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Autore: Layla    17/06/2013    1 recensioni
“Le cose vanno di merda a tutti, vedo, ma ho una soluzione.”
Io alzo un sopracciglio e bevo un bicchierino di whisky.
“Prego?”
“Una soluzione. Non fare la stronza gelida che con me non attacca!
Ho intenzione di restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio venisse pure Cristo a dirmi di non farlo.”
“Qual è, Tom?”
“Io e te fingeremo di stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo avanti questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà vivo.”

Tom/Skye.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mark Hoppus, Tom DeLonge
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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10)Take care of  her.

 

Il mese che dobbiamo trascorrere a Londra passa velocemente.
Senza nemmeno rendercene conto arriva la vigilia della partenza e siamo tutti incasinati con i bagagli, l’appartamento sembra un campo di battaglia e si sentono urla selvagge ogni tanto.
Tom che chiama Ava, Ava che chiama Tom, io che vengo chiamata da quei due, Jonas che scoppia a piangere perché non vuole lasciare questa casa.
È un manicomio e domani abbiamo l’aereo piuttosto presto, Tom si è occupato di affittare la casa e spero che abbia scelto qualcosa di adatto, non una catapecchia, ma nemmeno una reggia.
Alla fine a mezzanotte è tutto pronto, peccato che la sveglia suoni alle sei e noi abbiamo pochissimo tempo per dormire.
Io crollo sfinita a letto, sento a malapena la braccia di Tom che mi abbracciano.
La sveglia delle sei invece la sento benissimo, il rumore riempie il mio cervello come una deflagrazione, con una spinta la spengo e me ne frego del fatto che sia caduta per terra.
Scuoto Tom che è ancora più addormentato di me e poi corro a svegliare i suoi figli, con un po’ di difficoltà ci raduniamo tutti al tavolo della cucina.
Hanno tutti la faccia stanca e gli occhi gonfi di sonno, dormiremo sull’aereo forse.
Con qualche difficoltà carichiamo tutto in macchina e ci dirigiamo all’aeroporto, mentre io faccio la coda per l’imbarco, Tom consegna la macchina al noleggio vicino all’aeroporto.
Alle otto precise parte il nostro volo con destinazione San Diego, mentre ci alziamo guardo un’ultima volta Londra dall’alto.
L’ultima volta che l’ho vista così ero mano nella mano con Mark, eccitata come una bambina all’idea di vivere in una città così cosmopolita ed elegante.
Ora invece ho la testa di Tom appoggiata alla mia spalla e mi sento come se finalmente iniziassi di nuovo a vivere dopo un lungo sonno.
Do un ultimo addio al Big Ben e al Tamigi che si srotola come un tappeto azzurro per la città,  poi ci sono solo nuvole: candide nuvole che sembrano fatte di panna.
Cullata dal respiro di Tom mi addormento e mi sveglio soltanto quando sento qualcuno che muove delicatamente la mia spalla: Tom.
È arrivata la hostess con il pranzo, io mangio dell’insalata e un po’ di carne domandandomi come mai i pranzi in aereo siano sempre così squallidi e poco invitanti.
Non vedo l’ora di arrivare a San Diego e fare una puntata a un certo ristorante italiano che conosco e di portarci anche Tom e famiglia. Sono sicura che apprezzerebbero.
Mi volto verso il sedile dei ragazzi e noto che hanno entrambi la mia stessa espressione schifata.
Il resto del volo trascorre tranquillo, quando finalmente sbarchiamo c’è un sole accecante  e fa caldo rispetto a Londra. Ci togliamo i cappotti e li buttiamo sopra le valigie non appena le abbiamo ritirate.
Bentornata in California, Skye!
“Ah, finalmente il vero sole!”
Urla Tom, facendomi ridere.
“Sì, puoi dirlo forte. Metaforicamente, ovvio.
Cosa ne dici se cerchiamo un taxi?”
Lui annuisce e spingiamo i carrelli verso la zona dove ci sono i taxi, ne troviamo uno libero e carichiamo tutto nel baule. Tom è costretto a salire vicino all’autista a cui dà l’indirizzo e partiamo.
L’uomo è indiano e durante il tragitto ci racconta la sua storia e della moglie che lo aspetta in India insieme ai figli e soprattutto del fatto che non riesce e farli arrivare negli Stati Uniti.
Noi ascoltiamo pazienti, ma accogliamo con un certo sollievo il fatto che ormai siano arrivati alla villetta che Tom ha preso.
È molto graziosa, in stile spagnolo, con un grande giardino e una piscina.
“Complimenti Tom, è davvero carina.”
“Me l’ha consigliata Anne. Posso parlare con Anne, vero?”
Io scoppio  a ridere.
“Sì, puoi parlare con chi vuoi.”
Portiamo le valigie in casa, i bambini si guardano intorno un po’ spaesati, Jonas soprattutto, credo stia pensando che ha cambiato fin troppe case per la sua età.
“Papà siamo stanchi, possiamo dormire?”
La richiesta arriva da una sbadigliante Ava, Tom annuisce e li accompagna al piano superiore, io invece mi guardo attorno e poi controllo che siano allacciati l’acqua e l’elettricità, la casa sembra pulita.
C’è un biglietto sul frigo, è di Anne, dice che è passata a dare una sistematina alla casa in attesa del nostro arrivo e poi mi prega di chiamare non appena siamo arrivati che Jack vuole vedermi.
Io sorrido, lo chiamerò non appena avrò sistemato le valigie, almeno se vorrà venirmi a trovare troverà una parvenza d’ordine.
Quando torna Tom mi aiuta a portare di sopra le valigie e a sistemarle, poi si butta sul letto, io invece mi attacco al telefono.
“Pronto, Jack?”
“Ciao mamma!”
“Tesoro, siamo appena arrivati.”
Sento dei rumori, come di esultanza, di sottofondo.
“Arrivo subito, chiedo alla zia se mi porta.”
“Sì, Jack. Ti aspetto!”
Finita la chiamata mi sdraio accanto a Tom con un sorrisone sul volto.
“Tra poco arriva mio figlio.”
“Spero non mi prenda a pugni.”
“Dai, ha solo dieci anni. Un uomo grande e grosso come te non dovrebbe averne paura.”
“Ho paura di incasinarti la vita.”
Io mi alzo sui gomiti, mi allungo leggermente e gli lascio un bacio delicato sulla bocca.
“L’hai già fatto e va bene così.”
Lui sospira.
“Dai, andiamo o tuo figlio chissà cosa penserà.”
Scendiamo in salotto e nemmeno cinque minuti dopo suona il campanello, io vado al cancello per aprirgli personalmente e lo trovo in compagnia di Anne.
“Ciao, SKye.”
“Ciao, Anne.”
“Ti lascio tuo figlio, lo verrà a prendere mio fratello.
Ciao, campione! Divertiti!”
“Ciao zia.”
Lui si volta verso di me e mi abbraccia, sembra molto felice di vedermi, io lo trovo più alto, più magro e più muscoloso. Ha anche un bel colorito dorato, praticamente il ritratto della salute.
Entriamo in casa chiacchierando, si ferma non appena vede Tom, poi lo raggiunge e gli si piazza davanti a gambe larghe, come il pistolero di un western.
“Tratta male mia madre e te la vedrai con me.”
La scena sembrerebbe comica se non per il volto incredibilmente serio di mio figlio, Tom lo guarda e poi annuisce come se stesse parlando a un uomo adulto.
“Non la farò soffrire, mi prenderò cura di lei, te lo prometto.”
“Sarà meglio per te.
Mamma, c’è Ava?”
Io scuoto la testa.
“Sta dormendo, era stanca.”
“Non fa niente, la vedrò un’altra volta. Me la puoi salutare?”
“Certo, ora cosa vuoi fare?”
“Un bagno in piscina.”
Io annuisco, usciamo insieme nel sole splendente della California.

 

Mi mancava trascorrere un intero pomeriggio in compagnia della mia piccola peste.
Jack tuffa, mi schizza, gioca a palla con me fino a sfinirmi; solo quando il sole è quasi al tramonto esce e corre a farsi una doccia.
Poco dopo me la faccio anche io, cercando di togliermi sia il cloro che la stanchezza. Finito, lo trovo dabbasso, i suoi capelli ancora bagnati hanno lo stesso ciuffo di Mark.
Tra poco lo rivedrò e spero non sarà troppo strano. Non ho il tempo di rifletterci a sufficienza che il campanello suona e il mio ex marito fa la sua apparizione nel vano della porta.
Sembra dimagrito e porta gli occhiali scuri, non li toglie nemmeno in casa, Tom lo guarda intimidito.
“Ciao, papà!”
“Ciao, campione. Divertito dalla mamma?”
Lui annuisce, Mark si volta verso Tom.
“Trattamela bene o questa è la volta buona che ti riempio di pugni quella faccia da impunito che ti ritrovi.”
Tom deglutisce e poi annuisce.
“Non ho nessuna intenzione di farla soffrire.”
“Buon per te. Forza Jack, andiamo!
Saluta la mamma!”
Lui mi abbraccia, mi dà un bacio sulla guancia e poi se ne va con il padre.
Tom li guarda leggermente stranito, penso sia la prima volta che viene minacciato da due membri della stessa famiglia in meno di un giorno.
“Accidenti, meglio che ti tratti bene o quelli noleggiano un sicario e mi fanno secco.”
Io rido.
“Vado a cucinare qualcosa.”
“Va bene.”
Poco dopo sento del vociare in sala e Ava arriva in cucina, si piazza su una sedia e mi guarda imbronciata.
“Perché non mi hai chiamato quando c’era Jack?”
“Perché stavi dormendo e non volevo disturbarti.”
“Uffa, chissà quando lo vedo adesso.”
Io sorrido e assaggio il mio sugo di pomodoro e tonno.
“Secondo me molto presto, ha due buoni ragioni per essere spesso qui.”
Ava arrossisce fino alla punta dei capelli e tace.
“Cosa stai cucinando?”
“Pasta al sugo e tonno.”
“Sembra buona.”
“Lo è, è il piatto preferiti di Jack.”
I suoi occhi si illuminano.
“Un giorno mi passerai la ricetta.”
Io annuisco, sorridendo divertita.
Ava è già una piccola donna che vuole prendere il suo piccolo uomo per la gola e se ha anche solo un grammo della testardaggine di Tom a vent’anni quei due si sposeranno sul serio.
Porto la pasta in tavola e viene apprezzata da tutti, sia Ava che Tom chiedono il bis, Jonas invece mi sembra triste.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo dopo aver ficcato tutti i piatti sporchi in lavastoviglie.
“Mi manca Londra, a me piaceva.”
Io gli scompiglio i capelli.
“Magari ci torniamo quest’estate in vacanza.”
Lui sorride flebilmente e non dice nulla, però si fa abbracciare. Credo che non sia Londra a mancargli, ma una famiglia stabile.
Per sopperire a questa mancanza decido che stasera ci guarderemo un film tutti insieme e per la precisione il suo preferito: il Re Leone.
Questo sembra rallegrarlo e distrarlo momentaneamente dalle sue malinconie perché ride come un matto e si appassiona alla storia come se non la conoscesse.
Tom mi lancia un’occhiata grata, probabilmente non ci sarebbe mai arrivato da solo, serve la mano di una donna per queste cose.
Finito il film, andiamo tutti a letto stanchi e un po’ rintronati per il jet-lag, io fatico ad addormentarmi e anche Tom.
“L’avresti mai detto che sarebbe finita così?”
Mi chiede.
“Sinceramente no,  quando ho accettato il patto rivolevo a tutti i costi Mark. Il destino però ha messo te sulla mia strada e io non ho resistito alla tentazione.”
“Sono un uomo pericoloso.”
Ridacchia.
“Sì, sei proprio un uomo pericoloso!”
Sbadiglio io.
Ho sonno e domani sarà una giornata impegnativa: firmerò il divorzio da Mark e Jack sarà affidato a lui.
Mi manca già, ma lui è stato irremovibile, vuole vivere da suo padre per quanto bene mi voglia.
Mi addormento avvolta in un velo di leggera tristezza, che ritrovo al mio risveglio insieme a Tom che dorme beato.
Scendo in cucina e mi faccio un caffè, fa caldo e sento il canto degli uccellini. È buffo porre fine a un matrimonio in una giornata come questa, sarebbe meglio fare un picnic o una gita alla spiaggia.
Finito il caffè, mi faccio una doccia e mi vesto, poi sveglio Tom.
Lui mi sorride e mi dà una carezza sui capelli, apprezzo la sua delicatezza nel non dirmi nulla.
Prendo un taxi e vado al tribunale, Mark è già arrivato e indossa una t-shirt bianca con un polipo azzurro, sorride quando mi vede.
“E così è arrivato il giorno fatidico.”
“Sì, mi dispiace che sia finita così.”
Lui sospira.
“Io ho  fatto un errore terribile e perderti fa parte del prezzo da pagare.”
Io non dico nulla, ho un groppo alla gola: ho paura che mio figlio smetta di volermi bene e si dimentichi di me e che Mark mi odi.
“Non mi odi, vero?”
“No, sei stata sincera.”
“Jack mi perdonerà mai?”
“Credo di sì. Una volta che ti vede felice per lui va bene e poi grazie a te ha la scusa per vedere quando vuole Ava.”
Io rido, stavo per dimenticarmi di questa cotta.
Poco dopo arriva il giudice che si occupa del nostro caso, i nostri avvocati leggono le proposte, noi le accettiamo e il giudice mette a verbale.
Alla fine firmiamo un documento e siamo ufficialmente divorziati, sulle scale del tribunale mi abbraccia e mi augura buona fortuna.
Io faccio lo stesso e lo guardo andare via con una punta di tristezza. Ha le spalle incurvate – come quando i blink non esistevano più – la vita gli ha fatto uno scherzo troppo crudele e io mi sento in colpa.
Forse se fossi riuscita a passarci sopra sarebbe stato meglio per tutti, ma io non ci sono riuscita, ho preferito troncare subito e correre da Tom.
Spero che il mio non si riveli un catastrofico errore perché difficilmente me lo perdonerei, aver distrutto una famiglia per niente è la peggior cosa che si possa fare.
Che brutti pensieri!
La paura mi sta giocando dei bruttissimi scherzi, meglio che vada a casa, almeno mi tranquillizzo.
Salgo in macchina e cerco di sgombrare la mente cantando a squarciagola una canzone che stanno trasmettendo: The only exception dei Paramore.
Arrivata a casa la trovo animata, sono arrivati gli altri membri degli Ava e Tom sta componendo qualcosa con loro. Ava, Jonas e Jack sono in piscina e si stanno divertendo da morire, Ava mi invita a unirmi a loro e io accetto.
Sto salendo al piano di sopra quando mi intercetta Tom e mi abbraccia.
“Com’è andata?”
“Triste, ma spero che la tristezza passerà ora che i pargoli sono in piscina. Tu?”
“Ho chiamato i ragazzi per scaricare la tensione, spero non ti dispiaccia.”
Io sorrido.
“No, stai tranquillo. Salutameli.”
Lui mi lascia andare e io salgo al piano di sopra per mettermi in cucina. Quando scendo Tom alza una mano in segno di saluto e David – davanti a lui – si volta e alza un timido cenno di saluto che io ricambio.
In piscina i piccoletti stanno giocando a palla e io vengo messa in squadra con Ava, che mi fa l’occhiolino.
“Pronta schiacciarli, Skye?”
“Pronta!”
Giochiamo fino a quando Tom esce dicendoci che è quasi mezzogiorno e che ha ordinato pizza per tutti, membri degli AvA compresi.
Io mi siedo a bordo piscina e sorrido, un po’ della tristezza se ne sta andando e se ne va più velocemente quando Jack si siede accanto a me.
“Ho scelto di stare con papà perché è quello che ha più bisogno di aiuto, ma ti voglio bene, mamma.”
Io gli scompiglio i capelli trattenendo le lacrime.
“Anche io ti voglio bene, Jack. Ti voglio un mondo di bene!”
Lui sorride felice e un peso se ne va dal mio cuore.
A pranzo faccio la conoscenza dei membri della band di Tom, solo Matt è un tipo chiacchierone, David e Ilan sono timidi, Ilan è addirittura timidissimo e stenta a rivolgere la parola a qualcuno.
In ogni caso mi sento accettata, nessuno mi fa pesare la mia condizione di nuova compagna di Tom.
Alla fine del pranzo rimango per caso sola con David, lui mi sorride.
“Fallo felice, se lo merita e poi lui ti ama da tanto tempo.”
Io sorrido a mia volta.
“Cercherò di fare del mio meglio.”
E in questa semplice frase è racchiusa la mia volontà per il futuro: essere felice con Tom, affrontando con lui i problemi della vita e dei pargoli diventati adolescenti.
Sono all’altezza del compito.

Angolo di Layla

Siamo al penultimo capitolo e ringrazio fraVIOLENCE per la recensione.

   
 
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