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Autore: The_Ruthless    18/06/2013    7 recensioni
Molti, prima o poi, affrontano un periodo di crisi. E se hai di fronte una tentazione, una scorciatoia per sentirti di nuovo bene, di nuovo intero sei sicuro di riuscire a resistere?
[Questa è una storia vera, spero che questa consapevolezza la renda meno noiosa]
Genere: Mistero, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Siringhe insanguinate



Capitolo uno: Scelta

 

Erano le cinque del mattino. Uscita di casa, percorsi le solite vie di villette a schiera fino a raggiungere la principale: mi guardai attorno e attraversai la strada addentrandomi nel corridoio fatto di alberi che copriva alla vista la roggia. Arrivai alla strada sterrata, la seguii e dopo un paio di curve apparvero le due ville diroccate. Notai che gli armadietti e il divano sfondato, posti davanti all'entrata della prima casa, erano stati ribaltati e spostati; qualcuno ci era venuto, di recente. Passai oltre il primo edificio, superai il secondo ed entrai dal cancello arrugginito che era stato abbattuto. Il giorno prima era integro, a quel pensiero cominciai a innervosirmi; nella mia breve vita avevo avuto raramente paura di qualcosa, questa era una di quelle poche volte.
Passai per un'apertura in cemento nella parete a sinistra, attraversai la stanza e percorsi un corridoio, mi fermai prima di raggiungere la stanza che sapevo ci sarebbe stata dietro l'angolo. Un ragno si stava arrampicando sulla mia spalla, con una smorfia di ribrezzo lo tolsi delicatamente e lo posai a terra; detestavo i ragni ma non vedevo motivo alcuno per far loro del male. Dopo un attimo di esitazione entrai nella stanza, ci vollero alcuni secondi prima che i miei occhi si adattassero alla penombra, il sole non era ancora sorto eppure si potevano scorgere i graffiti incomprensibili che ornavano i muri.
Sulla parete a sinistra c'era un caminetto, somigliava a un focolare, dentro erano ammassate varie lattine di birra vuote e pacchetti di sigarette; in fondo alla stanza c'era una cassettiera adagiata su un fianco, sfondata. A destra, vicino all'uscita che dava sul giardino interno e congiungeva la stanza alle scale esterne, c'era un tavolo improvvisato: era un piano di legno appoggiato a una specie di barile, su cui si trovavano molte bottigliette d'acqua mezze vuote, dei contenitori di alluminio, un accendino e varie siringhe, alcune sottili, altre più grosse.
Mi si mozzò il respiro: accanto al cosiddetto tavolo c'era un individuo, illumminato dalla fioca luce che entrava dalla porta vicina al suo fianco sinistro. Pensai che fosse morto, era seduto con le gambe allungate sul pavimento impolverato e la schiena appoggiata al muro, le braccia molli lungo i fianchi, la testa chinata in avanti. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi, contai fino a dieci e poi li riaprii: non c'era nulla, me l'ero solo immaginato. Tirai un sospiro di sollievo e mi sedetti nell'esatto punto in cui l'avevo "visto". Mi abbracciai le ginocchia e vi posai sopra la fronte, serrando di nuovo le palpebre e cominciando a riflettere. Ero andata lì apposta, non dovevo distrarmi.
Cominciai a respirare lentamente, dovevo affrontare tutto quello che avevo arginato durante il giorno altrimenti sarei esplosa. Lo affrontai di petto e una marea di insulti mi si riversò addosso: "Non vali nulla, scavati una fossa e restaci!", "Sei una stronza!", "Troia!", "Sfigata, è troppo facile prenderti per il culo!", "Asociale, vai a farti una scopata ti fa solo che bene!", "Pompinara!", "Puttanella, ti fotto quando mi pare!", "Bambina viziata, idiota, stupida, patetica!", "Emo di merda!", "Sei inutile, non sei nessuno, sei sola!"...è vero, ero sola. Ma loro cosa pensavano, che tutti questi insulti fossero roba da poco? Certo, per loro dove stava il problema, facile sparare cazzate contro quacuno che neanche conoscevano. Ne avevo abbastanza di ridere e far finta di essere divertita, ne avevo abbastanza di inutili botta e risposta che non risolvevano nula, ne avevo abbastanza di sentirmi sola, una merda senza nessuno a cui aggrapparmi; sentii le lacrime rigarmi il volto, me le strofinai via con rabbia.
Alzai lo sguardo e la vidi, una siringa sporgeva dal tavolo, quasi a invitarmi. Sembrava che mi parlasse: «Non preoccuparti, hai dei problemi? Io sono la soluzione, avanti, cosa ti costa, dopo ti sentirai meglio.» Scossi la testa fra me e me, non potevo cadere così in basso. Ora pareva che mi sfidasse: «Non hai il coraggio, eh? In fondo sei solo una sciocca ragazzina, senza spina dorsale...Certe cose non le puoi capire, non hai fegato!»
La afferrai, me la portai davanti al volto e la esaminai, rigirandomela attentamente fra le dita: era insanguinata e piena per metà, qualcuno doveva essersene andato da poco. La poggiai su una mano, soppesandola: e se questa fosse davvero la soluzione migliore? Cosa avevo da perdere, alla fine? A chi poteva importare se fossi diventata un'eroinomane? La afferrai saldamente con la mano destra e posai l'ago sul braccio, all'altezza della vena. Era altrettanto probabile che mi beccassi l'AIDS o una delle varie malattie mortali. Potevo farlo? Me ne fregava così poco di tutto da rischiare di crepare o trasformarmi in una persona che non mi sarebbe assomigliata per nulla? Pensai a Gaia, la mia migliore amica, al nostro ultimo incontro, un paio di settimane prima.

***
Eravamo a casa mia, stavamo discutendo sull'imminente arrivo del suo migliore amico, che mi rifiutavo di conoscere. Sapevo già che mi avrebbe disprezzato. Chinai la testa, serrando la mascella per trattenere la crisi di pianto che sentivo incombere. «Andiamo Gaia, sappiamo entrambe che gli starò sulle palle. Potrò anche essere simpatica, a volte, ma sono una fessa, l'oggetto di molte prese per il culo. Una sfigata.»
Mi sfiorò un braccio e alzai il capo, il suo sguardo color cioccolato era deciso, quasi di sfida. «No Tea. Tu sei, eri e sarai sempre la mia migliore amica. La più figa di tutte. Una delle persone migliori che abbia mai conosciuto.»
Le sorrisi, rincuorata. «Ti voglio bene, best.»mormorai.
Ricambiò il sorriso, abbracciandomi. «Anch'io tesoro.»
***

Mi sbagliavo. Non ero sola, c'era lei e c'era anche lui. Um, l'unico con cui potessi essere davvero me stessa.
Gettai la siringa per terra, schifata, non potevo farlo. Oppure sì? No, anche se a loro non gliene fosse fregato più nulla di me. Nono avevo intenzione di fare una cosa simile a me stessa, era una scelta da deboli. Ma io non lo ero, d'altronde? Mi morsi il labbro, per questa domanda non avevo una risposta.
Un rumore di passi mi distrasse, scattai in piedi, la siringa ancora in mano, con il cuore che batteva a mille. Merda! Chi cazzo veniva in questo luogo sperduto alle cinque del mattino?

   
 
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