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Autore: Blue Drake    15/06/2013    2 recensioni
Il tempo non rimargina le ferite, le rende solo più sfocate. Sono sempre lì, bruciano in profondità, distraggono dal presente e ti portano sempre più giù.
So che è colpa mia. Anche se mi sorridi, anche quando fai finta di nulla, so che dovrei esserci io, al tuo posto. Vorrei che fossi qui, soprattutto la notte, perché il freddo mi gela il respiro e il sangue smette di scorrere.
[Racconto partecipante al contest "We are the champions" indetto da Edelvais]
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sankt-Peterburg ● Санкт-Петербург'
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[Racconto partecipante al contest "We are the champions" indetto da Edelvais]

 

Titolo: "Tempesta"

Autore (su Efp e sul forum): Blue Drake (EFP), Suzeanne la Petite (Forum)

Personaggi: /

Genere: Generale, Malinconico, Romantico, Triste

Rating: Giallo

Avvertimenti: /

Coppie: Slash

Canzone scelta: Ride The Wild Wind

Note autore (se ce ne sono): /

Introduzione: "Il tempo non rimargina le ferite, le rende solo più sfocate. Sono sempre lì, bruciano in profondità, distraggono dal presente e ti portano sempre più giù.

So che è colpa mia. Anche se mi sorridi, anche quando fai finta di nulla, so che dovrei esserci io, al tuo posto. Vorrei che fossi qui, soprattutto la notte, perché il freddo mi gela il respiro e il sangue smette di scorrere."

 

 

 

 

 

 

TempestA


 

 

 

 

 

Your angel eyes are shining bright

I wanna take your hand - lead you from this place

Gonna leave it all behind

Check out of this rat race”

 

 

Sometimes I get so low

I just have to ride

Let me take your hand

Let me be your guide”

 

 

Gonna ride the whirlwind

It ain't dangerous

Enough for me” (*)

 

 

 

 

Quattro anni. Sembra un'eternità pensandoci ora, non è vero?

Ma ricordo ancora quel mattino, proprio come fossero trascorsi solo pochi giorni. A quell'ora, alle quattro di mattina di un rigido martedì di marzo, di certo non potevo aspettarmi nessuno a farmi “gentile compagnia”. Eppure, nel tempo che impiegai ad aprire la porta, sul retro della bottega del panettiere presso il quale lavoravo, per poter portare fuori il primo sacco di scarti da smaltire, mi sei capitato tu, così rapido ed inatteso che ancora oggi permane, nei miei pensieri, il forte dubbio di averlo solo sognato. Un sogno strano, in qualche modo surreale nella foschia che precede l'alba. Un sogno tanto inatteso e fortuito quanto, forse, predestinato.

È proprio da quel giorno, lo sai, che il grigio tempestoso dei tuoi occhi non fa che tormentarmi, sempre, soprattutto di notte, quando ho più paura, quando le mie insicurezze divengono soffocanti.

Tu, probabilmente, non puoi ricordarlo, ma in quel breve istante in cui ho posato lo sguardo sul tuo viso, un piccolo frammento della tua anima mi è entrato dentro e mai, nemmeno se davvero lo volessi, sarei in grado di scacciarlo.

 

 

Il tenue picchiettio del tuo indice sullo spesso vetro che ci divide mi riporta indietro, fino al presente. Mi sorridi, di un sorriso sbilenco e indeciso, chiedendomi, in silenzio, dove mi fossi perso.

«Stavo solo pensando, Andy», provo a giustificarmi.

La tua smorfia mi dice chiaramente che le mie scuse sono e saranno sempre troppo patetiche per poter essere seriamente prese in considerazione.

«Forse pensi troppo, Raf... e dimentichi che io sono qui, di fronte a te».

 

Dimenticarlo? Come potrei, se trascorro ormai buona parte delle mie giornate aspettando di poterti vedere, sempre e comunque troppo irraggiungibile oltre quella stupida barriera trasparente?

«Non posso dimenticarlo. Anche volendo, non credo potrei mai riuscirci».

Una luce divertita brilla, in fondo a quel tuo sguardo grigio, illuminandolo di argento. A volte vorrei potermici perdere, lasciarmi trascinare, accarezzare quasi fosse morbido velluto.

«Dunque: a cosa stavi pensando?».

Le mie labbra si distendono in un piccolo sorriso. «Ricordavo. Quella mattina, nel vicolo, mentre...».

Ti sento ridere e penso che, dio, mi manca tremendamente quel suono, mi manca sentirlo sulla pelle.

«Mentre me la davo a gambe inseguito da quei due della gendarmeria? Già, beh, un gran bel modo per iniziare una giornata, non trovi?».

«Per me lo è stato», mormoro appena.

Ma tu lo hai sentito comunque. I tuoi occhi si spalancano, così tanto che temo – spero – possano inghiottire anche me.

«Quel giorno mi hai salvato il culo».

La tua voce è dura, raschiante, eppure là, in mezzo a quelle poche parole, posso sentire la stessa malinconia che assale troppo spesso anche me. Provo una risata, con la speranza che sia abbastanza forte da spazzare via un po' di quella sensazione opprimente.

«Puoi ben dirlo, Andy!», affermo, con un cipiglio altezzoso che non mi appartiene affatto.

«Come ci sei riuscito, Raf? Non te l'ho mai chiesto, forse non mi è mai davvero importato. Ma tu, in qualche modo, devi averli convinti che io, da lì, non ci ero proprio passato. Si trattava, per caso, di qualche metodo incantatore? Gli hai lanciato una fattura!», esclami all'improvviso, senza il minimo pudore o timore che qualcuna delle guardie qui intorno possa sentirti e reputarti potenzialmente labile e quindi pericoloso.

Scuoto la testa, incredulo davanti a tanta assurda sfrontatezza. Eppure, forse, è proprio per questo che non ho potuto fare altro che seguirti, quel giorno. Perché, in fondo, sei sempre entrato nella mia vita così, prepotente come una tempesta, scompigliando e mettendo a soqquadro tutto ciò con cui, fino a quel momento, ero riuscito a sopravvivere, nonostante tutto.

«Lo sai bene come ho fatto. Mi sono semplicemente esibito nella mia famosa occhiata vacua e nel mio consolidato cipiglio da: “Di che cavolo stai parlando?”. E loro, beh, ci sono cascati con tutte le scarpe».

 

 

«Lo sai?», la tua voce mormora, è solo un sottile fruscio nei miei vorticosi pensieri, «Allora credevo che sarei scappato in eterno, che non avrei mai smesso di correre, che non ne avrei mai davvero trovato il coraggio. Ma poi... poi ho dovuto fare marcia indietro. Sentivo che se non mi fossi fermato, se non ti avessi raggiunto in qualche modo, avrei perso qualcosa e forse, un giorno, me ne sarei pentito».

Sto disperatamente cercando di raccogliere un po' di aria, quel pizzico di ossigeno così caro al mio cervello. Vorrei poterti toccare, vorrei prenderti per mano, come tu hai fatto quel giorno, come hai fatto negli ultimi quattro anni, e portarti via. Riprendere a correre, perché solo così posso avere la certezza di essere ancora vivo, di essere ancora tuo.

«Non mi pare di averti fatto un gran favore nel fermare la tua fuga. Alla fine... non è servito poi a molto».

Il tuo sorriso è triste, ma morirei pur di averlo sempre con me, pronto a riscaldarmi quando la notte si fa gelida.

«Sai che se non ti avessi incontrato a quest'ora non sarei qui».

Abbasso gli occhi, mortificato dalla mia colpa, ed è solo la tua voce che sento scivolare dentro di me.

«Probabilmente sarei già sottoterra da un bel pezzo».

È impossibile evitare di trasalire. I miei occhi ti cercano, frenetici, e solo nel momento in cui hanno la certezza di averti sotto tiro si riempiono di lacrime salate.

«Andy, che cazzo dici?».

«Dico solo la verità. Mi conosci, Raf: non sono mai stato molto bravo nel preservare la mia salute, men che meno la mia vita. Ho sempre preferito fregarmene, consumarla fino in fondo. Cosa pensi che mi abbia trattenuto fino ad ora?».

«Io... i-io non lo so», balbetto.

«Bugia. Non sei granché nel raccontare frottole quando si tratta di te».

«Andy, ti prego...».

«No, ascolta!». È quasi un ringhio, il tuo. C'è qualcosa di doloroso nel modo in cui mi chiedi di starti a sentire, qualcosa che non posso ignorare. «Io ti ho sentito, Rafail. Quel giorno, mentre mi allontanavo da loro e da te, ti ho sentito. Nemmeno sapevo chi diavolo fossi, è stato solo un istante, lo so, ma mi si è incollato addosso e ho dovuto fermarmi, Raf, ho dovuto farlo, e tornare indietro, a meno che non intendessi soffocare. Per quasi diciassette anni non ho fatto che correre, sempre, convinto che se avessi smesso si sarebbe fermato anche il mio cuore e sarei morto lì, dove i miei piedi avevano toccato il terreno. Non è così! E l'ho scoperto solo più tardi, nel momento preciso in cui il campanellino, attaccato alla porta che avevo appena aperto, ha trillato e tu ti sei precipitato in negozio, credendomi un possibile cliente. L'ho capito allora, quando invece di fermarsi il mio cuore ha ripreso a battere, quando ho rivisto questi tuoi occhi verdi e tranquilli, quando ho realizzato che non era la fine, quella, ma solo il principio».

Scuoto nuovamente la testa, ridacchiando fra me e notando il tuo volto accigliarsi leggermente.

«Che c'è?», mi domandi, dubbioso e perplesso.

«C'è che sei diventato un gran chiacchierone. Prima che ti rinchiudessero in questo posto il massimo che si poteva sperare erano un paio di mugugni svogliati».

Mi sorprendi con un ghigno divertito e sbuffi scrollando le spalle. «Oh beh, evidentemente è il poco spazio che c'è qui in carcere. Se non posso andare lontano, qualcosa per distrarmi dovrò pure inventarmelo, no? Poi non c'è nessuno di interessante a cui fare il filo...», butti lì noncurante, guadagnandoti un'occhiataccia dal sottoscritto. «Ho anche scoperto che mi piace leggere».

«Davvero?», ti chiedo, inarcando un sopracciglio con evidente scetticismo.

«Hey! Non guardarmi in quel modo, ragazzino. Non sono affatto uno stupido analfabeta come probabilmente ti piace credere».

«Uhh, e chi ha mai detto niente? E non chiamarmi ragazzino! Ho solo un anno meno di te, anzi: otto mesi!».

È bello vederti sorridere, sapere che non ti sei affatto arreso, sperare che un giorno, forse...

«Botkin, tempo scaduto», si intromette una delle guardie.

Non riesco a fare a meno di sbuffare, come ogni volta in cui veniamo interrotti da questa storia dei minuti contati. Tsk, scommetto che fanno colazione e vanno al cesso con il cronometro in tasca!

 

 

Osservo le tue mani spostarsi sul metallo freddo cui erano appoggiate solo un momento prima e, mentre ti alzi per seguire uno degli uomini in divisa che ti scorterà di nuovo a casa, io sfioro il vetro con le dita e tu ti volti ancora un attimo. Le tue labbra si muovono veloci, senza fare uscire alcun suono. Ma lo vedo comunque, lo vedo sulla tua bocca e nei tuoi occhi, ed annuisco piano.

«Torno presto», bisbiglio, appoggiando il palmo sul vetro un po' appannato. Poi mi allontano, portando con me il tuo ultimo sorriso, pregando che basti fino alla prossima volta.

 

 

 

Fine

 

 





 

 

 

(*)

 

Testo: "Ride The Wild Wind" - Album: "Innuendo" (1991) - Queen

 

 

Ride the wild wind

(Push the envelope don't sit on the fence)

(Hey hey hey)

Ride the wind

(Live life on the razors edge)

(Hey hey hey)

Gonna ride the whirlwind

It ain't dangerous - enough for me

 

Get your head down baby (yeah) - we're gonna ride tonight

Your angel eyes are shining bright

I wanna take your hand - lead you from this place

Gonna leave it all behind

Check out of this rat race -

Ride the wild wind (hey hey hey)

Ride the wild wind (hey hey hey)

Gonna ride the whirlwind -

It ain't dangerous - enough for me

 

Tie your hair back baby -

We're gonna ride tonight (yeah)

We got freaks to the left - we got jerks to the right

Sometimes I get so low - I just have to ride

Let me take your hand

Let me be your guide

 

(Ooh) Ride the wild wind

(Don't sit on the fence)

(Hey hey hey)

Ride the wild wind

(Live life on the razors edge)

(Hey hey hey)

Gonna ride the whirlwind

It ain't dangerous - enough for me

 

Ride the wild wind









 

   
 
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