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Autore: lubitina    01/06/2013    2 recensioni
C'erano cose, là fuori, in attesa, nel buio. Ora sono arrivate qui, silenziose e violente.
Ma Lui.. Lui c'è sempre stato.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'The Last Harvest'
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Salve! Sì, in un attimo di ispirazione, tra lo studio intenso per la sessione estiva, ho scritto il primo capitolo del seguito di Keelah se’lai, che spero ci porterà fino alla conclusione della saga. È un po’ delirante, lo ammetto. Ma ho sentito troppo la mancanza del caro comandante Shepard!
Ovviamente non smetterò di aggiornare “Memorie di un uomo d’altri tempi”.
Buona lettura :3
 
 
 
 

Amico della Notte

 
 
 
Guardò il foglio di carta, e il suo sguardo salì lentamente fino alla mano che reggeva la penna. Sul dorso, c’erano svariate cicatrici bianche, altre innaturalmente rosso fuoco. E le sua dita erano piegate in maniera scomoda sullo stelo di plastica, l’indice in una posa innaturale e il pollice troppo vicino alla punta, tanto da sporcarsi d’inchiostro a ogni parola.
Un datapad, sfavillante di misteriosa luce giallastra, era appoggiato accanto al foglio candido. Quella strana luce illuminava leggermente tanti piccoli oggetti, appoggiati in maniera disordinata sulla scrivania metallica: una boccetta di vetro, il modellino di una fregata, una minuscola pistola bianca, alcune periferiche di memoria, una pila di fogli di cellulosa bianchi, un pezzo d’armatura N7 ammaccato e fuso in vari punti, con poche tracce di vernice blu rimaste a colorarlo, ed in fondo, nascosto dietro una pila di libri cartacei e ingialliti, un piccolo terminale portatile, simile per design al datapad. Spento.
Spento, come una stella morta.
Spento?
Cosa significava spento, diamine? Là dentro doveva comunque esserci qualcosa che mantenesse stabili i dati memorizzati, l’ora, la data, la posizione nella Via Lattea. Il suo account di intranet. Le mail, importanti o di pettegolezzi galattici riguardo i Consiglieri che Liara gli inoltrava.. Zettabyte di foto, video, dati su armi e statistiche del cazzo che tanto lo rilassavano. Quei maledetti e-book di biologia che aveva scaricato per lei..
O meglio, per cercare di conoscere il suo mondo.
E il mondo di una donna sapeva essere alquanto complicato, anche se il suo cariotipo è diverso dal tuo e le sue proteine vorticano nel verso opposto.
La quiete dov’era, se quel maledetto aggeggio era acceso, ed emetteva la sua sgradevole lucina blu? Se il gommoso cavo di alimentazione era attaccato alla minuscola presa sul lato destro, e le periferiche di memoria disordinatamente sparse erano inserite nelle sue prese?
Si rese conto di avere un moto di violenza nei suoi confronti. Il Terminale va Terminato. Sì, come avrebbe voluto fracassare quel maledetto aggeggio contro la testata del letto, vedere le migliaia di microchip sfavillare come neve, ricadere grandinando sul suo morbido cuscino di piume sintetiche (Sì, anche quelle erano sintetiche) e ivi rimanere, fino a che non avrebbe deciso che forse era il caso di utilizzare un drone pulitore. Avrebbe chiesto a IDA, sì.
Eppure il dannato aggeggio non si sarebbe decomposto. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di finire ricoperto di muffa, marcire, ricoprirsi di moscerini e vermi (cosa alquanto improbabile in una fregata dell’Alleanza, e soprattutto nella cabina ipersterile del Comandante) , e non avrebbe potuto immaginare le loro larve crescere grasse dentro le loro comode crisalidi, come quei dannati Collettori, insetti orrendi, abomini della Natura.
Ma quale Natura..Non c’era proprio niente di naturale in quelle maximosche biotiche.
Un’improvvisa risata gli risalì dallo stomaco, ed esplose fragorosa. E dolorosa.
“Ciao, D.A.!”
Per cosa sta, D.A.?
“Dannato Aggeggio,ovvio!”
E gli sembrava lo guardasse, da dietro la sua cromatura, e che cercasse di emettere lacrime silenziose. Ma era spento, e con ogni probabilità l’acqua l’avrebbe ammazzato.
Grande Idea!
L’avrebbe preso in mano, con grazia, come faceva il boia col morituro di lì a poco decollato, sarebbe andato in bagno, e con delicatezza, avrebbe aperto l’acqua della doccia e l’avrebbe regolata abbastanza tiepida, così che la sua morte fosse stata rilassante. Probabilmente avrebbe gradito anche un po’ di sali da bagno, no? Terminale va Terminato.
E rise di nuovo, pensando a quel vecchissimo olofilm terrestre. Una fitta di dolore confuso lo invase,a partire dalla sesta costola di sinistra.
“Dannata Cartilagine! Anche tu sarai terminata!”
Perché diavolo Miranda Lawson, grande e geniale umana costruita a tavolino,di cui l’unica cosa non piatta erano le forme corporee anteriori, non aveva pensato di sostituirla con qualche fibra sintetica ultraresistente? No, aveva deciso che il comandante Shepard doveva avere un fegato e mezzo polmone finti, un cuore rinforzato, ma che dovesse continuare a rompersi le costole se un Geth si Autodistruggeva a meno di tre metri da lui.
E che il suo maledetto stomaco dovesse continuare a non secernere enzimi digestivi decenti, e dovesse vomitare tutte le volte che ingurgitava pesce crudo. Nemmeno il sushi di quel giapponese di Zakera gli era concesso.
Il Medigel non fa miracoli, Comandante!, aveva detto la Chakwas con aria materna, scuotendo il caschetto di capelli grigi. Solamente le tue cellule possono. E, riposo assoluto finchè non lo dico io.
Finché non lo dico IO.
Semmai quando decido io, aveva replicato John, protestando come un bulletto in punizione. Se non fosse stato sdraiato sul lettino dell’infermeria, con i muscoli ridotti a fanghiglia, avrebbe anche sbattuto i piedi a terra, sonoramente.
E gli rivenne da ridere, a pensare alla faccia impassibile della Chakwas alle sue parole. Perfino le rughe parevano essersi stirate, sul suo volto. Gli ricordò vagamente una palude. Rane verdi saltellano tra le sue sopracciglia grigie.
A proposito, aveva borbottato girandosi a prendere qualche strana sostanza nel refrigeratore, hai la febbre alta. E probabilmente delirerai per le prossime quarantotto ore. Sai che l’assunzione eccessiva di Medigel la provoca, vero? Ma tu vuoi guarire tanto in fretta..quindi sopporterai.
No, non lo sapevo. Ed era scoppiato a ridere sguaiatamente, fino a che una fitta terrificante non lo aveva riportato alla realtà del freddo lettino e dell’anziana donna che lo guardava pensosa.
Prenditi una vacanza da te stesso, Comandante.
 
-Io sono John Shepard l’Indistruttibile! Nulla può terminarmi!
L’uomo che lo riguardava dallo specchio aveva l’aspetto di un cencio. Sì, un cencio, come quelli che usava il cuoco (come diavolo si chiamava? Dio, era incapace anche di cuocere un uovo senza bruciarlo) per pulire il piano cottura, dagli schizzi dell’olio e del burro di infima categoria.
Capelli lunghi, neri, scomposti, s’appiccicavano alla fronte imperlata di sudore (Potrei raccoglierlo e terminarci D.A.), su cui campeggiava un arcaico cerotto marrone accanto ad altri di un qualche gel protettivo a base di acido ialuronico. Più giù, guardò i propri occhi iniettati di sangue e curiosamente lucidi. Gli ricordarono due innaturali fessure mucose, poltiglia schiumosa ammorbidita con i polpastrelli e inserita nelle orbite vuote. Li aprì e richiuse, e uno strano liquido vischioso e trasparente gli colò lungo una guancia, la cui densità di gel trasparente era pari a quella della fronte.
E il suo colorito era terreo. Sì, beh, si sarebbe facilmente mimetizzato con l’arido deserto del Pianeta Natale.
..Nella cavità addominale sono riscontrabili un organo assimilabile ad un cuore, che, diversamente da quello umano, krogan, e delle principali razze della Galassia, possiede un Ventricolo interamente dedicato alla circolazione polmonare. Si ha così una maggiore efficienza nello scambio gassoso tra alveoli polmonari e sangue, a parità di volume.. Si può dire che i Quarian possiedano tre tipi di circolazione distinti: venoso, arterioso, e polmonare, appena abbozzato negli esseri umani..
..Potenziale d’azione neuronale di 16 milliVolt.. Tre assoni per cellula. Elevatissimo numero di sinapsi..
Miscela base ossea con leghe calcio-stronzio. Densità media 2000 kg/m3
 
 
Aprì il rubinetto dell’acqua. La guardò scorrere. Quanto tempo era passato?
Le cose esplodono, John. Ah sì, i Servitori esplodono. Anche le IA possono morire. Dunque le IA esplodono?
Gocce di sudore colavano dalla punta del suo naso dentro il lavandino metallico, mescolandosi all’acqua continuamente trattata dal supporto vitale. Devono avere delle cisterne enormi, quelle carrette dei Quarian. Fiumi, laghi interi mai imputriditi..
-Comandante, si sente bene?,- mormorò qualcuno.
 
Qualcosa suonò. Trillò, gorgheggiò come un tenore e poi si spense. Anche lui, svanito come D.A.
John si guardò attorno. Si rese conto, indistintamente, di essere sotto la doccia, che lo fissava metallica e bucherellata. Gli venne da ridere quando si rese conto di essere totalmente fradicio. Fasciature alle costole comprese.
Qualcosa si infilava con violenza nel suo cervello. Trapanava nella poltiglia cellulare, noncurante del rosa che si lasciava dietro, e avanzava verso amigdala, ghiandola pineale, e cervelletto.
-Smettila, - borbottò senza convinzione, appoggiando una guancia bollente al freddo delle mattonelle del bagno.
Quella cosa continuò a trivellare come fosse una miniera di Tuchanka e lui fosse il suo Divoratore (magnifica, epica, scena, enormi lucertole ed enormi vermi sotto un cielo radioattivo come Chernobyl). Ma infine uscì da un suo orecchio, scivolò lungo il collo e colò sulle spalle. Destra o sinistra? Forse entrambe.
 
Qualcosa lo scuoteva. Una zona cosciente di lui pensò che ultimamente la terra tremava troppo spesso: ci sarà mica stato uno sciame sismico?
Ma quale Terra,John Shepard! Tu sei il comandante delle Stelle! Tu controlli le supernovae!
 Beh, uno starquake non era mica tanto diverso.
Quel qualcosa era notevolmente forte. Ma grazie a Dio, aveva smesso di trapanare. Probabilmente aveva trovato il filone d’oro, e si era fermato a picconare piano. In lontananza, riusciva ad avvertire le continue e ritmiche collisioni del suo cranio contro le piastrelle del bagno,ma apparivano piuttosto simili a tuoni distanti in un cielo ancora limpido. Bum. Bum. Bum. Mancavano solamente dei bei fulmini ad effetto, simpatiche scariche elettriche di un nucleo d’eezo e..
E le raffinerie volanti, l’elio 3 e la magnetosfera di Urano, Sedna, inutile pezzo di roccia, Razziatori intorno a nane brune e impulsi gamma..
 
Schiaffo.
 
-Non si danno gli schiaffi ai malati. Non si usano più certi metodi barbari. Siamo nel 2187, 8271,7218 i Prothean lo sanno.
-I Prothean?
-I Prothean.
Un’ombra indistinta gli sostava davanti, assieme ad una profonda sensazione di deja vu vibrante nell’aria umida. Non era facile da distinguere. Cercò di socchiudere gli occhi, e compì l’estremo sforzo di alzare una mano bagnata a stropicciarseli. Niente. Nebbia, una dolce e accogliente nebbia, un intero cumulonembo lo avvolgeva materno. Adorabile torpore composto da acqua vorticante e leggera.
 
Schiaffo.
 
C’era un sergente istruttore, nell’N7, che gli aveva sempre ricordato un’enorme suricata. Sì, quegli animaletti roditori della savana, che tengono deliziosamente strette le zampette tra loro, e corrono via saltellando seguiti dalla lunga coda…
…Nessuna specie senziente conosciuta ha la coda. Chissà che diavolo hanno i krogan là sotto..
Ma i Leviatani sono invertebrati.. Faranno le uova?
..Si chiamava Thor. Thor, che nome del cazzo. E non era affatto dotato di lunga chioma bionda e grandi occhi azzurri, né tantomeno di martello: era un insegnante dei biotici ed era scuro come una notte senza luna, con grandi occhi neri le cui iridi brillavano come carboni ardenti nell’humor vitreo candido.
Ed era un personaggio molto..
Le cose esplodono
 
Schiaffo.
 
C’era una donna nell’N7 aveva gli occhi grandi e grigi ma non erano come i Suoi no i suoi sono diversi lei è un’aliena lei è nata su una nave ma quella nave è esplosa e le cose esplodono ma perché ci siamo persi nell’uragano lui dov’era lui chi è lui è ancora qui è nell’acqua l’acqua è dappertutto
 
Lui non se ne andrà finché la Morte non avrà riscosso il suo tributo
 
 

The Martyr

 
 
“Andrà tutto bene”, le aveva sussurrato, rassettandole il velo blu. “Sai chi sei, sei cosciente di ciò che sei in grado di fare. E se l’Ammiraglio ha scelto anche te, un motivo c’è”.
Lei aveva deglutito, e, senza guardare l’interlocutrice in volto, aveva preso del disinfettante liquido. Nebulizzò accuratamente sui guanti blu scuro, gettando solo un’annoiata occhiata alla sua pelle grigio perla. Da qualche parte aveva letto che, un tempo, i Quarian erano più.. scuri. Ma ora, dopo tanti secoli, l’albinismo s’era sempre più diffuso.
Infilò i guanti con destrezza, e l’ultimo lembo di pelle scoperta sparì alla vista. Infine, aveva rialzato gli occhi, guardandola.
“Forse sì, hai ragione. Andrà tutto bene. “ S’era alzata dalla branda, andando a sedersi davanti al terminale del suo stanzino della Qwib  Qwib. “Ma se così non fosse? Il mio lavoro, e quello di tanti altri, andrebbe totalmente sprecato.”
L’altra donna, seduta in terra, la schiena appoggiata alla parete su cui correvano intricati cavi, la guardava senza batter ciglio. I complessi ornamenti del collo rilucevano dell’alone giallo della stanza.
“Neli, ne abbiamo già parlato. Tu vedi altre opzioni? Abbiamo già avuto più di quanto ci spettasse. Un popolo nomade!”, e così esclamando s’era alzata in piedi, gesticolando. La luce dietro la sua maschera s’era fatta più intensa. “Un popolo ramingo che si ritrova ad avere una casa, finalmente. Nel bel mezzo della guerra. E per via della furbizia di un branco di Alieni, si ritrova costretto a pagare un tributo. E quel tributo sei tu. Dovresti essere onorata di poter ringraziare chi ti ha ridato un luogo a cui tornare.”
Neli, dietro la maschera, si era morsa le labbra, e aveva sentito le proprie guance prender fuoco, mentre le belle facce rosa di un pugno di Umani prendevano forma nella sua mente, assieme alla esile, quanto famosa, figura, dell’Ammiraglio Zorah.
“Io ce l’avevo una casa. Si chiamava Rayya. Ed era una nave. Non ho mai chiesto a nessuno un pianeta. “
L’altra aveva scosso la testa, incrociando le braccia sul petto. “Sei identica a tua madre. Dovresti liberarti della sua influenza. Stare lontana dalla Flotta ti farà bene. Stare lontana da me ti farà bene. La nostra..”, aveva mormorato rabbuiandosi, intrecciando la dita, “è una relazione che non porterà mai a nulla. Lo sai.”
E la luce dietro la sua maschera s’era fatta dura, dura come pietra. Come il metallo di quel maledetto stanzino in cui si erano relegate. E in quegli occhi, c’era la Distruzione. Era la fine della gioia, dell’amore, della speranza.
Sì, qualcosa dentro di lei si era improvvisamente spezzato. Come una barra di metallo. Come un dannato osso. Non si sarebbe mai potuto risaldare.
Aveva sentito le guance inondarsi di lacrime, e la vista appannarsi dietro il vetro viola. Non si era accorta di essersi lasciata cadere sulla scrivania, e di aver nascosto l’elmo tra le braccia. Non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse passato così, obliando se stessa più di quanto non facesse quotidianamente.
E poi, come acqua fresca tra le labbra di un assetato, le mani delicate di lei erano andate verso il suo collo, e avevano iniziato a sganciare l’elmetto, la maschera. E l’aria fredda della Flotta aveva iniziato a fluire sulla pelle del suo viso.
“Chiudi gli occhi, Neli” , e lei aveva obbedito, rabbrividendo al contatto delle dita di lei sulla sua pelle. Li aveva serrati, ed era rimasta in attesa. Aveva aguzzato l’udito, sentendo altri ganci aprirsi. Sorrise senza rendersene conto, tra le lacrime che, anche dagli occhi chiusi, continuavano a sgorgare.
“Volevo vederti un’ultima volta, mia Luce.”, aveva mormorato lei, e il suo cuore aveva iniziato a battere con più violenza. Sì, che uscisse pure dal suo petto. Sarebbe rimasto lì, con lei, nella stanza di quella nave. Perché era già suo, di quella donna così crudelmente dolce, dalle dita delicate e dalla voce roca.
“Io..”
“Ssh,”e un dito nudo e caldo di lei si era posato sulle sue labbra, serrandole. “Non c’è bisogno di parlare.”
Ed era venuta vicino a lei. L’aveva abbracciata, aveva appoggiato una guancia contro la sua. Il suo respiro lento si era mescolato al suo, troppo veloce, e le formicolava sulla pelle. Neli aveva alzato le mani verso il  suo viso, accarezzandola, imprimendo ogni particolare nella sua mente. Forma del naso, degli zigomi, incavo degli occhi. L’ampio spazio della fronte. Voleva ricordarla come era. Ed in eterno, lei sarebbe stata così nella sua memoria. Calore sotto le dita, pelle morbida e misteriosi occhi luminosi.
Ed in un istante di totale sintonia, le loro labbra si sfiorarono. Prima timidamente, poi con passione. Sentì i loro respiri farsi affannosi, il suo cuore battere troppo veloce. Indistintamente, avvertiva le mani di lei sganciare segmenti della tuta, e sentiva le sue fare lo stesso, con foga, impeto, e desiderio.
All’improvviso, aprì gli occhi. E la vide di fronte a sé, guance rosse, occhi brillanti e deliziose linee luminose sulla fronte. Le labbra rosa e umide dei baci di lei.
“Io ti amo, Yula. So che c’è un altro mondo per noi, un mondo migliore. E ti aspetterò lì.”
 
 
Le ore erano corse con rapidità impressionante. Aveva infilato i suoi pochi averi in una valigia, e si era imbarcata su quella dannata nave. Con gli altri. Sì, con gli altri genietti della Flotta, il plus ultra che Zaal’Koris avesse da offrire. Il viaggio sarebbe stato lungo. “Meglio se cerchi di fare amicizia,” le aveva consigliato lei, senza troppa convinzione. “Io non ci sarò a salutarti. Non ci sarò nelle formalità militari che l’Ammiraglio vi elargirà. Non ci sarò fisicamente, ma sarò sempre con te.”
Lei aveva pianto in silenzio, dietro la maschera, mentre Koris, dopo averli fatti mettere tutti in fila nel CIC della Qwib Qwib, l’ologramma di Rannoch sullo sfondo, pronunciava un vuoto discorso su come loro rappresentassero l’onore e la speranza ultima dei Quarian.
Una pagliacciata. Una formalità inutile. Le Antiche Macchine ci uccideranno comunque.
Sentiva su di sé lo sguardo di sua madre. Ed era un macigno.
Lei..
Keelah, non aveva neppure il coraggio di ammettere a se stessa quanto la detestasse.
“Tu sei diversa”, le diceva sempre. “Sarai pure un genio del’effetto massa, ma non sei degna di essere una Quarian. Sei una dannata ribelle, e se non fossi mia figlia ti avrei già fatto espellere dalla Flotta”, e si voltava sempre in un’altra direzione, rivolgendole le spalle e il velo scarlatto, vergognosa della sua pietà e vergognosa per la condotta di Neli.
“In te manca ogni buona qualità che ci distingue dagli Alieni”, aggiungeva, stanca. Neli protestava, le urlava di non dare importanza a quelli di Fuori, che alcune variabili erano troppo numerose perché esistessero valori assoluti , ma tutto si riduceva ad un monologo delirante. In cui lo sguardo dell’altera donna era duro come metallo e gelido come ghiaccio, su di lei, in cui ardeva il fuoco.
 
Si era imbarcata, dunque. Aveva abbandonato la Flotta per la seconda, e definitiva, volta. Stavolta non avrebbe trovato università e centri di ricerca Asari in cui rifugiarsi in pellegrinaggio, non ci sarebbero state ricche e viziate matrone a cui insegnare la natura della materia.
No, si diceva mentre, stancamente appoggiata ad una parete nell’osservatorio della fregata, così piccola per i suoi gusti. Così angusta. No, sarò da sola.
Il portale, antico e solenne, si avvicinava sempre più, attraendo la nave. La sua misteriosa luce brillava, colma di misteri. Misteri che lei avrebbe dovuto svelare, passando notti insonni davanti a calcoli vecchi di eoni, col sudore che le sarebbe colato lungo il collo, come la promessa di un’inutile fatica.
Ci sarebbero stati quindici Quarian, maschi e femmine, in mezzo ad una bolgia di scienziati di tutta la Galassia, persi nel tentativo di decifrare schemi vecchi di ere. L’ultima speranza per quel ciclo.
Neli’Vael vas Rayya era diretta ai Sistemi Terminus, al Crucibolo, nascosto fra le nebbie di una nebulosa dimenticata.
 

  
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