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Autore: nals    14/06/2013    3 recensioni
Ho qualcosa in testa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Uhm.
 
 
 
 
Ho qualcosa in testa.
Un coagulo in putrefazione infilato chirurgicamente tra le piaghe scure della Grigia.
Brandelli di speranze abortite per costrizione, favole colorate di mani che si sfiorano, sì... cose così.
Stronzate alla San Valentino, in pratica, ricamate assieme ai merletti stropicciati sui cuscini della nonna.
 
Centoventi giorni fa consumavo le suole strisciando i piedi sull’asfalto bagnato. Avevo il cuore matto e le dita in faccia. Che gran cazzata cercare di spegnermi le gote con le mani.
Pensavo che qualcuno volesse ascoltare e sentire e guardare me. Tutta me.
Io. Proprio io.
Me me me me me me me.
Fino in fondo, fino all’ultimo respiro e risata soffocata con un dito.
Centoventi giorni fa pioveva, ma avevo il sole dentro.
Frasetta da cioccolatino rubato e dimenticato in tasca per prendersi un altro bacio.
Ma avevo il sole dentro, cazzo. E fuori era buio e pioveva, pioveva forte. Come i vent’anni della vita prima.
Fuori era buio. E non m’importava.
(siccome pioveva)
 
 
Oggi, per dire, mi son riscoperta potenzialmente idiota, nel senso di idiota elevato alla n volte .
È successo così, nel giro di due ore e tre minuti scarsi di “E poi all’improvviso... etc etc etc.”.
Crostacea, anche.
Indietreggio che è una bellezza, sono un asso nell’indietreggiare. Sul serio.
Per ogni mezzo passo in avanti ne guadagno il quintuplo di schiena. Un vero spasso.  
Me l’ha detto anche M. E a lei credo. M’ha già capito.
 
Ho qualcosa in testa, lo giuro. E me lo son creato io, così come son io che lo sto trattenendo.
Esserne consapevoli non è propriamente piacevole, nè è intelligente fare di tutto per non risolvere la cosa.
Credo di esser coscientemente masochista o nostalgica in modo venefico.
 Mi faccio di dolore amplificato, lo preferisco all’LSD. Come se mi fossi mai fatta d’ ellessedi. Certo.
Non fumo nemmeno; penso ai sassi infilati nei pacchetti svuotati del babbo di quando ero bambina.
 
Son fatta così io, entro in crisi subito: sparlo o non parlo. Ossimoro ambulante.
Ultimamente non so focalizzare, trovare un motivo,  la ragione, o trovare me. Trovarmi.
E mentre barcollo, aggrappandomi allo scheletro d’un ombrello assassinato dal vento forte, il resto perseguita a darmi contro, imponendosi nella schiera degli oppositori; di quelli che sanno riconoscerlo, il giusto dallo sbagliato, senza lasciarsi confondere dalle insinuazioni gratuite di chi sa esattamente quello che non ci sarebbe da sapere.
La verità  è che mi mancano i dettagli. Il tirare fino a tardi aspettando di leggerti e pensare:
“non andare, non rinunciare. Non arrenderti con me, anche se ho sonno e mi vien difficile parlare, anche se delle volte sembro lontana e se domani sarà difficile tirarmi su. Continua a raccontarmela, la tua vita, che è così bella, quanto non lo sarà mai la mia. Non rassegnarti, io sono ancora qui. Sono ancora qui.”
E il qualcosa in testa fa ancora più male, si agita nello spazio tra le tempie, mi rincretinisce l’epifisi.
E ci son parole o frasi, e suoni, e dita sulla schiena – un secondo di caldo infernale in più per la leggera pressione delle dita sulle vertebre – che vorrei poter dimenticare adesso.
Adesso, subito, adesso.
Un secondo di caldo infernale in più per la leggera pressione delle dita sulle vertebre.
 
Dio.
 
È tutto uno stupido rincorrersi e non cercarsi mai. Che poi l’orgoglio ne morirebbe. 
Ma poi son cazzate, ancora.
Perché io metterei da parte l’orgoglio – lo metterei via tutto tutto tutto – se solo sapessi di significare qualcosa.
Se solo sapessi di aver significato anche solo un briciolo di... niente.
Ma poi son cazzate, ancora e ancora e ancora.
Ho cicatrici infette da disilludere col laser.
Gli acari ostruiscono le vie respiratorie; son ritornata ad essere il pupazzotto bruttino lasciato marcire in fondo al letto sfatto, al mattino e a pranzo e alla sera. Il bacio me lo stampano in fronte solo poco prima che si spenga la luce.
“Resta qui e riscaldami i piedi, Pof.”
 
Dio.
 
 
Ho qualcosa in testa. E non riesco...
Non riesco.
Non riesco.
Vorrei riuscire a disinnescarmi o scoppiare definitivamente. È necessario un collasso gravitazionale perché nasca il sole, no?
Io voglio il mio sole. Voglio il mio sole. Lo voglio tutto quanto. Ma non so nemmeno immaginarmelo, o abbozzarne la forma stilizzata con la matita.
Sogno solo me e ... .
E voglio qualcuno che mi abbracci forte forte forte, perché non so più a cosa aggrapparmi.
E voglio qualcuno che mi sussurri all’orecchio parole, tante parole, parole alla morfina.
 
 
Ho qualcosa in testa e non riesco, non riesco, non riesco a...
Non riesco mai a spegnerle tutte in una volta le candeline sulla torta. Quanto forte dovrò soffiare per spegnere via te?
 
 
Un secondo di caldo infernale in più, per la leggera pressione delle tue dita sulle mie vertebre.
 
Ti volevo con me. Non so come; non lo so come. (Ci eri già un po' entrato nella mia vita, capisci?)
Io ti volevo con me.  
Io, io che nei tuoi – tuoi tuoi tuoi tuoi – abbracci scomparivo.
 
 
Ho qualcosa in testa e non riesco...
Non riesco.
 
 
Io, io che nei tuoi quasi abbracci scomparivo.
   
 
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