Sfiancato
dagli impegni
scolastici, stressato dagli allenamenti massacranti, logorato dal caldo
di fine
maggio, quella sera crollai sul letto.
E piansi.
Piansi come non avevo mai pianto in vita mia, per nessuno
motivo.
Un
anno, un anno esatto era passato.
E io
piansi.
Non
so perché proprio quella sera lì.
In
effetti sarebbe stato molto più coerente farlo sul momento,
se non i giorni
appena successivi.
Invece
non c’era stato turbamento nel mio animo, di nessun tipo; per
tutto quel
tempo...
Quella
sera, scoppiai.
Come se i miei sensi d’un tratto si fossero risvegliati: come
se fino ad allora
mi fossi mosso senza avere coscienza del tempo che passava.
Nella mia mente, io ero rimasto lì.
Paralizzato, senza fiato, completamente attonito, mentre l’ambulanza
già si
allontanava dal campo… Di quel giorno di un anno
fa.
Piansi come se
all’improvviso mi fossi reso conto che tutto ciò
che io avevo impresso nella
memoria di quel lontano pomeriggio assolato fosse di fatto la
realtà.
Per tutto
quell’anno,
l’avevo sempre vissuta come una scena irrealistica, assurda;
un sogno, o un
incubo.
Quella sera, per
qualche motivo, mi si rivelò con tutta la sua sprezzante
crudeltà la realtà dei
fatti.
Allora,
piansi.
Scosso dal freddo
della
sera…
Stringendo con forza le lenzuola candide e fresche…
Boccheggiando, senza riuscire a scoppiare in singhiozzi...
Con il telefono che aveva preso a squillare poco distante, sulla
mensola…
Con le gote arroventate dalle lacrime che scendevano senza che potessi
impedirlo…
Piansi.
E continuai a piangere per un tempo indefinibile.
A illuminare il mio
viso stravolto ci pensavano i lampi.
La luce l’avevo lasciata spenta, ma non avevo la forza per
abbassare le
tapparelle di camera mia.
E così, mentre il rimbombo del tuono copriva i miei
sussulti, io continuavo a
piangere.
Mi sembrava impossibile smettere; mi sentivo così debole,
così fragile, così indifeso…
All’improvviso
mi
chiesi persino come avessi fatto per tutto quel tempo a non dar sfogo
al mio
dolore.
Mi resi conto che durante quell’anno appena trascorso, non
era passato un solo
giorno durante il quale non avessi sentito il bisogno di sfogarmi.
“Perché…?”
sussultavo,
la voce strozzata dai singhiozzi.
“Perché…?”
ripetevo, le lacrime ad inzuppare il cuscino.
“Perché…?”
sussurravo, una preghiera fra le labbra.
“Perché…?”
esplodeva, il tuono ad infrangere il silenzio serale.
Tremante,
mi sentivo solo.
Per la prima volta in vita mia, conobbi la paura vera.
La solitudine.
Altre volte mi era capitato di rimanere solo… Ma non
così.
Questa
era senz’altro una solitudine diversa.
D’un tratto,
mi resi
conto che andava aggiunta una negazione in ogni possibile situazione in
cui
ancora speravo.
Lui non sarebbe
più entrato in casa
mia.
Lui non mi avrebbe
più parlato.
Lui non mi avrebbe
più cercato.
Lui non sarebbe
più stato accanto.
Lui non mi avrebbe
più stretto forte
a sè… Nelle notti di tempesta.
Non. Non.
Non.
Lui non avrebbe più
fatto proprio niente.
E io nulla potevo fare, ormai.
Per quanto cercassi di
trovare una motivazione, per quanto serrassi con forza le nocche fino a
renderle livide, per quanto in ogni modo mi imponessi di
calmarmi… Quelle
lacrime non smettevano di scendere.
E non avrebbero mai smesso, ne ero sicuro.
Mi accorsi di come, da quel pomeriggio, ogni giorno e ogni notte io
avessi
pianto, disperatamente.
Solo che non ne ero mai stato cosciente.
Adesso lo ero, e per questo faceva ancora più male.
Mi
apparve di colpo
un’immagine di me quale ragazzo completamente ignorante di
quanto fosse
successo.
Incosciente. Ignorante.
Avevo evitato la realtà fino a quel momento, e adesso
affrontarla a distanza di
tanto tempo era ancora più difficile.
Ma no. Io una ragione non me la sarei mai
fatta.
E a nulla potevano
servire l’affetto e le consolazioni di amici e parenti.
Nessuno. Non uno poteva capire appieno quello che io provavo,
né alcuno poteva
capirmi.
Un padre così, non l’ha
mai avuto
nessuno…
Mentre la pioggia
scrosciava insistente fuori, mentre Haruna aveva ormai rinunciato a
chiamarmi e
il cellulare finalmente taceva, mentre gli occhialini giacevano
immobili e
freddi sul pavimento… Ancora con il cuscino umido,
finalmente mi addormentai,
senza più forze.
**
Un campo verde davanti
a me.
Il cielo terso, irradiante di luce intensa e bellissima, sopra di me.
Poco distante i miei compagni, che sorridenti sbracciavano, come a
voler
avvicinarmi.
Accennando un sorriso, mossi qualche passo nella loro direzione.
Qualcosa mi diceva di non voltarmi: come se avvertissi la presenza di
qualche
pericolo spaventoso e tremendo, da cui si può sfuggire solo
evitando di volgere
lo sguardo dietro di sé.
I volti dei
miei compagni intanto si facevano sempre più vicini, ne
riuscivo
già a distinguere chiaramente le espressioni.
Tutti erano sorridenti, e mi guardavano entusiasti. C’era un
clima di ilarità
nell’aria, come se fosse accaduto qualcosa di veramente
strepitoso.
Non riuscii però a fare parte di questo clima di gioiosa
festività, perché d’un
tratto una spessa coltre fumosa mi invase… E mi ritrovai a
brancolare spaesato
nel buio più totale.
Tutta quella luce e letizia erano scomparsi in un secondo, mettendomi
in allerta.
I miei occhi svelti fremevano tutt’in torno, cercando di
intravedere qualcosa
che mi permettesse di calmarmi.
Un senso di terrore si impadronì di me,
all’improvviso, mentre avrei voluto
gridare, ma non riuscivo ad emettere che sussurri…
Non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, ormai.
Sgomentato, mi
piegai sotto il peso del mio corpo troppo gravoso per le mie
forze che scemavano in maniera sempre più preoccupante;
incassata la testa
sulle spalle, le permisi d’infiltrarsi tra le gambe, mentre
richiusi la testa
incrociandoci alla sommità le braccia.
Sistematomi in questa posizione che ricorda molto la cosiddetta
posizione
fetale, chiusi gli occhi, come a non voler vedere il buio che mi
circondava.
Tramortito ed inquieto, rimasi immobile, aspettando di
destarmi…
Neanche quella volta, mi accorsi di star piangendo…
Nonostante la mia chiusura e protezione creatasi con la posizione delle
braccia
e delle gambe, avvertii d’un tratto una mano vellutata e
tiepida accarezzarmi
delicatamente il viso.
Quel contatto, anziché arrestare le lacrime, permise loro di
solcare le mie
gote in maniera ancora più evidente…
“Non…!” sussurrai, cercando di capire da
dove arrivasse quel tocco così tenero
ed affettuoso.
Non sembrava appartenere a nulla di consistente:
l’aria… Era possibile?
Ma non c’era vento lì. Non c’era nulla
che potesse simulare una carezza sul mio
volto.
Ormai sentivo gli occhi in fiamme: lacrime cocenti a tal punto che
parevano
voler evaporare sulle ciglia, ustionandole. Ma io non mi accorgevo di
niente.
Solo quelle carezze miti e delicate… Solo a quello riuscivo
ad aggrapparmi, in
quel momento.
“Sssshhh…!” Di nuovo. Quel tocco etereo
mi strinse in un abbraccio…
A quel punto le ginocchia non riuscirono più a reggermi, e
incoraggiato dalle inconsistenti
carezze mi rimisi in piedi.
A quel punto, la luce. Come quando dopo tanto tempo di cielo scuro e
coperto,
finalmente si apre rivelando un bell’azzurro terso, con
quello stesso stato
d’animo io corsi incontro a quella luce, vicina e bellissima.
Furono abbracci e furono lacrime; ma io dentro stavo bene, finalmente.
Tutta l’angoscia e il malessere in quegli abbracci si
dissolvevano come nuvole
impalpabili, e sentivo il cuore battere forte, e sentivo il sorriso
sbocciarmi
sulle labbra…
Mi stringevo a quella figura lucente come a imprimerla dentro, a non
lasciarla
mai più.
“Sssshhh…! Sono qui. Sono qui. Adesso basta
piangere…”
Eccolo lì, solo quello volevo sentire… Ci avevo
sperato così tanto…
Non avevo bisogno di altro. Bastava sapere che lui era lì,
da qualche parte…
Che potevo contare su di lui. Ancora. Sempre.
Me l’aveva promesso, che sarebbe sempre stato al mio fianco.
Ci sarebbe sempre stato, per me.
Che sciocco, a dubitare che se ne fosse andato davvero. Per sempre.
No, lui era ancora lì, e sarebbe tornato da me, sempre e
comunque.
“Lo sapevo… Lo sapevo che non eri
morto…!”
Flebili sussurri i nostri, ma negli occhi bruciava una fiamma
inestinguibile.
Lo strinsi ancora, mentre la sua mano arrestò le carezze, e
si appoggiò sulla
mia guancia.
Si venne a creare uno strano silenzio, non più tanto dolce e
rassicurante.
Cominciai a temere il peggio, mentre mi ostinavo a non sciogliere
l’abbraccio.
Quel calore, quella luce… Ne avevo bisogno. Non ne sarei
stato privato, non di
nuovo.
Con orrore, mi accorsi che nonostante la mia determinazione, la figura
stava
pian piano svanendo, e le mie braccia già stringevano il
nulla.
Il buio, di nuovo. “NO!”
L’unico contatto che rimaneva era la sua mano, ancora ferma
sul mio viso.
Ci poggiai il palmo sopra, chiudendo gli occhi.
“Perché…? Perché?!”
“Kageyama Reiji è morto…”
E l’eco di quel fremito di labbra, si portò via
anche l’ultimo contatto fra
noi…
**
Mi svegliai di
soprassalto, nel cuore della notte.
Con il fiato grosso e
gli occhi arrossati, mi misi seduto sul letto, cercando
di quietarmi.
Imprimendo più forza possibile, sferrai un pugno contro il
cuscino,
ricominciando a tremare.
Possibile che fosse così difficile…?
“Perché
gli incubi?
Perché
ora?
Perché
lui?”
Scuotendo la testa, mi
accasciai nuovamente sulle lenzuola umide; ma non permisi alle lacrime
di
scendere. Non di nuovo.
Non volevo essere così debole.
Doveva esserci qualcosa che potevo fare…
Ripensai al sogno, inconsciamente.
E… C’era qualcosa che non tornava, conclusi.
Afferrai un lembo del lenzuolo, e portandomelo appresso mi sedetti alla
scrivania.
Accesi la lampada del comodino lì accanto e, trovata carta e
penna, così, nel
silenzio della notte, con la luce soffusa di un lume anziché
completamente
inghiottito dal buio della stanza, reggendo con la mano destra il
lenzuolo
sulle mie spalle, cominciai a scrivere…
Kageyama Reiji
è morto.
Chi era Kageyama Reiji?
Kageyama Reiji era un
uomo che aveva
fatto della
vendetta la sua ragione d’esistenza.
Odiava e disprezzava chiunque pensasse in modo differente dal suo.
Chi riteneva degno di essere suo avversario lo sfidava, distruggendolo
in
maniera brusca e definitiva.
Per realizzare i suoi scopi si serviva del calcio, lo sport che gli
aveva
portato via il padre e l’infanzia.
Lo sport che gli aveva rovinato la vita, e verso il quale covava un
insanabile
rancore.
Perfido, meschino, sabotava stadi e drogava i suoi ragazzi, plagiandoli
fino a
controllare le loro menti; tutto pur di ottenere la vittoria.
Ricercato dalla polizia, riusciva sempre a non venire mai incolpato;
uomo oscuro,
sagace, disonesto quanto basta per essere tenuto d’occhio ma
mai abbastanza per
venire arrestato…
Man mano che la penna
scorreva sul foglio, imprimendo bianco su nero tutto quello che di
getto mi
veniva in mente, mi sentivo sempre più sollevato.
Il lenzuolo era per terra, gli occhi incollati sul foglio, bramando
ogni
sillaba, ogni parola…
Non so per quanto stetti seduto a quella scrivania; so solo che, quando
mi ritenni
soddisfatto, sorridevo.
Sorridevo perché avevo capito.
Avevo capito il senso del mio sogno.
Avevo capito il senso delle sue parole.
Avevo capito che Kageyama Reiji era morto.
E così scrissi, per imprimerlo per sempre sulla carta e nel
mio cuore.
Dopodiché, tornai a letto, finalmente calmo e sereno, libero
da ogni dubbio o
timore, e, con il sorriso sulle labbra, mi addormentai, subito.
Kageyama
Reiji è morto.
Angolino-della-pazzoide-che-durante-gli-esami-pubblica-come-fosse-già-in-vacanza
(?)
Salve a tutti ^^
Devo ammettere
che ne sto scrivendo davvero di tutti i colori, neh? *u*
Che ci volete
fare, il Galaxy mi ha sconvolta…! ç.ç
In effetti,
tutti i dubbi e l’angoscia di Kidou sarebbero più
che altro i miei…
Diciamo che
quel Kuroiwa non mi convince neanche un po’. *^*
Non
so quanto questa
shot sia chiaro, quindi cercherò di spiegarla il meglio
possibile (?).
Nella
parte iniziale, Yuuto piange il suo comandante, Kageyama Reiji che
è morto un
anno prima.
In
effetti la prima parte potrebbe essere l’ampliamento di
quella frase
classica di ogni momento importante, magico, romantico etc etc
“(…*azione es:
l’abbracciò, pianse, si baciarono…* per
un tempo che gli/le parve
interminabile) Leggendo, sembra davvero che Yuuto pianga per tantissimo
tempo…
Ma magari, in realtà, è questione di un paio di
minuti. ^^”
Tornando
a noi… In sogno però, Kageyama gli dà
uno spunto molto interessante:
“Kageyama Reiji è morto” e non
“Io sono morto”
So
che, letta in maniera oggettiva, l’affermazione è
pressoché identica.
Ma
nel contesto, c’è una differenza colossale.
Infatti
Yuuto, sfogandosi su quel foglio di carta, si rende conto che
l’uomo
che lui stava piangendo non è affatto morto.
L’uomo
che gli è stato accanto come un padre, che gli ha insegnato
ad amare il
calcio e che nonostante tutto è rimasto nel suo cuore,
è ancora vivo; è morta
invece quella “maschera” di cattiveria e
crudeltà che Kageyama era stato
costretto ad indossare per colpa di Gashield, dell’abbandono
del padre, della
sua solitudine… insomma, da quel passato tanto oscuro e
nefando che gli ha
rovinato tutta la vita.
Kageyama
ha semplicemente approfittato del fatto che Gashield lo volesse far
fuori per far effettivamente morire quella sua personalità
con cui ormai era
conosciuto pressoché dal mondo intero.
Così
facendo, KAGEYAMA REIJI è morto: è morto il
cattivo dell’anime, è morto
quell’uomo che Kidou ha descritto sul foglio.
Non quello che stava piangendo.
Il Kageyama buono, quello che si è preso cura di Rushe,
quello che io sogno
tutte le notti (?)… Quello è vivo. E’
sempre stato vivo.
Adesso si è liberato della sua “falsa
identità”, quella che aveva indossato
inizialmente perché non poteva fare altrimenti, ma che non
lo rappresentava
davvero.
Avete presente “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello,
no? L’idea è un po’ quella.
Approfittando del fatto che, per tutti, KAGEYAMA REIJI è
morto, si è finalmente
potuto liberare da quella maschera opprimente che lo stava
distruggendo, e da
cui tuttavia è riuscito a liberarsi appena in tempo grazie
all’aiuto di Rushe,
Fidou e Kidou. Altrimenti sarebbe morto sul serio.
Invece, finalmente, adesso è libero.
Libero di manifestare il suo affetto per i
suoi ragazzi e il
suo amore per il
calcio al mondo intero; non a caso, diventerà allenatore
della nuova Inazuma
Japan!
Quindi, tornando alla
mia shot, Kidou riesce
finalmente a ricostruire tutto il discorso che ho appena fatto.
L’uomo
che stava piangendo non è morto affatto, il suo allenatore
– quello che ha
ritrovato durante il FFI, nella partita contro l’Italia
-è ancora vivo e lo
rincontrerà.
Ovviamente,
non porterà lo stesso nome.
Kageyama Reiji
è morto, e deve essere morto per tutti.
Ma in cuor
loro, so benissimo che, quando si ritroveranno
–perché succederà.
*u* – faccia a faccia, nel FFIV2, i due si riconosceranno.
Kidou
l’ha già fatto, senza averlo esplicitato.
E Kageyama non
può non averlo riconosciuto.
La vecchiaia
fa brutti scherzi, ma non fino a questo punto! (?)
Spero di essere stata
abbastanza chiara nell’esporre
e commentare le mie idee e ipotesi che ho strutturato nella ff; se
avete ancora
dei dubbi, fatemelo sapere.
Passiamo
ora alle dediche…
Dedico questa one-shot a…
Raven
Cullen, perché in questo
periodo mi è stata accanto in maniera speciale, ed
è stata lei ad incoraggiarmi
di pubblicare questa fanfic nonostante io fossi molto scettica al
riguardo. Ti
adoro <3
_Juddy_,
perché ho voglia di
sentirla, ma ahimè non riesco mai a trovare il tempo per
scriverle, e
perché è solo grazie al suo compagno di
recensioni
se riesco a tranquillizzarmi, nel cuore della notte (?). Sei un mito, e
il nuovo
nick è stupendo <3
Lullopola, perché
anche se so che
non recensirà mai questa fanfic, è la prima che
deve sorbirsi le mie lamentele,
le mie idee, i miei sogni e le mie paure, ed è costantemente
obbligata a
sopportarmi. Senza di te sarei perduta, grazie <3
E,
ovviamente non
possono mancare le dediche idiote, comiche e un po’
idiote…!
Dedico questa one-shot a…
Kidou
Yuuto, perché a
prescindere
dai miei sbalzi d’umore –assai frequenti a suo
malgrado - è costretto ad
assecondarmi sempre, vivendo delle situazioni davvero assurde che molte
volte
non lo competono nemmeno. Sei bellissimo e quando ridi, e quando
piangi; ti
amo, e non ti libererai facilmente di me <3
Kageyama
Reiji, perché a quanto
pare
gli piace il bianco e il suo hobby preferito è cambiare
identità. Spesso e
volentieri non m’imbroglia - ma neanche per mezzo secondo-
però una cosa va
detta: non sa proprio trovare nomi decenti… Meno male che
non ha avuto figli,
altrimenti ne avremo sentite delle belle! (con ovvi riferimenti al
Galaxy, per
chi fosse ancora ignorante in materia). Anche tu, con la tua bella
creaturina
(?), sappi che una volta caduto nel mio mirino, fuggire è
impossibile. (?)
<3
Un bacione a
tutti quanti,
Sissy-chan
7
pagine, oh. 5 di shot… e 2 di space. *u*
Sissy. E’. Leggenda.
O una rompiscatole. -u-
Anche se, in realtà, è più o meno la
stessa cosa. ^ç^