Butterflies are for beauty
[Not for fight]
Come
sempre lo osservava da lontano nascosta da cespugli, o, più semplicemente, era invisibile
ai suoi occhi [così] ciechi che
riuscivano a vedere in [una] tutte le
direzioni [Sakura-chan]
tranne nella sua.
Hinata
contrasse istintivamente le dita a pugno, incapace di controllare le lacrime
che minacciavano di correre lungo le guance.
Lo
sguardo scivolò a terra, in un gesto abituale ormai, e si ritrovò a fissare la
propria immagine in una pozza d’acqua stagnante.
Una
macchia indefinita di colori, bianco e nero, e dietro di essa l’azzurro cupo
del cielo.
Così allegro, così
distante.
Hinata
avrebbe voluto possedere delle ali per raggiungerlo…
ma non ci riusciva.
Avvertì
le lacrime pungerle gli occhi e d’istinto chiuse le palpebre per fermale, in un
gesto abituale.
Doveva
diventare forte, per non essere invisibile.
Doveva
diventare forte, per non essere dimenticata.
Doveva…
doveva fare tante cose, doveva avvicinarsi a troppe persone, ma non riusciva a
farlo.
[Perché le sue ali di
farfalla erano troppo deboli per sostenere tutto quel peso.]
Per
questo, dopo aver osservato un’ultima volta Naruto e averlo salutato
balbettando, senza essere udita, si avviò verso villa Hyuuga per l’ennesimo
allenamento nel bosco.
Le
mani, impastate di chakra, si infrangevano contro il tronco della quercia.
Il
rumore dei colpi era lieve, come lo erano le mosse eleganti e precise delle
braccia di Hinata, che si muovevano sciolte e aggraziate.
Tac.
Un colpo che si infrangeva sul legno.
Tac. Una
scheggia nel palmo aperto della mano, segno dell’ennesimo sbaglio della tecnica
per usare il Byakugan.
Hinata
strinse le labbra e si fermò, ansante, osservando lo stato dell’albero.
Poi
abbassò gli occhi – ora non contornati da grandi vene – sulle piccole mani
diafane, sulle quali spiccavano minuscoli tagli e schegge.
Le
gambe le cedettero e Hinata cadde in ginocchio a terra, fissando con sguardo
vacuo il proprio corpo, troppo debole. Gli occhi le si riempirono di lacrime,
che scivolarono lungo le guance pallide.
[Le farfalle non sono
adatte a combattere.
Sono solo pura bellezza.]
“Hinata-sama.”
Hinata
sobbalzò e alzò gli occhi bianchi incontrando lo sguardo algido del cugino.
Si
voltò, arrossendo e asciugandosi le guance con la manica della larga felpa.
“Neji-niisan…”
“Non
dovreste stare qui, si è fatto tardi. Hiashi-sama era
preoccupato.”
Hinata
annuì e tentò di alzarsi, ma il dolore alle braccia e alle gambe era così
intenso che ricadde a terra.
Debole e sciocca.
Si
morse un labbro, ritentando l’impresa e fallendo.
Ancora
un capitombolo e un’altra umiliazione davanti al cugino, più adatto di lei a
diventare Capofamiglia, ma appartenente alla Casata Cadetta.
Sarebbe
scoppiata di nuovo a piangere, lo sapeva, e odiò la propria natura, che pareva
così difficile da cancellare. Perché non riusciva a recitare una parte? Perché
era se stessa?
[In un mondo di insetti
che si fingono leoni, lei rimaneva una farfalla.]
Non
lo aveva sentito arrivare e non aveva sentito i suoi passi fino a quando due
braccia l’avevano afferrata per la vita; Hinata si ritrovò sollevata da terra e
d’istinto si aggrappò al collo di Neji, le guance che scottavano terribilmente.
“N-Neji-niisan…”
Lui
ignorò il suo balbettare e si incamminò verso la villa.
Hinata
si sentì ancora stupida ad aver pensato che lui lo facesse perché le voleva un
po’ di bene. Neji compiva solo il suo dovere come suo protettore. Null’altro.
[Le farfalle sono
effimere, sono rare. Sono sole.]
Quando
Neji arrivò alla villa, Hinata insistette per scendere e camminare da sola.
Neji
la fece sedere sul parquet lucido dell’entrata e lì slacciò i sandali,
depositandoli a terra con delicatezza; poi si rialzò e fece per andare a farsi
un bagno caldo.
Si
fermò sull’uscio, indecisa. “G-grazie, Neji-san, io…”
“Domani
mattina. Alle nove puntuale nel bosco.”
Un
po’ intontita, Hinata avvertì lo sguardo intenso di Neji su di lei, e arrossì.
Allenamenti
con il migliore nell’uso del Byakugan.
[Pallida speranza di poter
diventare un falco.]
Sorrise
e fuggì in casa.
Neji
schioccò la lingua. “Dovete bilanciare meglio il flusso del chakra, altrimenti
rischiate di farvi male.” L’apostrofò severo.
Hinata
morse il labbro e tentò di colpire il cugino, il quale però deviò il colpo con
la mano.
Gli
occhi bianchi di Neji fissavano il suo corpo muoversi flessuosamente senza
consapevolezza di come potesse risultare invitante. O forse era colpa dei
lunghi capelli neri che danzavano nell’aria o dei candidi occhi bianchi attorno
ai quali vi erano grandi vene.
Neji
assottigliò appena gli occhi, comandandosi di non distrarsi: per quanto lui
fosse superiore in tecnica, Hinata rimaneva una Hyuuga e non doveva sottovalutarla,
anzi, la cugina aveva uno stile tutto suo, morbido e imprevedibile perché non
seguiva nessuno degli schemi insegnatele da Hiashi, se non i movimenti base.
[La farfalla impara da
sola a volare.]
“Più
forte, non aver paura di colpirmi.”
La
vide stringere le labbra e caricare un colpo che fermò facilmente prendendole
il polso.
“Hinata-sama.” Sospirò, paziente. “Prendiamoci una pausa, le
va?”
Lei
abbassò il capo, contrita e delusa, ma annuì. Neji poteva immaginare ciò che
stava pensando e il peso che portava, quello del fallimento.
Un
peso che la stava opprimendo e lui faceva parte di quel carico, con anni di
odio (anche se ora erano passati) e sguardi freddi.
Strinse
i pugni sotto gli occhi spalancati e perplessi di Hinata, che aveva versato il
the e glielo stava porgendo delicatamente.
“Qualcosa
non va, Neji-niisan?”
Lui
scosse la testa piano. “Nulla. Arigato.” Ringraziò
portando la tazza alle labbra e bevendo un sorso di the. Hinata sorrise
brevemente e lo imitò.
La
manica della felpa si scostò, mostrando il bianco polso sottile. Tutto in lei
appariva sottile, dalle labbra rosate alla piccola caviglia.
[Gli artigli del falco
erano fatti per afferrare i piccoli animali, ma non la farfalla.]
Neji
deglutì piano il liquido caldo, senza smettere di guardare Hinata; lei sembrava
essersi accorta di questo, perché si era fatta rigida ed evitava di incrociare
i suoi occhi.
Neji sapeva che, in
segreto, non l’aveva mai visto. Hinata aveva occhi solo per Naruto Uzumaki.
“Rispondetemi,
Hinata-sama.” Le domandò con voce ponderata. “Perché
desiderate così ardentemente diventare più forte?”
Lei
arrossì e cominciò a picchiettare gli indici insieme, nervosa.
“E-ecco… è… p-per…
essere notata, c-credo…”
“Hinata.”
Lei
alzò finalmente gli occhi bianchi, sconvolta dal tono informale con cui l’aveva
chiamata.
“Non
sei invisibile. C’è chi non riesce a vederti perché è troppo preoccupato a
lottare.”
Hinata
inarcò i sopraccigli scuri, arrossendo appena. “Io non ho capito, temo.”
Neji
si avvicinò impercettibilmente e le afferrò un polso svelto; d’istinto Hinata
sobbalzò spaventata, osservandolo con muto orrore.
“Neji-niisan…”
Neji
non battè ciglio davanti alla sua voce supplicante e
la costrinse ad aprire il palmo.
“Lo
vedi, Hinata, com’è piccola la tua mano? Se osservi quella di Hanabi è grande
quanto la tua e lei deve ancora crescere.”
“Co-cosa significa?”
Lo
sguardo di Neji si raddolcì. “Le farfalle sono bellezza, non sono adatte a
lottare. Non ne hanno bisogno perché sono già così leggiadre da attirare lo
sguardo.”
La
sentì sussultare ancora e la vide abbassare lo sguardo, triste.
“Non
è così, io non– ”
Le
prese il mento e lo alzò verso di lui posando le labbra sulla bocca semi-aperta
di Hinata; fu un semplice tocco umido, un bacio veloce e silenzioso a cui Neji
si ritrasse subito prima di perdere il controllo.
Perché da anni, la
desiderava morbosamente, guardandola da lontano con occhi rapaci.
Ma c’era bisogno di tempo.
Hinata
rimase impietrita sul posto, toccandosi appena le labbra con le dita.
Neji
si costrinse a voltarsi verso il bosco e bere un altro sorso di the.
“Hinata-sama, voi siete una farfalla. Uzumaki vi noterà.”
Lei
si comportò come Hinata Hyuuga: scappò da lui. Ma Neji non gliene volle:
infondo, la desiderava proprio per la sua volatilità.
[La farfalla è bellezza.
Il falco si limita ad osservarla, piacevolmente colpito dai suoi colori, e
cacciare gli animali che sono predatori di questa.
Non è permesso null’altro
a due creature così diverse.]
Hinata
aveva interrotto gli allenamenti con Neji – che aveva seguito per quasi un mese
– dopo quello che lei definiva ‘l’incidente’.
Eppure,
dopo due settimane da questo, non riusciva a dimenticare il sapore del the
amaro (non dolciastro lo beveva lei) sulle labbra di Neji.
È sbagliato,
continuava a ripetere, occupando i giorni ad allenarsi con il suo Team.
È sbagliato,
ripeteva osservando Naruto chiacchierare con Sakura e Sasuke, senza veramente
osservarlo. Era come se conoscesse la sua figura a memoria e si fosse annoiata
di quella tuta arancione e della zazzera di capelli biondi. Si obbligava a
spiarlo e mentiva a se stessa dicendosi che, a colazione, i suoi occhi erano
puntati timidamente su Neji, che ricambiava con il solito sguardo gelido [bugia].
Stava
diventando un’ossessione.
D’un
tratto si era accorta della piccola cicatrice sotto il mento di Neji, dei
muscoli tonici sotto il kimono bianco, di come si accigliasse leggermente
quando veniva preso impreparato.
Il
perché lo osservasse con tanta premura era il tabù dei suoi pensieri.
Amo Naruto-kun.
Ma
non osservava più realmente lui, quanto il cugino. E Neji ricambiava sempre il suo sguardo.
Hinata
scosse la testa e si rigirò nel letto, inquieta.
Un
lieve bussare la scosse dai suoi pensieri. “Sì?”
“Sono
io, Hinata.”
La
ragazza si alzò di scatto dal letto, rigida, sentendo l’inconfondibile voce
severa del padre. Corse alla porta e fece scivolare il pannello di legno,
aprendo l’uscio al padre; si chinò quindi ai suoi piedi, reverenziale.
Hiashi
annuì e le fece cenno di alzarsi; Hinata obbedì prontamente.
“Hinata… ho deciso che è tempo che ti sposi, per il bene del
Casato.”
Il
cuore della giovane si fermò insieme al suo respiro.
“S-sposarmi?” balbettò incredula, cercando tracce di scherzo
nel viso di Hiashi, illudendosi – sapeva bene che il padre non sapeva scherzare.
“Esattamente.
Ho già ricevuto alcune proposte, e le sto considerando, tuttavia…
la proposta che mi sembra più allettante è quella che viene dal candidato
futuro Hokage, Naruto Uzumaki.”
Hinata
avrebbe voluto sorridere, davvero.
Invece
aprì leggermente la bocca mugolando un “Oh.” perplesso.
Hiashi
inarcò un sopracciglio, ma lasciò stare lo strano comportamento della figlia,
persa in chissà quali pensieri. “Era soltanto un avviso, non prendere l’Uzumaki
come tuo sposo. Non montarti la testa.”
“Hai,
padre.” Annuì Hinata, arrossendo e chinando il capo.
Hiashi
annuì e uscì dalla stanza, lasciandola sola e confusa, con il cervello
annebbiato e un retrogusto amaro in bocca.
Si
buttò stancamente sul letto, con un sospiro, fissando vuotamente il soffitto.
D’un
cosa era certa: non si sentiva affatto felice.
Lo
scricchiolio del legno la avvertì di una presenza nella sua camera.
D’istinto
strinse le dita sul cuscino, col cuore che pompava furioso nelle orecchie.
“Chi… chi è?”
Una
mano si posò sulle sue labbra e gli occhi di Hinata si allargarono, spaventati.
Si
rilassò impercettibilmente specchiandosi nel Byakugan opaco di Neji.
“Non
urlate, Hinata-sama.”
Lei
annuì e le dita di Neji abbandonarono la sua bocca, permettendole di parlare.
“Ho
saputo che Uzumaki si è accorto di voi.” Cominciò Neji, fissandola intensamente
per annotare le sue reazioni.
Il
sangue di Hinata le pulsava nelle vene, quasi dolorosamente, ma non per la
notizia quanto per la vicinanza di Neji. Aveva una strana ruga sotto gli occhi,
che non aveva mai visto.
“Così
pare, Neji.”
Lo
vide accigliarsi appena quando pronunciò il suo nome senza suffissi. Di colpo
arrossì.
“Cioè,
nii– ”
“Hinata.”
Lei si interruppe e, imbarazzata, levò gli occhi su di lui trovandoseli vicini.
Troppo vicini.
Il
respiro di Neji le accarezzava il volto, caldo, e d’istinto il suo corpo
rabbrividì piacevolmente.
“Dimmi
di fermarmi ora.”
Il
tono di Neji era diverso. Roco,
tentennante quasi supplicante.
Hinata
sentì i muscoli tendersi in anticipazione e la vista offuscarsi sotto la
carezza gentile delle mani di Neji che le coprivano le guance, tastandone piano
la delicata curva e morbidezza.
Si
sentì desiderata… osservata da chi, più grande,
avrebbe potuto schiacciarla e invece le accarezzava le guance, aspettando un
suo cenno.
Così
avvicinò il viso a quello di Neji, deglutendo, aspettando la sua mossa che non
si fece aspettare.
Si
chinò e la baciò, intrecciando le dita nei suoi capelli.
Il
bacio del peccato, irresistibile e invitante, che in silenzio spense i sospiri
celati e lussuriosi, fatti di coperte danzanti sotto occhi ciechi.
Incompatibile
che combacia, mischiando sudore e gemiti.
Vita
che pulsa attraverso il sangue che ribolle, sotto le
spinte di Neji.
Senso
di colpa che martella di giorno, quando Hinata riuscì finalmente a imparare a
recitare per preservare (lei, la farfalla) il falco.
E
punture d’ago, mentre provava l’abito bianco da indossare per qualcun altro.
[Nel peccato convive
piacere e dolore.]
*^*^*
Prequel
di “In un’altra vita” scritta da arwen5786 che ringrazio ardentemente
per avermi lasciato il permesso di usare la sua idea. Dedicata quindi a lei.
Grazie Cami! *-*
Che
cosa dire? È semplicemente il percorso che ha condotto Neji e Hinata sul
patibolo, in una situazione incestuosa e delicata, che ho semplicemente amato
nella sua tragicità nella one-shot di Arwen. Dovevo scriverne un prequel! *_*
Una
piccola cosuccia, ma che nel complesso non mi spiace. Piccoli passi verso un
tragico finale… XD
Per
non dimenticare: anti NaruHina! XDDD Ok, la smetto! ;)
Grazie
a chiunque lascerà un commento.
Bye,
Kaho