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Autore: GingerHair_    16/06/2013    21 recensioni
Emma Gant è una liceale diciassettenne che vive a Londra con la sua famiglia.
È una normalissima ragazza come tutti gli altri, odia andare a scuola, litiga con i propri genitori, ha una migliore amica, una cotta per un ragazzo e non ha acnora un'idea precisa di ciò che farà in futuro.
Il suo penultimo anno di scuola, Emma rischia di essere bocciata, per cui dovrà impegnarsi più che potrà, dovrà coordinare il suo studio con le amicizie, l'amore e la famiglia.
Come se tutto ciò non bastasse, il suo cuore si troverà a battere per due ragazzi, così diversi fra loro ma che le piacciono tanto.
Ripensai un momento a quanto mi piacevano i contrasti.
Forse era per quello che amavo due ragazzi così diversi fra loro.
Uno dagli occhi color miele, mi trasmettevano calma e tranquillità, potevo perdermici per ore.
L'altro dagli occhi azzurri come due schegge di vetro, si muovevano rapidi e mi incutevano terrore, a volte.
Erano così diversi, ma li amavo così tanto entrambi.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Aprii gli occhi di colpo e guardai l’ora sulla sveglia che avevo accanto al letto: era mezzanotte.
Cercai a tentoni gli occhiali e me li infilai, poi scesi giù dal letto.
Rabbrividii un momento perché non mi trovavo più sotto le calde e morbide coperte, ma non potevo perdere tempo: Nina mi aspettava.
Presi lo zainetto che avevo preparato nel pomeriggio che si trovava sulla sedia e aprii la porta stando attenta a non fare nemmeno il minimo rumore.
La richiusi con la stessa cautela e mi fermai un attimo ad ascoltare.
Sentivo il lieve russare che proveniva dalla camera dei miei genitori, mentre le porte di quelle dei miei fratelli erano chiuse, come al solito.
Scesi le scale in punta di piedi, ma ad ogni scalino mi sembrava di provocare rumore: gli scricchiolii delle mie scarpe da ginnastica sul pavimento, delle mie ossa… tutto poteva svegliare i miei e questo non doveva accadere.
Quando scesi le scale, mi lasciai andare un po’ di più, sapendo che da lì sarebbe stato difficile svegliare gli altri.
Proprio quando stavo per tirare un sospiro di sollievo, però, vidi una luce che filtrava dalla porta del salotto e non capii il perché.
Forse papà si era dimenticato di spegnere la TV quando era andato a dormire…
Il dubbio mi fece comunque stringere lo stomaco e decisi di andare a controllare.
Non sarei potuta uscire se lui fosse stato ancora sveglio.
Aprii piano la porta e vidi mio padre, sulla poltrona, che dormiva beatamente stringendo il telecomando fra le mani.
Non potei evitare di sorridere a quella scena così buffa, mentre alla televisione una signora grassa stava facendo le carte ad un cliente di turno.
Scossi la testa, riaccostai la porta e mi diressi verso lo studio.
La finestra aveva un problema e non si chiudeva mai del tutto, per questo era la stanza più fredda della casa, ma anche quella più adatta per il mio piano.
Sinceramente, non avevo mai capito come mai i miei genitori non l’avessero mai fatta aggiustare.
Forse erano semplicemente troppo pigri.
Salii agilmente sul davanzale dopo aver aperto la finestra: rimasi accucciata a scrutare il cielo mentre l’aria della notte mi colpiva in pieno volto.
Non pioveva, ma c’era qualche nuvola, anche se la luna, quasi piena, risplendeva lo stesso nel cielo.
Rabbrividii quando arrivò un folata di vento e presi la giacca che avevo all’interno dello zaino.
La indossai e ripensai mentalmente al percorso che avrei dovuto fare.
Sarei passata per i parchi, accorciando il tratto che avrei fatto se fossi passata per le strade principali.
Scrutai un’ultima volta il cielo, prima di calarmi giù dalla finestra per andare verso casa di Nina.
 
Superai con facilità il cancello di casa mia, era decisamente molto basso.
Era una cosa che non capivo: a cosa serviva avere un cancello, se questo era alto un metro?
Corsi per tutti i parchi, fortunatamente non incontrando nessuno se non qualche macchina che correva veloce per le strade ormai sgombre.
Avevo sempre paura di incontrare qualche malvivente quando uscivo la notte.
Arrivai a casa di Nina a mezzanotte e venti.
Ero perfettamente in orario.
Ci eravamo date appuntamento a mezzanotte e mezza, ma sapevo che lei aveva l’abitudine di arrivare con molto anticipo agli appuntamenti.
Quando entrai nell’enorme edificio, mi accolse il profumo familiare dei fast food e la musica sommessa che proveniva dal locale di sotto.
Un ragazza bionda piuttosto annoiata si stava guardando le unghie con la faccia di chi voleva essere in qualsiasi altro posto tranne che lì.
Alzò lo sguardo solo per fissarmi un attimo, credendo che volessi entrare nella discoteca sottostante come gli altri.
Quando invece capì che me ne sarei rimasta ferma lì, mi lanciò un’occhiata confusa.
« Sono un’amica di Nina, la sto aspettando » le spiegai sorridendo.
Le mormorò qualcosa che mi sembrò un “ok” e ritornò ad occuparsi delle sue unghie.
Io mi appoggiai alla parete e fissai le scale, aspettando di veder scendere Nina da un momento all’altro.
La sua casa era un edificio enorme, diviso in tre parti: la prima era quella del fast food, il locale dove lavoravano i suoi genitori e stava al piano terra; la seconda era la sua casa dove viveva insieme ai nonni e si trovava al primo piano e la terza era uno scantinato, abbandonato da molto tempo, che i suoi avevano deciso di trasformare in una discoteca.
I soldi di certo non le mancavano, ma in tutto questo c’era stata l’abilità dei genitori, che avevano saputo trasformare un edificio in declino in una vera e propria macchina da soldi.
« Emma, sei in anticipo! » esclamò Nina quando mi vide, correndo ad abbracciarmi.
Beh, forse correndo era un po’ esagerato.
Ai piedi indossava delle scarpe con il tacco esageratamente alte, però erano belle, lo dovevo ammettere.
« Lo so, ho corso parecchio per arrivare da te » le dissi indicando le mie comode scarpe da ginnastica bianche.
Le mi guardò storto.
« Non penserai di scendere così, vero? » mi chiese.
Indossavo un paio di leggins blu spento e una canottiera celeste dalle spalline fine.
« No, ho il cambio qua dietro » le risposi indicando il mio zaino.
« Ah » disse lei sollevata.
Lei era la regina dello stile, aveva sempre tutto coordinato e i vestiti le stavano benissimo.
Era fortunata, però, sarebbe stata bene anche con un sacco di patate addosso.
Quella sera portava dei leggins neri e una maglietta bianca con la scritta “Am I beautiful tonight?”.
Ma il pezzo forte erano le scarpe.
Probabilmente tacco quattordici, grigie e ricoperti di brillantini.
« Come mai non eri già qui ad aspettarmi? » le chiesi alludendo al fatto che lei fosse sempre in anticipo.
« Ero andata a prendere questa » mi spiegò mostrandomi la sua trousse.
Sapeva che ero un disastro a truccarmi, mentre lei era bravissima.
Andammo in bagno, mi tolsi il leggins, mi misi una minigonna di jeans e infilai la canottiera dentro la minigonna; poi mi misi una collana, giusto per non sembrare troppo semplice.
Ai piedi mi indossai l’unico paio di scarpe con il tacco che avevo, delle decolleté beige alte otto centimetri.
Ci camminavo bene e mi piacevano molto, anche se non erano proprio alla moda come quelle di Nina.
Infine lei mi truccò, mi fece gli occhi color argento, ma non mi mise il rossetto.
Mi disse che voleva fra risaltare gli occhi e non le labbra.
« Sei già stata sotto? » le chiesi.
« Sì » mi rispose lei continuando a truccarmi.
« Com’è? » le domandai.
« C’è parecchio casino, molti hanno fumato e i sobri si contano sulle dita di una mano » ammise sospirando.
Anche se non ci piacevano queste cose, non ci aspettavamo altro, dato che era una discoteca.
Quando finimmo in bagno ci preparammo a scendere.
Sentivo il ritmo sommesso della musica che c’era.
Il locale aveva pareti e porte insonorizzate, per permettere al vicinato di dormire tranquillo, ma lì, al piano terra, la musica si sentiva lo stesso.
Nina aprì la porta e subito mi investì la musica forte e l’odore del fumo.
« C’è qualcuno che conosciamo? » urlai per farmi sentire.
« Sì, c’è qualcuno della scuola, ma credo che stiano parecchio fuori » mi urlò lei.
Stavano ancora mettendo musica da discoteca, ma in pista non c’era quasi nessuno.
La maggior parte della gente stava sui divanetti lungo le pareti e bere, perché non si poteva fumare.
Nonostante questo i ragazzo erano abituati a fumare fuori o nei bagni, per poi impregnare l’aria.
Riconobbi alcuni nostri compagni di scuola, come aveva detto Nina.
C’erano i gemelli Daniel e Simon, c’era Andry, il ragazzo russo e Paul.
Li indicai a Nina e li andammo a salutare.
Simon era l’unico sobrio per cui ci mettemmo a parlare un po’ con lui, fino a quando non furono le una, ovvero il momento che stavo aspettando.
Il dj smise di mettere su pezzi dance e salì sul palco un ragazzo moro dalla pelle ambrata.
« Ciao, mi chiamo Zayn Malik e questa sera suonerò un po’ per voi » disse sorridendo e aggiustandosi l’asta del microfono.
Zayn era un ragazzo dolcissimo e ne ero innamorata dall’inverno.
L’avevo sentito cantare una volta e la sua voce era perfetta e celestiale.
Era davvero molto bravo, ma non riusciva a sfondare, forse perché faceva solo cover e non scriveva nulla di suo.
Un po’ mi faceva tenerezza.
Iniziò a cantare alcuni pezzi e quasi mi scioglievo per la perfezione della sua voce.
Lo adoravo in tutto e per tutto.
Dopo molti brani Nina, stanca di parlare con Simon e vedendo che io ero totalmente presa da Zayn, mi trascinò verso il bar.
« Due cocktail » disse al barista con aria assonnata.
« Io no » le dissi mentre Zayn cantava la sua ultima canzone per la serata, “Let me love you”.
« Allora uno » si corresse Nina.
La sua ordinazione arrivò poco dopo, ma non ci feci molto caso, dato che ero presa da ciò che faceva Zayn, lo vidi ringraziare il pubblico e scendere dal palco.
Gli facemmo un generoso applauso.
Molte ragazze lo applaudivano solo perché era bello, ma secondo me era anche bravissimo.
« Dovresti parlarci » mi consigliò Nina.
« Non lo conosco quasi per niente, cosa potrei dirgli? » ribattei forse un po’ troppo brusca.
« Mica devi dirgli che ti piace, puoi anche solo complimentarti per la serata » mi suggerì mentre si scolava il resto del suo cocktail.
Dopotutto non era male come consiglio.
Mi feci coraggio e andai verso di lui, che stava per uscire dal locale.
« Ciao Zayn ».
« Ciao Emma » mi rispose lui sorridendomi.
Il fatto che si fosse ricordato il mio nome e mi avesse sorriso mi mandò completamente in pappa il cervello.
« Sei stato grande questa sera! » gli dissi tutto d’un fiato.
« Grazie, sei troppo gentile » mi disse sorridendomi di nuovo. « Scusa, ma ho fretta e devo andare, ci sentiamo » mi baciò sulle guancie e poi uscì di corsa dal locale.
Prima di uscire, però, una ragazza bionda, gli si mise davanti e iniziarono a parlare.
Ci parlò molto di più di quanto aveva fatto con me e alla fine l’abbracciò e la bacio più volte.
“Ma non dovevi andare via?” pensai mentre quella bionda, probabilmente tinta, cercava di sedurlo.
 
« Mi sembra che non ti è andata male » commentò Nina quando fummo in macchina.
Mi stava riaccompagnando in macchina, perché lei aveva la patente e poteva guidare, mentre io non avevo ancora compiuto diciotto anni.
« Come no » borbottai.
Lei mi guardò storto.
« Non hai visto il modo in cui quella bionda gli stava appiccicata? » le dissi acida.
Sapevo che lei non sopportava quando facevo la gelosa, ma non riuscivo a non esserlo.
Lei sbuffò e capì che era impossibile farmi cambiare idea.
Presi una salviettina struccante dal pacchetto che aveva sulla tasca laterale dello sportello e me la passai sul viso.
Mi guardai allo specchietto retrovisore per vedere com’ero venuta.
« Ehi, questo mi serve così! » mi sgridò Nina rimettendolo a posto.
Lei aveva già compiuto diciotto anni, essendo nata a gennaio, mentre io li dovevo ancora compiere, perché ero di novembre.
Si fermò leggermente prima di casa mia, perché non volevamo svegliare i miei con il rumore della macchina.
« Ci vediamo lunedì a scuola » mi disse lei.
«  A lunedì » la salutai.
Entrai per la finestra dello studio che era ancora aperta e salii le scale per andare in camera.
Mio padre era ancora addormentato sulla poltrona della sala.
Quando ero arrivata quasi alla porta della mia camera, sentii un forte rumore provenire dal basso e capii che mio padre doveva essersi svegliato facendo cadere il telecomando.
Aprii la porta in fretta e furia, la richiusi, buttai lo zaino sotto il letto, mi tolsi le scarpe e mi infilai sotto le coperte, facendo finta di dormire.
Il mio cuore sembrava impazzito, batteva come non mai e smise solo quando sentii la porta della camera dei miei aprirsi, poi chiudersi e mio padre che si gettava sul letto.
Tirai un sospiro di sollievo, mi misi il pigiama e andai a dormire, ma questa volta seriamente.
Solo che non ci riuscivo.
Non potevo far altro che mettere le mani dietro la testa e fissare ad occhi aperti il soffitto bianco.

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Ehi, ciao, eccomi di nuovo qui con una nuova storia.
Non ho molto da dirvi su questa, tranne che è la mia prima AU (infatti spero vi piaccia) e che l'idea iniziale mi è venuta grazie ad un sogno che ho fatto.
Potrei dirvi che non è come tutte le altre FF e che è diversa, ma aspetto che siate voi a giudicare, magari più in là, quando la storia entrerà davvero nel vivo, per il momento mi accontento anche della vostra prima impressione.
Il titolo del capitolo è una strofa della canzone 22 di Taylor Swift.
Spero che la storia vi piaccia e che la continuiate a seguire c:

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