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Autore: White Dreamer    18/06/2013    10 recensioni
“E’ saltato fuori il discorso – di come nascono i bambini – e ognuno aveva un’opinione diversa”. Inclinò la testa perplesso. “C’e chi ha parlato della cicogna, ma altri hanno tirato fuori storie assurde”. Prese a elencare gesticolando.
“Cavoli, desideri tra innamorati, api col miele, semini in pancia”. Mugugnò schifato “Pensa che quel Nara ha assicurato che per nascere due persone devono essere nude su un letto e unirsi – com’è che ha detto? – carnasmelte mi pare”. Si tirò su, appoggiandosi sui gomiti “Nii san che vuol dire carnasmelte?”.
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Legata a "Di clandestini sopra e sotto i letti".
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Di Uchiha e domande scomode'
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Importante Legata a “Di clandestini sopra e sotto i letti”. Consiglio di leggerla prima.
 

 Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

 
 
 
Itachi sospirò afflitto. Si massaggiò le tempie nel tentativo di far scomparire il mal di testa indigente che gli martellava in testa.
Era da un paio di giorni che il fratello lo assillava di domande sulla sua immacolata concezione con l’ausilio di Sua Signoria Madame Colomba.
 
Davvero è lei a portare i bambini? E non sbaglia mai? Ma da dove li prende? E con gli animali come funziona? Com’è che si chiama? Viene aiutata da Babbo Natale? Tu c’eri quando sono arrivato?
 
E così via discorrendo.
Era tentato di regalargli un libro sull’apparato riproduttivo e finirla lì. L’immagine di un Sasuke traumatizzato però lo preoccupava.
No, avrebbe resistito valorosamente. La sua curiosità su un argomento non durava mai troppo a lungo.
 
 



Fu qualche giorno dopo che cominciarono i guai.
La Festa degli Antenati era una ricorrenza importante per tutti gli Uchiha. E anche mortalmente noiosa.
La cena era più lunga di un banchetto nuziale, con nove portate più caffè.
E siccome gli Uchiha non erano loquaci per natura, l’unico rumore che si sentiva durante il pasto era il ticchettio delle posate sui piatti.
Una noia mortale insomma. Tutti lo pensavano, nessuno lo diceva. Quando si parla di scavarsi la fossa da soli.
 
La veglia funebre si svolgeva nella Piazza Grande al centro dei quartieri e quell’anno era stato incaricato nel trasporto delle sedie. Come se non avesse niente di meglio da fare.
Sasuke invece era alle cucine. Lo avevano messo a sbucciare le patate. Anche se era davvero poco fraterno come comportamento, non poteva fare a meno di ridersela.
 
Si stava sistemando le scarpe quando la sua voce lo fece voltare.
Il fratellino era in lacrime, disperato. Lo raggiunse in piena corsa, attaccandosi alla felpa. “Nii san, è terribile, terribile ti dico!”.
Il suo spirito protettivo si era già messo in moto e non pensandoci due volte si era abbassato stringendo il pulcino al petto. “Che è successo otouto?”.
Il bambino singhiozzava sulla spalla.
Prese a tastare il corpicino alla ricerca di ferite. Non ce n’erano.
Tentò nuovamente un approccio e il piccolo tirò su col naso. “I grandi hanno fatto – hanno fatto una cosa spaventosa”.
Alzò un sopracciglio “Di che parli?”.
Il bimbo lo prese per mano e lo condusse nel luogo addetto alla preparazione del cenone. I forni erano già in funzione.
Lo fece fermare davanti al più grande. Un arrosto ben fornito stava girando sullo spiedo.
“Ahem, otouto non capisco”.
La manina del fratello indicò tremante il pennuto. Digrignò i denti “L’hanno uccisa nii san”.
 
Il ragazzo ci mise qualche secondo per comprendere il significato di quelle parole.
“L’anatra dici?”.
Lo guardò isterico “Ma no che dici? E’ la cicogna!”. Un singhiozzo strascicato. “Come faranno i bambini adesso? Non potranno più trovare i loro genitori”.
Provò ad asciugarsi il viso con una mano. “Oh, perché l’hanno fatto?”.
 
Inquietato in un certo senso da quei discorsi, si sbrigò a replicare. “Otouto no, questa non è la cicogna, e un’anatra, te lo assicuro”.
Occhi neri lo fissarono, disorientati “Non – non è la cicogna?”.
“Certo che no, è un arrosto vedi? Lo serviranno con le patate ”. Vide un rotolo di carta igienica e ne strappò un lembo. “Dai soffia”.
Ci volle qualche minuto perché il naso smettesse di colare e riprendesse a respirare normalmente.
 
Ora che era tranquillo lo invitò a uscire fuori. Lui però restò lì, a fissare lo spiedo.
“Può volare però” commentò pensieroso.
Lo guardò stalunato. “Chi?”.
“Le anatre dico, possono volare”. Aveva il viso concentrato, non era un buon segno.
“Bè si, possono volare”. Si grattò la testa.
Dove voleva arrivare?
La voce si animò “E se la conosceva nii san? Magari era sua zia!”. Si prese le mani, nervoso. “Potremmo mangiare la zia della cicogna e non saperlo neanche!”.
Si schiarì la gola, cercando di essere ragionevole “Le cicogne e le anatre non sono mica parenti otouto”.
Ovviamente lui svicolò il discorso. “Potevano essere amiche allora. Amiche del cuore!”. Deglutì, sconvolto. “Che cosa crudele, mangiare un uccello senza prima chiederle il permesso”.
 
Adesso sua madre si sarebbe imbufalita con lui. Aveva portato il figlio minore sulla strada del vegetarianismo.
“La cicogna è molto impegnata, non conosce nessuno”.
“E tu come lo sai?”. Incrociò le braccia indagatore.
Sbuffò esasperato “Lo so e basta”.
“L’hai ma incontrata?”.
E continuò così per tutto il pomeriggio con lui che lo tartassava di domande su eventuali parentele e conoscenze che potevano mettere a rischio il numero delle nascite annue.
Stava raggiungendo la soglia dell’isterismo.
 
Quando a sera, dopo gli antipasti e i primi, venne servita la carne, Sasuke per poco non si mise a piangere. Di nuovo.
Tra cinghiali, caprioli, e ovviamente arrosti di ogni forma e dimensione doveva sicuramente esserci qualche conoscente del pennuto.
Non toccò cibo e se ne rimase zitto – non che si notasse particolarmente – per le successive quattro ore.
 


 


Aveva appena consegnato dei documenti e si stava avviando verso casa con passo lento. Un venticello leggero spostava le foglie secche a bordo della strada. L’autunno era arrivato prima quell’anno. A inizio ottobre si poteva già sentire il calo di temperatura.
Si scompigliò i capelli, assorto.
Raggiunse l’ingresso dell’abitazione in pochi minuti. Era così immerso nei suoi pensieri che si accorse all’ultimo momento della piccola figura seduta a lato dei gradini.
Lo salutò cautamente. Dal weekend precedente era stato molto silenzioso. Lui che di solito in sua presenza parlava a raffica.
Non sembrava triste o turbato, solo pensieroso.
Quando lo vide ammiccò “Nii san ti stavo aspettando”. Lo raggiunse “Devo parlarti”.
Che qualcuno mi salvi. “Proprio ora otouto?”.
Annuì serio.”Si è davvero importante”.

Sospirando affranto, lo condusse in camera sua. Non ci fu bisogno di invitarlo a sedersi. Si spaparanzò direttamente sul letto.
Cominciò. “Senti nii san, credo che i bambini dell’accademia abbiamo le idee parecchio confuse”.
Il maggiore si sedette, passandosi un dito sulla fronte. “Ah si?”.
“E’ saltato fuori il discorso – di come nascono i bambini – e ognuno aveva un’opinione diversa”. Inclinò la testa perplesso. “C’e chi ha parlato della cicogna, ma altri hanno tirato fuori storie assurde”. Prese a elencare gesticolando.
“Cavoli, desideri tra innamorati, api col miele, semini in pancia”. Mugugnò schifato “Pensa che quel Nara ha assicurato che per nascere due persone devono essere nude su un letto e unirsi – com’è che ha detto? – carnasmelte mi pare”. Si tirò su, appoggiandosi sui gomiti “Nii san che vuol dire carnasmelte?”.
 
In quel momento il ninja avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte, a svolgere una missione di livello S con una decina di nemici alle calcagna.
Sospirò lentamente. Se si doveva fare, almeno che fosse fatto bene.
“Si dice carnalmente otouto”.
“Oh e che significa?”. Lo sguardo curioso del fratellino lo fece sorridere.
Gli passò una mano tra i ciuffi neri, affettuosamente. “Lo vuoi davvero sapere?”.
Annuì alacremente “Si, dimmelo”.
Fece un lungo respiro, preparandosi a quel discorso importante.

“Il fatto è otouto, che la cicogna non c’entra granché con i bambini”.
Gli occhi si spalancarono sorpresi “Ah no?”.
Non sembrava turbato o arrabbiato della scoperta.
Gli prese un braccio, trepidante “E allora chi è che li porta? I polli?”.
Sbuffò divertito, schiarendosi la gola. “No, non c’entrano gli uccelli. E’ una cosa che succede tra due persone che si vogliono tanto bene”.
Sasuke piegò la testa. “Come noi due?”. Sbatté gli occhi, confuso.
Sorrise a quell’innocenza. “No, devi essere innamorato, come mamma e papà”.
Una “O” si formò sulla sua bocca. Lo ascoltava rapito.
“E quando due persone si amano, i baci non sono sufficienti”.
Il piccolo rispose schifato “Bleah, che schifo, a me proprio non piacciono”.
Annuì, saputo. “Ne riparleremo tra qualche anno”.
“Tu ne hai mai dati?”.
Arrossì all'istante. “Qui - aehm”. Si schiarì la gola. “Qui stiamo andando fuori tema”.
Guarda tu se si doveva imbarazzare davanti a un moccioso.
“Continuo si o no?”.
“Oh si nii san, per favore”. La presa sul braccio s’intensificò.
Ticchettò le dita sul materasso “E allora i due innamorati decidono di – di “unirsi”.
Il bambino aggrottò la fronte. “In che senso?”.
Si passò una mano tra i capelli. Mica era semplice da spiegare. “E’ una cosa che capirai quando sarai più grande”.  Fermò le sue proteste con un cenno.
“Ti basta sapere che i due innamorati diventano una cosa sola e –  e se lo desiderano – possono creare una vita- si insomma un bambino”.
Il fratello era basito. “Caspita”. Gli lasciò il braccio. Alzò gli occhi al soffitto, concentrato “E il bambino compare subito?”.
Si grattò a lato del collo, continuando la spiegazione “No, bisogna aspettare nove mesi”.
E Sasuke trattenne il respiro, impressionato. “Nove mesi? Così tanto?”.
Gli passò una mano dietro la schiena per tranquillizzarlo. Annuì.
“Si cresce nella pancia della mamma e poi, quando si è pronti, si nasce”.
“Perché proprio nella pancia?”. Si fissò l’ombelico, sfiorandolo poi con un dito.
Alzò le spalle, non sapendo bene che rispondere. “Avresti in mente altri posti?”.
“Boh”. Si strofinò i piedi tra loro. “E si nasce con i vestiti?”
Ridacchiò di gusto. “No si è nudi”.
Al bimbo venne un brivido. “E non si ha freddo?”. Si strofinò le braccia.
“Dentro la pancia della mamma fa caldo”. Gli spostò una ciocca che era caduta davanti all’occhio.
Sbatté le palpebre. “Capisco” Si spostò sul bordo del letto. “Perciò – è tutto qui?”.
Rispose sereno. “Tutto qui”.
“E la cicogna?”.
“E’ un uccello otouto, migra e nidifica come tutti i volatili”.
Il moretto continuò “E i cavoli?”.
“Sono solo verdure. Si mangiano”.
Il piccolo arricciò il naso. “A me non piacciono proprio. Sarebbe orribile nascere sotto i cavoli, che schifo”.
Lo sostenne, allegro. “Hai ragione. Meglio la pancia di una mamma”.
“Decisamente”. Saltò giù da letto e prese a saltellare per la stanza. “Senti, ma tu l’hai mai vista una cicogna?”.
Alzò un sopracciglio “A dire la verità no. A Konoah non ce ne sono”.
Annuì. “Ma ci sono tanti piccioni”. E rise.
Era così raro che lo facesse. Se ne sentì l’autore.
E non poté fare a meno di imitarlo, seguendo quel suono musicale.
Spensierate vibrazioni riempirono la stanza.
 
 
La felicità è una cosa preziosa perché ti può essere strappata via.
Eppure non si può fare a meno di continuare a rincorrerla.
 
 





Angolo Autrice
Chissà perché, quand’ero alta quanto un Puffo, ero convinta di essere nata con i vestiti – nessuno è mai riuscito a farmi cambiare idea.
^^’
Sssi, lasciamo perdere sto frammento di infanzia pazzerella e torniamo alla fic. 
La mia mente sta partorendo cose sempre più sconclusionate. E’ il caldo.
Ma quando l'ispirazione è in volo, non si può fermarla.


  
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