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Autore: ichigo    17/09/2004    3 recensioni
"Perche` Bellatrix?" "Perche` e` molto piu` facile andare avanti sulla strada sbagliata e calpestare i frammenti del proprio cuore, piuttosto che fermarsi e rimettere insieme tutte le schegge." La mia versione dei fatti sul perche` Bellatrix Black sia diventata una Mangiamorte.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Tutti i personaggi di questa fiction appartengono a J

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa fiction appartengono a J.K.Rowling e compaiono in questa storia esclusivamente per mio diletto artistico.

Cuore di vetro

“Perchè lo fai? Perchè sei diventata una di loro?”

“Perchè erano tutti pronti a spingermi nel baratro, ma non c’era nessuno ad afferrare la mia mano mentre precipitavo. E da allora, come vedi, non ho mai smesso di cadere.

La mia vita è sempre stata manovrata, segnata dalle imposizioni, volontarie o involontarie che fossero, di altri.

Per tutta la mia vita sono stata una bambola in mano ad un bambino capriccioso. Inadatta al gioco, non costruita per esso.

Ero una bambola di porcellana, boccoli perfetti che scivolavano sul vestito finemente ricamato, scarpette di vernice lucida, occhi trasparenti, fissi, con lunghe ciglia nere. Guance rosee, bocca di ciliegia piegata in un perfetto sorriso. Finto come la ceramica, stampato sul mio viso da un artista bugiardo, e amaro come il fiele.

Perfetta da tenere chiusa in una teca, bellissima gabbia di cristallo ornamentale, ma assolutamente inadeguata a quel gioco crudele che è la vita.

I bei boccoli scomposti ricadono ora su un vestito di velluto nero, costretta in un lutto che non mi appartiene, gli occhi perennemente annebbiati dalle lacrime. Ho perso una delle mie scarpette, ma non c’è nessun principe a riportarmela, nessuna favola per la bambola del diavolo. Il sorriso è sempre lo stesso, appartiene alla maschera che interpreto, mentre il coro innalza al cielo canti strazianti.

Vengo sbatacchiata continuamente dal bambino, che mi trascina, tenendomi dolorosamente per un braccio, in mille giochi di cui non sono all’altezza.

Non ero nata per questo. Dovevo essere un ornamento delicato, piacevole alla vista, circondata da altre come me, sullo scaffale di un mobile antico, forse un po' polveroso, ma adatto a me.

Invece la teca si è rotta, niente ha attutito la mia caduta, il tappeto non mi ha risparmiata e dentro di me qualcosa si è spezzato.

Bambola di porcellana, con un fragile cuore di vetro, per niente prezioso come vorrebbe invece la mia apparenza, vengo travolta dallo scorrere del tempo, accompagnata da un perenne sbatacchiare di cocci e schegge, che si agitano nel mio corpo vuoto.

Così vivo, sperando che un giorno finisca, sognando uno scatolone sudicio in cui osservare il nuovo giocattolo subire la mia stessa sorte, spostarmi lentamente per fargli spazio.

Eppure una piccola parte di me, dispersa tra le schegge, spera ancora che qualcuno possa strapparmi alle piccole manine crudeli, pettinarmi con cura e ripormi sullo scaffale.

Io lo so. Sono sicura che, se qualcuno mi salvasse, potrei essere una brava bambola di porcellana, silenziosa e bellissima.

Bellatrix si richiuse la pesante porta di legno scuro alle spalle con un tonfo sordo, immergendosi nel buio della sua camera da letto. Vi rimase appoggiata per alcuni istanti, la maniglia stretta saldamente nella mano, per impedire a chiunque di entrare, almeno per qualche minuto. Già, perchè a Villa Black le porte non avevano chiavi, in effetti non c’erano nemmeno le serrature, perchè la vita di un Black era prima di tutto dei Black.

Chiuse gli occhi e cominciò a prendere lunghi e profondi respiri, cercando di isolarsi da tutto ciò che stava succedendo fuori della porta.

Si passò una mano sulla gola.

Dio, se si sentiva soffocare. Aveva la sensazione che un cappio si stesse stringendo sempre di più attorno al suo collo, che il collare, con cui la sua famiglia aveva sempre diretto i suoi passi, cominciasse ad andarle stretto.

Mosse passi malfermi fino alla specchiera, le girava la testa.

Dal piano di sotto giungevano, scarsamente ovattate dal pavimento, le urla di sua zia, che tanto per cambiare inveiva contro il figlio. Certo, Sirius aveva un talento naturale per mandare sua madre fuori di testa, ma d’altro canto lei non si tirava mai indietro quando c’era da strillare come una pazza.

Sfiorò delicatamente la cornice dello specchio, che iniziò ad emettere una fievole luce.

Guardò il suo riflesso con profondo disgusto.

Era bella , non si poteva dire il contrario. La sua carnagione lunare, in pieno contrasto con i capelli corvini, le donava un aspetto nobile, una bellezza antica accentuata dal blu profondo dei suoi occhi.

Era ricca, pure. Dannatamente ricca. L’unico tesoro in grado di competere con quello della sua famiglia, era quello dei Malfoy e presto, sua sorella non faceva altro che ripeterlo, sarebbero diventati una cosa sola, almeno per un ramo della famiglia.

E poi era una Black, il che, nel mondo magico, contava molto più di tutto il resto. Il suo era un nome che pesava come un macigno, un biglietto da visita che apriva ogni porta, che incuteva rispetto. E che diveniva il perno attorno a cui ruotava la vita di ogni persona lo portasse.

Ogni Black era tenuto a portare onore, gloria e ricchezze alla sua casata, pena la cancellazione dall’albero genealogico, il che praticamente significava smettere di esistere.

Come era stato per Andromeda. Sua sorella aveva combattuto per poter decidere chi amare, e aveva fatto un grosso errore agli occhi di tutta la famiglia – o per lo meno della parte con potere decisionale-. Si era innamorata di un babbano, tale Ted Tonks, e senza timore aveva fatto le valigie e se ne era andata. Il giorno dopo il suo nome ricamato sull’arazzo di famiglia era stato bruciato, e così anche il suo ricordo.

Da un giorno all’altro si era trovata con una sorella in meno, cancellata per tutti, tranne che per lei, con la facilità con cui si rimuove la polvere con uno straccio.

Si era odiata per non averla salutata, per non essere andata al suo matrimonio.

Soprattutto si era vergognata per non averla difesa. Perchè aveva ragione Andromeda, lo sapeva, ma come avrebbe anche solo potuto alzare la voce per controbattere, lei, che aveva accettato in silenzio l’imposizione del fidanzamento con Rodolfus Lestrange?

Aveva taciuto per l’ennesima volta e l’aveva guardata chiudersi la porta alle spalle dalla cima delle scale.

Scosse forte la testa per liberarsi di quei pensieri e si concentrò di nuovo sulla sua immagine riflessa.

Sorrise a se stessa, dicendosi che andava tutto bene, e dopo alcuni colpi di spazzola si diresse al letto a baldacchino, stendendosi sul copriletto blu elettrico.

Poco prima di addormentarsi percepì la fine della discussione al piano di sotto.

Dopo tutto, pensò prima di abbandonarsi tra le calde braccia di Morfeo per un breve riposo, nemmeno Sirius ha deciso di cambiare le cose.

Sarebbe bastata una semplice parola, un lieve capriccio, un attutito sbattere i piedi per rendere nota la mia presenza. Avrei dovuto gridare che c’ero anche io, ma non sono mai stata molto coraggiosa. Ed imporre le proprie idee richiede molto coraggio, soprattutto per una bambola.

Me ne restavo in silenzio ad osservare mia sorella Narcissa, deliziosa bambola meccanica priva del mio fascino antico ma autonoma, muovere piccoli passi malfermi. Gongolante nella sua perfidia, mi gettava sguardi gelidi, allontanandosi, mentre la mia vita era scandita dal posarsi inesorabile della polvere.

Si svegliò che era ormai pomeriggio inoltrato, disturbata da alcuni rumori che provenivano da dietro la sua porta.

L’aprì lentamente e fece capolino in corridoio, incontrando lo sguardo sorpreso del cugino.

“Che combini, Sirius?” domandò giocherellando con una ciocca di capelli e assumendo l’aria imbronciata che aveva fatto colpo su tutti i ragazzi con cui l’aveva usata. Tutti in effetti tranne uno, l’unico su cui doveva funzionare, che le passò davanti senza degnarla di una risposta.

Leggermente stizzita, lo seguì fino in biblioteca dove lo osservò svaligiare alcuni scaffali di vari libri dalle copertine multicolori.
“Hai deciso di imparare a leggere?” chiese acida quando le passò accanto per uscire.

“Levati di torno, Bella. Proprio non tira aria” disse lui brusco chiudendo con un calcio la porta della sua stanza, che rimbalzò indietro socchiudendosi.

Bellatrix sbirciò dentro la piccola fessura e quel che vide fece perdere un battito al suo cuore.

“Che fai?!- strillò entrando come una furia ed indicando il baule ricolmo di vestiti e oggetti posato sul letto del ragazzo- Non te ne starai andando, spero!”

“Ottimo spirito di osservazione, Bella!” fece lui sarcastico, premendo sugli abiti per far spazio ai libri.

“Non ci credo, stai scappando!” disse lei di rimando, sempre più allarmata. Suo cugino stava facendo sul serio, troppo per i suoi gusti.

“No, cara. IO ho appena deciso di vivere la MIA vita. Sei tu che continui a scappare da quando sei nata. Siete voi, Regulus, Narcissa e tu, che continuate ad infilare la testa nella sabbia, chinando il capo ad ogni imposizione, convinti così di vivere meglio. Bhè io non vivo meglio. Anzi, non vivo affatto” sbottò Sirius, tutto d’un fiato.

Bellatrix fissò il tappeto, gli occhi presero a pizzicarle. Dannazione! Non poteva andarsene anche lui.

“Dannazione!- gridò con tutto il fiato che aveva in corpo- non lo puoi fare! Non puoi gettare all’aria tutto questo!” disse, allargando le braccia per indicare la casa.

“A me non serve tutto questo, Bella. A me servo solo io, e qui non mi è permesso essere me stesso” le rispose Sirius, chiudendo il baule e poggiandovi sopra la gabbia della sua civetta fulva.

“Diavolo! Smettila di far finta di essere qualcun altro! Tu sei un Black, mettitelo in testa! Tu sei tutto questo!” urlò Bellatrix rossa in viso, gli occhi lucidi.

“No, io sono solo Sirius” disse lui, passandole accanto “Addio Bellatrix.

Salutalo!

Chiedigli di restare!

Bellatrix non diede voce ai suoi pensieri. Rimase in piedi nella stanza, ormai spoglia di tutti gli effetti di suo cugino, ascoltando i tonfi attutiti e regolari del baule trascinato giù per le scale.

“Ti avviso! Se ora oltrepassi quella porta, non potrai tornare indietro. Mai!” la voce della zia, al piano di sotto, la richiamò fuori della stanza. Osservò l’uscita di scena di suo cugino dal pianerottolo, accanto a Narcissa, che se ne stava in piedi vicino alla ringhiera. Lo vide sbuffare divertito e sbattersi la porta alle spalle.

“Tsk!- sbuffò anche Narcissa, sciogliendo le braccia, fino a poco prima incrociate al petto, e ravvivandosi i biondissimi capelli –Che orribile spettacolo. Speriamo che gli altri non vengano a saperlo.

Gli ALTRI erano i Malfoy, i suoi futuri suoceri.

Bellatrix strinse i pugni.

Voleva dirle di stare zitta, di ficcarsi in gola il suo perbenismo, di non essere sempre così maledettamente stronza, ma tacque. La guardò allontanarsi con il suo solito passo elegante, ancora una volta chinando il capo.

Dal silenzio del suo cuore di vetro si sollevò una domanda: per quanto ancora osserverai la tua vita scorrere, dalla cima delle scale?

Ho avuto molte possibilità di reagire, ma ho sempre preferito lasciarmi trascinare dalla corrente, facendomi pettinare, vestire, manovrare da qualcun altro.

Se non altro potevo incolpare gli altri della mia infelicità.

Le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi piedi nudi, rompendo il silenzio che aleggiava in quel luogo proibito.

Le ombre si spostavano leggere, scacciate dal tenue cono di luce che scaturiva dalla bacchetta, illuminando il sentiero davanti ai suoi piedi. Scavalcò una radice che invadeva il passaggio, ansimando leggermente.

Non avrebbe saputo dire da quanto camminasse, ma a giudicare dalla posizione della luna nel cielo si era fatto parecchio tardi –o presto, a seconda dei punti di vista-.

Si sedette su una roccia poco lontana dal sentiero principale per riprendere un po' di fiato.

Ma come diavolo le era venuto in mente di darsi all’esplorazione della Foresta Proibita in piena notte, e per lo più a piedi nudi?

Non avrebbe potuto agire come facevano tutti gli studenti che trascorrevano una notte insonne, causa l’avvicinarsi dei MAGO? Sarebbe stato meglio restare a letto, a rigirarsi, magari tenendo sveglie anche le altre ragazze.

Ma no. Bellatrix Black era un tipo originale, preferiva perdersi nella foresta più dannatamente buia e scricchiolante del pianeta e magari andare in cerca di un bel lupacchiotto mannaro che avesse voglia di morderla.

Se non altro da licantropo sarebbe piaciuta a Sirius.

Si scollò una ciocca corvina dalla fronte sudata con un gesto nervoso. Ecco, per coronare la serata ci voleva proprio un bel pianto per il cugino diseredato.

Di male in peggio.

Improvvisamente uno scricchiolio sinistro alle sue spalle la riportò alla realtà. Scattò in piedi e si voltò verso il punto da cui proveniva il rumore, la bacchetta ben salda tra le mani.

Un ombra si muoveva verso di lei, tenendosi sul confine del raggio luminoso.

Sempre peggio.

Sollevò lentamente la bacchetta per illuminare la persona, o la cosa, che si stava avvicinando.

Sussultò quando il raggio dorato andò a colpire una mano sottile, quasi un artiglio necrotico, che spuntava dall’ampia manica del mantello nero.

Peggio, peggio, peggio.

“Non temere.” Una voce tagliente ruppe il silenzio carico di tensione che si era venuto a creare, ma era un suono che Bellatrix non aveva mai udito in vita sua. Era un sibilo, freddo come un vento polare che ti sferzava il viso; faceva l’effetto del respiro di un Dissennatore, penetrava fin nelle ossa.

Rabbrividì indietreggiando lievemente.

Sentì sogghignare l’incappucciato, che si manteneva ancora nella zona d’ombra.

“Ti assicuro che se avessi voluto farti del male, saresti morta senza accorgertene” disse l’essere, con il suo sibilo strascicato “E comunque io non uccido i Purosangue, semmai tutto l’opposto, cara Bellatrix Black.”

Un breve istante per fare mente locale e quasi le prese un colpo, realizzando che l’incappucciato che le stava di fronte non era altri che Lord Voldemort in persona. Prese a farfugliare mille scuse, gesticolando imbarazzata ma anche estremamente impaurita.

“Con me non servono le scuse, io non perdono. Bastano solo un po’ di devozione e di timorosa riverenza, mia cara” sibilò Lord Voldemort, calandosi il cappuccio e puntando le iridi sanguigne sulla ragazza, “In cambio avrai rispetto, benevolenza e potere. Ma forse non ti interessa” concluse poi con falsa casualità.

Colpita nel segno.

L’Oscuro Signore distese le sottili labbra serpentine in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso, cogliendo il rapido ragionamento della Serpeverde con estrema facilità, quasi osservasse gli ingranaggi scoperti di un orologio.

“La scelta spetta solo a te” aggiunse poi, facendo leva sul punto debole della ragazza. Essere un abile legilimens aveva i suoi vantaggi, dopotutto.

Piegò le ginocchia con grazia, senza preoccuparsi di imbrattare la camicia da notte con la fanghiglia del sottobosco.

Tutto sommato, bastava poco per decidersi a scendere quella scala e iniziare a vivere.

Salvami, diverrò la tua bambola, silenziosa e bellissima.

Fine.

  
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