, tra l'altro.

Anche lui mi tratta come un cucciolo. Eppure lo sa quanto poco grazioso io sia dentro. Dopo anni e anni di un lavoro del genere, non ci si poteva aspettare che qualcosa di marcio non maturasse sotto il mio bell'aspetto.

Non appena finisce di strapazzare la mia guancia -ci rimarrà un livido, temo-, faccio per allontanarmi lungo il corridoio. Se mi chiudo nella mia stanza e mi rifiuto di uscire, allora potrò giocare a fare finta che tutto questo non sia mai successo. Il mio gioco preferito.

«Ti ho forse detto che potevi andartene?» mi richiama, ma sa che non mi fermerò «Il tuo turno non è ancora finito.»

Il mio turno finisce quando lo decido io. Quando i panni della dea cominciano a starmi stretti, capisco che è ora di ritirarmi, struccarmi e fare i conti con la realtà.

Mi tiro una porta alle spalle. Non credo che questa sia davvero la mia camera, ma in fin dei conti non importa: tutti i ninnoli che adornano questa stanza non mi appartengono più di quelli che davvero posseggo. Faccio scattare la serratura, così il legittimo proprietario non potrà venirmi a disturbare.

Togli la maschera colorata dei trucchi, via la corona di foglie di vite e anche il costume da divinità con tutti i suoi gioielli finti. Cosa rimane di te?

Poco, in realtà. Non abbastanza da riconoscermi. Mi rannicchio nel vano della finestra, a fissare le gocce di pioggia che scivolano sul vetro. Chissà quale di loro sarà la più veloce. È ironico: corrono tanto, ma quella che va più in fretta si infrangerà per prima contro il traguardo. Si annullerà. E allora perché correre?

Alla fine, è probabile che non abbiano scelta. Sono attratte da una forza maggiore, quella di gravità, altrimenti resterebbero sicuramente in cielo, sotto forma di nuvole, dove non sono costrette a perdere sé stesse. O almeno, se fossi una goccia di pioggia, è quello che farei.

Bé, in un certo senso, non sono poi così diverso da una qualunque di loro.

Un lampo illumina per un attimo il cielo a giorno.

Due... Tre... Il rombo di tuono fa tremare il vetro della finestra.

Un ragazzo cammina sul marciapiede guardandosi nervosamente intorno. La luce dei lampioni non gli basta per orientarsi, e forse non è mai stato qui. No, non sembra il tipo da frequentare quartieri del genere. Mi sento sorridere: Kageyama continua ad avere ragione su quanto può essere ingannevole un faccino innocente.

La sua figura scura di materializza accanto al ragazzo, una sigaretta miracolosamente accesa tra l'indice e il medio. Un breve scambio di battute in cui probabilmente gli chiede chi sia, cosa ci faccia qui e da dove venga, poi gli fa segno di entrare e lo accompagna dentro.

Mi si contorcono le viscere: chiunque in questo posto potrebbe fare del male a uno così. Non sarebbe neanche una novità che qualche piccolo sprovveduto finito qui sia diventato parte integrante delle delizie fornite dal locale.

Sarà perché sono di pessimo umore, ma Kageyama non può pensare di sfruttare in questo modo qualcuno che si è perso. Mi blocco un attimo sulla porta.

La corona e il trucco non sono necessari, ma almeno rivestiti.

Quando esco in corridoio devo inchiodare bruscamente per non finirgli addosso. Il solo pensiero mi disgusta.

«Ma tu guarda. Il principino ha deciso di uscire dalla sua cameretta. Stavo venendo io a cercarti, sai Afuro-chan?»

Da dietro le sue spalle il ragazzino mi rivolge uno sguardo esitante. Sembra che stia decidendo se fare dietrofront oppure proseguire. Kageyama si gira verso di lui e gli scompiglia i capelli argentei. «Avanti, Shirou-chan, vedrai che con lui starai bene. Non ha niente di meglio da fare per ora.»

Non ti fidare di lui, Shirou-chan: non c'è mai da fidarsi quando usa questo tono melenso.

«Perché io? Non mi prendo la responsabilità dei cuccioli. E se gli succede qualcosa? Se un ubriacone lo inchioda a un muro? Poi è colpa mia...»

Avrei tante altre voci da aggiungere all'elenco dei rischi che il piccolo albino corre in questo posto, ma Kageyama mi blocca con un cenno della mano e un'espressione melodrammatica, come se il solo sentirmi parlare gli provocasse una tremenda emicrania.

«Vuoi che lo porti da Hera? Lui ha da fare, tu invece hai deciso di comportarti da dea viziata stasera. O ti assicuri che Shi-chan non finisca stuprato fino a domani mattina o torni a lavoro.»

Rimpiango di non aver portato con me la corona di plastica: mi farebbe un piacere immenso tirargliela dietro e magari ammaccargli una di quelle lenti nere.

«Perché non lo riporti a casa? Un cucciolo così attira gli stupratori quanto la luce le falene.»

Shirou intanto ci ascolta in silenzio, volgendo appena la testa in direzione di chi parla e stringendo al petto un paio di fradici libri di scuola. Chissà se pensa che siamo entrambi da manicomio. Io lo penserei, se fossi al suo posto. No, se fossi al suo posto mi guarderei attentamente alle spalle.

«Perché le dolci prostitute là fuori lo hanno già visto, e quelle sono capaci di inseguirti per tutta la città una volta che ti hanno adocchiato. Inoltre, ti sembro forse un tassista? Lo sai che fine rischia di fare se sale in macchina da solo con me.»

Rincuorante che almeno lo ammetta. Mi mordo il labbro inferiore senza sapere come rispondere. Ha vinto lui. Di nuovo.

«Vieni Shirou. Meno stai qua fuori e meglio è per te.»

Lui annuisce e mi segue senza una parola, lanciandosi un fugace sguardo alle spalle. Saggia scelta. Non chiudo la porta abbastanza velocemente per evitarmi la risatina di Kageyama. Bene, è il momento del mio secondo gioco preferito: l'ho chiamato “Se un giorno avrò...”.

Se un giorno avrò una macchina, lo investirò.

Se un giorno avrò un cane, glielo aizzerò contro.

Se un giorno avrò una pistola, gli sparerò. Dove fa più male.

Quando le frasi cominciano a perdere senso mi giro verso Shirou, che curiosa in mezzo a trucchi e parrucche e non ha ancora detto una parola. Non ha neanche sospirato, se è per questo. Tutto a un tratto ho voglia di sentire la sua voce. Ho sempre trovato terribilmente frustrante conoscere le persone solo a metà.

«Scusa la domanda... com'è che sei finito qui?»

Domanda scema. La prima che mi è venuta in mente. A questo punto, avrebbe ragione a diventare sarcastico, ma sorride e scuote la testa.

«Niente di che. Mi sono dimenticato che oggi i mezzi pubblici scioperavano e non ho ascoltato il meteo che annunciava il secondo diluvio universale. Mi sono perso cercando di tornare a casa, e quel tipo mi ha fatto entrare qua dentro.»

Mi piace la sua voce: ha un che di dolce che fa sembrare un complimento qualunque cosa stia dicendo, anche se sta solo parlando del meteo. Arrossisce. «Mi spiace averti disturbato. Gli avevo detto che potevo anche starmene fuori e aspettare che spiovesse, ma non ha voluto-»

«Non ti preoccupare.» lo blocco «Lui non ascolta mai nessuno, e poi un po' di compagnia potrebbe far bene anche a me. Non è che parli molto con la gente che frequenta il locale.»

Lancia uno sguardo a una parrucca rosa acceso e si astiene educatamente dal fare commenti. Mi sento imbarazzato davanti a tutto il suo candore, e precisare che non è qualcosa che ho scelto diventa vitale.

«Sai, non è che sia stato io a decidere di venire qui...»

«Lo so.» la sua espressione si fa malinconica «Ci sono cose che non puoi scegliere.»

Annuisco, e quell'innocenza infantile inizia a svanire. «È... L'hai provato anche tu?»

Quando non parli quasi mai capisci che è il momento di morderti la lingua solo dopo aver detto qualcosa che non dovevi.

«Di essere inchiodato a un muro?» sorride con amarezza «Qualche volta.»

È come un flashback. Kageyama ha occhio per queste cose, per i ragazzini che attireranno -o hanno già attirato- potenziali clienti. Gli basta uno sguardo per capirlo. Anche se quando mi trovò in quel vicolo, per lui il gioco fu facile. Non ci sarebbe voluto un genio per capire che il mio bel candore se n'era andato già da un pezzo. E siccome piacevo tanto, perché non piacere per soldi? Sempre meglio che essere violentati, non credi? Chissà se lo credevo. Probabilmente già a quel tempo non credevo più a niente.

«Allora non devi rimanere qua.»

Le porte si chiudono. Se resti non te ne andrai più.

Mi guarda stupito, la testa leggermente inclinata, poi sorride nervosamente. Quante volte ha sfoggiato quest'espressione costruita? Mi sono dimenticato di contarle...

«Com'è che sorridi continuamente?» domando prima che abbia il tempo di scusarsi per il mio improvviso cambiamento d'umore.

Rimane interdetto e porta alle labbra l'unghia del pollice, ma non la rosicchia. Non so perché, ma mi dà sui nervi. «Se sorridi la gente pensa che vada tutto bene,» mormora lentamente, come se gli facesse una fatica tremenda pronunciare ogni parola «e non si comporta in modo diverso con te.» scrolla le spalle senza cambiare espressione «Alla fine diventa un'abitudine come un'altra.»

C'è qualcosa di estremamente triste e sbagliato nelle sue parole. Il cucciolo è molto meno cucciolo di quanto pensassi, anche se gli occhioni grigio-azzurri che mi stanno squadrando adesso hanno una luce tutta infantile.

«Bé, qui nessuno si comporterà in modo diverso con te se togli quella maschera per un po'.»

È come essere truccati a vita, e chissà se anche lui ha la costante paura che il trucco si rovini.

Rimane in silenzio per qualche secondo, come valutando l'offerta, poi le vedo: le piccole lacrime che gli rigano le guance come le gocce di pioggia sulla finestra. Adesso somiglia davvero tanto, troppo, a un cucciolo.

Quando si rannicchia in un angolo e comincia a singhiozzare piano, sento il cuore stringersi in una morsa. È strano, visto che finora tutta la mia compassione era riservata proprio a me stesso.

Gli cingo goffamente le spalle con un braccio e gli accarezzo piano i capelli, come farei con un cagnolino o con qualche altro animaletto grazioso. Un fulmine fuori dalla finestra.

Due.... Tre... I muscoli della sua schiena si tendono quando scoppia il tuono.

Dovrei chiedergli perché, dovrei sul serio, ma non lo faccio. A volte le paure non hanno un motivo, a volte quel motivo è talmente doloroso che si fa finta che non esista neppure. O magari sono semplicemente troppo egocentrico per interessarmi di ciò che lo fa star male.

Non so quanto tempo passa prima che i suoi singhiozzi si affievoliscano e lui mi poggi la testa sulla spalla. Sprigiona un calore piacevole.

«Grazie.» sussurra sommessamente. La sua espressione è tranquilla, ma non nasconde la tristezza che prova.

«Di niente.» In fondo non mi ha ucciso fare qualcosa per il prossimo, almeno stavolta. Anche se non mi è ben chiaro cosa abbia fatto.

«Come ti chiami?» mormora a un certo punto. «Tu sai il mio nome, ma io non so il tuo. È ingiusto.»

Il tono vagamente stizzito con cui lo dice rischia di farmi ridere, se ridere non fosse totalmente inopportuno in questa situazione. «Terumi, ma se vuoi puoi chiamarmi Aphrodi.»

«Preferisco Terumi. L'idea della divinità mi inquieta.»

«Come mai?» non lo ammetterò neanche tra cent'anni, ma mi ha punto nell'orgoglio «Dicono tutti che mi sta bene.»

Annuisce. «Già. Ho sentito che Afrodite, tra le altre cose, fosse la dea della lussuria.»

«Non costringermi a picchiarti. Ricordi? Sono stato gentile con te.»

Lo ammazzerei di solletico se non mi piacesse tanto averlo qui con la guancia premuta contro la mia spalla.

Sbadiglia e sbatte con sonnolenza le palpebre un paio di volte. «Ho sonno. Potrei dormire un po', secondo te?»

Gli faccio cenno di sì, prima di capire il suo timore. «Stai tranquillo, controllo io che non entri nessuno dei barbari là fuori: non oseranno profanare la dimora di una dea. Sempre che tu ti fidi di me.»

Per tutta risposta chiude gli occhi e, involontariamente, mi si rannicchia meglio addosso. Quando se ne rende conto arrossisce violentemente e fa per spostarsi, ma lo trattengo.

«Puoi stare così se vuoi, non mi dà noia.»

Anzi. Per fortuna l'interruttore della luce è abbastanza vicino da permettermi di premerlo senza cambiare posizione.

Nel buio capisco che, nonostante la stanchezza, per lui è difficile addormentarsi.

«Vuoi fare un gioco?»

D'accordo, detto così chiunque potrebbe fraintendere, perciò quella domanda apparentemente disinteressata non mi coglie di sorpresa.

«Che tipo di gioco?»

«È un gioco semplice, di ipotesi. Generalmente lo uso quando sono frustrato, ma anche per passare il tempo. Ci si chiede l'un l'altro cosa faremmo con qualcosa che non abbiamo se l'avessimo.»

Mai stato un genio nelle spiegazioni, ma sembra che lui abbia capito.

«Bene.» sussurra, poi rimane un attimo in silenzio «Se tu avessi un'automobile?»

«È una delle mie ipotesi preferite.» sorrido anche se Shirou non può vedermi «Ci investirei Kageyama.»

«Il tipo in nero?»

«Proprio così. Ora tocca a me. E se tu avessi... tutti i soldi che vuoi?»

Riflette per qualche secondo. Gli si devono aprire svariate porte, sceglierne una sembra complicato. «Ti tirerei fuori di qui.»

Posso piangere? Tanto è buio, lui non lo saprà mai... Menomale che prima di togliergli quel suo sorriso posticcio ero io a pretendere di farlo uscire. Ma se ne andrà, alle prime luci dell'alba, anche se probabilmente Kageyama vorrebbe tenerlo qui.

«E se tu avessi un cucciolo?»

A questo punto inizio a sospettare che lo faccia apposta. Sì, sicuramente si sta divertendo un sacco a farmi battere il cuore in questo modo. Sai Shirou, si gioca in due. «Allora lo chiamerei come te. E se tu avessi un vestitino rosa?»

«Perché dovrei avere un vestitino rosa?»

Non so se in assenza di luce l'imbarazzo sia più facile da sentire, ma in questo momento il suo viso dev'essere di un bel rosa acceso. Proprio come il vestitino che ho immaginato.

«Senti, sono appena stato con un ubriaco, quindi non stupirti se ogni tanto dico qualche scemenza, tu rispondi e basta.»

«Bé... credo che lo butterei nel fuoco... sì. Se tu avessi una fidanzata?»

«Sarebbe identica a te.» rispondo prontamente. Di nuovo l'ondata di imbarazzo.

«Che pervertito.» sospira al mio fianco, anche se sembra stia sorridendo.

«Seriamente, non hai una qualche sorella, cugina o qualcuno che ti somigli?»

In realtà non mi ci vedo con una sua parente, ma non importa: ho un alibi per tutte le sciocchezze che mi escono dalla bocca.

«No, solo un fratello, ma non credo che tu gli piaceresti.»

Non scrollo le spalle per paura che sposti la testa. «In compenso piaccio tanto a te.»

Diciamo “ciao ciao” a pudore e dignità. Ciao ciao, pudore e dignità. Aspetto che mi risponda per le rime, ma se ne sta in silenzio, e quando il suo respiro si fa regolare un'altra domanda comincia a frullarmi per la testa, sempre più folle, sempre più insistente.

Si calma solo quando mi addormento con la sua guancia calda ancora appoggiata sulla spalla.

 

Ci sono mille modi per svegliarsi: lo squillo di una sveglia, un tuono, persino un terremoto, ma quello che mi viene propinato questa mattina è il più odioso di tutti. Un raggio di sole. Filtra dalle tende socchiuse e mi colpisce in pieno viso. Mentre rinvengo dai miei sogni lanciando immaginarie maledizioni contro la natura, la domanda sopita della notte precedente torna ad agitarsi.

Shirou è in piedi e girella avanti e indietro, tra le mani quella parrucca rosa a cui sembra essersi affezionato. «Buongiorno.»

Il suo sorriso solare mi fa in qualche modo riappacificare con il raggio d'alba che mi ha svegliato. Noto che sta consultando una cartina della città. «L'ho trovata sul tavolo e ho cercato la strada di casa.» spiega seguendo la traiettoria del mio sguardo.

Giusto: è l'alba, e lui se ne sta andando. Il Monte Olimpo non è posto per gli umani, neanche per quelli carini come cuccioli. Eppure non siamo così diversi: le divinità greche avevano tutti i vizi, le virtù e i sentimenti degli uomini. Gioia, tristezza, malinconia... amore.

«Shirou... riguardo al gioco di ieri, avrei un'altra domanda da farti.»

Inclina nuovamente la testa di lato in quella che ho capito essere un'implicita richiesta di spiegazioni. Bé, la mia ipotesi non riguarda una possessione, ma in fondo il gioco l'ho inventato io, quindi posso prendermi qualche libertà in più, giusto?

«E se io ti inchiodassi a un muro?»

Arrossisce e sul suo volto passa una successione di emozioni diverse, ma quando parla la sua voce è calma. «Tu non mi inchioderesti a un muro.» afferma con sicurezza.

«No, ma se lo facessi?»

Non so perché, ma ho un disperato bisogno di saperlo. Lui stringe al petto la parrucca rosa come fosse un peluche e sorride affabile.

«Allora non credo che mi dispiacerebbe.»

Chissà perché, nella luce dell'alba, ogni concessione sembra una promessa.

 

Angolo dell'autrice (da quanto tempo non scrivevo queste parole!):

Bene, io farò finta che sia accettabile, voi siate pure spietati. Premetto che ultimamente sto aggiornando pochissimo, ma che ci volete fare? Sto attraversando un periodo di studio matto e disperatissimo. Tornerò a scrivere con regolarità al più presto, spero.

Anyway, tornando a quella colossale sciocchezza che faccio passare per fan fiction, vi devo alcune spiegazioni:

- Non amo la narrazione al presente, ma ho appena finito l'ultimo volume di Hunger Games e sono rimasta un po' condizionata. Inoltre mi è sembrato che fosse il tipo che più si adattava all'episodio raccontato.

- Secondo punto, sorvolando sulla totale mancanza di originalità (e allora perché l'ho presentata a un contest...?), mi piaceva immaginare quei poveri fanciulli della Zeus come “attrazioni” in un night-club -o qualcosa del genere, non sono molto esperta al riguardo- gestito da Kageyama.

- Infine, lupus in fabula (letteralmente...), Shirou dovevo inserirlo. Era vitale. Il fatto che poi l'abbia privato anzitempo della sua innocenza di giovincello (?) è secondario: quello deriva da uno dei miei innumerevoli sogni perversi.

Sperando che questa fic vi sia piaciuta, Ukki vi saluta (una rima!), e non ha altro da aggiungere (veramente c'è da dire che mi farebbe molto piacere qualche recensione, ma non sentitevi obbligati ♥).

Tanti kisses ♥

Ukki

PS Come da aspettarsi, “l'angolo dell'autrice” è quasi più lungo della fic in sé!

  
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