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Autore: lubitina    15/06/2013    2 recensioni
C'erano cose, là fuori, in attesa, nel buio. Ora sono arrivate qui, silenziose e violente.
Ma Lui.. Lui c'è sempre stato.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Last Harvest'
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After all these years thou left'st me down in the emotional depths -
The sombre soaked velvet-drape is hung upon me,
Turning my feelings away from our so ignorant world:
All the beautiful moments shared, deliberately push'd aside-
A distance there is...
A distance there is...

 

 
L’oceano di stelle si stendeva di fronte a lei.
Placide, pur nei loro brillamenti; lente a mutare, ma irreversibili ad ogni cambiamento. Producevano una quieta luce, quelle stelle in cui era naufragata. Le osservava, ed ogni momento ne era più persa. Ed era in pace.
Una pace preziosa, sì. Una pace rara, in quel momento di instabilità, di scosse tremende alle radici più profonde della Vita stessa, dell’istinto di sopravvivenza innato e costretto ad essere negato.
Il suo cuore batteva regolare, la sua pressione sanguigna era normale, così come i livelli di immunoglobuline. Non c’era alcuna infezione nel suo corpo nascosto, no. E non ce ne sarebbe stata una per alcuna molto tempo.
Chiuse gli occhi. si immaginò. Lei, un asteroide. Calmo, silenzioso, fisso nella sua orbita anonima attorno ad una piccola o grande stella, fisso nella propria eterna mobilità, finchè una supernova non avrebbe spazzato via quel sistema perso nell’eterno flusso delle stelle.
E, in quella vellutata quiete rocciosa, dove era finita la fregata su cui si trovava, mirabile opera del Nemico, la stanza in cui il suo corpo giaceva nell’ombra, mollemente appoggiato sul duro metallo come una bambola di pezza dai capelli strappati, i cui occhi vitrei erano diretti a quel vuoto pieno di atomi?
Dove era finito, lui? Almeno per un istante, s’era dissolto. Come una nube di polvere su una terra bollente e arida, sì. Come acqua nel deserto. Effimera, rara, ma preziosa come la pace che regnava in quel silenzioso asteroide.
Dove sei finito, John Shepard?
All’improvviso, sulla fredda e polverosa superficie dell’enorme masso, risuonarono dei passi. Umani? Forse. Drell? Chissà. Maschili, però. Colmi di prepotenza, e impunemente vogliosi di farsi udire, e spaccare, in quel perfetto silenzio.
Lui? No.
“Ciao, Bimba Mascherata..”
Una voce rude, sfacciata, sfrontata. Un volto rosa scuro solcato da una lunga cicatrice, che andava ad intersecare un occhio simile a un masso ardente, che ribolliva tra quei lineamenti duri e scolpiti nella pietra. Capelli grigi come granito.
“Zaeed.”,la sua voce cristallina si disperse nel vuoto della superficie del Masso. “Sei tornato dai morti per me?”
I passi, pesanti e maschili,  si fecero più vicini alla bambola, e lievi nuvole di polvere si levarono dal cratere sul Masso.
“Sì, Bimba. Corri un grave pericolo.”
Sentì la bambola ridere, delicata, acquorea. “Come hai fatto?”, cinguettò deliziata.
“Non mi piaceva molto, di là. Preferisco la vostra compagnia. La tua compagnia, dolce e spaurita come sempre.”
Qualcosa di freddo, duro, ruvido, sfiorò la sua guancia nuda. Delicatezza, c’era in quel gesto. Dita di rocciosi e pietrosi morti allungate ad accarezzare la sua pelle nascosta. Occhi come bracieri ardenti fissi sul proprio sconosciuto volto. Intenti ad indagare, a spogliare vaghi e confusi concetti d’ogni frivolezza innocente e infantile, messaggeri di segreti semplici e concisi. Come l’impatto di un proiettile contro un cuore roccioso.
La bambola capì, e reagì di conseguenza. Radunò ogni tenerezza, ogni innocenza, dietro un alta muraglia, e le nascose, tremanti e delicate come ali di farfalla, pronta a richiamarle appena l’uomo se ne fosse andato.
 
 Sul Masso risuonò la voce cavernosa.
“Lui ti ucciderà. Lui è portatore di distruzione. È stato scelto dal Bambino, per portare a termine il suo Piano. Non hai visto i suoi occhi? Non hai visto il suo sguardo? Non hai guardato nella sua anima corrotta fin nelle radici?”
Contrazione. Sentì la propria delicata pelle contrarsi, restringersi, fino ad avviluppare il cuore in una stretta morsa; e quelli si dibatteva con forza, pompando non più sangue ma solamente grigio vuoto.
Il tocco roccioso sparì dal suo volto, e il suo volto sparì da lei.
“Tu lo ami, vero, Bimba? L’avevo capito fin da subito. Da come lo guardavi mentre faceva i suoi giochetti di prestigio biotici, quando veniste a reclutarmi. Si sentiva, era palpabile, la voglia che avevi di lui. Da sempre. Il Bambino ti ha destinato a lui da prima che nascessi. Ti ha fatto vivere da sola, così che le vostre solitudini si incontrassero e scontrassero, e finissero per attrarsi. Perché dal vostro nulla nascesse qualcosa. Un fiore malato da piante marce. Ma tu, in fondo, non sei sempre la bimba spaurita che si nasconde dietro il suo monumentale padre?
“E ora dietro cosa ti nascondi? Dietro l’ombra di un uomo che è destinato a non amarti mai, perché il Piano lo nega. E tu devi verificare il Piano, per renderlo niente, Bimba. Solo tu, che sei nascosta, puoi smascherarlo, portandolo a compimento. E salvarLo.”
Il suo volto cominciò a riapparire. La pelle si rilassò, allontanandosi dalla massa pulsante, e dall’informe venne plasmato il Logico; le forme presero significato nella silenziosa roccia. La bambola si ricompose, pettinandosi i capelli neri con le dita, e pallide stelle imperlavano il suo viso.
“Come posso, Zaeed? Tu sei morto. Tu sei morto in mezzo alle Mosche. Tu sei parte del Piano. Lui ti lasciò morire.”
“No, Bimba”,e la voce si fece più dolce, e di nuovo il gelido tocco fu su una sua guancia,”Io lo costrinsi a lascarmi morire. Perché sapevo che ciò avrebbe avuto un significato. Ogni cosa ha significato, piccola. Ogni singolo battito del tuo piccolo cuore.”
Stelle cadenti nacquero e si infransero nel cielo invisibile; galassie collassarono e supernove divennero buchi neri.
“Nulla va mai perduto. L’unico modo, Bimba, per negare il Piano, è accettarlo. Trattarlo da essere vivente. Perché lui vive, si nutre e respira: si nutre di tutti noi, e senza di noi non è e non sarà mai.
“Combatti, Bimba. Salvaci tutti. Redimi i vivi e perdona i morti.”
 
 
 
 
 
Il risveglio fu traumatico. Si ritrovò appoggiata alle cosce di un androide metallico, di sembianze femminili, che giaceva su un piano da lavoro. Riluceva sotto i neon del laboratorio, attiguo alla sala macchine.
Le perfette labbra gelide sembravano dirle “Non avere paura”.
Non avere paura. Non devo avere paura, si disse, prendendo in mano gli attrezzi da lavoro. Microcircuiti cerebrali, sì. Distrutti da lei con un colpo di Paladin. Preciso, perfetto, letale. Aveva studiato quell’androide fin dal primo momento in cui l’IA della nave aveva avuto la geniale idea di portarlo a bordo; sapeva quali erano i punti deboli dell’opera. No, Tali, no!, urlava il Turian, da qualche parte.
Si sentiva ancora intontita dal sonno. Da quant’era che non dormiva? Probabilmente da quando i suoi piedi, dal pianeta natale, erano tornati a posarsi sul pavimento metallico della Normandy.
Da quando il Comandante aveva dato l’ultimo ordine sensato che fosse uscito dalla sua bocca (“Fai rotta verso la Cittadella, Joker. Ho alcune questioni da risolvere là”), prima di richiudersi nella propria cabina imbottito di medigel e fasciato come un bimbo. Da quando l’ultimo strappo alla tuta era stata riparato.
Strane creature gli umani, pensava, scostando delicatamente una piastra metallica dal volto del robot. Probabilmente lei aveva avuto in circolo, nel corpo, quantità di medigel decisamente superiori a quelle che Shepard aveva in quel momento, ma mai, mai, mai, s’era ridotta in quello stato. Già, strane creature, strana fisiologia.
 
“Creatrice Zorah”, aveva detto il Nucleo, rosso sangue, rivolgendo il visore verso di lei. I raggi di Tikkun morente impattavano sulla sua corazza, illuminandola. Le nubi livide s’erano ormai del tutto diradate, lasciando che i raggi della stella creassero piccole volute di vapore, tornando a disseccare il deserto bagnato.
Lei aveva deglutito, confusa, cercando freneticamente la maschera depositata da qualche parte nel fango, mentre uno strano sapore che non aveva mai sentito era apparso. Guardò lui, gli occhi socchiusi, una maschera di sangue rappreso e fango,e, più giù, una  mano ferita che stringeva la sua, coprendola. Probabilmente aveva perso conoscenza, ed ora vagava in quell’oceano tiepido e silenzioso in cui tanto agognava essere.
Sentì quella familiare sensazione salirle dallo stomaco, riempiendolo di nausea, e saltare fino al cuore. Vergogna. Il Nucleo la fissava, scannerizzava, memorizzava, analizzava il suo viso sporco di sangue e fango, le sue labbra che per la prima volta avevano toccato quelle di un’altra creatura di quella dannata Galassia, ed era stato bellissimo, oh sì. Era stato divino. Quel rapido, breve, effimero tocco, era ancora lì, presente, statico, materializzando tra loro ciò che era sempre stato sotteso ma mai ammesso. Le aveva detto che la amava, sì, che la amava come mai aveva fatto con nessuna, e lei aveva soffiato aria in lui, e gli aveva parlato, abbracciandolo, mettendo medigel in circolo, l’aveva pregato di non morire.
Di non morire, per mano sua. Non andarsene di nuovo da lei.
E lui aveva respirato.
Vergogna. Sentì il sangue salire alle proprie guance, tingendole di rosso, ma in quel momento la propria mano afferrò qualcosa di duro e vetroso, e lo strinse. Felice e rassicurata, agganciò il vetro violetto e convesso all’elmetto, e il mondo si tinse di una tonalità diversa.
Il battito rallentò, il sangue sparì dalle sua guance. La divina sensazione si fece più lontana, e la corazza tornò a crescere nel suo cuore. Scusami, mormorò a se stessa, lasciando delicatamente la mano di lui, e alzandosi in piedi.
Guardò il Nucleo, che inclinò la testa, in un tendersi e contrarsi di giunture metalliche.
“Il Popolo Geth ha intenzione di collaborare alla realizzazione dell’arma contro le Antiche Macchine.”
Tali deglutì, di nuovo. “Come fate a sapere del Crucibolo?”
“Legion”, rispose quello, laconico e cavernoso.
Lei annuì. Chissà perché quel Nucleo aveva riconosciuto lei come autorità, e non Garrus. E aveva totalmente bypassato gli altri due Ammiragli, che attualmente erano nascosti alla sua vista dalla navetta con cui IDA aveva trasportato lei e Vakarian. Smise di domandarselo, e parlò.
“Troveremo modo di contattare il team che se ne occupa.” Si rese conto che la sua voce tremava. Era ancora piuttosto scossa. Guardò le proprie gambe, e le trovò piuttosto malferme.
“Il Popolo ringrazia.”, disse il Servitore, incrociando la braccia dietro la schiena.
‘Ringrazia’?
“C’è altro?”
“Sì. Richiediamo l’autorizzazione ad installare alcuni nostri processi nella tua tuta.”
Strabuzzò gli occhi, e di nuovo la marea salì al suo stomaco, assieme ad una miriade di ipotesi.
“A che scopo?”, riuscì a mormorare, intrecciando nervosamente le dita, il cui tessuto era rotto in più punti.
Il Nucleo aveva, di nuovo, inclinato la testa,e, mentre una strana luce tingeva il suo visore, aveva portato le mani avanti. Tra le sue palme, era apparso un piccolo drone azzurro, che, pian piano, aveva cominciato a trasformarsi in..
“In me.”
Una minuscola immagine olografica di Tali Zorah Vas Neema. Priva di tuta.
Riconobbe i propri lineamenti, i propri disegni luminosi sul collo, sulle guance, sulla fronte. La tonalità dei propri occhi grigi, la forma del proprio busto e delle sue gambe slanciate.
Per qualche ragione, non riuscì ad arrabbiarsi, pur sapendo, indistintamente, che avrebbe dovuto. Che lui si sarebbe infuriato, al suo posto. Guardò il Nucleo, fissò lo sguardo nel visore, pur sapendo che quello non avrebbe capito. Riuscivano a malapena a decodificare la gestualità umana: chiedere ad una macchina di comprendere ciò che si celava dietro una maschera sarebbe stato troppo. Era troppo confusa, curiosa, stanca, ferita, sofferente, per avere la forza di costringere il proprio animo a provare rabbia.
La sua disponibilità di ira, per quel giorno, era esaurita. Il Popolo Geth aveva deciso di usare lei come Creatore standard? Bene, che fosse. Era un individuo in forma ed in salute, ed un perfetto esempio di femmina quarian in piena età fertile. Semmai quelle dannate macchine avessero evoluto un qualche tipo di forma d’arte, l’avrebbero dipinta e ricamata su arazzi, coperta di fiori del deserto o impegnata a coprirsi con le piccole mani. Avrebbero narrato le sue gesta come salvatrice dell’ordine galattico e del neonato Popolo. Una risatina nervosa le salì alle labbra, pensando ad un essere di metallo che scolpiva in pietra il suo didietro, e lei la lasciò fluire.
Il Nucleo la fissava in silenzio, impassibile, le mani con tre dita che parevano sorreggere l’immagine olografi ca. Carico di domande o solo desideroso di quiete.
Solo allora si accorse della massiccia presenza al suo fianco. “Sì, esatto, a che scopo?”, aveva detto una voce maschile in kelish.
Zaal’Koris. A volto scoperto, sporco di fango. E i suoi grandi occhi luminosi, di un blu intenso, erano fissi sul drone. I suoi eleganti paramenti da ammiraglio erano sporchi di fango, e la tuta era strappata sull’addome: ma conservava pur sempre un atteggiamento dignitoso ed altero, e la sua voce suonava come quella di un leader indiscusso. Tali rabbrividì, sentendosi minuscola.
Lacrime cominciarono a nascere nei suoi occhi. Gioia, vergogna? Scorse anche Raan, il cui bel viso era solcato da un lungo taglio, che aiutava Garrus a tenersi in piedi. Grazie, pensò distrattamente, guardando il volto coriaceo del turian, e la profonda infossatura della sua corazza.
Infine, il Nucleo parlò, rompendo le riflessioni di Tali.
“I Creatori sono lontani da Rannoch da secoli. La microflora è leggermente evoluta in loro assenza, e il Popolo, come segno di ringraziamento, vorrebbe effettuare alcune simulazioni.”
Tali sospirò, reprimendo un singhiozzo. Ormai era pronta a tutto. “Di che genere?”
“Test biologici sul sistema immunitario. Il Pianeta Natale è vostro, ora. È Nostro. Avete il diritto di tornare a casa, e di muovervi liberamente privi di tute ambientali, come prima della guerra del Risveglio.”
Gli occhi dei tre Quarian fissarono il Nucleo, che, come vergognandosi, abbassò il visore, e incrociò le dita delle mani, tra loro. “Ti saremmo grati se accettassi questo dono, Tali Zorah.”, disse, mesto. Come se pregasse.
Le lacrime, di dolore, stanchezza, vergogna, le avevano ormai inondato il volto. Si morse le labbra, avvertendo, lontano, il sapore di quelle di lui. Rispose, piano, in un sussurro appena udibile, mentre il suo cuore esplodeva nel petto.
“D’accordo.”
 
 
Sospirò, diede uno sguardo allo schermo che mostrava i nano circuiti ingranditi di circa cinquecento volte, simili a minuscoli vermi, e digitò sul terminale alcuni comandi. L’elettricità immediatamente fluì nell’androide, e piccole scariche si dipartirono dalle orbite oculari vuote.
Bene, ancora c’era trasmissione. Guardò con tristezza l’oggetto che Adams le aveva fornito (“E’ un saldatore, Tali. Cerberus ha creato quella cosa usando qualcosa di simile a quell’arcaico attrezzo,e se proprio vuoi ripararla, dovrai farlo anche tu”), e lo prese in mano, soppesandolo. Assomigliava vagamente ad una pistola.
I Servitori avevano matrici di riparazione integrate. Da decine di anni non venivano più riparati manualmente.
Però..
Un’idea balenante. Una meravigliosa intuizione,e un curioso metodo per farsi perdonare.
E, indirettamente, per fare a lui l’ennesimo, gratuito, regalo.
La sua mano sinistra volò al factotum, la cui luce arancione s’accese allegra, e cominciò a digitare freneticamente sulla tastiera olografica. Sì, sì, divina ebbrezza creatrice! Energia che fluiva in ogni angolo del suo cervello, innata ispirazione..
Dove diamine ho messo quei progetti, pensò, mordendosi le labbra grigie, mentre “Nessun risultato trovato” appariva sull’oloschermo.
Eppure, sapeva che non ne avrebbe avuto minimamente bisogno. Ogni particolare della divina intuizione degli Antenati era impresso nella sua mente. Sorrise dietro la maschera, sentendosi infinitamente felice e soddisfatta.
 
 
 
 
Qualche ora prima..
 
 
L’Asari guardava il terminale, reggendosi il mento con una mano blu.
Ci sono quasi.
Sì, c’era quasi. Sedeva seminuda, nella sua stanza, sulla sua comoda poltrona, digitando, fissando simboli e parole confuse, analizzando immagini e video. Ogni tanto, ad intervalli irregolari, alzava una mano dalla tastiera per andare ad accarezzarsi le escrescenze sulla testa, con fare annoiato. Per il resto del tempo, manteneva un’espressione concentrata e immersa in ciò che stava facendo. Il drone Glifo fluttuava a circa un metro da terra, vicino al suo grande e morbido letto. Già, l’unica inquilina della Normandy ad avere diritto, oltre al comandante, ad un enorme letto, e non ad un ridicolo stanzino spartano o ad una brandina nel ripostiglio dell’hangar navette. Amava viziarsi, amava come Shepard la viziasse, ed era ciò che più la appagava al mondo.
Dopo, ovviamente, il  vendere gli affari altrui a persone più interessate di lei.
Perché a lei interessava l’atto, non l’informazione. La compravendita, la deliziosa ed estatica soddisfazione che derivava dall’avere, non il contenuto del pacco. Già, lei vendeva, il più delle volte, a scatola chiusa. E, ultimamente, aveva a disposizione un’infinità di tempo, da quando quella ladruncola era tornata sulla Normandy.
-Oh, John, sei tornata a salvarmi dal fantasma del mio cattivo paparino , - disse, scimmiottando la vocina acuta della Quarian, guardando con meno attenzione i dati che scorrevano sullo schermo del terminale.- Ora mi porterai sempre con te, vero? La tua frigida amante incapace di sparare senza mira assistita?
Si alzò di scatto dalla poltrona, portandosi teatralmente una mano al petto, spalancando gli occhi blu.
 –Grazie mio adorato Umano, grazie! Oggi tu mi hai ridato un pianeta! Potrei anche considerare l’ipotesi di togliermi quella maledetta maschera e farti vedere quel che si nasconde là dietro..
Scoppiò a ridere, all’idea di ciò che i Quarian fossero, in realtà. Chi li aveva mai visti? Nessuno. Le registrazioni negli Archivi della Cittadella erano sparite da almeno vent’anni (in un curioso incidente), e nessuno, tra spettri, ambasciatori, e consiglieri, ne aveva mai posseduto una copia. I consiglieri precedenti agli attuali riposavano in pace in orbita attorno a Vedova, e probabilmente, tra loro, solo l’Asari era la custode di tale segreto. Del resto, anche quel famoso filmato, di poco precedente alla guerra del Risveglio, era piuttosto confuso: si diceva mostrasse un esperimento alquanto brutale su di un Geth, all’epoca ancora Servitore, testimone di tutta la tracotanza che aveva trascinato i Quarian sull’orlo del baratro.
E si sentì rincuorata, pensando a ciò che lei adorava, alla Dea. Ad una Dea vera, trascendente, al di là del bene e del male: e loro, loro Asari, la stirpe più elevata ed evoluta della Galassia, mai, mai, mai, avevano agito in sua offesa. In offesa della Vita.
Si lasciò cadere sul letto, ampio, morbido, profumato, silenzioso compagno di tante notti.
Da quando i tre alieni e i miseri resti di IDA erano rientrati sulla Normandy, lei, Liara T’soni, non aveva fatto altro se non analizzare, guardare e fissare, fin nei minimi particolari, i filmati di sorveglianza della base dei Geth, ottenuti con molta fatica. Silenziosamente, aveva ringraziato il suo contatto nella Flotta, e pensò che lui era davvero un genio contrariamente a quella troietta : lui, nascosto dietro la sua maschera e intento a picchiettare su una tastiera con le sue troppo poche dita, aveva hackerato quella base, incluse tutte le navette e i dispositivi di spostamenti dotati di dispositivi di registrazione, che aveva dirottato ad un proprio server della Flotta. E, accludendo un “Credo che questa roba valga parecchio, senti come brucia!”, aveva spedito i dati all’Ombra. Che aveva sorriso, bella e blu, togliendosi di dosso un paio di scomodi pantaloni, e desiderando, al colmo della gioia, di ringraziare fisicamente quel misterioso Quarian dalle spalle larghe e dal corpo snello.
Comunque, prima di distrarsi, aveva pensato di esserci quasi. Sì, che mancava poco alla comprensione di quelle immagini. Si picchiettò un dito sulla fronte, richiamando a sé la concentrazione.
Ricapitolò, mentalmente, quello che sapeva, e si promise di confrontarlo col rapporto che Shepard, ripresosi, avrebbe mandato ad Hackett. Sono scesi su Rannoch, per disattivare quel dannato segnale dei Razziatori (la modalità, probabilmente, era stata concordata con le altre mascherate, la Raan e la Xen, e Legion stesso), hanno tentato un approccio silenzioso, atterrando a distanza dalla base; s’è poi aggiunto Vakarian. Legion s’è allontanato, ma non prima di fare qualcosa. Ma cosa? Qualcosa che di certo ha influito sull’esito finale della missione. IDA ha smesso di dare consigli, attuando un comportamento insolito. Shepard, mano a mano che ci si avvicinava al nucleo della base, si sentiva fisicamente male, tanto che s’è dovuto ricorrere a degli stimolanti.
E lì il vuoto.Il quartetto era in un hangar, a quanto diceva una misera telecamerina di sorveglianza esterna (i Geth, contrariamente agli organici, si fidano ciecamente l’uno dell’altro, non esistendo il concetto di “io” e di “tu”; probabilmente erano un retaggio dei Quarian che utilizzavano la base tre secoli prima, come Hub della Rete), e da quel momento in poi c’era un buco di circa un’ora e mezza nei dati. Ma io ero accanto a Joker quando ha ricevuto da Shepard l’ordine di colpire un Razziatore: esatto, scendere nell’atmosfera e sparare ad un’Antica Macchina, appostata nel sottosuolo del pianeta della troietta. Ed è assurdo, totalmente incomprensibile, come IDA, Legion, e la troietta stessa non ne fossero a conoscenza, e non fossero riusciti a decodificare le emissioni gamma e radio. O che, perlomeno, non avessero scansioni radar della zona. Dunque: ecco un nodo focale e due ipotesi.
A quel punto parlò, rotolandosi mollemente sul letto morbido, e scrocchiandosi le dita. –Glifo, registra. Prima ipotesi: qualcosa, o qualcuno, presente su Rannoch, possiede un’elevatissima tecnologia in grado di impermeabilizzare alle emissioni elettromagnetiche un intero Razziatore. Seconda ipotesi: IDA e il Geth sapevano, ma hanno fatto in modo di modificare le, ovviamente presenti, scansioni radar della troietta. Si deve supporre connivenza fra i due. Fine registrazione.
Scoppiò a ridere, rendendosi conto dell’associazione di idee tra la Quarian e i due sintetici.
Ed è qui che viene il bello. La troietta, IDA, e Vakarian, scompaiono. Sì, dopo che Shepard contattò Joker, loro tre svanirono nel nulla, abbandonando il loro amatissimo comandante.. Come hanno potuto? (e a tal pensiero, sentì una fragorosa risata risalirle dalle viscere).
Però.. stando alle registrazioni di un deposito navette antistante all’hub della Macchina, una di esse sparisce dopo pochi minuti dall’ingresso del quartetto nell’hangar; si deve dunque dedurre che uno,o forse tutti, tra la quarian, Vakarian, e IDA, si sia allontanato, orientandosi per i cunicoli di quel termitaio, fino a giungere a rubarne una. Curiosamente, senza incontrare resistenza nemica.
Ad ogni modo, su tale navetta, si trova di sicuro IDA, perché è il luogo in cui è stata ritrovata da Cortez, sceso a recuperare la squadra. O, almeno, vi è stata trasportata successivamente.
-Glifo!,-chiamò, con voce sovraeccitata,-Assegna agli impegni una voce. “Interrogare Cortez al più presto” e “Convincere Joker a rimuovere blocchi di IA della nave”.
-D’accordo, dottoressa,-gracchiò il drone, fluttuando leggero. Ma non libero.
Le registrazioni ricominciano in medias res: su quella dannata navetta, o nel luogo di sbarco, Tali Zorah vas Neema spara in un occhio al corpo di IDA, disattivandolo. Nel frattempo, Garrus Vakarian minaccia la Flotta, bluffando palesemente. L’ingenuo Zaal’Koris gli crede, ma ha la grandiosa idea di scendere sul pianeta a dare una controllatina. E da qui ricominciano le immagini: in qualche modo, durante quell’ora e mezza, Legion ha fatto in modo di prendere una navetta, dalla cui camera sono prese le registrazioni, e di portare Shepard, svenuto e ferito, in un luogo desolato in mezzo al deserto, a più di cinquanta chilometri dalla base, con una tempesta in arrivo. Il primo fotogramma mostra come John, ripresosi, abbia torturato un po’ il Geth, rompendolo qua e là ma senza distruggerlo; successivamente, abbiamo una tenera scena con Tali Zorah.
E qui, un altro vuoto. Dannazione. Sapeva che era il momento più importante, quello in cui s’era deciso il fato di due razze: eppure quel quarian non era stato in grado di fornirle nulla, né registrazioni di telecamera delle due navette presenti, né da factotum della troietta, del turian, o di John stesso.
-Per la Dea!,-esclamò all’improvviso,-Glifo! Segna anche “Interrogare John Shepard”.
Cambiò posizione, sul letto, supina, assaporando la dolce sensazione della morbidezza delle coperte contro l’addome nudo.
Si hanno poi, altre immagini, di qualche minuto successive, in bassissima definizione, dal factotum di Shala’Raan, scesa sul pianeta assieme a Koris. Infuria la  tempesta, lei grida frasi sconnesse in kelish, piagnucolando. Poco si vede di ciò che accade, ma una cosa è certa: la troietta sta per cadere da un precipizio. E questo è importante. Come è finita lì? John Shepard la ama, la abbraccia, la conforta, pochi minuti prima, ed ora lei minaccia il suicidio? E dov’è Legion? È già esploso? Oppure si deve credere alla storiella dell’autodistruzione programmata da lui stesso, con contemporaneo sovraccarico degli scudi cinetici del comandante da parte della troietta? Suona strano, molto strano.
Ed ecco l’intuizione. Sì, eccola, lì, davanti a lei, su quel letto, nascosta tra i cuscini di piume: pulsa, gongola, è felice di essere stata partorita dalla sua mente geniale, ed impaziente di essere rivelata al mondo.
-Glifo, registra. Tali’Zorah vas Neema, cosciente delle intenzioni di John Shepard, ossia di favorire palesemente i Geth nella corrente guerra contro la sua razza,ne ha tentato l’omicidio, fallendo, nell’estremo tentativo di salvare il suo popolo. Intendo accusarla di fronte ai suoi superiori nella Flottiglia. Fine registrazione.
Sorrise, tra sé e sé, desiderando con crescente forza la presenza, lì, accanto a lei, del suo misterioso, mascherato, affascinante, contatto quarian.
 
 
 
-Shepard, cazzo, svegliati!
E l’impatto del suo cranio contro le piastrelle della doccia.
 
 
Lontano
 
 
In una nave spaziale, una ragazza piangeva. Guardava lo schermo del proprio factotum, e le lacrime sgorgavano abbondanti da i suoi occhi. era rannicchiata in un angolo, e di lei erano visibili solamente due puntini luminosi dietro una maschera. Leggeva qualcosa sull’oloschermo, e quel qualcosa recitava:
Neli, ho realizzato solo ora l’enormità dell’errore che ho compiuto. Ciò che ho fatto è semplicemente imperdonabile, perché include in sé eventi non spiegabili con la razionalità e la logica di questo mondo. Mi sono addentrata in un reame troppo vasto, troppo antico, e sconosciuto, ho aiutato troppe persone sbagliate e dato la mia fiducia a chi non la meritava. Ho indagato su di lei, ed ho scoperto chi è veramente e quali sono le sue intenzioni. Se ce la farà, in un modo o nell’altro, risaliranno a me. E conosci, sì, la conosci, Neli, qual è la punizione per i traditori nella Flotta.
Scapperò domani, mia luce. Ho un contatto batarian che possiede una propria fregata, e col quale ho concordato un appuntamento. Andrò nell’Abisso di Shrike, Altakril. Era una popolosa colonia turian, ma ormai non rimane più nessuno in vita. Non posso fornirti le mie coordinate, né lo farò quando sarò lì. Sarebbe troppo pericoloso. Cancello questo messaggio appena lo ricevi e leggi. L’ho cifrato, ma la prudenza non è mai troppa.
Ti amo, Neli, come non ho mai fatto e non farò con nessuna creatura di questa Galassia. Se vivrò, fino alla fine di questo ciclo, sarà per merito tuo. Grazie.
Addio
 
 
 
  
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