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Autore: Loluz    12/06/2013    0 recensioni
Stupido gatto, aveva ragione, finché c’è carta e penna c’è vita, e se non si vuole brindare ad essa si può sempre brindare alla follia, follia che non manca in nessuno di noi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sguardi, gesti, sorrisi, parole, parole, parole.. e poi lacrime, risate, carezze e ancora parole.

Parole buttate al vento, parole perdute, parole dette e non sentite, parole distanti, parole piene, parole vuote. Quante parole per così poche emozioni. Oppure no? Le emozioni provate le stava forse dimenticando? Da quanto tempo lo stava facendo? Da quanto tempo le stava ignorando? Stava forse morendo?
Era la quinta notte passata in bianco, sdraiata immobile sul letto disfatto da ancora più tempo. La stanza in penombra, il disordine intorno, il disordine in testa. Ma se invece il disordine fosse stato là fuori? Il vero caos non si trovava dentro quella stanza, lo sapeva benissimo, il vero caos era fuori da quelle quattro mura, il vero caos era la vita. Ma anche la
morte poteva esserlo, oppure non era ancora morta? Perché si ostinava a credersi morta? Lo avrebbe fatto prima o poi?

Il caos era fuori, la gente era fuori, fuori di testa.

-Finché c’è carta e penna c’è vita- La sua voce rauca proveniva dall'angolo più buio della stanza. Non lo vedeva, ma la sua presenza si sentiva forte e prepotente. Ogni tanto rideva, altre volte batteva con il suo bastone tre colpi a terra, era il suo modo per far capire che c’era, altre volte tossiva, quella tosse pesante, che viene dal profondo di quei polmoni ormai anneriti e putrefatti dal troppo fumo.
-Zitto tu!- un cuscino volava dall'altra parte della stanza, in direzione della voce.
-Non te la prendere, cara, è solo una fase della tua vita. Ma finché c’è carta e penna puoi dirti salva, almeno tu- poi rideva, sparava le sue perle di saggezza e poi rideva e infine tossiva.
-Zitto!- l’unica cosa che riusciva a dirgli era di tacere, e lui lo faceva, con rispetto, così la stanza tornava al suo solito silenzio e lei si poteva concentrare ancora su quelle immagini che tanto aveva amato e che ora odiava con tutto il cuore per il semplice fatto di amarle ancora.

Che testa che aveva! Contorta, testarda e mangiata dall'alcool, ma il vino rosso era l’unico in quelle sere, oltre al suo inaspettato, fastidioso, impertinente coinquilino, a tenerle compagnia, almeno l’aiutava a dormire quando il sole dalla finestra si faceva alto e con i raggi accarezzava la sua pelle donandole il giusto tepore per cullarla in quei sogni altrettanto strani e contorti. Almeno questo è quello che pensava, la verità è che era troppo sbronza per rimanere sveglia. Ne aveva tante di bottiglie di vino sotto quel letto deformato e scricchiolante, le teneva in una cassa di legno grezzo. Aveva tante scatole in generale sotto quel letto. Una era sempre chiusa a chiave, aveva un lucchetto grosso e arrugginito, non si ricordava cosa c’era dentro ma se era così ben sigillata doveva averci messo qualcosa di realmente importante, talmente importante da far male solo il ricordo, così lo aveva rimosso dalla memoria, come aveva rimosso anche il posto dove aveva nascosto la chiave. In un’altra scatola, un po’ più piccola delle due, teneva dei fogli, scritti, disegnati, colorati, strappati. Quella la prendeva spesso, leggeva cose passate, strappava poesie che le erano state scritte, ritoccava disegni fatti anni prima, leggeva lettere mai inviate.. poi la perdeva e infine la ritrovava nello stesso posto di sempre, anche qui la colpa era dell’alcol che le faceva annebbiare le idee e perdere la nozione dello spazio, oltre che del tempo. Borbottava sempre qualcosa e il suo amico rideva.
-Stupido gatto! Stai zitto, cazzo! Mi urti il sistema nervoso, ci manchi solo tu!- Urlava contro la voce.
-Ma non sono un gatto, Asia, riprenditi. Guardati, cara, come ti sei ridotta! Qua il vero morto sono io, non tu, prendi una penna, prendi un foglio e vivi, per amor del cielo, vivi!-
-Appunto! Non eri morto? Che ci fai ancora qua? Vai via! Non ho bisogno né di carta, né di penna, né di te!- Altre risate dall'angolo della stanza.
Lei non lo vedeva, e lui non era certo un gatto, lo sapeva, e non era nemmeno pazza.. o forse si? No, non lo era, era semplicemente innamorata, una folle innamorata distrutta dalla stessa causa che generava il suo sorriso.

Cinque erano stati i giorni solari passati ad occhi chiusi su quel letto che sapeva d’amore bruciato. Cinque.
Aveva forse smesso di amare? L’amore poteva essere associato alla vita? Quindi se lei adesso era morta non avrebbe mai più amato? Tanto non c’era più nessuno da amare. Quegli occhi erano svaniti nel nulla, quelle mani che una volta aveva avuto sul suo corpo le aveva date per disperse, quelle labbra così perfettamente combacianti con le sue erano state allontanate e poi violate da demoni grigi.

-Non è colpa tua, l’amore è sempre stato l’inferno e il paradiso, non ti abbattere, brinda alla vita, brinda alle emozioni che dovrai ancora vivere- altro colpo di tosse, questa volta più rauco.
-Non ne vale più la pena, gatto, non ne vale più la pena. Brinderò un’ultima volta, a me, a te, e alla notte-
-Perché alla notte, Asia?-
-Perché  alla vita allora?- Lui rise, l’ombra al chiaro di luna era ricurva su se stessa, era anziano, aveva un cappello a cilindro dai contorni imprecisi e la voce lo stava abbandonando. Asia non gli vide mai la faccia, ma sapeva perfettamente chi era.
-Alla vita perché sei giovane, hai talento, hai amore dentro te, hai parole che nessuno potrà mai esprimere, guardati, non sei più tanto piccola, ti ho vista nascere, ti ho vista crescere, ti ho vista perdere la testa e ho visto la follia dentro i tuoi occhi che ardeva come una fiamma. Brinda a te stessa-
-Sei proprio uno stupido gatto- Lei, sdraiata su quel letto guardava il soffitto, la voce impastata un po’ dal sonno e un po’ dal vino, sorrideva e sembrava essersi quasi arresa a le parole del vecchio. Quanto poteva avere ragione quell'uomo? Ma la sua vita non meritava più di essere vissuta senza quella persona, quella per cui anni addietro aveva perso la testa.
-Carta e penna, bambina mia, carta e penna, ricorda-
Quella sera, quando tutto sembrava al limite della pazzia, le fu tutto chiaro. Non serviva sentirsi così morta e priva di stimoli, lei sapeva come poteva rinascere, solo che non le andava, non voleva. Quei cinque giorni erano stati la scoperta del suo “sé” e non li avrebbe mandati a puttane in quel modo. Il vino o le parole dell’uomo l’avevano come illuminata, lei bruciava di vita, e non era la sua vita che era stata bruciata da quel legame assassino.

Le parole buttate al vento le stava riprendendo, aspirandole dentro la sua testa attraverso le orecchie piccole, le parole perdute le stava ritrovando negli angoli del letto sfatto, tra le pieghe del lenzuolo, erano sempre rimaste lì, solo che la sua pigrizia aveva deciso che quelle parole non meritavano di essere cercate. Le parole dette le aveva lasciate sospese nell'aria come particelle di ossigeno, le parole non sentite le aveva unite a quelle perdute, quelle distanti le stava avvicinando con il cuore, quelle piene le stava rovesciando come una manciata di farina dentro la sua mano, quelle vuote le riempiva di baci cosicché potessero essere piano piano riempite d’amore.
I ricordi riaffioravano piano in superficie e lei seppe cosa farci. L’uomo dal suo angolo sorrideva, lei non lo sapeva ma sentiva che stava facendo finalmente qualcosa di buono.
Scrisse tutta la notte, scrisse tutto quello che aveva vissuto, tutto quello per cui aveva combattuto e che poi purtroppo aveva perso. Scrisse e buttò giù tante frasi, tanti periodi che mai come in quel momento aveva sentito suoi.

Perché anche dalle sofferenze aveva capito che poteva trarre qualcosa di buono. Le sue esperienze potevano prendere vita in un altro mondo, morivano in quello reale ma dentro questo universo parallelo che stava costruendo tra i fogli bianchi poteva ridare quella scintilla fiabesca a ciò che era ormai deceduto.
Stupido gatto, aveva ragione, finché c’è carta e penna c’è vita, e se non si vuole brindare ad essa si può sempre brindare alla follia, follia che non manca in nessuno di noi.
 
 
  
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