16. Tutto ricomincia
Ci vollero due giorni
per far uscire Tom e Oliver dall’ospedale e altrettanti per spiegar loro la
dinamica dell’accaduto. Tuttavia furono entrambi piuttosto malleabili con i
loro maldestri compagni, Tom perché, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era
parzialmente responsabile dell’incidente, mentre Oliver credeva che il fatto
fosse una ritorsione contro di lui per il modo in cui si stava comportando.
Il problema più grosso
fu, però, convincere i loro genitori a lasciarli tornare al lavoro. La signora
Hutton, poi, visto che era già la seconda volta che il suo figliolo subiva uno
strano incidente, si era convinta che dietro a tutto c’era lo zampino di una
specie di ‘Fantasma dell’Opera’ che stava tentando di sabotare i ragazzi. Di
nuovo Oliver inventò una scusa piuttosto elaborata, alla quale mamma e papà
abboccarono nuovamente (la fiducia nel loro ragazzo era davvero troppo
abbondante), e così non ebbe grossi problemi a riprendere il suo posto.
Tom, invece, ebbe il
problema contrario : il veto dei genitori era giusto quello che ci voleva
per fargli abbandonare il suo ingombrante ruolo. Invece i signori Baker erano
fermamente convinti dell’importanza di portare a termine gli impegni presi e,
seppure a malincuore, non si lasciarono intenerire dall’aspetto supplichevole e
malconcio del figlio, il quale non potè fare altro che mandar giù l’amaro
boccone e darsi dell’idiota per essersi tirato la zappa sui piedi.
Comunque, né Tom né
Oliver scoprirono mai l’identità dei colpevoli, grazie all’omertà e allo
spirito di gruppo dei compagni. Il tutto, però, rese i due parecchio sospettosi
nei loro confronti, e sarebbe passato un bel po’ di tempo prima che
accettassero di nuovo qualsiasi bevanda o genere alimentare proveniente dalle
mani degli amici.
Malgrado l’accaduto, le
prove ripresero normalmente, e, per qualche tempo, tutto sembrò procedere per
il meglio.
17. Il primo
passo
Seduto a tavola, in
mensa, Paul teneva lo sguardo fisso nel vuoto e pungolava con la forchetta la
striminzita coscia di pollo che aveva nel piatto. Non aveva ancora mangiato un
boccone.
“Paul, ma cosa ti ha
fatto di male quella povera bestia ? Almeno, quello che ne resta...” disse
Stephen.
“Niente, non ho fame”
rispose Paul.
“Beh, posso capire che
il pollo con i piselli non ti piaccia, ma non è il caso di torturarlo in quel
modo...passa, vah” disse Philip afferrando il piatto di Paul e vuotandone il
contenuto nel suo.
“Phil, fai schifo, sei
proprio una fogna...” commentò Julian allibito.
“Ma inshomma, vuoi che
queshto...gnam...queshto ben di Dio fignishca
gnella...munch...shpasshatura ?” rispose il ragazzo masticando un grosso
boccone. “She...glom !”. Inghiottì il tutto. “Se Paul non ha fame sono
cavoli suoi...con tutta la gente che non ha da mangiare...”
“Wow, tu sì che capisci
gli amici !” disse Stephen. “Invece di fregargli il pranzo, perché non lo
aiutiamo ad abbordare Sarah ?”.
“Steve, guarda che non
ho bisogno della mamma, posso anche sbrigarmela da solo. E poi sono fatti miei”
intervenne Paul piuttosto seccato. Ad ogni modo, Stephen aveva centrato
perfettamente il problema. Nonostante gli innumerevoli tentativi, Paul non era
ancora riuscito a sconfiggere la timidezza e dichiararsi alla ragazza che gli
aveva rubato il cuore. Non sapeva far altro che guardarla incantato finchè lei
se ne accorgeva e, arrossendo, spariva dalla sua vista. A tal punto temeva di
fare la figura dell’idiota da non capire che la stava già facendo.
“Dai Paul, non fare
così” lo rincuorò Julian “Vedrai che prima o poi arriverà l’occasione
giusta...”
“Io credo che sia già
qui” disse Mark inarcando un sopracciglio e guardando alle spalle di Paul, che
gli stava seduto di fronte. “Guardate un po’ chi c’è là in fondo...”
Quando Paul si voltò, il
cuore gli sobbalzò nel petto : Sarah, che mangiava il suo pollo tenendo il
capo chino sul piatto, era seduta tre tavoli più indietro. Ed era sola.
Paul si rigirò verso i
compagni con il cuore in gola. Che faccio ?,sembrava chiedere con lo
sguardo. Stephen gli mise una mano sulla spalla e gli disse : “E’ la volta
buona. Vedi di non sprecarla.”. Gli altri gli fecero un cenno con la testa e
sorrisero, per dargli un po’ di coraggio. Paul si voltò di nuovo verso la
ragazza ; dopo averla guardata per un attimo, si alzò con decisione e
disse : “Gente, io vado”.
I ragazzi avrebbero
voluto battergli le mani.
Quando Sarah lo vide
dirigersi verso di lei, ebbe la tentazione di alzarsi ed uscire di corsa. Ma
cosa voleva quel tipo ? Non poteva essere interessato ad una come
lei. E allora perché continuava a guardarla ?
“Ciao” disse Paul
sedendosi.
“Ciao...” rispose Sarah
arrossendo vistosamente.
“Ecco...io...volevo
solo... insomma...” farfugliò Paul imbarazzato. Maledizione, pensò. Sarah lo
stava guardando con aria dubbiosa. Doveva trovare le parole.
“VolevosolodirtichetihosentitacantidaDiomichiamoPaullosochesembroundeficien...”
“Scusa, cos’hai
detto ?” lo interruppe Sarah, investita dallo sproloquio di Paul che
l’aveva quasi divertita. Accortosi di aver fatto la figura dell’ebete, il
ragazzo arrossì come un pomodoro e trasse un profondo respiro. Calmo, si disse.
Stai calmo, altrimenti è finita.
“Io...ti ho vista la
settimana scorsa alle prove...gli Stand Up, ricordi ?” Okay, così va
meglio. “Hai urtato contro la mia spalla mentre uscivi...mi hai chiesto scusa e
io ti ho detto che non importava”.
Sarah abbassò lo sguardo
e, con un filo di voce, disse :”Veramente...non mi ricordo”
SBADABRANG ! Paul
ingoiò filosoficamente il rospo e proseguì.
“E’ vero, che
idiota...come potresti ricordartelo ? Non significa nulla...”
“Beh...se te ne sei
ricordato...forse vuol dire che è importante, no ?”
Paul era rimasto sorpreso
dalle parole della ragazza. La guardò negli occhi e notò in essi uno sguardo
curioso e al tempo stesso pieno di speranza. Capì che doveva averla colpita in
qualche modo. Le sorrise e proseguì.
“Alla fine...ti hanno
presa nel gruppo ?”
“No... almeno, non ho
più saputo niente... ma non credo proprio” rispose Sarah guardando altrove.
Paul capì che doveva essere stata davvero una grossa delusione.
“Mi dispiace” disse
“Sai, ti ho sentita...secondo me vali moltissimo, hai una voce davvero
splendida”
“Grazie” rispose Sarah
sorridendo. “Comunque non importa, me lo aspettavo. Credo che loro abbiano
bisogno di qualcuno che...faccia un po’ più scena, non so se mi spiego...”
Paul scosse la testa e
rise. “Lo vedi ? E’ questo il problema di Leon Mitchell e soci. Sono tutto
fumo e niente arrosto, si perdono solo dietro le apparenze e non hanno ancora
capito che la cosa veramente importante...è ciò che sta qui” disse, portandosi
una mano alla gola “E qui”, e si portò l’ altra mano al petto, nel punto in cui
gli batteva fortissimo il cuore.
Sarah si sentiva
strana : imbarazzata, confusa e felice al tempo stesso.
“Ti ringrazio. Ora però
è meglio che vada... devo ripassare un po’” farfugliò alzandosi. “Compito in
classe di matematica...”. Sorriso. Sguardo basso. Silenzio. “Comunque mi chiamo
Sarah...” riprese, tendendo la mano al ragazzo che ora la guardava con
dolcezza.
“Lo so” rispose
sorridendo. “Io mi chiamo Paul”.
I due si strinsero la
mano e i loro occhi si incontrarono di nuovo...gli splendidi occhi azzurri di
Sarah e i dolci occhi castani di Paul. La ragazza poi lo salutò e scappò via di
corsa.
Paul rimase a guardarla
ancora una attimo, ed era convinto che la storia non sarebbe finita lì.
18. Piove sempre sul bagnato
Grazie al suo exploit in
sala mensa, Paul aveva finalmente ritrovato il buonumore ; la sua euforia
contagiò praticamente tutti e le prove continuarono con tranquillità.
Almeno fino al giorno
successivo.
Ora che Julian ed
Elizabeth litigavano un po’ meno, Benjamin non aveva più altre uscite folli e
perfino Tom sembrava essersi calmato (il tutto con somma gioia di Oliver,che
finalmente poteva svolgere il suo lavoro in santa pace), Philip si annoiava a
morte. Il suo personaggio era uscito di scena e i lavori di ristrutturazione
delle scenografie erano quasi terminati ; ormai non gli restava altro da
fare che grattarsi la panza tutto il santo giorno. Non poteva nemmeno
tornarsene a casa a farsi gli affari propri, perché Oliver pretendeva la
presenza di tutta la compagnia durante le prove, in caso ci fossero dei
problemi, e la cosa che Philip, tipo dinamico per natura, odiava di più era
rimanere con le mani in mano. Inoltre, dopo l’episodio del tè drogato, non era
più accaduto nulla di divertente e quella recita che il ragazzo (forse l’unico
tra tutti) considerava un piacevole diversivo aveva raggiunto l’apice della
monotonia.
Stufo di restarsene
seduto, andò a fare un giretto dietro le quinte. Avevano da pochissimo montato
il sipario e secondo lui non era stata una grande idea, perché la ribalta
veniva notevolmente ristretta. Mentre Maddy, brandendo un candeliere, recitava
i deliri da sonnambula di Lady Macbeth, Philip si infilò dietro il tendone di
sinistra, dove Mark attendeva di entrare in scena.
“Che pizza” disse. “Non
vedo l’ora che arrivino le sei...”
“Scherzi ? Dà
un’occhiata a come si muove Maddy e vorrai fermare il tempo !” rispose
Mark, senza staccare gli occhi dal sedere della ragazza.
“Com’è che sei diventato
un poeta ? Mi sa che questa recita del cavolo ti ha dato un po’ alla
testa, caro il mio MacDuff !” rispose acido Philip ; ma, dopo aver
spostato gli occhi nella stessa direzione di quelli di Mark, fece un sorrisetto
e disse :”Ah, beh, però...” e si appoggiò alla parete per ammirare con
comodo il panorama.
“...Via , macchia
maledetta !...Un soldato, aver paura ?...Chi pensava che il vecchio
avesse in corpo tanto sangue ?” disse Maddy, tenendo gli occhi sbarrati e
muovendosi come se fosse davvero sonnambula. Era veramente brava, Oliver era
certo che quella parte fosse su misura per lei.
“Avete sentito ?...”
esclamò Stephen entrando in scena.
Oliver scosse la testa e
disse :”Stop !”
Ci risiamo, pensò
Philip.
Stephen alzò le mani al
cielo ed esclamò : “Ma porc... è possibile che appena dico qualcosa tu
debba sempre fermare tutto ? ! ? Sono tre parole in croce, dove
diavolo è che sbaglio ? ! ?”
“Il punto, Steve, è che
sei espressivo come un nano di gesso” rispose, calmo, Oliver.
“Toh, questa non l’avevo
mai sentita !” disse Stephen.
“Ascoltami, recitare non
significa ripetere a pappagallo quello che c’è scritto su uno stupido foglio di
carta ! Vuol dire anche calarsi nella parte, vivere gli stessi sentimenti
del proprio personaggio...e possibilmente anche capirli !”
“Ma cosa devo
capire ? ! ? Sono un medico ! ! ! Ascolto gli
sproloqui di una pazza e li commento, fine !”
“Lo vedi che non hai
capito niente ? Ricominciamo da capo. Atto quinto, scena prima.”
“Ma Ollie !”
protestò Maddy “E’ la quarta volta che la rifacciamo ! Non puoi far
ripetere solo la battuta di Stephen ?”
“Uhm...no, altrimenti
facciamo casino... comunque non preoccuparti, Maddy, tu sei davvero
perfetta !” disse Oliver prendendo la mano della ragazza e avvicinandola
alle labbra. Maddy glie la sottrasse rapidamente, fulminandolo con gli occhi.
Patty, che da tempo faceva un discreto filo al ragazzo e aveva assistito alla
scena, incrociò le braccia, e , guardandolo in cagnesco, disse :
“E bravo Ollie !
Scommetto che stai cercando tutte le scuse possibili per rimirarti quella
smorfiosa, e magari anche provarci, giusto ? ! ?”. Oliver
diventò paonazzo.
“Modera i termini,
Gatsby !” ribattè Maddy stizzita. Tra le due non correva buon sangue. “Chi
lo vuole, quello ? ! ? Per conto mio te lo puoi anche
tenere !”
“E vai, ecco la
rissa !” disse Philip stringendo i pugni. Finalmente un diversivo...
“Non contarci troppo,
Phil, sta arrivando il paciere...” disse Mark. Difatti Tommy si era messo in
mezzo e stava cercando di calmare le parti in questione, tra la delusione di
Oliver e l’irritazione delle due ragazze. In breve, il clima tornò tranquillo.
“Al diavolo !
Possibile che non succeda più niente di divertente ?” esclamò Philip dando
una manata contro il muro. Appena compiuto quel gesto, però, si fermò,
incuriosito, ad osservare il punto che aveva colpito.
“Cosa intendi per
divertente ?Mandare Ollie e Tom all’ospedale ?” disse Mark in tono
critico.
“Aspetta, Mark, guarda
qui “ disse Philip indicando una leva che sporgeva dal muro.
“Che cavolo è ?” si
chiese Mark.
In effetti, nessuno ci
aveva mai fatto caso. Chissà da quanto tempo era lì...e aspettava solo di
essere abbassata...
“Fermo lì,
disgraziato !” disse Mark afferrando la mano che Philip stava allungando
verso la leva. “Non vorrai mica tirarla ?”
“Dai, Mark, cosa vuoi
che succeda ? Guardala, è tutta di legno marcio, sarà vecchia come mio
nonno ! Sarà già tanto se non mi resterà in mano !”
“Sì, va bene, ma...”
“Ma cosa ? Forse
nasconde un passaggio segreto, una specie di rifugio per sfuggire ai
nazisti...” disse Philip gongolando e stringendo le dita intorno al pezzo di
legno.
“A parte il fatto che i
nazisti non sono mai arrivati in Inghilterra, la nostra scuola non è così
vecchia” replicò Mark, con un po’ di pedanteria. “E poi, di solito, una leva
che si trova vicino ad un palcoscenico serve ad azionare...”
YAAAAAAAAAAARGH ! ! !
“...ehm...una botola ?”
disse timidamente quel furbone di Philip, che pochi secondi prima aveva
abbassato con forza la leva.
Mark lo incenerì con
un’occhiata e poi si precipitò in mezzo al palco, dove tutti gli altri si erano
riuniti in cerchio e stavano guardando verso il basso.
“Non capisco... il
pavimento si è aperto all’improvviso... e Ollie.... è volato giù... si è alzato
un polverone...” farfugliò Maddy, inginocchiata accanto a quel buco quadrato.
Patty singhiozzava.
“Eeeeeh... che è
successo, ragazzi ?” disse Philip tentando di fare l’indifferente. Mark si
girò verso di lui e, tirandolo per un braccio, gli disse : “Dà un’occhiata
al tuo lavoretto, Mister Cosa-Vuoi-Che-Succeda ! ! !”
Philip si chinò a
guardare nel buco e vide Oliver, un paio di metri più sotto, steso a faccia in
giù, con braccia e gambe allargate, su un vecchissimo materasso ricoperto di
polvere e ragnatele. Il meccanismo funzionava ancora perfettamente, a quanto
sembrava.
“Ahem.....Ollie...hai
bisogno di qualcosa ?” disse Philip. Oliver non rispose.
“Sì, che tu lo vada a
prendere, imbecille !” disse Mark sferrando un poderoso calcio nel sedere
a Philip, che volò nella botola finendo addosso ad Oliver.
“Mark, sei impazzito ? ! ? Vuoi che ci rimettiamo anche un attore, oltre che al
regista ? ! ?” esclamò Julian.
“Meglio, due
rompiscatole in meno ! Vado a chiamare l’ambulanza... tanto ormai
conoscono la strada !” rispose Mark allontanandosi.
“Hey, di sopraaaah...
tirateci fuoriiiiih...” borbottò Oliver con un filo di voce. Philip era steso
sulla sua schiena, privo di sensi.
I ragazzi, levando gli
occhi al cielo, si domandarono quale tremenda maledizione incombesse su di
loro.
19. Quel che Julian si porta dentro
Sabato sera, ore 20 e
45.
Elizabeth, che stava
aspettando Julian, si guardò un’ ultima volta allo specchio. Niente male,
Betsy, davvero niente male, si disse. Aveva passato tutto il pomeriggio
cercando l’abito adatto per la serata (e ad inventarsi una scusa buona per aver
saltato le prove) e, dopo aver ribaltato tutto l’armadio, aveva finalmente optato
per un vestitino azzurro lungo fino al ginocchio, con le spalline sottilissime
che si incrociavano dietro la schiena e un paio di sandali a tacco alto
allacciati alla caviglia. Si ravvivò i lunghi capelli neri e, infilandosi gli
orecchini, pensò a cosa le avrebbe detto Julian. Di certo le avrebbe fatto
qualche battutaccia, come al solito. La sorprese, però, di non aver fatto altro
che pensare a quel ragazzo tutto il santo giorno : insomma, l’ evento (con
la E maiuscola) era il concerto di Van Morrison, e anziché ringraziare tutti i
santi del Paradiso per l’occasione d’oro che le era capitata o sperare che
Julian non la bidonasse all’ultimo minuto (in fin dei conti i biglietti li
aveva lui) se ne restava davanti allo specchio a civettare. Cosa cavolo si aspettava
da lui ? Che le chiedesse di sposarlo ? Soffocò una risatina
immaginando lei e Julian come marito e moglie : lui che scappava per casa
con il giornale sottobraccio mentre lei, urlando, gli tirava dietro un intero
servizio di piatti in porcellana...
Lo squillo del
campanello la riportò alla realtà. “Però ! Ha davvero spaccato il
minuto !” disse guardando l’orologio. Afferrò la borsetta e scese di corsa
le scale.
“Ciao a tutti ! Non
so a che ora torno, non aspettatemi !”
“Cerca di non fare
troppo tardi” disse sua madre dalla cucina.
“Di che ti
preoccupi ? E’ in ottima compagnia !” ribattè il padre, sottovoce.
Sapeva benissimo che sua figlia non avrebbe gradito la battuta.
Quando Elizabeth aprì la
porta, rimase per un istante senza fiato.
Julian, che si trovava
davanti a lei con le mani in tasca e il solito sorriso smagliante, era
semplicemente favoloso, forse ancora più bello del solito. Era vestito in modo
semplice e al tempo stesso elegante, con un paio di pantaloni grigi, una
camicia bianca con il colletto alto, un gilet nero sulle spalle e scarpe nere
tirate a lucido. La camicia ricordò ad Elizabeth quelle che usavano i contadini
irlandesi il secolo scorso, con la differenza che quella doveva certamente
uscire da un lussuosissimo negozio di Oxford Street.
Non c’era niente da
fare, l’ insieme era davvero perfetto ; in più, con i capelli sistemati
con un po’ di gel era davvero irresistibile.
“Guarda che non dobbiamo
mica andare all’Opera” fu tutto quello che Elizabeth riuscì a dire.
“Stavo giusto per dirti
la stessa cosa” rispose il ragazzo. “Andiamo, vah ! Permette,
madame ?” disse porgendo il gomito ad Elizabeth da perfetto cavaliere.
“Con piacere, monsieur
Ross !” rispose lei prendendo a braccetto l’amico.
“E allora...via, che è
tardiiii !”. Julian partì di corsa tirandosi dietro la ragazza e
rischiando di farla cadere, ma si fermò dopo pochi metri ridendo.
“Lo sapevo, sei il
solito buffone !” disse Elizabeth, scoppiando anche lei in una risata.
“Accidenti, c’è davvero
un sacco di gente !” disse Julian guardandosi intorno mentre stavano
facendo la fila per entrare nel teatro.
“Te l’ho detto che era
tutto esaurito...hey, tu ! In coda come tutti, furbastro !” esclamò
Elizabeth mentre un tizio cercava, facendo lo gnorri, di passarle davanti. “Ma
tu guarda questo...e voi non spingete, cafoni ! Non vedete che siamo
compressi come sardine ? ! ?”
“Possibile che tu debba
sempre fare la zitella acida ?” borbottò Julian, contrariato. “Il tuo
stemma nobiliare cos’è, un limone ?”
“Non ti rispondo solo
perché, se non fosse stato per te, ora non sarei qui...”
“Biglietti, prego...”
“Julian, ti
muovi ?”
“Un attimo, non sono
mica Flash Gordon... ecco qua” disse Julian dopo prendendo i biglietti dal
portafogli. Senza che il ragazzo se ne accorgesse, però, un rettangolo di carta
gli scivolò a terra. Elizabeth si affrettò a raccoglierlo. “Hey, vecchio, perdi
i pezzi per strada ?” disse. Quando si rialzò e lo guardò meglio, però,
vide che si trattava di una fotografia piegata a metà. Carina, pensò
sorridendo. Ritraeva Julian e sua sorella Amy, più giovani di qualche anno, in
compagnia di un ragazzo più grande, dai corti capelli castani e gli occhi
verdi. Un bel ragazzo, a dire la verità. A giudicare dai visi sorridenti e
spensierati dei tre, dovevano essere davvero felici, quel giorno. Erano seduti
in un prato, e Julian, che teneva Amy sulle gambe, aveva le spalle cinte da un
braccio dello sconosciuto. Elizabeth girò la foto e sul retro trovò una
scritta :
Amy,
Julian e Sean
Enniskillen, maggio 19...
L’anno in cui Julian era
arrivato a Sevenoaks. Ma chi era Sean ?
“Cosa vuoi
adesso ?” disse Julian spazientito. Guardò verso la ragazza e, vedendo la
foto che teneva in mano, impallidì. “...dove l’hai trovata ?”
“Ti è caduta quando hai
preso i biglietti...beh, potresti almeno ringraziarmi !” rispose Elizabeth
porgendogli la fotografia.
“Sì, sì, grazie...adesso
andiamo, però” disse Julian mettendo via la foto in fretta e furia.
“Senti un po’ ma quello
Sean chi è ?” domandò curiosa Elizabeth seguendo l’amico lungo i corridoi
del teatro. “Potresti almeno presentarmelo, quel fustacchione !”.
“Ecco i nostri posti”
disse il ragazzo facendo finta di niente.
“Che c’è, fai il
geloso ? Beh, comunque devo dirtelo, è una gran bell’anima !” disse
allegramente Elizabeth, mettendosi a sedere. Julian non rispose.
Hai detto la parola
giusta, pensò.
Il concerto era
spettacolare, Julian ed Elizabeth non stavano più nella pelle tanto erano
emozionati e si stavano distruggendo le mani a furia di applaudire. La voce
calda e forte di Van Morrison, e le sue struggenti melodie un po’ blues, un po’
jazz e un po’ folk facevano accapponare la pelle. Avevano chiesto il bis dopo
“Celtic ray” e cantato a squarciagola il coro di “Caravan” e “Wavelength”.
E’ tutto perfetto, pensò
Elizabeth.
Ora aveva attaccato “Madame
George”.
Down the Cyprus Avenue...
Elizabeth non aveva mai
capito il testo di quella canzone. Dopo qualche minuto si voltò verso Julian
per chiedergli cosa fossero Cyprus Avenue e Fitzroy, ma quello che vide le fece
morire in gola le parole.
Il ragazzo guardava
fisso davanti a sé, con le braccia incrociate strette al petto, e aveva gli
occhi lucidi...
...And you know you gotta
go...
Elizabeth capì che
faticava a trattenere il pianto, e le si strinse il cuore quando vide una
lacrima scendere lungo la guancia di Julian, che cercava di soffocare i
singhiozzi. Il ragazzo l’asciugò immediatamente, cercando di non farsi notare.
Trasse un profondo respiro e guardò distrattamente in direzione di Elizabeth,
sperando che la ragazza non lo notasse. E invece incrociò, con grande
imbarazzo, lo sguardo di Elizabeth, che, pur essendo turbata, gli sorrise
dolcemente. Lui la ricambiò con un sorriso affrettato e abbassò gli occhi.
...Say goodbye to Madame
George...
Senza più guardarlo,
Elizabeth pose la sua mano su quella di Julian, che stringeva il bracciolo
della poltrona. Il ragazzo mollò la presa e afferrò delicatamente le dita
dell’amica, tenendole strette. Il brutto momento era passato...
...Dry your eyes for
Madame George...
...per ora.
Al termine del concerto,
i due amici, stanchi ed emozionati, si diressero verso casa continuando a
ridere e cantare.
“Certo che ha una
pronuncia davvero orribile !” commentò Elizabeth.
“Per forza, con tutti
gli anni che ha passato in America !” rispose Julian.
“Sì, bravo...la verità è
che quando voi irlandesi parlate sembrate avere una patata in bocca !”
“Ci stai dando dei
mangiapatate ? Guarda che potrei nominarti almeno un migliaio di inglesi
veraci che parlano molto peggio !”
“He, he...ho pungolato
il tuo orgoglio dell’Ulster, vero ?” lo stuzzicò la ragazza. “Adesso che
farai, mi metterai una bomba sotto casa ?”
Julian non le rispose,
ma le lanciò uno sguardo di fuoco. Elizabeth arrossì, vergognandosi delle sue
parole.
“Scusami, ho detto
un’idiozia” disse a bassa voce.
“Come al solito !
Va beh, ti perdono” disse Julian alzando le spalle.
I due proseguirono in
silenzio. Elizabeth ripensò al pianto sommesso dell’amico, e ,anche se non
sapeva come mai, lo collegò alla fotografia.
“Senti...” domandò con
cautela. “Non è per farmi i fatti tuoi, ma... non mi diresti chi era
Sean ? Un tuo amico ?”.
Julian si fermò e la
guardò dritta negli occhi.
“Se non ti va di
rispondermi non importa...lo so che sono una maledetta curiosa !”. Julian
continuò a guardarla.
“Scusami. Ti prometto
che non ne parlerò più” continuò la ragazza, abbassando lo sguardo.
Julian tacque per un
momento.
“Era mio fratello”
rispose.
“...Come ?” disse
Elizabeth, confusa.
“Sean, quello della
foto. Era mio fratello. Sean Robert Ross.”
“Tu...hai un altro
fratello, oltre ad Amy ?” domandò Elizabeth, stupefatta.
Julian sospirò
stringendosi nelle spalle.
“Non l’ho più” rispose.
“L’hanno ammazzato a Belfast cinque anni fa”.
Elizabeth si sentì
gelare.
“Quella era una foto
della nostra ultima gita insieme” continuò Julian, con lo sguardo fisso nel
vuoto.
20. Sogni perduti e sogni ritrovati
I due amici deviarono
verso il parco e si sedettero in riva al ruscello, accanto ad un vecchio salice
piangente. Julian non aveva nessuna voglia di parlare, ma sapeva benissimo che
avrebbe dovuto farlo perché, forse, dopo si sarebbe sentito meglio. Durante il
breve tragitto, Elizabeth non aveva detto una parola ; mai e poi mai si
sarebbe aspettata che quel ragazzo nascondesse una tragedia così grande e fosse
riuscito a mascherarla per così tanto tempo tempo. Ma ora Julian aveva deciso
di confidarsi proprio con lei, e lei stessa, sebbene stupita, aveva accettato
senza chiedergli il perché , senza un motivo ; l’avrebbe fatto e
basta.
Dopo cinque minuti di
silenzio, durante i quali i due non si erano scambiati nemmeno uno sguardo,
Julian si sdraiò sull’erba e cominciò a parlare.
“Avevo sette anni quando
i miei genitori divorziarono. Amy doveva ancora compierne sei e Sean, che ne
aveva già quindici, era l’unico che capiva come stavano le cose. Per quanto
riguardava me e mia sorella, ci eravamo di colpo trovati senza mamma, sempre
troppo occupata con la sua associazione di beneficenza per prendersi cura dei
suoi figli che soffrivano come cani, e senza papà, che si era subito trasferito
qui in Inghilterra dove lavorava già da tempo e dove si sarebbe risposato dopo
un paio d’anni. Tutto quello che ci rimaneva era Sean, e per quattro anni fu
per noi padre, madre e fratello maggiore.
Sean era quello che ci
aiutava a fare i compiti, che ci faceva giocare, era quello che ci spiegava
come funzionava il mondo, che ci difendeva dai prepotenti, era quello che ci
rimboccava le coperte e ci raccontava le filastrocche per farci addormentare.
Tutta la nostra vita ruotava intorno a lui. Fino alla notte in cui ce lo portarono
via per sempre”.
“Quella sera, mamma
aveva portato Amy dal dentista, e poi si erano fermate a trovare zia Martha.
Telefonarono dicendo che non sarebbero tornate per cena, così io e Sean
decidemmo di guardarci un film e farci una pizza. Non immagini quanto fossi
felice di avere il mio fratellone tutto per me, ero sicuro che sarebbe stata
una serata favolosa ; magari saremmo andati a prenderci un gelato e
avremmo giocato a Monopoli, dove io avrei imbrogliato come al solito e Sean
avrebbe fatto finta di arrabbiarsi. Insomma, ci saremmo divertiti un mondo.
E così fu, finchè non
suonarono alla porta”.
“Sean andò ad aprire,
convinto che fosse il fattorino della pizzeria. Invece era un ragazzo di
neanche vent’anni che, senza dire una parola, gli sparò un colpo di pistola in
testa.
Io stavo uscendo dalla
cucina con un bicchier d’acqua in mano, e non mi ero nemmeno reso conto di
quello che era successo. Quando vidi Sean steso sul pavimento con un buco in
fronte mi sentii mancare e feci cadere il bicchiere sul pavimento. Se non
l’avessi fatto , forse quel tizio non si sarebbe neanche accorto di me, e non
mi avrebbe scaricato tre colpi nello stomaco “.
Elizabeth si portò una
mano alla bocca, sconvolta, senza riuscire a trattenere un brivido lungo la
schiena. Julian continuò il suo racconto, con la voce vuota e spenta di chi ha
vissuto troppo a lungo con un dolore bruciante nel petto.
“Mi svegliai in ospedale
quattro giorni dopo, salvo per miracolo grazie ai vicini che avevano sentito
gli spari. Accanto al mio letto c’erano i miei genitori. Non gli dissi una
parola ; dentro di me li maledissi perché se Sean era morto era tutta
colpa loro, perché se non si fossero lasciati non sarebbe successo niente, e io
non potevo perdonarli, li odiavo, li odiavo perché Sean non doveva andarsene e
lasciarmi solo, e se era morto lui, volevo, dovevo morire anch’io...”
“Julian...”
Il ragazzo stava
stringendo i denti per ricacciare indietro le lacrime. Poi il suo tono si fece
più pacato.
“Non era vero,
naturalmente, ma in quel momento ero furioso...furioso e spaventato perché non
sapevo come sarebbe stata la mia vita dopo allora. Mi accorsi di essere stato
un dannato egoista quando vidi Amy. Se n’era rimasta in disparte senza dire
nulla, con gli occhi lucidi, e appena si avvicinò al letto, mi buttò le braccia
al collo piangendo e chiedendomi di non lasciarla mai sola, di tornare presto a
casa perché aveva bisogno di me...”
“Come avevo potuto
dimenticarmi di lei ? Ormai io ero tutto quello che le era rimasto, e lei
era tutto quello che mi rimaneva. Le promisi che mi sarei sempre preso cura di
lei, che saremmo stati come una persona sola e che qualsiasi cosa ci fosse
successa, l’avremmo affrontata insieme.
Finora abbiamo mantenuto
la nostra parola, e sono sicuro che continueremo a farlo.”
“Comunque, la polizia mi
fece le solite domande inutili, dopodichè mamma impacchettò me ed Amy e ci
spedì a Sevenoaks con papà. Niente più mamma, niente più Sean, niente più
Irlanda. Fine”
“Ma perché ?...non
potevate rimanere a Belfast ?” domandò Elizabeth.
“Certo che potevamo. Ma
i nostri genitori avevano paura... paura di ritorsioni, intendo. Forse non sai
cosa significa vivere in stato di guerra.”
Elizabeth deglutì.
“Allora l’omicidio di Sean...è stata l’IRA ?”
Julian scosse la testa.
“E’ possibile che per qualsiasi cosa succeda in Irlanda del Nord voi inglesi
diate la colpa all’IRA ? Non sai che una guerra è sempre combattuta da due
parti opposte ?”
“Scusami. Vuoi dire che
sono stati...quelli dell’altra parte ?”
“Sì. Vedi, Sean era
entrato nel Sinn Fèin (braccio politico dell’IRA, n.d.S). Ciò che gli stava più
a cuore era combattere per la pace del nostro paese...ma lui non voleva farlo
con le armi. Sapeva che non era il modo giusto, e aveva ragione.
Lui era convinto che il
dialogo tra le parti fosse il punto di partenza per l’unica soluzione
possibile, cioè il compromesso. Do ut des,
ce l’hanno sempre insegnato a scuola. Non puoi pretendere qualcosa senza dare
nulla in cambio. Nemmeno quando, per sette secoli, ti hanno sempre strappato
tutto di mano, anche i diritti più elementari.”
Elizabeth notò una vena polemica nella sua voce ; evidentemente Julian
aveva recepito alla perfezione gli insegnamenti del fratello. Ad ogni modo, non
poteva certo dargli torto ; la fazione a cui apparteneva il ragazzo era
sempre stata quella più danneggiata nel corso della storia del suo paese.
“Non hai idea di quanti
amici, sia cattolici che protestanti, avesse Sean...ed erano quasi tutti
d’accordo con lui. Ma, evidentemente, il tizio che l’ha ammazzato non la
pensava così, e tanto è bastato...”
“La cosa triste, Beth,
non è tanto che quello fosse convinto di essere nel giusto, ma che non avesse
capito che il suo gesto avrebbe di nuovo generato una spirale di violenza senza
fine, quella violenza che si sta cercando invano di far cessare da troppo
tempo. Pochi giorni dopo la morte di Sean lo trovarono morto, e la vendetta fu
rivendicata dalla ‘mia parte’. E puoi star certa che la cosa non è finita lì.
Qualcuno avrà assassinato l’assassino dell’assassino...e così via. Non finirà
mai, finchè ogni famiglia non avrà in casa la sua croce.”
Elizabeth si alzò e si
avvicinò al salice ; ne afferrò un ramo e se lo fece scorrere tra le dita.
“Voglio farti una
domanda” disse. “Prenderesti il posto di tuo fratello ? Continueresti quello
che lui ha iniziato ?”
Julian sospirò. “Sì”
rispose. “Io credo in Sean e in tutto quello in cui credeva lui. Ha lasciato un
progetto a metà, e mi sembra giusto portarlo a termine...”
“Ne ero sicura.”
“...ma non voglio
tornare in Irlanda. Non ora, almeno. Ho bisogno di altro tempo per accettare
tutto, visto che non ne sono stato ancora capace. Ma prima o poi credo che
dovrò farlo, sarebbe da vigliacchi restare qui a guardare.”
“Nessuno ti obbliga a farlo” disse Elizabeth con voce tranquilla, “Ci sono molti
modi diversi in cui combattere, quello che conta è che tu non svenda mai i tuoi
ideali”.
Una leggera brezza
scompigliò i capelli dei due ragazzi.
“E poi tu non sei
affatto un vigliacco. Io al tuo posto sarei impazzita dal dolore e avrei
distrutto le persone che mi erano vicine con i miei scatti di nervi. Tu invece
non ti sei mai lamentato di nulla, hai cercato in tutti i modi di stare vicino
a tua sorella e proteggerla, e credo che tu ci sia riuscito benissimo. Amy è
una ragazza felice, lo capirebbe chiunque...basta vederla quando sta con te.”
“Amy è molto più forte
di me”
“Può darsi. Ma tu non
hai più un fratello maggiore che ti fa da angelo custode...anzi, forse sì,
anche se non puoi vederlo...e sono sicura che è terribilmente orgoglioso di
te”.
Julian non riuscì a
trattenere una lacrima.
“Mi manca da morire” disse con un nodo enorme
che gli serrava la gola.
Elizabeth si inginocchiò
accanto a lui, gli baciò la tempia e lo abbracciò.
“Sei il ragazzo più
coraggioso che io abbia mai conosciuto, Julian Ross” gli disse, mentre lui
ricambiava il suo abbraccio asciugandosi la lacrima.
“E anch’io sono fiera di
te... anche se sei un rompiscatole di prima classe e a volte ti
ucciderei ! ! !”
Entrambi scoppiarono a
ridere.
Julian non disse più
nulla ad Elizabeth quella sera, ma se lei lo avesse guardato negli occhi
avrebbe capito che per quel ragazzo era diventata più di una semplice amica.
E anche lui aveva
iniziato ad occupare un posto speciale nel cuore di lei.