PROLOGO.
Quando si sveglia, Joyce Tanner è in un letto d’ospedale. Ha degli aghi nelle braccia, un affare
rigido di plastica blu sul naso e bende e cerotti un po’ dappertutto. Ha anche
la testa fasciata.
Ha
una gran confusione in testa; istintivamente cerca di muoversi ma non
appena ci
prova sente una fitta terribile che dalla punta dei piedi lo percorre
fino a
scaricarsi nel cervello. Un gemito sommesso e ripetuto gli giunge alle
orecchie;
ci mette qualche secondo a capire che è proprio lui a
lamentarsi. Ogni centimetro del suo corpo è dolorante, lame di
fuoco gli tormentano i muscoli, le ossa, le
articolazioni. Il dolore gli rimbomba nella testa, è
insopportabile. La schiena gli fa male, come se fosse sdraiato su un
letto di chiodi. Ha paura che… No,
riesce a muovere, seppure con grande sforzo, sia le braccia che le
gambe e il
collo, per fortuna non è successo niente.
Però ogni più piccolo movimento gli costa una sofferenza smisurata. Persino
respirare è doloroso: ha la gabbia toracica in fiamme. Anche gli occhi gli
bruciano, a dire il vero; ma questo perché il dolore è così forte ed esteso e
insistente che deve trattenersi per non piangere.
Piano
piano gli riaffiorano delle immagini, dei frammenti di sensazioni alla memoria,
e fanno più male delle ferite. Adesso ricorda cos’è successo.
Il giro di controllo finalmente era finito. La sede della ProLab sembrava pulita. Le cavie umane erano state riportate al loro posto. Quelle più tenaci erano state abbattute. Joyce e Xander avevano rischiato di farsi infilzare da uno di quei cosi, quando questo aveva strappato una tubatura dell'acqua da dentro la parete, sfondandola come fosse di carta, e poi gliel'aveva tirata contro. Avevano dovuto sparargli. Doveva essere l'ultimo.
E
invece Joyce aveva avuto solo il tempo
di chiudere la porta dietro di sé, che un Modificato gli era
piombato alle spalle, lo aveva sbattuto
contro il muro, lo aveva rigirato e gli aveva dato un cazzotto in
faccia che è un miracolo che abbia ancora la testa attaccata sul
collo; il tutto così velocemente da non dargli
neanche il tempo di realizzarecosa stesse succedendo .
Come se non
bastasse, al cazzotto in faccia se ne era aggiunto uno allo
stomaco, dopodiché un gancio lo aveva buttato per terra,
annebbiandogli la vista. Joyce aveva inutilmente cercato di prendere la
pistola, che era volata lontano, ma il Modificato gli aveva tirato un
calcio in un fianco
e il dolore si era propagato come un incendio in un campo di erba
secca. Nella poca lucidità che gli era rimasta, Joyce aveva
cercato di afferrargli il piede
prima che gli tirasse un secondo calcio ancora; ma, nelle condizioni in
cui era, il piede del Modificato neanche lo aveva visto e il suo
tentativo era andato a vuoto. Il secondo gli era arrivato
peggio del primo, con la forza distruttrice di un martello
pneumatico sull’asfalto. Joyce credeva che quello fosse il
peggio, che non potesse
esserci nient’altro di più doloroso ancora da
sperimentare. Si sbagliava.
All’improvviso,
mentre ancora si contorceva sul pavimento, dolorante, mentre la sua
mano destra
debolmente cercava di arrivare alla pistola, il Modificato lo aveva
preso, sollevato come se non pesasse niente, e lo aveva risbattuto
sul pavimento. Di
schiena. Con violenza. Dopo avergli quasi fatto toccare il soffitto.
Joyce Tanner aveva sentito un crepitio sinistro provenire dalla colonna
vertebrale. Da lì in poi, i suoi ricordi
sono ancora più confusi; sensazioni fisiche e uditive,
perché la coscienza lo
stava abbandonando. Aveva sentito la porta sbattere, come se fosse
stata buttata giù; lo scarrellare secco di un'arma, la voce di
Xander gridare “No!”, e poi ha avuto
soltanto il tempo di incastrare la testa tra le spalle e chiudere gli
occhi,
sperando che bastasse a evitare di rompersi l’osso del collo,
perché l’Incredibile
Hulk lo aveva sollevato di nuovo, e stavolta per lanciarlo giù
dalle scale.
Lo aveva fatto.
In
un ultimo sprazzo di consapevolezza, Joyce aveva sentito il sangue –il suo sangue-
colargli sulla faccia. “È finita”, aveva pensato.
Poi il buio.
*
* *
Joyce è
ancora lì che cerca di riprendere un po’ di
confidenza con il movimento, quando entra un’infermiera. Dietro
di lei, c'è un uomo alto, un po' allampanato, capelli neri
spettinati e occhi scuri, stanchi, preoccupati. È in divisa.
È un poliziotto. È il collega di Joyce.
L'ispettore
Xander Michaels congeda la donna con un cenno del capo.
- Ehi... - Xander trascina una sedia accanto al letto di Joyce e si accomoda.
Joyce accenna un sorriso, debole.
- Mi hai fatto prendere un colpo, ieri.
- Mmm... - Joyce vorrebbe parlare, ma il dolore assorbe tutta la sua attenzione
e tutto quello che può fare è produrre un tenue mugolio affermativo.
Apprezza molto la visita di Xander.
Sono soli nella stanza, Xander può prendergli la mano senza che nessuno dica
niente.
- Cristo, ho pensato... "Cazzo, adesso rimango da solo"...
Joyce stringe le dita attorno a quelle di Xander:
- Non è successo...
Restano in silenzio. Poi Xander scoppia a ridere:
- Ma ti sei visto? Sembri un quadro astratto...!
Joyce non può ridere, un milione di piccoli pugnali conficcati sotto pelle.
Però la presenza di Xander lo rende quasi più sopportabile, quel dolore che in
alcuni momenti lo fa rabbrividire e gli fa venire la pelle d'oca e le lacrime
agli occhi, per quanto è intenso.
- Xa...?
- Di'.
Joyce lo guarda negli occhi.
- Ancora per poco... E poi la finiamo con questa vita di merda, ok?
Xander guarda Joyce con una tenerezza malinconica negli occhi scuri. Guarda i
suoi capelli biondi, in disordine, i suoi occhi azzurri, il sottile velo dorato
che gli copre le guance, la camiciola di tela azzurrina dell'ospedale, chiusa
sulle spalle da due nastrini. Il suo sguardo scivola sulle bende, sui cerotti,
sul coprinaso blu. Sui lividi e sui graffi, sulle occhiaie di una notte di sofferenza.
Annuisce.
- Sono con te, te l'ho promesso.
Si guarda intorno, prima di posargli un bacio sulla fronte. Non si sa mai.
- Ci vediamo stasera. Di più non mi fanno stare. Va bene?
Joyce annuisce con prudenza, cercando di non muoversi troppo.
- Ti porto qualcosa da leggere, per passare il tempo.
Le loro dita si sciolgono. Xander gli fa ancora un cenno con la mano, poi
sparisce nel corridoio bianco immacolato del Doomstown General Hospital.
Joyce sospira, chiude gli occhi. In ospedale, il modo migliore di passare il
tempo è sempre dormire.
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NOTE:
Bonjour, bonsoir, dipende da quando leggete ;)
Questa è la seconda versione del primo capitolo, perché la prima non mi convinceva per niente e infatti dopo un po' l'ho cancellata... Mi capita spesso, di non centrare il bersaglio al primo colpo, ma pazienza, in fondo serve anche questo!
Spero che catapultandovi nell'azione con Joyce e Xander vi siate posti delle domande, a cui vedrò di rispondere nei prossimi capitoli :)
Una piccola cosa che volevo sottolineare è che sono ispirati rispettivamente a Mark Pellegrino e a Billy Burke (se non sapete chi sono, Google immagini sarà lieto di aiutarvi), ma poi potete immaginarveli come volete ovviamente u.u
Se avete due minuti da spendere, un parere mi farebbe comodo, per sapere se devo ulteriormente aggiustare il tiro! Altrimenti, vi auguro semplicemente buona lettura, e ci vediamo alla prossima!
Saluti a tutti,
A.