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Autore: The queen of darkness    15/06/2013    6 recensioni
La normalità sembra essere cementata nella vita quotidiana dei nostri amati personaggi...ma siamo sicuri che tutti siano d'accordo a queste condizioni?
--Naturalmente non possiedo nessun diritto su questa magnifica storia, creata dal genio di Miss Rumiko Takahashi--
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara sorella,
innanzitutto, mi scuso per la mia imperdonabile negligenza nei tuoi confronti. Non sono stato fedele alla promessa che feci quel giorno, e me ne dispiaccio molto.
A dire il vero, il maestro Totosai venne a farmi visita, ormai diverse lune orsono, ma io ignorai la sua presenza a causa di una spedizione, e da allora non ebbi più modo di parlargli. Sapete com’è, quella creatura suscettibile.
Comunque non sto cercando giustificazioni al mio vile comportamento, e chiedo venia per la mia assenza, anche se riconosco che dev’essere ben poca cosa in confronto al dolore arrecatovi.
Come credo puoi constatare dalla mie parole, godo di buona salute. Sembra che il clima montano mi faccia bene: la mia vecchia ferita alla spalla ha smesso di dolere e di tormentarmi, assieme alle innumerevoli cicatrici incise a fondo nella mia anima.
Qui le cose procedono come avevo sperato. Le reclute più giovani hanno preso a chiamarmi “sensei”, per quanto io scoraggi quest’iniziativa. Mi mette in imbarazzo, in tutta onestà; non credo di meritare tanta devozione, soprattutto visti gli ottimi risultati che sono in grado di ottenere con le loro stesse forze.
Molti dei giovani che si sono uniti al gruppo provengono dalle montagne. Passando nei vari villaggi del nord, semi-nascosti da innevate vette pungenti e ferrei regimi dovuti al freddo agghiacciante, abbiamo trovato diverse linee di resistenza organizzate contro i demoni. Pur di respingere i loro attacchi al già scarso bestiame e agli orti ben poco fertili, i ragazzi e anche alcune ragazze di questi luoghi hanno deciso di armarsi e procedere nella loro avanzata.
Riconoscendo in essi una grande qualità di guerrieri, parlammo loro del nostro villaggio, e degli Sterminatori. Non conoscevano l’ordine, nemmeno quello più antico, e allora glielo spiegammo,visto che comunque il luogo inospitale non ci permise nessun spostamento per diverse settimane.
All’inizio erano restii di fronte al nostro progetto, e non ti nascondo che condividevo le loro idee molto più di loro stessi. Tuttavia ho cercato di mantenermi saldo nei miei propositi, così come ti promisi, e alla fine questo si rivelò decisivo. Essi ammisero di voler apprendere le nostre arti e di rendersi utili in tal senso.
Non so se provare sollievo, orgoglio oppure paura. Sono terrorizzato, lo concedo. Questa cosa sta procedendo molto più di quanto potessi sperare, ma è pur sempre un sogno che va avverandosi, e la cosa mi allieta. Certo, le responsabilità sono molte, ma di giorno in giorno mi convinco che si tratta della decisione giusta.
Ovviamente abbiamo stilato un nostro giuramento segreto. Quando abbiamo visto che il gruppo si stava infoltendo, e che i matrimoni al suo interno non mancavano, abbiamo stabilito delle leggi a noi proprie e convenienti a mantenere l’ordine, così questo ci ha portato a stanziarci nei territori che tutt’ora occupiamo. Le popolazioni locali, ammorbidite da alcuni nostri favori, non si sono dimostrate un problema alla nostra salute.
Delle volte, cara sorella, ripenso a nostro padre. Ne ammiro, e forse invidio, il coraggio; mai il suo animo vacillò, mai le sue decisioni si rivelarono azzardate. Seppe essere una guida per il suo popolo così come io mi auguro di essere per il mio, senza mai mettere in discussione la scelta che aveva fatto.
Neppure io dubito della strada che sto percorrendo, lo sottolineo. Tuttavia, nelle notti lunghe e solitarie lontane da casa, da quella che era la mia terra, penso e ripenso alla mia vita, e se ciò che farò potrà essere all’altezza di quello che il futuro merita. Non voglio ritagliare troppa importanza al mio ruolo, perché sento di non meritarla, però so che una guida serve, e che gli Sterminatori sono fondamentali al mondo di adesso.
Qualche tempo fa andai a far visita alla tomba del nostro nobile padre, sai? La trovai lì, immota e triste, ma per qualche ragione mi sembrò familiare. Io non l’avevo mai vista, prima: mi ero sempre fermato al limitare del vecchio villaggio, privo del coraggio che ti è sempre appartenuto, a contemplare le case abbandonate e semi-distrutte, i mozziconi di armi per terra, la polvere che regnava nella desolazione.
Non posso che ammirarti per quello che hai fatto, e disprezzarmi per le mie azioni. Gli ho chiesto perdono, e attendo responso. Forse sono troppo ottimista, ma credo che nel suo cuore lui sappia la verità.
Di accuse nel mio animo ne ho già mosse, e tutte mi vedono come imputato principale. Sarebbe molto più facile usare la follia, l’ambizione come responsabile, ma non ci riesco. Ci ho provato, ma non ce la faccio; so che persone molto più orribili di me hanno calcato questo suolo, e ne hanno lasciato tracce amare, ma questo non mi consola. Quello che sto facendo, forse, vuole essere una piccola riparazione alle cose che non sono riuscito ad impedire in passato.
Ho lasciato un fiore, uno solo; mi vergogno a dire che l’ho colto strada facendo. Spero mi perdoni, ma il dorso di Kirara non è particolarmente famoso per la sua disponibilità a conservare oggetti fragili, siano essi margherite o cuori spezzati. Ho considerato saggio dargli qualcosa di intatto, e di fresco.
Forse a quest’ora è già appassito, forse sarebbe bene portarne un altro, ma non oso. Non ne ho il coraggio.
Magari, sorella mia, non riuscirai a perdonarmi per quest’ultima mia assenza, ma avevo davvero bisogno di pensare. È penoso presentarmi con questa lettera, ma di meglio non posso fare: fra un mese esatto da adesso, giungerò in visita al villaggio Musashi, se mi accetterai. Sono divorato dalla curiosità di rivedere i miei nipoti, lo ammetto. Quando le ho viste l’ultima volta, le gemelle erano già grandi!
Mi permetterai, forse, di parlarti di armi. Certuni, sulle vette dei monti più gelidi, ne preparano di speciali; sono sottili, flessibili ma letali, e hanno una forma davvero bizzarra. Mi piacerebbe fartene osservare una da vicino, visto che hanno voluto farmene dono: certo conosco la tua passione per certe cose, non dimentico quanto il tuo sguardo si facesse luminoso quando circondato da simili oggetti.
Non voglio distoglierti dai tuoi compiti di madre e di moglie, è un mestiere che non mi compete. Mi piacerebbe solo rapirti un momento, senza che nessuno lo venga a sapere. Capirò perfettamente se tu non ti sentirai pronta, non temere. Non insisterò oltre.
 Qui le cose vanno bene, come penso di averti già detto. Abbiamo missioni e rapporti commerciali fiorenti, e fino ad ora non possiamo lamentarci. Ogni mese teniamo delle giornate interamente dedicate agli aspiranti Sterminatori, come si definiscono essi stessi, dove ci dedichiamo a sondare le loro capacità e, all’occorrenza, ad accoglierli fra le nostre schiere. Ci mancano uomini, ma non credo che questo problema si manterrà ancora a lungo: è pieno di guerrieri volenterosi, anche se molti ne ruba l’esercito.
Se vorrai ascoltarmi, sarei lieto di narrarti alcune nostre missioni. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, se avresti qualche miglioria da suggerire, oppure  qualche consiglio per essere più abili, o più pronti. Le tue parole mi suonerebbero indispensabili.
In ultimo, ti prego di dare tutto il mio affetto alla Nobile Rin. Ho conosciuto da Shippo il suo precario stato di salute, e me ne dispiaccio molto. Certo, mi risulta difficile immaginarla alle prese con simili problemi, ma d’altronde sono passati così tanti anni da quando l’ho vista l’ultima volta, che non mi sembra impossibile credervi.
Lei fu - per poco tempo, lo concedo, - mia compagna di prigionia. Mi sento legato alle sue sorti; mi piacerebbe che tu le esprimessi il mio cordoglio, e i miei migliori auguri.
Oltre che a dei saluti a Miroku, che mi sbrigherò ad incontrare personalmente, mi farebbe davvero molto piacere che tu esprimessi le mie più sincere felicitazioni nei confronti della Divina Kagome e del Signor Inuyasha. Sono davvero contento della loro novità, e mi auguro che siano felici insieme quanto più possibile.
Ovviamente, tutto il mio affetto va a te, cara sorella, anche se mi sento ipocrita a preoccuparmi ora, per mezzo di questa volgare pergamena, della tua salute. Sei sempre nei miei pensieri, tu e la tua famiglia.
Per quanto riguarda me, penso di aver detto abbastanza. Ho una novità da presentarti, se ancora mi accoglierai, e credo che questa possa saziare tutte le tue angoscie – o, almeno, lo spero.
Con l’augurio di vederti presto felice e in buona salute, concludo la mia lettera.
Il tuo sempre devoto fratello,
Kohaku.
 
Queste parole furono lette da Sango con un’apprensione sempre minore, il peso che aveva sul cuore andava scemando. Ogni riga, ogni solco di pennino, ogni minimo poro della carta ruvida su cui il fratello aveva scritto, sembra impreziosire il ricordo che aveva di lui, del suo sorriso, e la voglia di rivederlo si fece bruciante.
Non poteva quantificare il proprio sollievo nel sapere che stava bene, e non riuscì a non sorridere notando la sua esagerata formalità. Quelle parole erano le sue, senza dubbio, e se ne colmò fino a quando le lacrime resero ai suoi occhi impossibile continuare.
Lesse e rilesse sempre le stesse parti, gli stessi punti, e respirò a fondo il profumo di ghiaccio e muschio che la lettera emanava. Passarono delle ore, ma non si alzò: continuò a singhiozzare stringendosi la lettera al petto, grata che tutte le incredibili ipotesi sulla sorte che aveva elaborato col passare del tempo fossero state sbagliate.
Nel frattempo, seduta nella propria capanna, Kagome ascoltava il respiro della piccola Kaori, stesa sul proprio giaciglio. Inuyasha era andato a caccia; Miroku l’aveva seguito per controllare che non rubasse le prede a tutte le specie animali presenti nel raggio di chilometri; Shippo si stava facendo ammirare nel centro del villaggio; Rin era sveglia e stava un po’ meglio, ma aveva detto che avrebbe voluto riposarsi un po’, quel pomeriggio, così l’aveva lasciata sola con Kaede.
Shinichi, un ragazzo simpatico che spesso le portava delle garze speciali dalla Cina o altri manufatti del genere, si era incaricato personalmente di passare da Jinenji per prendere le erbe che aveva rischiesto, e questo le aveva tolto qualsiasi cosa da fare.
Per un po’, Kagome si era scervellata su cosa poteva inventarsi per passare il tempo, ma aveva esaurito le idee. Nelle sue condizioni non ancora del tutto stabili, non voleva arrischiarsi ad esagerare con i lavori di casa o con l’attingere acqua dal pozzo. Inoltre non le piaceva l’idea di allontanarsi troppo dalla figlia piccola, e di lasciarla sola in casa.
Così decise di rimanere lì, magari sistemando qualcosa che aveva accantonato in giorni di pigrizia, ma si ritrovò a maledire il proprio infaticabile istinto di donna lavoratrice. Non c’era letteralmente una pagliuzza fuori posto, non un solo oggetto che si trovasse nella posizione sbagliata. La capanna stava placidamente dormendo, ma l’unica persona che non aveva sonno era proprio lei; Kaori, infatti, era una bambina estremamente tranquilla, e aveva degli orari notturni che le permettevano ben poche rinunce.
La ragazza non era mai stata il tipo grato del rigirarsi i pollici senza aver nulla di concreto da fare, così le sembrava di impazzire. Ascoltava ogni minimo rumore nel tentativo di distrarsi, ma questo non faceva che acuire un’idea forse malsana che aveva in testa da tempo.
Ne aveva parlato persino ad Inuyasha, una volta. Era un progetto stupido nato per caso all’improvviso, durante una delle sue nostalgiche riflessioni sul Goshinboku. Stava lì, davanti a lui, e ne aveva accarezzato la corteccia, nel punto esatto dov’era conficcata la freccia di Inuyasha.
Quando l’aveva trovato, la primissima volta in cui era andata nel passato, non aveva esitato a credere che lui fosse o un dio sceso in terra, oppure una minaccia. Ma, nonostante il comportamento sgarbato, l’indole capricciosa, il carattere da bambino cocciuto, non aveva potuto nascondere a sé stessa quanto si sentisse legata a quello strano ragazzo con i capelli d’argento e i vestiti color sangue.
Ogni carineria da parte sua era un fiore che amava raccogliere e vegliare; quando sentiva che stava per appassire, lui le faceva dono di un altro momento più dolce, e lei si sentiva improvvisamente rinata, in pace col mondo.
Stava pensando questo, davanti al luogo in cui tutto era cominciato; un lungo e triste ragionamento sul tempo che passa, cambia, muta, si fa beffe degli uomini e poi torna uguale, immutato. Rivide nell’alcova legnosa dell’albero lo stesso identico punto dove la freccia l’aveva trafitto, dritto al cuore, lo stesso che lei stava cercando di guarire, e le era sorto un dubbio.
Già una volta, nel presente, aveva potuto osservare quanto gli oggetti di quell’epoca potessero essere conservati nel futuro, apparendo semplicemente dove uno li metteva, come se tutte le epoche passate nel frattempo fossero state solo un inutile abbellimento.
Da quando aveva attraversato il pozzo la prima volta, infatti, Kagome aveva iniziato a documentarsi su cosa potesse collegare presente e futuro; quelli che prima le sembravano testi privi di fondamento, ora nascondevano un fondo di verità. Wormholes, passaggi circolari, linee rette fatte di momenti consequenziali capaci di essere ripercorse in senso inverso, clessidre, macchine del tempo, lancette di orologio, fenomeni paranormali. Tutto ciò che c’era in biblioteca in merito l’aveva affascinata, certo, ma anche confusa, visto che aveva stoicamente divorato volumi su volumi, fino ad averne fin sopra ai capelli.
Nulla le pareva promettente come teoria da prendere in versione integrale, tuttavia questi pezzi del puzzle le avevano permesso di crearsi un’idea generale delle cose, visto che comunque di viaggi al di là della materia fisica ne aveva compiuti parecchi.
Insomma, davanti al tronco dell’albero aveva chiesto a sé stessa: e se io lasciassi un bigliettino qui nascosto, arriverebbe ai miei cari?
Infatti, l’idea di comunicare con loro non si era del tutto tolta dalla sua testa. Non voleva rassegnarsi al fatto che quei tempi fossero completamente ed irrimediabilmente lontani da lei, visto che ormai l’impossibile, alla luce di quello che aveva passato, sembrava un concetto molto relativo. La mamma, Sota, il nonno e altre migliaia di persone che giravano per strade trafficate in tram indossando comodamente dei jeans e masticando una chewing-gum stavano vivendo nello stesso identico momento in cui il fiato si alternava nei suoi polmoni, ne aveva la prova.
A separarli era solo una barriera che non sapeva di cosa fosse fatta, ma che non andava infranta. Non era sua intenzione distorcere le sorti del mondo, ma solo aveva il bruciante desiderio di far sapere ai suoi quanto fosse felice, quanto ancora li pensasse, com’era cambiata la sua vita da quando aveva attraversato il pozzo una volta per tutte.
Non avrebbe nascosto la fatica e le difficoltà, ma le pareva giusto rendere un ringraziamento grandissimo a quelle persone che ancora amava, e che la ricambiavano. Non sopportava quel fastidioso silenzio che aveva coperto i fili del destino che la collegava con loro, voleva far vibrare le corde ancora una volta e far udire la propria voce, a dispetto dei secoli.
Nel silenzio della casa, pensò che forse non era un’idea così inverosimile. In fondo, se lei avesse messo un messaggio in un posto in cui sarebbe stata sicura che si sarebbe conservato, esso sarebbe giunto anche ai suoi cari per forza. Non era forse lo stesso per i monumenti, i siti archeologici, le statue? Passati gli anni, arrivavano fino al presente nonostante tutto, perché il tempo scorreva inesorabilmente ma c’era comunque la possibilità che il passato si annunciasse al presente.
Se non ci fossero state quelle prove, allora come avrebbe fatto il futuro a conoscere la storia?
L’idea prese contorni netti nella sua testa, fino a diventare allettante. Non le importava una risposta; non sapeva come far fare il viaggio inverso ad un messaggio perché non conosceva le dinamiche del tempo, perciò le bastava soltanto la rassicurante idea che qualcuno, dall’altra parte, potesse ricevere sue notizie.
“Kagome, puoi farcela” si cominciò a ripetere. “Ce la puoi fare”.
Presa dalla frenesia del progetto, schizzò in piedi. Avrebbe voluto ridere, urlare, dirlo a qualcuno, ma non poteva svegliare Kaori. Kaori…oh, meravigliosa Kaori! La sua creatura, la sua bambina, un tenero esserino di pochi mesi già in grado di fare i sorrisi migliori del mondo e di parlare quel suo linguaggio incomprensibile, la stessa prova del suo amore per Inuyasha, e del fatto che lui ricambiasse.
Quanto amore si poteva provare per delle persone senza che il proprio cuore rischiasse di esplodere? Non lo sapeva, ma decise che non era il momento. Per non turbarla con movimenti improvvisi e non destarla dal suo riposino, Kagome si spostò nell’altra stanza.
Prese da un cassetto un rudimentale strumento per incisioni, dalla punta sottile, e anche un tipo di vernice collosa e scura. Provandolo su un pezzo di benda fragile come pergamena (che al Musashi era irreperibile, e dall’esterno costava decisamente troppo), vide quanto fosse simile a dell’inchiostro vero e proprio.  
Eccitata, si rese conto che quel tipo di smalto era forse molto più resistente di qualsiasi altro modo di scrivere. Anche nell’epoca moderna, quando si lasciava all’incuria un pezzo di carta con delle scritte sopra, diventava presto illeggibile il messaggio che si voleva recapitare. Le parole sparivano, si slavavano, e addio comunicazione importante.
Forse, quindi, sarebbe stato più affidabile uno strato di materiale per pittura di esterni. Sì, si disse, non era facile scrivere ordinatamente a causa del dover continuamente intingere lo strumento, ma con un po’ di attenzione ce l’avrebbe fatta.
Si rese conto, comunque, che non poteva sprecare quel tipo di benda, e non solo a causa della sua fragilità; era troppo malleabile, non avrebbe resistito per cinquecento anni sepolta da qualche parte, ed era tagliata in strisce, le occorreva qualcosa di più fibroso e consistente. Era difficile scrivervi sopra senza che tutto il nero spandesse e macchiasse i bordi, e non si fidava se pensava all’arrivo delle piogge.
Si ritenne già sconfitta in partenza, visto che non aveva nemmeno la carta. Persino le spalle le si curvarono mentre, subito rassegnata, si arrendeva a riporre la stoffa nel cassetto. Era una follia, pura e semplice pazzia ereditaria, forse, di cui magari sarebbe stata succube anche sua figlia. Come poteva sperare davvero che dopo così tanto tempo un messaggio sarebbe potuto essere recapitato anche solo vagamente leggibile?
Pensò che, inoltre, non avrebbe saputo dove metterlo. Nonostante sapesse più o meno quantificare il terreno che doveva ricoprire la moderna Tokio, si rese conto che la maggior parte della terra sarebbe stata ricoperta da asfalto, le gallerie coperte da cumuli su cumuli di grattacieli, le strade si sarebbero snodate inifnite al posto dei sentieri, sotto terra avrebbe ruggito la metropolitana.
Era rischioso, perché anche ammesso che le sue parole fossero sopravvissute fino all’era moderna, e fossero state scoperte da qualcun altro, era imprevedibile l’uso che se ne sarebbe fatto. Una sacerdotessa che parla di un mondo composto dai demoni proveniente dall’epoca Sengoku sarebbe stata una bella beffa alla concezione moderna del genere umano! E poi gli unici che voleva contattare erano i membri della sua famiglia, non civili qualunque.
Un momento…quella stessa mattina, Shinichi era arrivato dandole un fagotto di fibra intrecciata. A sentir lui, era un materiale prodotto dalle persone più povere che dovevano inviare missive ai parenti lontani. Era una carta in grado di sopportare viaggi lunghissimi e intemperie di qualsiasi specie, per riuscire a portare parole care anche alle distanze più invalicabili. Per questo gliel’aveva proposta come fasciatura, vista la sua qualità di resistenza.
Aveva detto che, se ne fosse stata soddisfatta, il primo carico l’avrebbe offerto lui, per festeggiare l’arrivo di sua figlia, o almeno così aveva detto. Il barlume della speranza si riaccese: ne aveva un rotolo, a casa, non ancora tagliato a strisce. Si trattava di pezzi sufficientemente grandi da fare da fogli robusti.
Muovendosi a rilento per non fare rumore, rovistò nel cassetto attiguo al proprio giaciglio per trovare la carta. L’aveva messa lì poche ore prima visto che non aveva altri posti dove tenerla, e se ne era anche dimenticata.
La saggiò con un polpastrello. Era spessa qualche centimetro, bruna e ruvida, di certo inadatta per proteggere le ferite. Avrebbe potuto tenerla lo stesso, però: ne avrebbe certo fatto un uso diverso, ma quanto mai utile.
Provò a scrivere qualche scarabocchio su un angolo in alto, e vide che la vernice veniva assorbita bene. Anche soffiandoci sopra e sfregando i ghirigori con altri lembi, la chiarezza del tratto non venne smorzata nemmeno da una sbavatura.
L’entusiasmo in lei rinacque dalle proprie ceneri come una fenice. In fretta e furia tirò fuori del tutto il rotolo, lo posizionò davanti a sé e ne prese una parte. Sistemò minuzie come la regolarità delle righe e il tipo di carattere da usare, per poi umidificare correttamente il pennino come aveva visto fare nei film storici.
Tremante d’emozione, cominciò a scrivere di getto le prime parole che le dettò l’istinto.
 
Cara mamma,
non mi sembra vero di scriverti proprio adesso, dopo tutto il tempo passato lontano da casa! Qui è difficile tenere il conto dei giorni, ma anche se sono oggettivamente pochi a me sembra un’eternità.
Indirizzo questa lettera a te perché sento, so che sarai tu a trovarla.
Purtroppo non ho troppi fogli da sprecare con inutili moine ma, credimi, se potessi mi scioglierei in lacrime fatte di parole. Potendo, cara mamma, ti scriverei qualsiasi cosa mi passi per la testa, ma non posso. Anzi, non so neppure se questo biglietto potrà giungerti; spero vivamente di sì, e mi aggrapperò a questa speranza per tutta la mia vita.
All’inizio, mamma, fu difficile per me ambientarmi. Per una settimana intera io e il resto del gruppo cercammo di recuperare il tempo perduto raccontandoci quello che era successo durante quei lunghi anni, e in parte ci riuscimmo. Io ero quella con meno da raccontare, sorprendetemente!
La vita qui è proseguita; come immaginavo, mi hanno ordinata sacerdotessa con una cerimonia durata tantissimi giorni, e mi hanno affidato compiti sempre più importanti. Ora sono un punto di riferimento per l’intero villaggio, e mi hanno tutti accolta come una sorella.
Io sto bene. La mia vita qui prosegue tranquilla, ed è illuminata dalle persone che amo. Nuove novità si sono presentate da poco alla mia porta. Spero di non farti collassare dicendotele tutte!
Io ed Inuyasha possiamo finalmente stare insieme. È stato difficile riuscire a farci accettare come mezzo-demone e sacerdotessa, ma alla fine ce l’abbiamo fatta, e ora siamo felici. Abbiamo una figlia splendida, nata da pochi mesi; si chiama Kaori. È così bella, mamma…la amo da impazzire.
Ho deciso di non tenerle nascosto quale splendida persona ha per nonna, ma credo sia saggio non parlarle del futuro. Spero tu possa capire: persino per me è difficile pensare ai tempi andati senza nostalgia.
Sono felice, mamma, ma mi mancate moltissimo. Da impazzire, oserei dire. In ogni viso sconosciuto credo di vedere i vostri volti, ad ogni angolo spero di rivedere i vostri sorrisi, ma so che non accadrà. Se solo potessi, cara mamma, spenderei parole su parole per dirti tutto per bene, ma non mi è concesso. Santo cielo, quanto vi voglio bene.
Mi auguro davvero che troviate questa lettera. Tu, Sota, (il mio adorabile fratellino!), il nonno… mi piacerebbe davvero potervi vedere un’altra volta, ma quello che ho mi basta. Persino inviarvi una lettera che forse non verrà neanche mai letta mi sembra il coronamento di un sogno!
Non vi ho mai dimenticato, e vi voglio ancora moltissimo bene. Vi auguro un futuro luminoso, e non piangete per me: sono felice, sono completa, sono una donna realizzata. Volevo dirvi solo questo. Certo, nel farlo mi sono commossa, ma non ha importanza!
Mi affiderei volentieri al destino, nel sperare in un incontro. Forse sono folle anche solo a scrivere questo, ma ho bisogno di qualcosa in cui sperare. Purtroppo dubito davvero che io possa reincarnarmi ancora: è già accaduto una volta e, viste le drammatiche circostanze, quasi mi auguro che non succeda più.
Inuyasha una volta mi ha confidato che sentiva di volervi bene. Sai com’è fatto, non l’avrebbe mai detto esplicitamente, però ci tiene davvero molto a voi. Il nonno gli stava particolarmente simpatico, ma non ditegli che ve l’ho detto!
Ecco, ora ho finito la carta. Spero vivamente che questo non sia stato uno sforzo inutile. Vi penso sempre, vi amo più che mai.
Statemi bene!
Vostra,
Kagome.
 
Nonostante gli occhi velati di lacrime, Kagome si sentì in pace con sé stessa. Rilesse il messaggio centinaia di volte ma, per quanto le paresse frivolo, le sembrava che non vi fosse nulla da aggiungere. Era quella, la Kagome che era partita, una ragazza allegra e amante della propria famiglia: era giusto che tenessero quel ricordo di lei.
Piegò accuratamente la carta senza forzature, e la avvolse in altre parti di foglio tagliato in lunghe bande. Quando le parve oppurtunamente al sicuro, decise di aggiungere come chiusura un altro strato di garze meno resistenti, per poi baciarlo piano e darvi la propria benedizione, per quanto potesse servire.
Posò il pennino da incisione e il barattolo di vernice sul tavolo. Chiuse gli occhi, sospirò, si asciugò gli occhi e guardò il soffitto per un po’, in silenzio. Aveva detto tutto ciò che c’era da dire, aveva espresso ogni dubbio o preoccupazione, e stava leggermente meglio nei confronti del suo spirito. Certo, un’opprimente malinconia le bloccava la gola, ma aveva delle persone splendide attorno, e non se ne sarebbe mai scordata.
Guardando dritto avanti a sé con determinazione, capì il luogo perfetto dove nasconderlo: il Goshinboku. Ma certo, era sempre stato la soluzione, l’unico elemento dove era sicura ci sarebbe stata probabilità di essere trovato, poiché si trovava ancora nel tempio della famiglia Higurashi.
Piano, sorrise: ora bastava solo che Inuyasha tornasse a casa. 
  
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