Li vedo.
Li sento parlar alle nostre spalle, gli occhi che ci squadrano, analizzando ogni nostro singolo movimento.
Perché?
Perché non ci lasciano essere felici senza giudicare le nostre dita intrecciate, l’oro delle nostre fedi o il mio ventre gonfio? Che abbiamo fatto di male? Che ne sanno di me, di te, del dolore che abbiamo dovuto affrontare e di come siamo riusciti a superarlo?
Lo so cosa pensano.
Pensano che di te m’importi solo per il tuo volto.
Perché gli assomigli.
Perché sei il suo specchio.
La parte rotta.
Credono di sapere tutto e allora non si fanno scrupoli a parlare alle nostre spalle, a indicarci quando passiamo per le strade.
Ma chi si credono di essere?
Non sanno nulla.
Nulla delle notti passate insonni a piangere, lontani, con solo una fotografia o ricordi lontani di risate a consolarci.
Nulla delle lacrime, della solitudine o della disperazione.
Nulla di come tu sia stato la mia luce, la mia ancora e lo sia ancora oggi.
E non perché me lo ricordi così tanto.
Questo è quello che fa più male.
Ma perché quando ho avuto bisogno, tu c’eri.
Perché quando ho riso di nuovo, tu c’eri.
Perché quando ho amato di nuovo, tu c’eri.