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Autore: Conny Guitar    14/06/2013    1 recensioni
Un nuovo anno. Che strano il capodanno in trincea...
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Un nuovo anno. Che strano il capodanno in trincea. A mezzanotte, sottovoce, quasi fosse un piano di guerra segretissimo, ci diciamo:-È capodanno, siamo nel  1917- 

E pensare che è da un anno e mezzo che siamo qui. Come dire da sempre. Nei rari momenti di tranquillità parliamo spesso tra di noi delle nostre vite precedenti. Vite precedenti, come se ci fossimo reincarnati. Perché questi non siamo noi. No, non è possibile. Ci raccontiamo delle nostre famiglie. Alcuni parlano e parlano, poi tirano fuori dal portafogli delle foto sgualcite dal tempo e dal dolore. –Ecco, questa è mia moglie Domenica, è lei che ora manda avanti la fattoria. E questi sono i bambini, crescono all’aria pura di campagna, e si fanno forti- li senti dire, e ti viene da piangere, da urlare, mentre nel tuo cervello si affollano tanti “perché?”: Perché sono qui? Perché io?
Le nostre condizioni sono disastrose. I rifornimenti arrivano irregolari e quasi mai sufficienti per così tanti soldati. Tanti? Veramente non lo so. Ricordo che quando siamo arrivati eravamo veramente tanti, ma ormai vedo solo più il mio battaglione, ed il nostro numero a volte aumenta, ma più spesso cala. E così siamo qui, sepolti dagli errori di calcolo dei generali. Ma, d'altra parte, chi aveva la sfera di cristallo? Sembra che ci sia un tacito accordo con i nemici: oggi avanziamo un po' noi, domani avanzate un po' voi. 
La nostra indifferenza verso i corpi dei soldati morti che rimangono insepoli per giorni ha una stranezza inquietante. Ma se anche ci soffermiamo a guardarli, passiamo oltre, non è compito nostro dare loro cristiana sepoltura, dobbiamo stare attenti se non vogliamo fare la loro fine. 
Ci avevano detto che sarebbe stata breve, poche settimane per una nobile causa, invece siamo ancora bloccati qui, e la guerra non dà segno di finire. Dalle linee nemiche ci sparano addosso giorno e notte, ci mutilano con le loro bombe e ci asfissiano con i loro gas. E noi facciamo lo stesso. Paolo, il mio migliore amico, è morto così, colpito da una bomba durante un ennesimo attacco andato a vuoto. Eravamo due interventisti diciottenni, volevano combattere per Trento e Trieste senza sapere neanche che posti fossero. Ci eravamo arruolati, eravamo andati con entusiasmo all'addestramento e ancora di più al fronte. Ma cosa volete che ne sappiano di guerra due ragazzi della campagna piemontese? Prima di arrivare qui, avremo sparato in tutto cinque volte. Quel giorno i nemici avevano lanciato un attacco che era durato tutto il giorno. Paolo era alla mitraglia, come tutti el tentativo di fermare la fanteria; un po' isolato dal resto del battaglione. Ho visto la bomba volare in aria con una parvenza di libertà, cadere in trincea, colpire Paolo, esplodere. Non era chissà quale ordigno e la trincea non si è danneggiata più di tanto. Ma Paolo... ah, gli uomini fossero come le trincee, che si possono ricostruire! La mano sinistra non c'era più, sostituita da un'orrenda poltiglia rossa. L'altra era messa un po' meglio, se esiste il meglio o il peggio in questi casi. Ma la cosa terribile era che Paolo era ancora vivo. Quando mi ha visto ha detto solo -Ehi...-. Io non gli ho risposto, lo sguardo fisso sul suo corpo mutilato. Così ha continuato lui: -Sto bene, neh! Tra un po' torniamo a casa. Ci compreremo una macchina nuova. Aiutami ad alzarmi ora-. Ma io non mi muovevo, la mia mente era spenta, non potevo pensare. Paolo ha rivolto lo sguardo al cielo grigio, ha fatto un grande respiro come a liberarsi di tutto il dolore ed è morto. Non dovevo essere così fuori dal mondo, perché gli ho chiuso gli occhi ormai vitrei. Il nostro generale si è avvicinato, ormai gli altri erano in ritirata. Ha tirato fuori una fiaschetta di liquore, l'ha aperta e ha detto: -è morto per una buona causa. Alla sua anima-. Mi è venuta voglia di piangere.
Il suo corpo è rimasto lì per tre, quattro giorni, non lo so, mi è sembrato di vivere in un sogno onirico. Poi lo hanno portato via. Una volta credevo impossibile vivere senza gli amici, ma ora mi trovo a dovermi ricredere. Pensare a lui non mi desta alcuna emozione precisa. 
Spero che questa guerra finisca. Spero che torneremo ad essere tutti fratelli, i francesi con i tedeschi, gli italiani con gli austriaci. Perché i fratelli non si fanno la guerra. O almeno penso...

   
 
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