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Autore: Molly182    17/06/2013    2 recensioni
“Questo sarebbe il momento in cui io ti dovrei baciare”, aveva sussurrato a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Questo sarebbe il momento in cui tu dovresti farlo”.
Nella penombra avevo visto comparire un sorriso sulle sue labbra e pochi secondi dopo le sentii appoggiate sulle mie.
“Mi piaci molto, Allyson”, mi aveva sussurrato. Mi stavo davvero convincendo che quel ragazzo non fosse solo un completo idiota, ma sapeva essere dolce e romantico. Eppure mi stavo facendo abbindolare da un ragazzo che probabilmente avrei rivisto chissà quando. “Non mi scappi, ora sei mia”, però mi piaceva e non potevo fare nulla.

“Ally ci sei?”, mi chiese Sally sventolando una mano davanti ai miei occhi cercando di portarmi alla realtà.
“Ehm…sì, scusa”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chap cinque.
“Pensi di restare qui ancora per molto?”, dissi bussando al finestrino. “Potrei denunciarti per stalking, sai?”
“I fan non sarebbero felici di trovarmi dietro alle sbarre”.
“Però ti darebbe un tono più rock’n’roll”
“Non penso che mi si addici molto la tuta arancione”.
“Al contrario, io non penso che ti sopporterebbero in galera…”, non replicò. Mi sorrise soltanto.
“Hai qualcosa da fare oggi?”, mi chiese dopo qualche istante. I miei occhi si erano di nuovo persi a guardare quei lineamenti che in un primo momento mi erano sembrati così perfetti.
“È martedì mattina, le persone normali vanno a lavorare”.
“Giusto…”, rispose passandosi nervosamente una mano sui capelli.
“Tu non hai qualche impegno con la band?”
“No, siamo in pausa prima del tour e mi stavo annoiando”.
“Quindi hai pensato di venirmi a rompere le scatole alle otto del mattino?”
“In verità volevo proporti di fare colazione insieme”, disse.
“Pensi che questo ti faccia perdo... ”
“Penso almeno che possiamo diventare amici”, si affrettò a dire interrompendomi.
“Sarebbe carino parlare con te senza prenderti a schiaffi, ma sono davvero in ritardo per il lavoro, quindi…”.
“Quindi ti do un passaggio e ne riparliamo in macchina”.
“Non mi lascerai in pace, vero?”, chiesi esasperata. Più non lo volevo attorno e più me lo ritrovavo tra i piedi.
“Te lo prometto, resterò fermo e muto”
“Penso che tu non ne sia realmente capace”.
“Lo penso anch’io, ma ci posso provare”, disse posando le mani sul volante e trattenendo il respiro tra le guance rosse.
“Pensi di morire nel giro di cinque secondi così che io ti possa rubare l’auto per non ritardare o inizio a correre verso la redazione?”, gli chiesi salendo in macchina. Non ricevetti nessuna risposta. Si limitò soltanto a guardarmi e a gettare fuori tutta l’aria che gli aveva gonfiato le guance.
“Dove vuole che la porti signorina?”, disse mettendo in moto l’auto.
“Davvero?”, gli chiesi ridendo. “Stai citando realmente Titanic?”
“È un classico!”, rispose con fierezza. “Mi sono quasi messo a piangere quando Jack è morto”.
“Molto virile”
“Cosa ci posso fare? Sono un ragazzo molto sensibile”, scoppiai a ridere. Forse quella era la prima volta che ridevo e parlavo con lui normalmente senza riempirlo d’insulti e rinfacciargli quello che mi aveva fatto. Era una bella sensazione.
Avevo passato così tanto tempo a odiarlo che mi ero dimenticata di quanto fosse capace a intrattenere la gente facendola ridere e scherzare con lui.
“Quindi per quella colazione...?”, chiese cambiando discorso.
“Penso che si potrebbe fare un altro giorno…”

“Scusa, non voglio essere insistente…”
“No, è che Sally non c’è e senza di lei che mi butta giù dal letto, non so come fare a svegliarmi puntuale”
“Dov’è?”
“In Canada, per un servizio fotografico di una band emergente, dovrebbe tornare domani nella mattinata”
“Capisco…”, parcheggiò la macchina davanti al mio ufficio.
“Io sono arrivata”, dissi vedendo l’insegna della redazione davanti a me. “Grazie ancora per il passaggio”
“Figurati…”, mi rispose mentre scendevo dall’auto. Forse dovevo comportarmi diversamente con lui. Dovevo almeno provare a essere gentile. Lui ce la stava mettendo tutta.
“Ah… Alex!”, lo chiamai voltandomi verso di lui.
“Dimmi”
“Come mai stamattina eri sotto casa mia?”
“Passavo per di lì”, rispose semplicemente alzando le spalle. Non so se era una semplice scusa o se la verità, ma qualcosa si era innescato nel mio cervello. Dovevo andarci piano, ma nulla mi impediva di diventare sua amica. In fondo non era poi così male come persona.
“Va bene”, dissi voltandomi per salire i primi gradini, ma ritornai immediatamente giù verso di lui. “Senti, stasera ti andrebbe di fare qualcosa?”, gli proposi.
“Certo, cosa avevi in mente?”
“Nulla di troppo impegnativo, magari una cena da me”
“Perfetto, ti passo a prendere finito il lavoro”
“Non ce n’è bisogno, sul serio, ci vorrà una vita prima che arrivi l’ora di cena”
“Ti passo a prendere alle cinque e mezzo”, ribadì. “Almeno ti posso dare una mano a cucinare”
“Penso che sia inutile insistere con te, anche perché sto ritardando e tu mi fai perdere tempo”, dissi salendo i gradini che conducevano alla porta di vetro. “Ci vediamo stasera”, gli urlai prima di spingere la porta ed entrare in ufficio.
 
Non so bene come la giornata sembrava essere passata velocemente ma quando arrivarono le cinque e mezzo realizzai soltanto in quel momento che Alex sarebbe dovuto venire a casa mia e che praticamente non avevo la minima idea di cosa cucinare.
Spensi il computer e mi diressi verso l’uscita. Passai di fianco alla ragazza della reception e la salutai per poi attraversare la porta e ritrovarmi sul marciapiede.
Mi incamminai verso il supermercato per comprare qualcosa e poi andai diretta a casa.
C’era qualcosa che mi tormentava in testa, avevo una strana sensazione, come quella di essermi dimenticata qualcosa.
“Stavi cercando di scappare da me?”, chiese una voce alle mie spalle. Una voce fin troppo famigliare.
“Come?”, chiesi a quel ragazzo che mi fissava da sotto la visiera di un cappellino nero.
“Se non sbaglio dovevo aspettarti fuori dall’ufficio”, ecco cosa mi ero dimenticata. Mi ero scordata che Alex doveva darmi un passaggio.
“Mi sono dimenticata, scusa”, dissi sinceramente. “Ero sovrappensiero e mi sono scordata. Però ho preso il cibo, vale come giustifica?”
“Non si dice mai di no al cibo”
“Seguimi”, dissi facendogli strada lungo le scale del condominio. “Eccoci qui, fai come se fossi a casa tua, però immagino che sia decisamente molto più piccola rispetto alla tua, quindi scusa se non c’è tanto lo spazio”
“Non scherzare, va bene”, disse cercando di mettermi a mio agio. Buffo come sembri lui il proprietario e io l’ospite. “Non so se tu abbia mai visto i tour bus, quelli si che sono piccoli”, disse ridendo.
“Quindi, cosa vuoi mangiare questa sera?”, gli chiesi tirando fuori la spesa dalle buste e posandole sul bancone che divideva la cucina dalla sala.
“È indifferente, va bene tutto”, disse aiutandomi.
“Meno male perché ho comprato qualcosa che vada bene per preparare un risotto giallo, però alla milanese”, dichiarai. “Stasera: cibo italiano”, annunciai. “Ok, forse non è proprio italiano ma sono molto famosi da noi!”, cercai di giustificarmi.
“Vuoi una mano?”
“Tranquillo, non c’è problema!”, dissi riempendo una pentola con dell’acqua.
Passai la successiva ora a cucinare senza ottenere nessun risultato. Anzi, un risultato lo avevo ottenuto, ma non era per nulla soddisfacente. Avevo fatto bruciare il risotto riducendo la nostra cena in un cumulo nero.
“Merda!”, sbottai buttando la pentola nel lavandino.
“Tutto apposto?”, chiese Alex venendomi dietro e guardando da sopra la mia spalla la povera pentola che era stata massacrata da me.
“Penso di aver combinato un casino”
“Deduco che non sei un’ abile cuoca”
“Pensavo di potercela fare, ma a quanto pare sono decisamente impedita”, gli dissi voltandomi verso di lui così da poterlo guardare in viso.  “Guardare tutti quei programmi di cucina non ti insegnano a cucinare, ti illudono soltanto!”, sbottai. “Maledetta Antonella Clerici, perché fai sembrare tutto facile!”
“Antonella chi?”, chiese lui confuso, non capendo a chi mi riferissi.
“Niente, lascia stare”, gli risposi abbassando la testa scoraggiata. “Scusa se ti ho fatto perdere tempo”
“Guarda che non è un problema”, disse lui ridendo. “Una volta volevo riscaldarmi un panino e ha preso fuoco”
“Perché me lo racconti?”
“Perché così sai che c’è gente peggiore di te a cucinare”
“Grazie…”, dissi sarcasticamente. “Sei molto d’aiuto”
“Hai ragione ma ora sai cosa facciamo?”, scossi la testa non capendo dove voleva mirare. “Tu sistemi questo bordello e io vado da Taco Bell a comprare qualcosa da mangiare”, disse prendendo le chiavi della macchina dal tavolo e avvicinandosi alla porta. “Torno presto”



Nota: non sono molto convinta di questo capitolo, ma vi prometto che con il successivo mi farò perdonare (almeno spero) :)
P.s. Ringrazio Rack per le recensioni :)
   
 
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