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Autore: Yssis    15/06/2013    6 recensioni
Fanfiction nata a causa di un periodo particolarmente tormentato e difficile che sto passando, per sfogare il mio senso di inquietudine e d’ansia.
Kidou a distanza di un anno dalla morte del suo allenatore, dopo un momento di crisi disperata, riuscirà a fare una distinzione importante…
**
Per quanto cercassi di trovare una motivazione, per quanto serrassi con forza le nocche fino a renderle livide, per quanto in ogni modo mi imponessi di calmarmi… Quelle lacrime non smettevano di scendere.
E non avrebbero mai smesso, ne ero sicuro.
Mi accorsi di come, da quel pomeriggio, ogni giorno e ogni notte io avessi pianto, disperatamente.
Solo che non ne ero mai stato cosciente.
Adesso lo ero, e per questo faceva ancora più male.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jude/Yuuto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Sfiancato dagli impegni scolastici, stressato dagli allenamenti massacranti, logorato dal caldo di fine maggio, quella sera crollai sul letto.
E piansi.
Piansi come non avevo mai pianto in vita mia, per nessuno motivo.

Un anno, un anno esatto era passato.
E io piansi.
Non so perché proprio quella sera lì.
In effetti sarebbe stato molto più coerente farlo sul momento, se non i giorni appena successivi.
Invece non c’era stato turbamento nel mio animo, di nessun tipo; per tutto quel tempo...

Quella sera, scoppiai.
Come se i miei sensi d’un tratto si fossero risvegliati: come se fino ad allora mi fossi mosso senza avere coscienza del tempo che passava.
Nella mia mente, io ero rimasto .

Paralizzato, senza fiato, completamente attonito, mentre l’ambulanza già si allontanava dal campo… Di quel giorno di un anno fa.

Piansi come se all’improvviso mi fossi reso conto che tutto ciò che io avevo impresso nella memoria di quel lontano pomeriggio assolato fosse di fatto la realtà.

Per tutto quell’anno, l’avevo sempre vissuta come una scena irrealistica, assurda; un sogno, o un incubo.
Quella sera, per qualche motivo, mi si rivelò con tutta la sua sprezzante crudeltà la realtà dei fatti.
Allora, piansi.

Scosso dal freddo della sera…
Stringendo con forza le lenzuola candide e fresche…
Boccheggiando, senza riuscire a scoppiare in singhiozzi...
Con il telefono che aveva preso a squillare poco distante, sulla mensola…
Con le gote arroventate dalle lacrime che scendevano senza che potessi impedirlo…
Piansi.
E continuai a piangere per un tempo indefinibile.

A illuminare il mio viso stravolto ci pensavano i lampi.
La luce l’avevo lasciata spenta, ma non avevo la forza per abbassare le tapparelle di camera mia.
E così, mentre il rimbombo del tuono copriva i miei sussulti, io continuavo a piangere.
Mi sembrava impossibile smettere; mi sentivo così debole, così fragile, così indifeso

All’improvviso mi chiesi persino come avessi fatto per tutto quel tempo a non dar sfogo al mio dolore.
Mi resi conto che durante quell’anno appena trascorso, non era passato un solo giorno durante il quale non avessi sentito il bisogno di sfogarmi.

“Perché…?” sussultavo, la voce strozzata dai singhiozzi.
“Perché…?” ripetevo, le lacrime ad inzuppare il cuscino.
“Perché…?” sussurravo, una preghiera fra le labbra.
“Perché…?” esplodeva, il tuono ad infrangere il silenzio serale.

Tremante, mi sentivo solo.
Per la prima volta in vita mia, conobbi la paura vera.
La solitudine.
Altre volte mi era capitato di rimanere solo… Ma non così.

Questa era senz’altro una solitudine diversa.

D’un tratto, mi resi conto che andava aggiunta una negazione in ogni possibile situazione in cui ancora speravo.

Lui non sarebbe più entrato in casa mia.
Lui non mi avrebbe più parlato.
Lui non mi avrebbe più cercato.
Lui non sarebbe più stato accanto.
Lui non mi avrebbe più stretto forte a sè… Nelle notti di tempesta.

Non. Non. Non.
Lui non avrebbe più fatto proprio niente.
E io nulla potevo fare, ormai.

Per quanto cercassi di trovare una motivazione, per quanto serrassi con forza le nocche fino a renderle livide, per quanto in ogni modo mi imponessi di calmarmi… Quelle lacrime non smettevano di scendere.
E non avrebbero mai smesso, ne ero sicuro.
Mi accorsi di come, da quel pomeriggio, ogni giorno e ogni notte io avessi pianto, disperatamente.
Solo che non ne ero mai stato cosciente.
Adesso lo ero, e per questo faceva ancora più male.

Mi apparve di colpo un’immagine di me quale ragazzo completamente ignorante di quanto fosse successo.
Incosciente. Ignorante.
Avevo evitato la realtà fino a quel momento, e adesso affrontarla a distanza di tanto tempo era ancora più difficile.
Ma no. Io una ragione non me la sarei mai fatta.

E a nulla potevano servire l’affetto e le consolazioni di amici e parenti.
Nessuno. Non uno poteva capire appieno quello che io provavo, né alcuno poteva capirmi.
Un padre così, non l’ha mai avuto nessuno…

Mentre la pioggia scrosciava insistente fuori, mentre Haruna aveva ormai rinunciato a chiamarmi e il cellulare finalmente taceva, mentre gli occhialini giacevano immobili e freddi sul pavimento… Ancora con il cuscino umido, finalmente mi addormentai, senza più forze.

**

Un campo verde davanti a me.
Il cielo terso, irradiante di luce intensa e bellissima, sopra di me.
Poco distante i miei compagni, che sorridenti sbracciavano, come a voler avvicinarmi.
Accennando un sorriso, mossi qualche passo nella loro direzione.
Qualcosa mi diceva di non voltarmi: come se avvertissi la presenza di qualche pericolo spaventoso e tremendo, da cui si può sfuggire solo evitando di volgere lo sguardo dietro di sé.

I volti dei miei compagni intanto si facevano sempre più vicini, ne riuscivo già a distinguere chiaramente le espressioni.
Tutti erano sorridenti, e mi guardavano entusiasti. C’era un clima di ilarità nell’aria, come se fosse accaduto qualcosa di veramente strepitoso.
Non riuscii però a fare parte di questo clima di gioiosa festività, perché d’un tratto una spessa coltre fumosa mi invase… E mi ritrovai a brancolare spaesato nel buio più totale.
Tutta quella luce e letizia erano scomparsi in un secondo, mettendomi in allerta.
I miei occhi svelti fremevano tutt’in torno, cercando di intravedere qualcosa che mi permettesse di calmarmi.
Un senso di terrore si impadronì di me, all’improvviso, mentre avrei voluto gridare, ma non riuscivo ad emettere che sussurri…
Non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, ormai.

Sgomentato, mi piegai sotto il peso del mio corpo troppo gravoso per le mie forze che scemavano in maniera sempre più preoccupante; incassata la testa sulle spalle, le permisi d’infiltrarsi tra le gambe, mentre richiusi la testa incrociandoci alla sommità le braccia.
Sistematomi in questa posizione che ricorda molto la cosiddetta posizione fetale, chiusi gli occhi, come a non voler vedere il buio che mi circondava.
Tramortito ed inquieto, rimasi immobile, aspettando di destarmi…
Neanche quella volta, mi accorsi di star piangendo…
Nonostante la mia chiusura e protezione creatasi con la posizione delle braccia e delle gambe, avvertii d’un tratto una mano vellutata e tiepida accarezzarmi delicatamente il viso.
Quel contatto, anziché arrestare le lacrime, permise loro di solcare le mie gote in maniera ancora più evidente…
“Non…!” sussurrai, cercando di capire da dove arrivasse quel tocco così tenero ed affettuoso.
Non sembrava appartenere a nulla di consistente: l’aria… Era possibile?
Ma non c’era vento lì. Non c’era nulla che potesse simulare una carezza sul mio volto.
Ormai sentivo gli occhi in fiamme: lacrime cocenti a tal punto che parevano voler evaporare sulle ciglia, ustionandole. Ma io non mi accorgevo di niente.
Solo quelle carezze miti e delicate… Solo a quello riuscivo ad aggrapparmi, in quel momento.
“Sssshhh…!” Di nuovo. Quel tocco etereo mi strinse in un abbraccio…
A quel punto le ginocchia non riuscirono più a reggermi, e incoraggiato dalle inconsistenti carezze mi rimisi in piedi.
A quel punto, la luce. Come quando dopo tanto tempo di cielo scuro e coperto, finalmente si apre rivelando un bell’azzurro terso, con quello stesso stato d’animo io corsi incontro a quella luce, vicina e bellissima.
Furono abbracci e furono lacrime; ma io dentro stavo bene, finalmente.
Tutta l’angoscia e il malessere in quegli abbracci si dissolvevano come nuvole impalpabili, e sentivo il cuore battere forte, e sentivo il sorriso sbocciarmi sulle labbra…
Mi stringevo a quella figura lucente come a imprimerla dentro, a non lasciarla mai più.
“Sssshhh…! Sono qui. Sono qui. Adesso basta piangere…”
Eccolo lì, solo quello volevo sentire… Ci avevo sperato così tanto…
Non avevo bisogno di altro. Bastava sapere che lui era lì, da qualche parte… Che potevo contare su di lui. Ancora. Sempre.
Me l’aveva promesso, che sarebbe sempre stato al mio fianco.
Ci sarebbe sempre stato, per me.
Che sciocco, a dubitare che se ne fosse andato davvero. Per sempre.
No, lui era ancora lì, e sarebbe tornato da me, sempre e comunque.
“Lo sapevo… Lo sapevo che non eri morto…!”
Flebili sussurri i nostri, ma negli occhi bruciava una fiamma inestinguibile.
Lo strinsi ancora, mentre la sua mano arrestò le carezze, e si appoggiò sulla mia guancia.
Si venne a creare uno strano silenzio, non più tanto dolce e rassicurante.
Cominciai a temere il peggio, mentre mi ostinavo a non sciogliere l’abbraccio.
Quel calore, quella luce… Ne avevo bisogno. Non ne sarei stato privato, non di nuovo.
Con orrore, mi accorsi che nonostante la mia determinazione, la figura stava pian piano svanendo, e le mie braccia già stringevano il nulla.
Il buio, di nuovo. “NO!”
L’unico contatto che rimaneva era la sua mano, ancora ferma sul mio viso.
Ci poggiai il palmo sopra, chiudendo gli occhi.
“Perché…? Perché?!”
“Kageyama Reiji è morto…”
E l’eco di quel fremito di labbra, si portò via anche l’ultimo contatto fra noi…

**

Mi svegliai di soprassalto, nel cuore della notte.
Con il fiato grosso e gli occhi arrossati, mi misi seduto sul letto, cercando di quietarmi.
Imprimendo più forza possibile, sferrai un pugno contro il cuscino, ricominciando a tremare.
Possibile che fosse così difficile…?

“Perché gli incubi?
Perché ora?
Perché lui?”

Scuotendo la testa, mi accasciai nuovamente sulle lenzuola umide; ma non permisi alle lacrime di scendere. Non di nuovo.
Non volevo essere così debole.
Doveva esserci qualcosa che potevo fare…
Ripensai al sogno, inconsciamente.
E… C’era qualcosa che non tornava, conclusi.
Afferrai un lembo del lenzuolo, e portandomelo appresso mi sedetti alla scrivania.
Accesi la lampada del comodino lì accanto e, trovata carta e penna, così, nel silenzio della notte, con la luce soffusa di un lume anziché completamente inghiottito dal buio della stanza, reggendo con la mano destra il lenzuolo sulle mie spalle, cominciai a scrivere…

Kageyama Reiji è morto.

Chi era Kageyama Reiji?

Kageyama Reiji era un uomo che aveva 
fatto della vendetta la sua ragione d’esistenza.
Odiava e disprezzava chiunque pensasse in modo differente dal suo.
Chi riteneva degno di essere suo avversario lo sfidava, distruggendolo in maniera brusca e definitiva.
Per realizzare i suoi scopi si serviva del calcio, lo sport che gli aveva portato via il padre e l’infanzia.
Lo sport che gli aveva rovinato la vita, e verso il quale covava un insanabile rancore.
Perfido, meschino, sabotava stadi e drogava i suoi ragazzi, plagiandoli fino a controllare le loro menti; tutto pur di ottenere la vittoria.
Ricercato dalla polizia, riusciva sempre a non venire mai incolpato; uomo oscuro, sagace, disonesto quanto basta per essere tenuto d’occhio ma mai abbastanza per venire arrestato…

Man mano che la penna scorreva sul foglio, imprimendo bianco su nero tutto quello che di getto mi veniva in mente, mi sentivo sempre più sollevato.
Il lenzuolo era per terra, gli occhi incollati sul foglio, bramando ogni sillaba, ogni parola…
Non so per quanto stetti seduto a quella scrivania; so solo che, quando mi ritenni soddisfatto, sorridevo.
Sorridevo perché avevo capito.
Avevo capito il senso del mio sogno.
Avevo capito il senso delle sue parole.
Avevo capito che Kageyama Reiji era morto.
E così scrissi, per imprimerlo per sempre sulla carta e nel mio cuore.
Dopodiché, tornai a letto, finalmente calmo e sereno, libero da ogni dubbio o timore, e, con il sorriso sulle labbra, mi addormentai, subito.

Kageyama Reiji è morto.







Angolino-della-pazzoide-che-durante-gli-esami-pubblica-come-fosse-già-in-vacanza (?)

Salve a tutti ^^
Devo ammettere che ne sto scrivendo davvero di tutti i colori, neh? *u*
Che ci volete fare, il Galaxy mi ha sconvolta…! ç.ç
In effetti, tutti i dubbi e l’angoscia di Kidou sarebbero più che altro i miei…
Diciamo che quel Kuroiwa non mi convince neanche un po’. *^*

Non so quanto questa shot sia chiaro, quindi cercherò di spiegarla il meglio possibile (?).
Nella parte iniziale, Yuuto piange il suo comandante, Kageyama Reiji che è morto un anno prima.
In effetti la prima parte potrebbe essere l’ampliamento di quella frase classica di ogni momento importante, magico, romantico etc etc “(…*azione es: l’abbracciò, pianse, si baciarono…* per un tempo che gli/le parve interminabile) Leggendo, sembra davvero che Yuuto pianga per tantissimo tempo… Ma magari, in realtà, è questione di un paio di minuti. ^^”
Tornando a noi… In sogno però, Kageyama gli dà uno spunto molto interessante: “Kageyama Reiji è morto” e non “Io sono morto”
So che, letta in maniera oggettiva, l’affermazione è pressoché identica.
Ma nel contesto, c’è una differenza colossale.
Infatti Yuuto, sfogandosi su quel foglio di carta, si rende conto che l’uomo che lui stava piangendo non è affatto morto.
L’uomo che gli è stato accanto come un padre, che gli ha insegnato ad amare il calcio e che nonostante tutto è rimasto nel suo cuore, è ancora vivo; è morta invece quella “maschera” di cattiveria e crudeltà che Kageyama era stato costretto ad indossare per colpa di Gashield, dell’abbandono del padre, della sua solitudine… insomma, da quel passato tanto oscuro e nefando che gli ha rovinato tutta la vita.
Kageyama ha semplicemente approfittato del fatto che Gashield lo volesse far fuori per far effettivamente morire quella sua personalità con cui ormai era conosciuto pressoché dal mondo intero.
Così facendo, KAGEYAMA REIJI è morto: è morto il cattivo dell’anime, è morto quell’uomo che Kidou ha descritto sul foglio.
Non quello che stava piangendo.
Il Kageyama buono, quello che si è preso cura di Rushe, quello che io sogno tutte le notti (?)… Quello è vivo. E’ sempre stato vivo.
Adesso si è liberato della sua “falsa identità”, quella che aveva indossato inizialmente perché non poteva fare altrimenti, ma che non lo rappresentava davvero.
Avete presente “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, no? L’idea è un po’ quella.
Approfittando del fatto che, per tutti, KAGEYAMA REIJI è morto, si è finalmente potuto liberare da quella maschera opprimente che lo stava distruggendo, e da cui tuttavia è riuscito a liberarsi appena in tempo grazie all’aiuto di Rushe, Fidou e Kidou. Altrimenti sarebbe morto sul serio.
Invece, finalmente, adesso è libero.
Libero di manifestare il suo affetto per i suoi ragazzi e il suo amore per il calcio al mondo intero; non a caso, diventerà allenatore della nuova Inazuma Japan!

Quindi, tornando alla mia shot, Kidou riesce finalmente a ricostruire tutto il discorso che ho appena fatto.
L’uomo che stava piangendo non è morto affatto, il suo allenatore – quello che ha ritrovato durante il FFI, nella partita contro l’Italia -è ancora vivo e lo rincontrerà.
Ovviamente, non porterà lo stesso nome.
Kageyama Reiji è morto, e deve essere morto per tutti.
Ma in cuor loro, so benissimo che, quando si ritroveranno –perché succederà. *u* – faccia a faccia, nel FFIV2, i due si riconosceranno.
Kidou l’ha già fatto, senza averlo esplicitato.
E Kageyama non può non averlo riconosciuto.
La vecchiaia fa brutti scherzi, ma non fino a questo punto! (?)

Spero di essere stata abbastanza chiara nell’esporre e commentare le mie idee e ipotesi che ho strutturato nella ff; se avete ancora dei dubbi, fatemelo sapere.

Passiamo ora alle dediche…
Dedico questa one-shot a…

Raven Cullen, perché in questo periodo mi è stata accanto in maniera speciale, ed è stata lei ad incoraggiarmi di pubblicare questa fanfic nonostante io fossi molto scettica al riguardo. Ti adoro <3
_Juddy_, perché ho voglia di sentirla, ma ahimè non riesco mai a trovare il tempo per scriverle
, e
perché è solo grazie al suo compagno di recensioni se riesco a tranquillizzarmi, nel cuore della notte (?). Sei un mito, e il nuovo nick è stupendo <3
Lullopola, perché anche se so che non recensirà mai questa fanfic, è la prima che deve sorbirsi le mie lamentele, le mie idee, i miei sogni e le mie paure, ed è costantemente obbligata a sopportarmi. Senza di te sarei perduta, grazie <3

E, ovviamente non possono mancare le dediche idiote, comiche e un po’ idiote…!
Dedico questa one-shot a…

Kidou Yuuto, perché a prescindere dai miei sbalzi d’umore –assai frequenti a suo malgrado - è costretto ad assecondarmi sempre, vivendo delle situazioni davvero assurde che molte volte non lo competono nemmeno. Sei bellissimo e quando ridi, e quando piangi; ti amo, e non ti libererai facilmente di me <3
Kageyama Reiji, perché a quanto pare gli piace il bianco e il suo hobby preferito è cambiare identità. Spesso e volentieri non m’imbroglia - ma neanche per mezzo secondo- però una cosa va detta: non sa proprio trovare nomi decenti… Meno male che non ha avuto figli, altrimenti ne avremo sentite delle belle! (con ovvi riferimenti al Galaxy, per chi fosse ancora ignorante in materia). Anche tu, con la tua bella creaturina (?), sappi che una volta caduto nel mio mirino, fuggire è impossibile. (?) <3


Un bacione a tutti quanti,

Sissy-chan


7 pagine, oh. 5 di shot… e 2 di space. *u*
Sissy. E’. Leggenda.
O una rompiscatole. -u-
Anche se, in realtà, è più o meno la stessa cosa. ^ç^

  
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