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Autore: missohara    15/06/2013    1 recensioni
Vivere nella Nuova Generazione significa, almeno per i Weasley, crescere ascoltando ogni giorno i racconti dei genitori sulla guerra. Significa, però, sapere che tutto questo è molto, molto lontano e che niente e nessuno farà tornare in vita lord Voldemort.
Perciò si cresce, nel bene e nel male, "normali. C'è chi ha la musica nel sangue, chi vive chino sui libri perché un voto a scuola conta più di qualsiasi altra cosa. C'è chi non vuole diventare grande e si aggrappa caparbiamente ad un'infanzia che non c'è più, e chi si sente troppo adulto.
Ci sono le storie d'amore che dovrebbero durare in eterno ma che si sgretolano con poco, le amicizie che si consolidano negli anni o che evaporano perché, alla fine, erano meno importanti di quanto si pensasse. E c'è la famiglia, onnipresente, a volte ingombrante, a volte maledettamente fantastica.
Beh... spero vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Prologo

Prologo

“Come facciamo, ad Hogwarts?”, sbuffò Roxanne per l’ennesima volta, accigliata.

 Portava i capelli  raccolti in una coda disordinata ed alcune ciocche brune le ricadevano sul viso lungo e spigoloso.

Aveva un’aria vagamente truce, e teneva la bacchetta in verticale, puntata contro la propria batteria.

Gli altri tre ragazzi che erano con lei nella stanza non sembravano meno assorti.

Lucy Weasley aveva morbidi capelli della sfumatura precisa delle carote, che le incorniciavano un viso da coniglio, dandole un’aria buffa e spiritosa. I grandi occhi scuri erano sempre pronti a brillare per qualsiasi cosa ed in quel momento non mancavano di risplendere. Imbracciava un basso, che lei si era prodigata a colorare con un incanto arcobaleno, che lo rendeva cangiante.

Lucy sorrideva sempre. Il suo sorriso, accompagnato da un velo di burrocacao, l’aveva resa stranamente popolare, ad Hogwarts. Non perché fosse bella, o particolarmente intelligente. Era semplicemente dotata di una schietta simpatia che piaceva a tantissime persone e con quella sua bontà ingenua e l’immancabile lealtà, era una perfetta Tassorosso.

Nell’angolo più discosto e buio della stanza stava Dominique.

Aveva lunghi capelli biondo scuro e grandi occhi chiari e pareva  triste, eppure se la si fosse guardata con attenzione, si sarebbe potuto scorgere un ché di indomito e di selvatico nei grandi occhi turchini della ragazza.

Dominique faceva scorrere le mani sopra ai tasti di una pianola ed aveva tutta l’aria di non gradire affatto lo strumento.

Lei amava il suo pianoforte, posizionato nel salotto di villa conchiglia. Quel gioiellino d’ebano, regalo di zia Gabrielle per i suoi quattordici anni, era stato negli ultimi anni una delle sue ragioni di vita.

Infine c’era Teddy. Alto, coi capelli turchesi e l’aria da matto, era l’unico ragazzo del gruppo.

La sua chitarra era pericolosamente in bilico  su un suo ginocchio  e sarebbe potuta cadere da un momento all’altro.

Teddy sembrava incurante del mondo circostante. Accarezzava le corde della chitarra con aria distratta, come se quel che gli stesse attorno fosse irrilevante e di poco conto.

“Allora, ragazzi, come facciamo ad Hogwarts?”, ripeté Roxanne, con un cipiglio molto simile a quello di zio Percy.

“Non lo so, Xanne. Dovremo trovarci un chitarrista, suppongo.”, rispose Lucy.

“Questo l’avevo capito benissimo da sola, grazie.”

“Ma chi? Voglio dire, quanti ragazzi ad Hogwarts sanno suonare la chitarra?”, chiese la mora.

“Non lo so. E poi, comunque, abbiamo fatto a meno di Teddy e della musica per tutti questi anni.”, sentenziò Lucy.

Sapeva che quella frase era inutile.

Nonostante suonassero insieme da quando lei aveva dodici anni, la musica quell’estate era diventata per tutti qualcosa di importante, non più un gioco.

Dominique, nonostante suonasse con loro a malincuore, si era sentita spesso felice davanti alla pianola di cui parlava sempre male, a riarrangiare un pezzo di rock ‘n roll del passato, invece che affannarsi sulle complesse scale armoniche di una qualche sinfonia.

 

Eppure lei credeva nella musica classica e sapeva che non era quello, il suo posto.

Lei era fatta per suonare in una stanza per ore, da sola, fino a farsi venire gli occhi rossi fissando le note di uno spartito.

Lucy adorava la musica. Nonostante come bassista non fosse esattamente talentuosa, amava l’elettricità che le dava una bella canzone, la voce di un cantante che le giungeva diritta al cuore e la sensazione magica di mettere un album su uno stereo.

Roxanne si divertiva. Di tutti loro era la meno portata, la più anarchica, semplicemente la matta. Non era fatta per la musica perché richiedeva costanza, dedizione, impegno. E lei non si applicava davvero a nulla con determinazione.

Eppure puntare la Bacchetta magica sui piatti della batteria seguendo il ritmo che aveva dentro la testa, la faceva stare meglio.

Lei usava la musica per scaricare la tensione, da quando a cinque anni sbatteva ritmicamente due pentole, godendo del rumore stonato che producevano.

E Teddy… Teddy aveva ricevuto una chitarra quando aveva dieci anni.

Era una vecchia chitarra, appartenuta a Sirius.

Gliel’aveva data Harry con un’alzata di spalle, dicendo: “Io non so che farmene, tienila tu.”.

Il suo padrino gliel’aveva data con noncuranza, senza sapere che quel giorno Teddy aveva smesso di essere un bambino.

Quella chitarra era stata la compagna di un’adolescenza.

Ogni batticuore per Victoire diventava una canzone imparata nella speranza di dedicargliela, cosa che puntualmente non faceva.

Quando i suoi genitori gli mancavano gli bastava posizionarsi su un tronco, scrutare il cielo e suonare.

Puntualmente la nostalgia era, se non svanita, quantomeno alleviata.

Teddy studiava per diventare Auror. Sua nonna gli aveva ripetuto fino alla nausea quanto fosse stata coraggiosa sua madre nel diventare Auror e quanto fosse brillante, nonostante la sua imbranataggine.

Per Teddy era stato quasi automatico scegliere l’Accademia per Auror.

Eppure non era mai stato sicuro se salvare il mondo fosse o no la sua missione.

Sapeva solo per certo che quando apriva la custodia della chitarra ed iniziava a suonare tutto ciò che lo circondava era meno brutto del solito.

In quel momento, sulla soglia si stagliò una donna minuta, dai capelli un tempo castani, raccolti in una crocchia approssimativa.

Ad Andromeda Black, diventata poi signora Tonks, il sorriso non si era mai sciupato per un attimo.

Era una donna dolce ed intraprendente, e per lei l’amore  per Teddy era stato più forte del dolore per la perdita della figlia, del marito e del genero.

In Teddy rivedeva tutti e tre i suoi cari.

Era imbranato e confusionario come Dora, ma in lui erano spiccate la gentilezza, la premura ed i modi di fare di Remus. Andromeda sospettava che avesse ereditato da suo padre una vena un po’ tragica e pessimista.

Nonostante non fosse un Licantropo, Teddy era ossessionato dal pensiero di essere inadeguato.

Prima di dichiararsi a Victoire c’erano voluti anni di “Ti amo, Vic.” Detti allo specchio prima, a Dominique poi.

Andromeda rivedeva in lui anche la bontà smisurata del nonno.

Teddy era un ragazzo buono, sempre pronto ad aiutare chiunque.

“Ragazzi, vi ho portato dei biscotti! Mi spaventate il gatto, comunque, con la batteria ed il basso. Credo abbia tentato la fuga in solaio. Molly mi ha detto di dirvi che ci aspetta tutti a cena per le sette. Grande rimpatriata familiare!”, esclamò Andromeda porgendo ai ragazzi un piatto di porcellana decorato con un motivo di fiorellini celesti pieno di biscotti.

Lucy, Roxanne e Ted si avventarono sui dolci. Dominique si ricordò di sorridere dolcemente ad Andromeda e di dire, sbattendo le ciglia:

“Grazie, signora Tonks.”

L’essere per un ottavo Veela le aveva regalato dei modi di fare cortesi ed impeccabili del tutto spontanei in lei.

Roxanne inarcò le sopracciglia, con la bocca piena di dolci:

“Nique, ma fucini tfoi Tana non ci sono, fvevo?”, domandò sputacchiando biscotti alla cannella.

“Ripeta, scusi,  Sua Maestà.”, la pregò Dominique.

“I tuoi cugini… Voglio dire,  le figlie di Gabrielle e Charles se ne sono già tornate in Provenza, veroverovero?  Non potrei sopportare Charles per un minuto ancora.”, chiese con voce supplichevole Roxanne.

Charles de la Croix era il figlio del fratello del marito di Gabrielle Delacour, in visita con le due figlie, Cécile e Brianne, coetanee di Lily.

Nessuno aveva ben capito perché Charles quell’estate fosse andato in Inghilterra con gli zii.

Questi parlava un inglese tremendo, aveva dei modi di fare da attore del cinema di serie A e la bellezza, a dire di Roxanne, di una piantina di Puzzalinfa.

E, appunto, faceva una corte serrata alla bella Weasley da circa tre settimane.

“Aehm, Xanne… Ho sentito maman e tante Gabrielle parlarne ieri  sera. Lui, insieme a Cécile e Brianne, verrà ad Hogwarts quest’anno. È per questo che è venuto in Inghilterra questo mese, per conoscerci e per migliorare un tantino il suo inglese. Tante Gabrielle dice che vuole che le figlie e Charles facciano esperienze all’estero.”, concluse la biondina in tono mesto.

 

“Stai scherzando? Io non lo voglio, quel coso tra i piedi per tutto l’anno!”, strillò istericamente Roxanne.

“Eddai cuginetta, perlomeno di notte ti lascerà in pace!”, scherzò Lucy.

“Io muoio, quest’anno! Non lo voglio, quel tipo! E poi non sono neanche sicura che sappia sventolare una Bacchetta…”, asserì la mora facendo ridere gli amici.

“Dai, magari finirà anche lui a Grifondoro!”, la prese in giro Teddy.

”Quello finirà in Gorgosprizzo Marrone, una casa creata apposta per lui!”, squittì acida lei.

Calò il silenzio per un po’.

Fu Dominique a spezzarlo:

“Mettiamo via gli strumenti, è meglio. Dovremo andare alla Tana fra poco.”

Seguì un po’ di tramestio. Dominique fece evanescere la propria pianola, Lucy ripose il basso nella custodia e la batteria di Roxanne raggiunse dimensioni tali da poterla mettere in tasca.

“Vado a portare la chitarra in camera.  Aspettatemi!”, esclamò Teddy correndo di là.

**

La camera di Teddy Lupin era un incrocio fra una biblioteca, un museo ed una normale camera di adolescente.

Da Remus, oltre alla pacatezza, aveva ereditato la passione per la lettura.

 

Su degli scaffali alquanto pericolanti stavano, in un meticoloso disordine, libri di autori magici e Babbani: saggi, libri di storia, romanzi, libri per bambini.

Teddy aveva, sul pavimento, accatastati cimeli di famiglia d’ogni genere.

Non che fossero veri e propri cimeli, ma a lui piaceva pensarli tali. Scatole strabordanti fotografie di suo padre con i Malandrini, Lily ed Harry, di sua madre bimba, coi capelli coloratissimi ed un cono gelato mezzo spalmato sulla faccia e poi dei suoi genitori insieme, raffigurati in fotografie che testimoniavano la loro felicità effimera.

E prima ancora, aveva album pesanti di carta pregiata, che aveva scovato con Dominique nella vecchia cantina di Andromeda. Album che rafiguravano sua nonna bambina e adolescente, con Bellatrix, che sembrava crudele già allora e l’algida e smorfiosa Narcissa.

E poi, aveva ricordi. I giocattoli di sua madre erano impilati in una cassettina di legno in un angolo ed i libri di scuola di Remus giacevano sotto al letto, coperti da uno spesso strato di polvere.

Aveva persino un vecchissimo poster della squadra di calcio di Liverpool, appartenuto a suo nonno Ted ed ora arrotolato in un vano fra il letto ed il comodino.

Perciò, non c’era da stupirsi che per lui cercare una cosa fosse un’impresa degna di Ulisse, Enea o Silente.

Cercava quella scatolina argentata da circa venti minuti. Aveva smosso l’intera camera, ritrovando persino le forbici da giardinaggio di sua nonna che, per qualche strano motivo, erano finite lì e la scatola contenente i denti da latte di Lily, che lei gli aveva affidato qualche anno prima.

Ma quello che cercava non c’era proprio.

Dio, che razza di persona era? Quella scatolina valeva quanto metà delle cose presenti in quella stanza… Dio, Dio, Dio.

Invocando mentalmente Merlino, John Lennon, Maometto, Zeus e qualsiasi Dio, si mise a svuotare  il cassetto della sua scrivania.

“Teddy… Che cosa fai?”, sentì una voce esitante che lo chiamava.

Si voltò di scatto.

Dominique Weasley si stagliava sulla porta, l’aria perplessa ed intenerita.

“Niente… Mettevo a posto la chitarra, mi sembra ovvio!”, esclamò.

“Anche a me sembra ovvio che tu spostando la chitarra debba svuotare due cassetti e mettere a soqquadro un armadio!”, esclamò lei sarcastica.

“Um, sì… Già, forse…”, balbettò Teddy imbarazzato.

“Che stai cercando di fare? Di trasformare la tua stanza in un campo di concentramento in pochi minuti? Missione quasi compiuta!”, esclamò la biondina con le braccia incrociate.

Dominique Weasley era, solitamente, la persona più dolce, timida, introversa e schiva dell’universo. Dotata di un’ipersensibilità cronica e di una volubilità allucinante, era pressoché impossibile diventare sua amica.

Eppure Teddy Lupin la conosceva meglio di chiunque, a parte forse sua sorella Victoire e sua madre, e le sapeva leggere dentro.

Lei con lui non aveva paura, non ne aveva mai avuta. Lui era abituato ai suoi sbalzi d’umore, al suo modo di chiudersi a riccio in svariate situazioni ed ai  suoi silenzi.

“Stocercandolascatolinachecontienel’anellodifidanzamentoperVictoire e intendochiederledisposarmistaseradavantiatutti.”, disse tutto d’un fiato.

“Eh?”, chiese Dominique che del discorso aveva carpito solo il nome della sorella.

“Voglio chiedere a Victoire di sposarmi, e ho l’anello!”, ripeté Teddy.

Crack. Qualcosa dentro a Dominique si era rotto per l’ennesima volta.

Un pezzo di cuore le si era spezzato di colpo.

Quello che temeva fin dall’infanzia era successo. Teddy e Victoire si sarebbero sposati, lasciandola per sempre da sola.

Teddy aveva scelto Victoire, così bella, solare, trasparente.

Era uguale a tutti gli altri e per quanto le fosse stato vicino in tutti quegli anni, aveva scelto Victoire. Come tutti, del resto.

In fondo, lei l’aveva sempre saputo fin da quando Teddy regalava a sua sorella le ghirlande di margherite, quando tutti e tre erano troppo piccoli per pensare davvero all’amore.

Nel corso degli anni Dominique aveva ascoltato mille volte l’amico che, nonostante fosse di qualche anno più grande di lei, la usava come confidente privilegiata e le raccontava dei sentimenti confusi eppure molto forti che provava per la sorella.

E Dominique l’aveva aiutato, spronato, incoraggiato a dichiararsi a Victoire e poco importava che dentro di lei qualcosa si stesse incrinando.

Perciò anche quella volta fece buon viso  a cattivo gioco e gli sorrise.

“Non hai mai pensato di evocarla? L’Incantesimo di Appello, non so se hai presente.”, chiese ironica lei, ignorando le lacrime che stavano per salirle agli occhi.

“Giusto… Non ci avevo pensato!”, esclamò lui rivolgendole un sorriso troppo ampio.

“Accio Anello!”, esclamò poi puntando la Bacchetta.

La scatolina argentata emerse fluttuando. Era nascosta sotto ad una pila di vestiti più o meno puliti, fra le pagine di un numero del Cavillo risalente alla Seconda Guerra Magica.

“Sei incredibile, Teddy.”, sentenziò l’amica.

Uscirono da casa Tonks e si smaterializzarono alla Tana.

**

La Tana, nonostante avesse lo stesso aspetto pericolante e bizzarro di un tempo, era molto diversa all’interno.

Le stanze dei ragazzi erano da tempo vuote e disabitate.

Perciò si erano trasformate all’occorrenza in depositi di vari oggetti o sale giochi. Tutti i bambini Weasley e Teddy avevano ricordi di fantastici pomeriggi alla Tana passati a giocare insieme in una delle tante camere vuote, nascondendosi nei grandi armadi o fingendosi fantasmi per aggirarsi in soffitta.

Ora che di bambini in casa Weasley non ce n’erano, i ragazzi si radunavano in piccoli gruppi per chiacchierare, avendo un po’ di privacy.

Roxanne, Molly, Lucy, Lily, Rose e Victoire erano sedute per terra, nell’ex camera di zio Ron.

All’appello mancava solo Dominique, misteriosamente volatilizzatasi con Teddy.

Cécile e Brianne, non essendo esattamente membri del clan Weasley, erano state non molto carinamente abbandonate in cucina ed erano state sequestrate per aiutare ad apparecchiare la tavola.

Gli argomenti di conversazione vertevano, chiaramente, sull’imminente nuovo anno scolastico.

“Ma come fai a non impensierirti per i M.A.G.O, Xanne? Voglio dire. Io ho i G.U.F.O e sto già studiando…”, chiese Rose nervosamente.

“È che tu hai i geni di Hermione Granger in corpo. Non è colpa tua, credimi. Io, invece, non ho cromosomi secchioni, perciò sono molto tranquilla.”, scherzò la bruna.

“I M.A.G.O sono una passeggiata, state tranquille.”, commentò Victoire scrollando appena le spalle.

Bill, ai suoi tempi, era stato Caposcuola ed aveva finito Hogwarts con dei M.A.G.O eccellenti. Tutti e tre i suoi figli erano alunni brillanti.

Victoire a scuola era ineccepibile e sembrava non dover studiare mai e non avere nessun problema di ansia.

“Che bello, mi mancano ancora tanti anni prima di avere un esame serio.”, gongolò Lily, acquattata in un angolo.

Dimostrava meno dei suoi dodici anni, la piccola Potter.

Era terribilmente minuta ed aveva un’aria da bimba, che lei non faceva che accentuare con due buffi codini ai lati della testa, che le conferivano un’aria sbarazzina.

Aveva grandi occhi nocciola da gatta ed uno sguardo tremendamente furbo.

Cresciuta con due fratelli più grandi, era presto diventata un maschiaccio a tutti gli effetti. Era la più brava di loro tre a Quidditch ed in cuor suo sperava di diventare Portiere quell’anno.

Albus, James ed Hugo non facevano che ripeterle che uno scricciolo di dodici anni non poteva parare nessuna Pluffa, ma la piccola Potter era ostinata e caparbia.

“Un po’ ti invidio, Lily. Però essere più grandi è bello, fidati. Hai tante amicizie, i ragazzi non ti considerano una bimba e puoi diventare popolare.”, spiegò Roxanne.

“E poi quando studi impari moltissime cose nuove.”, aggiunse Molly che si beccò un’occhiataccia da Lucy.

“Oppure incontri il principe arcobaleno, come qualcuno in questione.”, Roxanne stuzzicò Victoire, che alzò lo sguardo.

Le cugine Weasley avevano sempre chiamato Teddy il principe arcobaleno, per i molteplici colori di capelli che poteva assumere.

“Il principe arcobaleno non vuole regalarmi un castello, però.”, mormorò mestamente Victoire arrotolandosi una ciocca bionda fra le dita.

Tutte sapevano di cosa parlasse.

Nonostante le mille promesse e i tanti anni di fidanzamento fra loro, lui non si era mai deciso a chiederle di vivere insieme.

Voleva aspettare di finire l’Accademia e di diventare Auror a tutti gli effetti.

Non voleva portare Victoire in uno squallido e minuscolo appartamento di Londra.

Per lei desiderava se non un castello, perlomeno una sistemazione confortevole e rispettabile.

Victoire un po’ ci stava male, anche se faceva finta di niente.

“Vedrai che presto Teddy finirà gli studi e vivrete insieme.”, la rassicurò Rose aprendo finalmente bocca.

In quel momento si affacciò nella stanza la figura esile di Dominique.

“Ragazze, è pronta la cena. Ma cosa vi è saltato in mente di abbandonare Cécile e Brianne in cucina?”, le rimproverò stizzita.

“Scusaci, è che non abbiamo minimamente voglia di far ascoltare le nostre chiacchere a quelle lì.”, si giustificò Roxanne.

Scesero tutte insieme per le scale pericolanti.

Nella cucina della Tana trovarono tutte le donne di casa affaccendate ai fornelli.

Molly, nonostante l’età, si muoveva con una certa agilità fra tegami e ciotole, infornando a tempo di record un’ampia torta.

Ginny teneva i capelli raccolti in un morbido nodo e tagliava le verdure guidando il coltello con la magia.

Hermione, invece, controllava meticolosa che la ricetta del nuovo piatto francese che stava preparando fosse stata eseguita alla perfezione.

Da quando Cécile, Brianne e Charles erano venuti a stare da loro, la riccia aveva colto l’occasione per sperimentare la gastronomia del paese oltre la manica, fino ad ora con risultati che piacevano a tutti, meno a Ron che arricciava il naso e si produceva in mille smorfie.

Fleur rimestava dentro ad una grande insalatiera, mentre Angelina ed Audrey apparecchiavano.

Cécile e Brianne si muovevano qua e là, spaesate e mute.

Nonostante fossero parenti di Fleur e Gabrielle, non erano particolarmente belle.

Erano bionde e pallide ed avevano i grandi occhi di luna delle Delacour. Eppure se confrontate con Victoire o Dominique, erano piuttosto insignificanti e goffe.

Non erano particolarmente allegre. Parlavano soprattutto fra loro, bisbigliando e scambiandosi moltissime occhiate.

Con gli altri erano di una timidezza allarmante e nonostante Hugo, Louis e Lily facessero di tutto per parlarci, loro erano piuttosto schive.

Rose si avvicinò loro sorridendo.

“Preparato i bauli, ragazze?”, chiese affabile.

Loro annuirono, con un unico  e sincronizzato gesto della testa.

“Immagino sarete nervose. Scuola nuova, amici nuovi. Noi siamo con voi, Lily ed Hugo hanno la vostra età e se doveste finire a Grifondoro non avrete problemi. A Corvonero ci siamo io e Dominique, a Tassorosso Louis e Lucy. Quanto agli altri sono a Grifondoro! Se finite a Serpeverde non preoccupatevi. La cattiva nomea di quella casa se n’è praticamente andata da anni!”, disse in un fiato.

Rose Weasley era figlia di due logorroici. Hermione era un’insopportabile so tutto io che non stava mai zitta e Ron, superata la timidezza, riusciva a parlare per ore.

Perciò non c’era da stupirsi che Rose fosse una macchina da guerra con le parole. I suoi amici minacciavano di spegnerla o di abbandonarla nei sotterranei per un po’, quando desideravano un momento di tregua.

Cécile e Brianne, che di quel discorso avevano capito ben poco, sgranarono gli occhi e non dissero niente.

“E non preoccupatevi per l’inglese! Lo parlate già abbastanza bene, ma anche se aveste problemi saprete farvi capire! E poi ci siamo noi, e Dominique e Louis il francese lo parlano!”, continuò imperterrita Rose.

“Rose?”, Lily le diede un colpetto gentile sulla spalla.

“Puoi stare zitta? Le terrorizzi, temo. E poi capiscono la metà di ciò che stai dicendo. Parli tremendamente veloce, e l’inglese lo comprendono male.”, le mormorò la cuginetta.

**

“Non cominciate con le solite battaglie di tavoli!”, sbuffò Percy stizzito.

Bill e Charlie, nonostante gli anni, quando si rivedevano dopo molto tempo erano ancora bambini.

Il secondogenito di casa Weasley viaggiava per lavoro nei paesi dell’Europa dell’Est da molto tempo, e solo di rado tornava alla Tana per qualche breve visita.

Quando ciò succedeva, lui e Bill si davano alla pazza gioia, mettendo completamente a soqquadro il giardino.

Ora come ora stavano, come di consueto, facendo scontrare i loro tavoli.

Quello di Bill era zoppo, mentre quello di Charlie si agitava disperatamente a mezz’aria ed era capovolto.

Percy li osservava stizzito da dietro il Profeta, mentre i ragazzi facevano il tifo.

Fred, Hugo e Louis avevano un’autentica adorazione per Charlie.

Adoravano quello zio mezzo matto che quando tornava in Inghilterra raccontava loro storie avventurose ed impressionanti, esibendo cicatrici e tagli per confermare la veridicità dei suoi racconti.

Quand’erano bambini per loro tre era sempre una festa sedersi sulle ginocchia di Charlie e farsi raccontare di draghi da catturare, di inseguimenti e di morsi quasi letali.

Hermione e Molly, inutile a dirsi, disapprovavano che dei bambini dovessero ascoltare racconti così pieni di orrore.

La piccola Rose aveva avuto incubi per una settimana, quando per caso aveva ascoltato di un drago che aveva inseguito Charlie per mezza Romania.

Charlie si giustificava sempre dicendo che dopo tutti i racconti sulla guerra che avevano narrato loro Harry, Ron, Hermione e gli altri le sue storie di draghi erano bazzecole.

Hermione si mordeva la lingua e taceva, a quel punto.

 

Il tavolo di Bill atterrò con un tonfo, privato di un’altra gamba.

“Mi devi dieci Galeoni, Albus!”, strillò James tutto contento.

“Ed io che speravo vincesse Bill… Ma Charlie ha i riflessi allenati da draghi e Quidditch!”, ammise il secondogenito di casa Potter, passandogli i soldi.

In quel momento apparvero le donne, pronte ad apparecchiare ed a disporre il cibo in tavola.

In un batter d’occhio, fu tutto pronto.

Teddy si era seduto accanto alla sua ragazza.

Victoire aveva notato il suo nervosismo.

E ra pallido e giocherellava con il cibo nel piatto e quando si erano visti l’aveva salutata con un bacio assolutamente distratto.

“Qualcosa non va?”, gli chiese lei.

“N-Niente. Sto a meraviglia!”, esclamò lui con un tono di voce ed una faccia che dimostravano il contrario.

La scatolina nella sua tasca sembrava rovente e terribilmente pesante.

Sapeva che doveva chiedere a Victoire di sposarlo davanti a tutti. Forse era un gesto all’antica, ma a lui piaceva così. Voleva che tutti vedessero la luce nei loro occhi, i loro sorrisi, quel bacio tanto importante che si sarebbero scambiati.

L’ipotesi che lei gli dicesse di no non era contemplata.

Cercò gli occhi di Dominique, seduta dopo Victoire.

Lei pareva stranamente concentrata sull’arrosto e non alzò lo sguardo dal piatto.

Allora cercò lo sguardo di Harry, che in teoria era l’unico a sapere delle sue intenzioni.

In pratica James aveva origliato la conversazione fra lui ed il padrino e l’aveva riferita a Lily e Albus, e di conseguenza lo sapevano pure Rose, Hugo e forse anche gli altri cugini.

Teddy incrociò i suoi occhi, e di colpo si sentì più tranquillo.

Il suo padrino gli sarebbe stato sempre vicino.

Dopo nonna Meda e Victoire, lui occupava un posto speciale nel suo cuore.

Non era riuscito a riempire del tutto il vuoto che gli procurava la nostalgia dei genitori, era ovvio.

Ma per Teddy Harry era stata la cosa più simile ad un padre che potesse trovare.

Un porto sicuro, un’ancora di salvezza, una persona a cui andare a raccontare tutte le sue sconfitte, le sue gioie, i suoi desideri.

E quando era arrivato James Teddy non era stato geloso nemmeno per un attimo.

Aveva deciso che lui gli avrebbe fatto da fratello maggiore, e così era stato anche con Albus ed in particolare con Lily.

Quando era arrivata la piccola Potter lui aveva dieci anni.

Si era messo in testa di proteggerla da qualsiasi cosa, anche dai temporali che le facevano tanta paura.

Ed ora che la cuginetta era a scuola un po’ si preoccupava di non esserle vicino, ma sapeva che era circondata dai cugini e dai fratelli.

Toccò ancora una volta la scatolina attraverso la tasca dei jeans.

Guardò tutta la sua famiglia attorno a lui.

La nonna, che era arrivata da casa appena in tempo per la cena, ora chiacchierava amabilmente con Arthur e Molly.

E poi tutti gli altri, ragazzi ed adulti. Una distesa di teste rosse, bionde e brune.

Voleva loro un gran bene. Erano tutti un po’ matti, con quelle piccole ed innocenti stramberie che caratterizzano ogni persona.

E  lo era anche lui, in fondo.

Aspettò che arrivasse una pausa fra le portate,  e batté esitante col cucchiaio sul bicchiere.

Incrociò lo sguardo azzurro scuro di Dominique, che gli aveva lanciato un’occhiata incoraggiante.

Guardò un’ultima volta Victoire. Così bella, spensierata, dolce.

Sarebbe potuta essere sua, sua per sempre.

“Teddy, non stai andando al patibolo.”, disse una vocina dentro di lui.

Si alzò, con le gambe di zucchero filato. Notò distrattamente che attorno a lui era sceso un silenzio perplesso.

Si schiarì la gola.

“Beh… Aehm… Questa è l’ultima volta che ci vedremo per alcuni mesi. Domani è il 1° di settembre ed i ragazzi partiranno per Hogwarts.”, iniziò a dire.

Era un discorso dannatamente formale, ne era consapevole.

Non sapeva più come andare avanti. Gli morirono i  preliminari in gola.

Si inginocchiò sull’erba, cercando gli occhi di Victoire.

Si sentiva un cretino, un dannato cretino.

Il cuore gli accelerò in petto, mentre sfilava la scatolina argentata dalla tasca e la apriva.

“Victoire… Mi vuoi sposare?”, chiese a bruciapelo.

Per qualche secondo, tutto restò sospeso in una bolla esterrefatta di silenzio.

Victoire era incredula, ancora un po’ spiazzata dalla domanda improvvisa.

Gli altri aspettavano, trattenendo il fiato, la risposta della ragazza.

Lei alla fine annuì. Il groppo alla gola era davvero troppo stretto perché riuscisse a parlare.

Sia lei sia Teddy avevano gli occhi lucidi.

“Embè? Il bacio?”, chiese Hugo spezzando di colpo l’atmosfera un po’ fatata di quel momento.

Tutti risero, tranne Rose, Lily ed Hermione che lo fulminarono con identiche occhiatacce.

Teddy sfiorò con le proprie labbra quelle di Victoire, in un bacio molto delicato.

“Oh, Teddy…”, mormorò Victoire fra le lacrime di commozione.

Lui le infilò con dolcezza l’anello al dito, fra gli applausi generali.

Molly piangeva, per quei due ragazzi e per quel loro amore appena nato.

Andromeda, da brava Black, sorrideva composta ed andò subito ad abbracciare Victoire. Sarebbe stata una buona nuora, lo sapeva.

Dominique raccolse tutto il proprio coraggio ed andò ad abbracciare sua sorella ed il suo migliore amico.

“Io non ti faccio da damigella neanche morta, sia ben chiaro!”, esclamò gettando le braccia al collo di Victoire.

“No, tu suonerai in chiesa davanti a tutti!”, la prese in giro Teddy.

Sarebbero stati una coppia stupenda, Dominique ne era certa.

Un’altra persona non sorrideva radiosa al tavolo: Lily Potter.

Non era brava a mascherare le proprie emozioni come Dominique.

Se ne stava seduta in disparte, con gli occhi bui e l’aria triste.

Aveva incrociato gambe e braccia e fissava furente un bicchiere.

Quando, a nove anni, aveva scoperto che Vic e Teddy stavano insieme, aveva ridotto la propria stanza in un disordine da campo profughi.

Tutta la sua rabbia si era mutata in magia e tutti gli oggetti si erano sparpagliati in autonomia per la stanza.

Era sempre stata precoce. I suoi fratelli si limitavano a fare qualche piccola magia.

Lei no. Ogni emozione che provava comportava un oggetto rotto, un bicchiere rovesciato o qualche fenomeno insolito.

Aveva persino fatto levitare la Tana, un giorno in cui era furiosa con Albus e James.

I suoi genitori a volte avevano paura che potesse diventare un problema.

Ad undici anni aveva varcato la soglia di Hogwarts con l’assoluta convinzione che lì, fra  bacchette scintillanti e calderoni, sarebbe stata felice e soprattutto  sarebbe riuscita a controllare quella gran quantità di magia che le scorreva dentro.

Eppure quella sera la rabbia che le scorreva nelle vene aveva fatto esplodere un bicchiere.

Non voleva che Teddy se ne andasse.

Avrebbe sposato Victoire, avrebbero avuto dei figli.

E lui si sarebbe dimenticato di lei. Non l’avrebbe più portata ovunque, non l’avrebbe più riempita di regali e di dolci.

Non l’avrebbe più aiutata coi compiti e non l’avrebbe più chiamata mostro.

Lei sarebbe diventata una delle tante testoline rosse che avrebbe ignorato, concentrandosi unicamente  su Victoire.

“E tu non vieni ad abbracciare Teddy e Vic? Suvvia, Lily, togliti quel broncio!”, esclamò sua madre prendendola per un braccio.

No che non voleva abbracciare Teddy e dirgli quanto fosse felice. Lei non voleva mentire.

Sperò di incrociare i begli occhi di suo padre. Lui la capiva sempre e sapeva leggere dietro ai suoi musi lunghi.

Eppure Harry, come tutti, era accalcato attorno ai due futuri sposi.

Dio, che rabbia.

 

Però incrociò due occhi scuri, sottilmente divertiti.

Suo fratello James le si era fatto incontro, con uno sguardo di cristallina ironia.

 

“Dispiace tanto anche a me, sai? Teddy è mio fratello e Victoire mi sta anche antipatica. Con quei suoi capelli lunghi, l’accento francese che ostenta da morire e l’aria da dea.”, confessò il fratello.

“Chissenefrega, James. Io non voglio abbracciarlo e dirgli quanto sono felice.”, piagnucolò Lily, con fare capriccioso.

“Non frignare come una bambina, adesso. Compirai tredici anni ad ottobre. Lo vuoi capire che per Teddy Victoire è maledettamente importante? Non lo so se vuole più bene a lei o a noi. Ma noi siamo suoi fratelli, e qualunque cosa decida di fare noi saremo con lui! Perciò ora tu la pianti di fare la bimbetta piagnucolosa e con il muco che cola dal naso e vieni con me. Sorridi a Teddy e lo abbracci. Costa anche a me un grande sforzo sapere che non sarà più solo nostro fratello, ma va fatto.”, finì di dire James tutto d’un fiato.

Non era da lui fare quei discorsi. Era uno sbruffone, immaturo per i suoi sedici anni. Eppure in quel momento si era comportato da vero fratello maggiore.

Certo, non aveva brillato per tenerezza, ma sapeva di aver spronato Lily.

Quest’ultima replicò, stupidamente:

“Io non ho il muco che cola dal naso, sia ben chiaro.”, ma lo seguì senza opporre resistenza.

Gettò le braccia al collo di Teddy e gli sorrise.

Il ragazzo, che doveva aver capito qualcosa, si tenne la piccola Potter accanto a sé per tutta la serata.

**

Da che ne aveva memoria, Victoire aveva sempre diviso la camera a Villa Conchiglia con la sorella.

Erano entrambe estremamente ordinate.

Da un lato c’erano i trucchi ed i vestiti di Victoire.

Da quando da bambina giocava a travestire se stessa e la sorella, aveva scoperto che la sua unica e vera passione fosse la moda.

Lavorava come disegnatrice per una stilista Babbana  di Manchester semisconosciuta al mondo.

Dall’altro lato, c’erano i pennelli, i vasetti di colori e gli spartiti di Dominique. Perché lei, oltre a suonare il piano, dipingeva.

Non amava raffigurare le persone. Preferiva dipingere ambienti, oggetti o animali.

Aveva uno stile tutto suo, fatto di sfumature tenui e di disegni dolci, delicati e tremendamente femminili.

Ognuna delle due sorelle teneva le proprie passioni in un angolo della camera e stavano bene insieme.

Non litigavano spesso, a parte qualche normale battibecco.

Fra di loro c’era una confidenza spontanea ed allegra, fatta di chiacchere quotidiane e di tanti momenti condivisi.

Quella sera erano entrambe sdraiate a letto.

Victoire sfogliava una rivista, incapace di prendere sonno.

Voleva stare a casa, quella notte.

Chissà perché, non voleva passare la notte da Teddy.

Voleva gustarsi quella felicità nuova ed improvvisa da sola o con sua sorella, che le sorrideva dal cuscino accanto.

Era strana, Victoire.

Quando provava un’emozione forte avvertiva il desiderio immediato di stare da sola e sfogare la sua gioia o la sua tristezza per poi ricomparire fresca e tranquilla come sempre.

 

Dominique le sorrideva davvero. In fondo, era felice per Teddy e Victoire.

“Hai già deciso la data? Ed il colore del vestito? L’acconciatura? I pasticcini da servire a fine cenone?”, chiese ridendo la piccola Weasley.

“Scema… Neanche tre ore fa ho saputo che diventerò la signora Lupin, come vuoi che abbia deciso i pasticcini?”, rise la sorella.

“Non si sa mai, conoscendoti. Piuttosto, ti ricorderai di scrivermi una volta ogni tre settimane, quando sarò a scuola?”, chiese speranzosa la biondina.

Le lettere della sorella le tenevano compagnia da sempre. Fra loro due c’era un’alchimia speciale.

Nonostante Victoire fin da bambina fosse da sempre la privilegiata, quella dannatamente bella, giudiziosa, solare eccetera, fra loro non era mai cambiato niente.

Erano sorelle, come sempre.

“Ti scriverò, quest’anno, te lo prometto. Mi devi aiutare coi preparativi del matrimonio a distanza, tu. Sei l’artista di famiglia, e mi darai una mano.”, decretò Victoire.

“Va bene, padrona.”, rise la minore.

“E tu, invece? Ti deciderai a staccarti dai tuoi disegni e dal pianoforte per guardare l’universo? Ogni tanto sei impossibile, sai. Non hai un’amica che non sia una tua cugina, non guardi i ragazzi… Seriamente, Domi, rischi di rovinarti l’adolescenza.”, la rimproverò Victoire.

Dominique sbuffò.

Sapeva, in cuor suo, che la sorella aveva ragione.

Eppure, in un certo senso, era più comodo così. Starsene a guardare i suoi coetanei che organizzavano feste, uscivano ad Hogsmeade, baciavano ragazzi.

Mentre lei appena poteva si ritirava in cima alla Torre di Astronomia a disegnare, o nella Stanza delle Necessità in cui faceva comparire per magia un pianoforte e suonava, suonava e suonava fin quando non era stanca ed appagata.

“Non mi va. Non so perché, non mi va e basta.”, si incapricciò  Dominique voltando le spalle alla sorella.

“Non è una risposta e lo sai. Almeno quest’anno, Domi, cerca di farti degli amici.”, cantilenò Victoire.

“Dormiamo.”, tagliò corto Dominique.

Il suo baule era già pronto, in fondo al letto.

Chiuse gli occhi.

L’ultima immagine che le galleggiò in testa prima di dormire fu il sorriso timido di Teddy mentre si inginocchiava sul prato, prendendo la candida mano di Victoire.

**

Note:

Ecco qui il mio esperimento, appena uscito dal forno.

Non so bene come si strutturerà, se ci sarà una componente d’avventura (tante fan fiction sulla New Generation ce l’hanno, ma sinceramente ho pianificato tutto, meno che questo, ma vi prometto che non vi annoierete)

I personaggi sono quelli che sono. Non mi piacciono le fanfic in cui Dominique e Victoire hanno un brutto rapporto, sinceramente.

La mia Domi è molto legata a sua sorella, ma lo capiremo meglio nei prossimi capitoli.

Ed ha una mezza cotta per Teddy, sì. Cotta dovuta al fatto che lui con lei è un autentico tesoro, da sempre.

 

Cotta presto destinata a svanire, perché Teddy e Vic mi piacciono taaanto.

Il  rapporto che lega Dominique e Teddy, al di là della cottarella che nutre per lui la ragazza, è di amicizia.

Hanno cinque anni di differenza, lo so. Eppure Dominique, un po’ perché sempre molto tranquilla fin da piccola, Teddy l’ha sempre considerata una sua pari, raccontandole tutto.

 

E poi gli altri.

Vi dico subito che la musica non sarà il filo conduttore della storia. Gli unici veri appassionati (Lucy e Roxanne lo fanno per divertimento, più che altro) sono Dominique, Teddy ed un altro personaggio, che conoscerete dal prossimo capitolo.

 

Alcune precisazioni:

-       Lily è nata in Ottobre 2008. Perciò deve frequentare il secondo anno. Purtroppo la storia è nata senza che tenessi conto del fatto che, se non sbaglio, qualcuno dice a Lily nel settimo libro che le mancano due anni per andare ad Hogwarts. Perdonate this Licenza!

-       Lo stesso vale per Dominique: nata l’8 Novembre 2003.

-       i diminutivi di Xanne e Nique  non li userò tanto spesso. Si chiamano così fra cugine, ma Dominique per il resto del mondo è Domi, e Roxanne  Rox, anche se non mi piace tanto.

Lily non è innamorata di Teddy. È solo molto immatura per i suoi quasi tredici anni, da questo punto di vista. È un po’ tanto viziata, abituata ad essere  da sempre coccolata e vezzeggiata. Il fatto che Teddy si sposi l’ha sconvolta.

È come la reazione di Ginny nei confronti di Fleur.

Victoire non è simpatica ai piccoli Potter perché li ha sempre trattati come i cugini piccoli. Aggiungiamoci che secondo loro gli ha “rubato” Teddy e capite che l’antipatia è assicurata.

Ah, un’ultima cosa. Sia Victoire sia Dominique usano parole francesi, di tanto in tanto.

Maman (mamma) e tante Gabrielle (zia Gabrielle) sono un esempio. Loro a casa parlano in un misto fra inglese e francese.

Tral’altro, darò presto spazio a Charles. Non ho avuto il tempo per farlo comparire, che se no il capitolo si centuplicava.

Nel prossimo capitolo, ambientato sul treno e in stazione, vedremo il tutto meglio!

Baci

Cami

 

 

 

 

 

 

   
 
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