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Autore: shaka    03/01/2008    5 recensioni
Una ragazza che si sente soffocare nel mondo di cristallo in cui vive...tra party e feste di beneficienza. Sophie decide di partire per andare da una zia in Germania, e in compagnia dell'adorata cugina Frida vivrà un week-end davvero unico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di iniziare valgono i soliti DESCLAIMERS: I Tokio Hotel non sono di mia proprietà. Gli altri personaggi invece sono frutto della mia testolina, spero di averli resi interessanti…
Inoltre ciò che è narrato in questa storia è frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente avvenuti, o a persone realmente esistenti è puramente casuale (Tokio Hotel esclusi, visto che loro si sa che esistono ^_^).

Buona lettura (spero!)

10 anni dopo: NUOVE VITE


“Le parti contraenti accettano e stipulano quanto segue…”
Non mi toglievo il vizio di borbottare quello che scrivevo a computer. Era un rituale che, solitamente, mi permetteva di concentrarmi; quel giorno era inutile.
Andai alla finestra a guardare gli uomini e le donne che si aggiravano indaffarati nella city londinese.
Appoggiai una mano sul vetro e, nel farlo, mi soffermai ad osservare la fedina che da dieci anni stava sul mio dito medio.
Papà aveva cercato tante volte di estorcermi informazioni sull’uomo della chitarra, ma non mi ero mai sentita pronta per parlargliene; così continuava ad essere “l’uomo della chitarra”.
“E’ permesso?” chiese la mia segretaria, infilando la testa nell’ufficio.
“Vieni Sally, cosa ti serve?” le domandai, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Solo un paio di firme su questi documenti. Poi ha chiamato suo padre: chiedeva come prosegue l’ acquisizione della scuderia, però non ha voluto che la disturbassi.”
Firmai i documenti e glieli restituii, congedandola.
Il padre di Frida era entrato a far parte del magico modo della Formula1, grazie all’ acquisizione di una scuderia; io mi ero occupata della transazione che si sarebbe conclusa il mese successivo, nonostante il campionato fosse già iniziato.
Chiamai mio padre per ragguagliarlo, e lui mi rammentò l’appuntamento a cena per la sera.
“Sai che tua madre ci tiene: ora che non va più a tutte le sue feste e serate di gala non le resta altro che sfogarsi su di noi!” mi disse ridacchiando.
“Va bene papà, e ricorda che verrà anche Allen; è molto giù da quando…bhè, lo sai.”
“Tranquilla! Non vedo l’ora che siate qui! Ciao piccolina!”
“A più tardi!” lo salutai e chiusi la conversazione.

Mi sedetti alla scrivania, per riprendere la stesura della bozza di contratto cui stavo lavorando da ore ormai, ma lo squillo del telefono mi interruppe nuovamente.
“Che c’è Sally?” chiesi, abbastanza scortese.
“Chiedo scusa, so che non voleva essere disturbata, ma è una telefonata importante.” Disse la mia segretaria, l’unica che sapeva tenermi testa anche quando ero davvero arrabbiata.
“I dettagli?” domandai secca.
“Ubriachezza molesta: l’accusato è una star della musica. Arrestato e rilasciato su cauzione. Al telefono c’è il suo agente.”
Fantastico…da quando il Sun mi aveva messo tra le 10 donne più influenti del Regno il mio studio era diventato punto di riferimento di star ed importanti imprenditori; anche se io continuavo ad accettare casi di patrocinio gratuito: aiutare i meno fortunati era il motivo per cui avevo studiato legge, ed essere tra i migliori Barristers della Gran Bretagna non mi distoglieva dal mio obbiettivo.
“Passamelo” mi arresi.
Dopo un attimo di attesa udii un click…dovevo essere in collegamento con il fantomatico agente.
“Studio Associato Grosvenor & Michaels. Sono Sophie Grosvenor, cosa posso fare per lei?”
“Non vorrei discuterne per telefono. E’ possibile incontrarci in pausa pranzo?”
“Potrebbe andar bene, ma preferirei sapere con chi parlo.” Risposi risoluta.
“La prego non posso, va bene alle 13 nel suo ufficio?” fu la richiesta del misterioso interlocutore.
“Va bene, alle 13 nel mio ufficio.”
Un secondo click mi avvertì che la conversazione era stata chiusa.
Fantastico! L’ennesima pausa pranzo in ufficio: avvisai Allen che il nostro appuntamento per il pranzo era saltato, e lo pregai di passare dall’ufficio prima di tornare a casa.
Erano le 11…la famosa bozza di contratto ora poteva avere la mia attenzione.
Alle 12.50 rimasi da sola in ufficio, e decisi di concedermi un caffè.
La mia pausa fu presto interrotta: la porta d’ingresso era stata aperta; il mio cliente misterioso doveva essere arrivato.
Mi guardai nello specchio a parete che occupava un angolo della sala riunioni: il tailleur grigio era a posto, e anche la camicia azzurra; ravvivai i capelli, che ora portavo lunghi fino alle spalle e lisci…impeccabile, come al solito.
Mi diressi verso l’ingresso. Avrei dovuto accogliere il cliente da me, visto che erano andati tutti a mangiare.

Quando lo vidi il mio cuore esplose, poi perse un battito, in memoria dei tempi passati. Lo studiai un attimo e, quando lui si accorse di me, non mi riconobbe…in effetti in dieci anni ero cambiata non poco.
Mi avvicinai sorridendo, e allora forse cominciò a sospettare qualcosa.
Quando fummo vicini i nostri occhi si incatenarono e, a quel punto, meravigliato, disse in un sussurrò “Sophie?”
“Tom!” mormorai io, incredula.
Ci guardammo a lungo prima che i nostri piedi decidessero di condurci una nelle braccia dell’altro.
Mi staccai, cercando di essere il più professionale possibile, e dissi “quanto tempo! Vieni, andiamo nel mio studio.”
“Aspetta!” disse lui prendendomi per un polso e fermandomi “Sta arrivando anche Cristopher.”
“va bene, mi farà piacere rivederlo.” Risposi io.
Tom non mi staccava gli occhi di dosso e, ad un certo punto, disse “Sei cambiata, ma sei ancora più bella di come ti ricordavo sai, Angelo?”
Dio come mi era mancato quel soprannome…
“Tu invece sei sempre quello, a parte i rasta.” Dissi cercando di non lasciare trasparire l’emozione che provavo.
“Ho dovuto tagliarli e rifarli…una vera seccatura.” Disse sfiorando un dread: ora superavano di poco le spalle ed erano più sottili di un tempo.
Gli sorrisi.
Erano passati molti anni ma, in quel momento, mi sembrava di non essere mai partita da Otterwisch…quante cose avrei voluto dirgli…
“Sophie!” il grido mi distolse dall’oggetto dei miei pensieri: era arrivato Cristopher.
“prima di abbracciarti devo dirti che Charlotte ti saluta, e che Bill, Georg e Gustav ti mandano un bacio. Ora tocca a me: bentrovata Sophie!”
“Buongiorno Cristopher! Sono felice di vederti.” Dissi tendendogli la mano che lui strinse con vigore, prima di attirarmi a se e abbracciarmi.
“Toglimi una curiosità: al telefono non eri tu, vero?” chiesi al manager con tono inquisitorio.
“In effetti no. Pensavo che mi avresti riconosciuto, e così ho fatto chiamare un mio assistente” confessò lui.
Dopo i saluti ci accomodammo nel mio studio, dove fui aggiornata sulla disavventura di Tom.
Alla fine del racconto di Cris notai che il chitarrista teneva lo sguardo basso: doveva essere davvero imbarazzato.
“Fortunatamente, a parte esserti messo a cantare a squarciagola, non hai fatto molto altro. Secondo me l’ideale è patteggiare: scuse e risarcimento dei danni. Non è conveniente andare in causa, se le cose sono andate davvero come mi ha detto Cristopher.” Fu il mio consiglio legale.
Tom annuì, ed il manager mi chiese se accettavo formalmente il caso; acconsentii e, dopo aver firmato le carte necessarie, chiamai il bar per ordinare tramezzini e bibite.
Poi cominciammo a parlare di quei dieci anni…
Cristopher e la zia avevano adottato due bambini, ma questo lo sapevo perché ero rimasta in contatto con zia Lotte.
Di Tom e della band, invece, sapevo poco; così Tom mi spiegò che, dopo l’Europa, si preparavano alla conquista degli Stati Uniti: avrebbero aperto alcuni concerti dei Red Hot Chili Peppers.
“Ma è splendido…i Red Hot…sai che li adoro, vero? Sono i migliori, e sono felice che vi abbiano scelto. Quindi hai coronato i tuoi sogni.” Dissi al bel chitarrista che, durante la chiacchierata, aveva continuato a torturarsi il piercing al labbro.
“Già, e anche tu, vedo.” Osservò lui.
“Ragazzi io purtroppo devo andare: ho delle faccende da sbrigare e non posso trattenermi oltre. Tom, ci vediamo in albergo. Sophie, è stato un piacere!” disse porgendomi la mano.
“Anche per me Cristopher, a presto, spero!” risposi stringendogli la mano.
Chiamai la mia segretaria, e le chiesi di accompagnare Cris.
Tom ed io, dopo tanto tempo, eravamo di nuovo soli…era una cosa davvero strana.
Cercai di rompere il giaccio che si era creato con l’uscita di Cristopher “E gli altri come stanno? So che Bill e Frida si sono lasciati, ma sono sempre in contatto; poi però non so altro!”
Io e Frida avevamo deciso di non toccare l’argomento Tokio Hotel: all’inizio perché per me era davvero doloroso, e poi perché le nostre vite erano diventate così frenetiche che avevamo troppo da raccontarci e l’argomento era passato in secondo piano.
Tom distese le labbra in un dolce sorriso, e prese a raccontarmi.
“Gustav si è fidanzato con Hanna, te la ricordi, vero?” me la ricordavo bene: non avevamo più avuto modo di sentirci, nonostante le promesse, e quindi non ne sapevo nulla. Annuìì, e lui riprese “Dopo Colonia hanno cominciato ad uscire insieme, poi lei si è laureata ed è entrata nel nostro entourage. Ci segue da più di cinque anni, ed è la nostra tour manager e traduttrice: conosce 6 lingue alla perfezione. Inoltre due anni fa hanno convolato a nozze.”
“Ma dai?” commentai stupita…avevo contribuito a formare una coppia di sposi! “E Georg?” lo incalzai curiosa.
“Lui è single. Ha avuto storie con un sacco di belle ragazze, ma le ha mollate tutte. Lo stesso vale per Bill che passa da una modella all’altra, ma poi si annoia perché nessuna è come tua cugina. Frida è l’unica donna che, in un modo o nell’altro, è nella sua vita da 10 anni: si sentono e si vedono, ma sono entrambi troppo legati alle loro rispettive vite…”
“Lo so…E tu Tom?” chiesi guardandolo negli occhi.
“Io sono sempre il solito: suono tutto il giorno e se non suono scrivo qualcosa. Le donne non fanno più parte della mia vita da un po’…dieci anni all’incirca.” Rispose lui senza abbassare lo sguardo.
Rimasi stupita; pensavo che dopo la mia partenza, prima o poi, avrebbe ricominciato la sua vita. Invece aveva davvero deciso di cambiare radicalmente…incredibile.
Dovette accorgersi, dalla mia espressione, di quanto fossi rimasta colpita, così aggiunse “Ammetto che qualche storia l’ho avuta, ma erano tutte stelle cadenti; in più i giornali mi hanno affibbiato almeno il doppio dei flirt che ho davvero avuto.”
“Tranquillo, non leggo quei giornali.” Dissi ridendo.
“Ah, ecco perché non sapevi nulla di noi. Da quando il nostro successo in Europa è arrivato all’apice le nostre faccine appaiono praticamente dovunque…” commentò lui, tirando un sospiro di sollievo.
“Mi spiace, ma con tutto quello che ho da fare riesco a malapena a leggere i quotidiani. Però ho seguito la vostra carriera: ho tutti i vostri cd, compreso il singolo di “Angel”, e a volte mi capita di vedere qualcosa su MTV.”
“Ti è piaciuta “Angel”?” chiese lui, fissandomi negli occhi con aria seria e dolce allo stesso tempo.
“Piaciuta?” presi un telecomando dal cassetto della scrivania, e feci partire lo stereo che stava su un mobile, vicino all’ingresso del mio ufficio. Nell’aria si diffusero le note di una splendida ballad.

“And everytime I look into your eyes I find your love, and that’s what saves me from drowning into my everyday life. Hold me tight, don’t let me go, and please Angel, help me jumping now!”

Con lo sguardo perso nel vuoto presi a spiegare “Ormai quel cd è consumato. La ascolto in ogni momento perché sentire la tua voce è come infilarmi in una vasca di acqua bollente piena di schiuma: mi rilassa e mi tranquillizza ed è per questo che la sento prima di ogni udienza.”
Era l’unica canzone dei Tokio Hotel incisa con Tom alla voce; ne avevano fatto un singolo, ma non avevano realizzato alcun video, e non era in nessun album.
Non la eseguivano mai durante i concerti e, durante un’intervista, avevano chiesto a Tom il motivo. Lui aveva risposto che era troppo personale, e l’avrebbe cantata solo se avesse scorto Angel tra la folla.
Il brano parlava di una ragazza, Angel, e di un ragazzo al quale lei aveva cambiato la vita, ma poi era andata via, per permettergli di godere della sua nuova vita. Si concludeva con una bellissima preghiera:

“don’t throw that ring away, Angel, ‘cause every time you touch it I feel the wind on my face, and I know you’re nearby.”

“Sono felice che ti sia piaciuta tanto.” Disse lui “L’ho scritta…”
“L’ultimo giorno che abbiamo passato insieme scommetto. La mattina della mia partenza Cris mi ha detto che gli avevi consegnato una canzone la sera prima.” Lo interruppi io, ricordando quel particolare.
Lui, stupito rispose “Ci sei andata vicina, sai? In realtà l’ho scritta sul camper…mentre tu dormivi. E sono contento che tu mi abbia ascoltato: non te la sei mai tolta, vero?” domandò, accennando alla fedina. Scossi la testa…non l’avevo mai tolta dal medio della mano destra.
“Perché non mi parli di te Sophie? A parte il fatto che sei un brillante avvocato e che, secondo il Sun, sei una delle donne più influenti del Regno non so altro. Che hai fatto in questo decennio?”
Gli raccontai dell’ avventura londinese, delle nostre camere affittate nel giro di una settimana a prezzi ben più alti delle nostre aspettativa, e del mio lavoro. “Insomma, come hai notato anche tu ho coronato il mio sogno; inoltre…”
Non riuscii a finire la frase. La porta si spalancò, ed entrò un piccolo tornado, inseguitola Sally ed Allen. “Mamma!”
Bloccai il piccolo ciclone, e lo sgridai per aver disobbedito a Sally ed Allen, e alla regola “mai entrare in ufficio, se la porta è chiusa.”
Poi però non riuscii a resistere e, quando mi guardò con i suoi occhioni castani, chiedendomi scusa, gli posai un bacio sulla fronte, scompigliandgli i biondi riccioli.
“Alexander, questo è un amico della mamma. Si chiama Tom Kaulitz, e suona la chitarra in un gruppo che la mamma ti fa ascoltare abbastanza spesso.” Spiegai con pazienza al bambino che aveva guardato Tom con aria curiosa e, allo stesso tempo stranita.
Si avvicinò al musicista e, tendendogli la mano, disse “Cavoli, ma lei è Tom dei Tokio Hotel. Piacere! Io sono Alex; sa che so suonare alcune delle vostre canzoni? Mi ha insegnato il nonno.”
Tom sorrise al bambino e strinse la mano che, nella sua, sparì praticamente.
“Scusa Tom, ma tornando da scuola, se sono in ufficio, si ferma a salutarmi. Mi spiace per l’interruzione.” Dissi al chitarrista cercando di scusarmi.
“Figurati Sophie! E’ sempre un piacere conoscere un chitarrista in erba. E dimmi, Alex, qual è la tua canzone preferita?” chiese Tom al bambino con gentilezza.
Alex mi guardò, come per chiedermi il permesso e, al mio cenno, rispose “Break Away”!! Però non la so ancora suonare perché è difficile.”
“Cavoli! Ma sai che è la canzone che mi diverto di più a suonare? Quando l’avrai imparata la suonereme insieme, ti va?” propose Tom lasciando di stucco il bambino che, ripresosi dopo qualche attimo, grido un “Siii!” così forte che fummo costretti a tapparci le orecchie.
Alex corse ad abbracciarmi, e poi fu la volta di Tom: gli si aggrappò al collo e, quando riuscii a staccarglielo di dosso era così agitato che lo mandai con Sally a bere dell’acqua.
Restammo soli io, Tom ed Allen che si fece avanti tendendo la mano “Piacere di conoscerti, Tom. Sophie parla spesso di te, sai? Io sono Allen!”
Tom ricambiò la stretta sorridendo, ma in evidente imbarazzo, poi ci disse “Vostro figlio è molto simpatico, complimenti!”
Io scoppiai a ridere, e Allen fece altrettanto. Tom assunse un espressione stranita e, dopo qualche minuto, Allen gli spiegò il motivo delle nostre risate.
“Guarda che Alex è figlio solo di Sophie. Io, lei e mia sorella Liz viviamo a Londra tutti insieme; ma per il bambino posso essere al massimo uno zio!”
“Uno zio?” l’inglese di Tom, che era stato costretto a parlare dopo l’arrivo di Alex e Allen, era migliorato, ma non era perfetto. Forse temeva di non aver capito.
Allen allora proseguì la sua spiegazione “Nel senso che aiuto Sophie con Alex quando è troppo presa, ma per il resto…non c’entro nulla!”
“Ah, ok. Quindi non state insieme?” mi chiese Tom e io ripresi a ridere; quindi Allen dovette correre in mio soccorso di nuovo. “Stare insieme? Noi due? Saranno dieci anni che nessuno ce lo chiede più! Comunque no, anche perché io ho altri…gusti. Anzi, hai impegni per stasera?” chiese al bel chitarrista che diventò paonazzo.
“Allen!” lo rimproverai io. “Tom è etero, e non puoi provarci con lui, nel mio ufficio poi! Senti ora vai a casa, e affida Alex alla tata. Ci vediamo a cena dai miei: alle sette e mezza al cottage.”
“Va bene! Ciao Sophie e, Tom, è stato un piacere conoscerti, scusa se ti ho messo in imbarazzo.” Si congedò e io restai di nuovo da sola col bel chitarrista.
Ci accomodammo di nuovo e lui mi chiese “Quanti anni ha Alex?”

Il momento della verità, Sophie, pensai dentro di me. I segreti non possono essere tenuti per sempre: prima o poi la verità viene a galla.
Abbassai lo sguardo e gli dissi “Alex ha quasi dieci anni.”
Sentivo lo sguardo di Tom su di me, anche se non lo stavo guardano. Probabilmente anche lui stentava a credere alle idee che stavano prendendo forma nella sua testa; poi si decise a chiedermelo.
“E il padre?”
Chiusi gli occhi e, pregando che non si arrabbiasse, risposi “E’ un chitarrista tedesco che mi ha fatto passare un week-end indimenticabile, e l’arrivo di Alexnder Thomas l’ha reso ancor più indelebile.”
Silenzio.
Silenzio.
Dopo qualche minuto aprii gli occhi e quello che vidi mi fermò il cuore. Tom mi sorrideva e…piangeva.
Mi rilassai un poco, ma quando lui si alzò il mio cuore accelerò il battito.
Oltrepassò la scrivania e posò una mano sul bracciolo della mia poltrona, e l’altra sulla scrivania, inchiodandomi allo schienale.
Si abbassò sul mio volto e, in un soffio, disse “Stai cercando di dirmi che quel piccolo è il mio Angioletto?”
Non so dove trovai il coraggio di non abbassare mai lo sguardo e di rispondergli “Ufficialmente è solo mio ma, ufficiosamente, è…nostro.”
Mi fece alzare dalla poltrona e mi abbracciò con foga: erano dieci anni che aspettavo quell’ abbbraccio e, in quel momento, ero quasi scioccata.
Dopo qualche attimo mi ripresi e risposi alla sua stretta.
Abbassando il volto cercò il mio orecchio e mi sussurrò “Ora pensi che sia possibile stare insieme? Dieci anni fa avevamo un motivo per separarci, e tu hai cresciuto da sola questo bambino per permettermi di vivere il mio sogno. Ora Sophie ti chiedo: vedi un motivo per cui dovremmo separarci di nuovo?”
Non sapevo cosa rispondergli: in tutti quegli anni passati a fare l’avvocato avevo imparato che la via giusta, di solito, è quella della ragione, non quella del cuore. In quel momento però, col cervello completamente scollegato, non sapevo cosa fare. Decisi di seguire il suggerimento di quello che, nella nostra storia, mi aveva permesso di avere gli attimi migliori: il cuore.
“No, vedo solo mille motivi per stare insieme, finalmente.”
E dopo una lunga separazione le nostre labbra si ricongiunsero in un bacio nuovo, diverso. Era molto più maturo, consapevole e non c’erano incertezze.
Quando ci separammo le mie guance erano rigate di lacrime, e Tom non riusciva a smettere di sorridere e baciarmi il volto e le mani.
Due adulti, ma sembravamo due adolescenti rimbambiti, alle prese col loro primo amore.
Dopo qualche minuto, in cui riscoprimmo il piacere di stare di nuovo vicini, dissi a Tom “Vorrei che venissi a cena con me dai miei stasera, ma prima desidererei dire ad Alex la verità.”
“Vuoi che ci parliamo insieme con lui?” propose il chitarrista. Annuii e lui mi strinse ancora più forte.
“Ora abbiamo un nuovo sogno, ed è un sogno comune. Non trovi che sia splendido, Angelo?”
“E’ semplicemente meraviglioso, Tom.”
Ci salutammo, dandoci appuntamento alle sei e mezza alla mia casa di Londra. Uscii presto dall’ufficio: avevo la tata altrove e non sarei stata in grado di combinare altro che disastri.
Non sentii nemmeno la mia segretari che mi chiamò e mi inseguì fino all’ascensore gridando il mio nome…

“Mamma! C’è il signor Tom!” urlò Alex dall’ingresso.
“Arrivo subito. Fallo sedere in biblioteca, per favore.”
Liz mi posò una mano sulla spalla: era stata con me tutto il pomeriggio, e aveva condiviso con me la gioia di quel fortunato giorno.
“Ora vai , e stai calma Sophie. Io scappo oppure Leonard mi strozza!” disse uscendo dalla mia stanza.
“Stai uscendo ancora con lui?” chiesi stupita.
“Un record, vero?” disse lei voltandosi.
“Decisamente. Trattalo bene perché è uno dei miei migliori avvocati e non voglio che cada in depressione per colpa tua!” la minaccia, mentre finivo di truccarmi.
“Tranquilla, questo non lo mollo!” gridò lei, dal corridoi.
“Grande giornata dell’amore oggi!” commenti parlando da sola.
Dopo qualche minuto raggiunsi la biblioteca e, quello che vidi mi scaldò il cuor: Alex teneva in mano la chitarra, e Tom gli mostrava come mettere le dita sulla tastiera dello strumento.
“Vedi “Break Away” è difficile perchè devi essere veloce a cambiare la posizione delle dita. Se imparerai tutti gli accordi per bene poi sarà solo questione di allenamento.” Spiegò Tom con pazienza al bambino che annuì vigorosamente.
Sembravano già sulla stessa lunghezza d’onda, ora non mi restava che sperare che Alex prendesse abbastanza bene la notizia che stavamo per dargli.
Entrai nella stanza, salutandoli. Tom fece per alzarsi, ma gli feci cenno di restare lì, accanto ad Alex.
Presi una sedia, l’avvicinai al divano dove erano accomodati e mi sistemai di fronte a mio figlio. Lo guardai negli occhi e restai stupita dalla sua sensibilità quando mi chiese “Mamma, c’è qualcosa che non va?”.
Appoggiai una mano sulla sua gamba, per rassicurarlo e, sorridendo, gli risposi “No, però c’è qualcosa di cui io e Tom vorremmo parlarti.”
Il bambino spostò lo sguardo su Tom che gli disse “esatto…ci sono alcune cose che la tua mamma ed io vorremmo dirti.”
Il mio angioletto tornò a fissarmi con quegli occhi così dolci, ereditati dal padre, e io presi a spiegargli “Vedi, ti ho sempre detto che il tuo papà era dovuto andare via perché aveva una importante missione da svolgere.” Alex annuì, e io continuai “Bene. Devi sapere che il tuo papà è riuscito a raggiungere il suo obbiettivo, ed ora vorrebbe tornare da te e da me. Sei d’accordo, Alexander?”
Mi guardò corrucciato, poi fissò gli occhi in quelli, identici, di Tom e disse “Quindi il mio papà…”
Tom gli sorrise rassicurante e spiegò “sono io, Alex. E, se lo vorrai, tu, io e la mamma potremo stare insieme, d’ora in avanti.”
Alex lo scrutò qualche attimo e rispose “Prometti che non andrai mai più via?”
“Mai più.” Gli assicurò Tom.
“E mi insegnerai a suonare la chitarra?” aggiunse il bambino, le cui labbra cominciavano a piegarsi in un dolcissimo sorriso.
“La mamma e il nonno sono stati ottimi insegnanti e la chitarra la sai già suonare. Però, se vorrai, ti insegnerò a suonare Break Away!”
A quel punto Alex gli saltò letteralmente in braccio gridando “sono contento che tu sia tornato, papà!” Tom, sollevato, guardò oltre le spalle del bambino, fino ad incrociare i miei occhi pieni di lacrime. Ero davvero felice: il primo passo era stato fatto e, visto che mio padre sosteneva che il lavoro dei genitori sia rendere felici i propri figli, sembravamo a buon punto.
Mandai Alex a cambiarsi per la cena, e gli chiesi di avvertire anche Allen, così restai sola con Tom.
Lo osservai. Era cresciuto, non solo fisicamente, ma anche dentro. Era maturo, e sarebbe stato un ottimo padre per Alex. Quella sera indossava un completo blu leggero, ed una camicia a righe azzurre…era magnifico.
“dove sono finiti i tuo abiti xxxl?” gli chiesi sorridente.
“Ormai non sono più un ragazzino…ho 28 anni e l’abbigliamento da rapper lo riservo per il palco e le esibizioni…normalmente vesto in modo un po’ diverso ora. Tu invece…” osservò, soffermandosi sull’abito di seta cotta a maniche lunghe che indossavo, “Sei sempre elegante. Sei così bella che mi togli il fiato: dieci anni fa eri splendida, ma ora…non ho parole.”
Arrossii e sorrisi felice; lui invece continuò a parlare “domani sera faremo un concerto alla Wembley Arena. Questi sono pass per la zona v.i.p.. sono otto, ma per me è importante che ci siate tu, Alex e i tuoi genitori.” Disse porgendomi una busta bianca.
Io la presi e la posai sulla scrivania, rivolgendogli poi un radioso sorriso “Ci saremo tutti. Dopo tanti anni ho proprio voglia di sentirvi dal vivo. Ti confesso che, ogni volta che siate stai in Inghilterra per un concerto, ho avuto la tentazione di venirvi a sentire. Poi però ho desistito: non volevo forzare la mano al destino perché ci eravamo fatti una promessa. Ma ora sono stata premiata!”
Sfiorai le sue labbra dolcemente e mi staccai giusto in tempo: dopo un attimo Alex ed Allen irruppero in biblioteca pronti per la cena e affamati come due lupi.

“E non dire ai nonni di Tom, ci penso io!” raccomandai ad Alex, rassettandogli il colletto della camicia. Poi fu la volta del colletto di Tom, ed Allen suonò il campanello, ridendo.
Ci aprì una cameriera, dietro la quale comparvero subito i miei, che furono prontamente stritolati da un abbraccio del loro amato nipotino.
“Che cosa succede, Alexander?” chiese mia madre al bambino che per lei era stato inatteso, ma che non aveva esitato ad adorare sin dal primo istante. Grazie a lui avevamo ricucito i rapporti, ed eravamo tornati ad essere una famiglia.
Quando era nato Alex io dovevo ancora finire gli studi, e così mia mamma aveva pensato a tutto: mi aveva trovato una splendida tata e spesso veniva a trovarmi, per darmi una mano.
Mio padre, come al solito, mi aveva dimostrato da subito pieno appoggio, felicissimo all’idea di diventare nonno.
Alex si fece da parte, e fu il turno di Allen che salutò i miei con affetto; il padre non l’aveva ancora riammesso in famiglia, ma lui non si era dato per vinto. Era diventato uno degli architetti più stimati di Londra ed era stato accolto nella mia famiglia quasi come un secondo figlio.
Infine toccò a me…”Ciao papà, mamma. Tutto bene?”
“Ciao piccolina!” rispose mio padre abbracciandomi; mia madre, invece mi salutò con un sorriso ed un bacio sulla guancia.
“Vorrei presentarvi una persona” dissi loro spostandomi per permettergli di vedere Tom, che era rimasto dietro di me. “Lui è Tom Kaulitz.”; poi, rivolgendomi al chitarrista dissi “Tom, loro sono i miei genitori: Lady Rose-Mary, e Sir Paul Grosvenor.”
Lui fece un elegante baciamano a mia madre e strinse la mano di mio padre,inchinando rispettosamente il capo; poi aggiunse “Lieto di fare la vostra conoscenza.”
Mio padre, in tedesco, gli rispose “Lo siamo anche noi, Signor Kaulitz. Gradirei conversare con lei in tedesco, ma abbiamo ospiti che non lo comprendono, e sarebbe scortese.”
“La ringrazio, ma parlare inglese, vista la mia pronuncia pessima, non può farmi che bene, Sir.” Rispose Tom, sorridendo.
Mia madre lo guardava affascinata; quando si riscosse mi prese sottobraccio e mi trascinò letteralmente in cucina, comunicando agli ospiti “Vogliate scusarci, ma la cucina ci reclama; mio marito farà gli onori di casa.”
Arrivate nel locale mi lasciò il braccio e, ignorando la presenza di Pauline, la cuoca, che disponeva arrosto e patate su un piatto da portata, mi chiese “Da dove salta fuori questo qui?”
“E’ un amico che ho conosciuto in Germania, e che è in Inghilterra per qualche giorno.” Risposi, restando sul vago.
“Sophie, andiamo, sono tua madre: non penserai che ti possa credere! E comunque è molto educato e parla decentemente inglese, solo quei capelli…” osservò lei.
“Mamma quei capelli sono parte di lui; ad ogni modo sono felice di sapere che ti piace…” risposi maliziosa.
“Non è quello che ho detto” provò a contraddirmi, ma ormai sapevo tenerle testa “mamma, andiamo, sono tua figlia: non penserai che ti possa credere!” dissi uscendo dalla cucina.
Gli uomini stavano prendendo un aperitivo nel salone; Tom sembrava a suo agio: parlava con mio padre, ovviamente di chitarre, e Alex li ascoltava rapito.
Notai che c’era un altro ospite: un uomo sulla trentina, coi capelli biondi dal lungo ciuffo, che gli nascondeva un occhio, ed un simpatico pizzetto. Allen mi fece cenno di raggiungerli, e mi presentò Paul.
“Paul è un grafico, e sta curando una campagna pubblicitaria per tuo padre. Me l’ha presentato perché pensa che vada bene per il lancio della mia nuova collezione di sedie.” Mi spiegò Al.
Quando poi Paul si allontanò per prendermi un Martini Al mi confidò “credo che sia gay: tuo padre è davvero mitico!”
Tirai un sospiro di sollievo e dissi “Meno male! Per un attimo ho temuto che fosse una della proposte “un marito per Sophie” di Lady Grosvenor!”
La voce di mia madre che ci richiamava per la cena interruppe la conversazione.
Dopo il dessert mio padre propose un brindisi “a questa splendida serata, alla collaborazione tra Allen e Paul, e all’uomo della chitarra che ho finalmente potuto conoscere.”
Fortunatamente non avevo ancora bevuto, altrimenti avrei fatto una doccia ad Al, che mi stava di fronte. Mi chiesi come potesse aver capito; poi mi ritrovai a pensare che, dopotutto, era pur sempre mio padre…
“Papà, mamma, c’è una cosa che vorrei dirvi” iniziai. Poi, notando gli sguardi imbarazzati di Allen e Paul, feci loro segno di stare pure seduti e ripresi “Vi ho sempre promesso che, a tempo debito, mio figlio e voi avreste conosciuto l’identità dl padre di Alex. Alexander lo sa già, e ne è entusiasta, e spero che anche voi sarete felici di sapere che, il padre di mio figlio è Tom. Abbiamo deciso che dieci anni dedicati ai nostri sogni possono bastare.” Mio padre e mia madre erano basiti e Tom, approfittando del silenzio aggiunse “Ora vorremmo dedicarci ad un sogno comune: stare insieme ed essere una famiglia. Gradiremmo avere il vostro appoggio.”
Mia madre prese a singhiozzare, mentre mio padre, dopo avermi guardata negli occhi a lungo rispose “So che anni fa l’hai resa felice; scegliere di separarvi allora e stata una scelta giusta, così come lo è quella di stare insieme che state facendo oggi. Benvenuto nella nostra famiglia, Tom.”

“Di qua mamma!! Dai, corri! Nonno, nonna sbrigatevi, e anche voi datevi una mossa!” urlò uno scatenato Alex che guidava il gruppo verso la Wembley Arena. Non stava più nella pelle: era il suo primo concerto e non vedeva l’ora di sentire il padre suonare.
“Ti calmi per favore? Siamo in anticipo di un’ora” gli disse Liz, che si trascinava dietro uno stranito Leonard: avevamo scoperto che era un fan della band, e si era dimostrato sconvolto dall’idea di lavorare per la compagna del chitarrista dei Tokio.
Allen aveva invitato Paul al concerto. Il loro primo appuntamento…
Mia madre e mio padre erano buffissimi; da secoli non li vedevo più in jaens e scarpe da ginnastica.
Arrivammo all’ingresso v.i.p. dove, esaminati i nostri pass, ci scortarono ai posti che ci erano stati riservati: dirimpetto al palco, sopra la tribuna stampa.
“Non ci posso credere! Guarda chi c’è!” gridò mia madre; seguendo il suo dito notai che mi indicava qualcuno, nel nostro stesso settore: zia Lotte e Frida, con due bambini, più o meno dell’età di Alex.
Corsi incontro a quelle due pazze e le abbracciai, sull’orlo delle lacrime, urlando “Sono così felice di vedervi! Non sapevo di trovarvi qui!”
“Nemmeno noi, scusa, ma come…” iniziò Frida che fu prontamente interrotta da zia Lotte. Cris le aveva spiegato la storia, in parte, e così ragguagliammo l’ignara Frida.
La zia presentò Hans e Marie ai miei, che non conoscevano i bambini che aveva adottato con Cristopher; io invece avevo già avuto modo di incontrarli.
“Lui invece chi è?” chiesero Frida e la zia, indicando Alex…risposi a bassa voce e velocemente, sperando che non mi sentissero “Lui è Alexander, il figlio mio e di Tom.”
“Che cosa?!” mi investirono le voci di entrambe. Mi sedetti e cominciai a spiegare la storia.
“So che mi odierete, ma non potevo dirvelo e rischiare che Tom lo venisse a sapere prima del tempo. Avevamo un patto: solo il destino avrebbe potuto riportarci insieme. Così, visto i vostri frequenti contatti coi ragazzi ho preferito nascondervelo. Ora però vogliamo stare insieme; Tom è felice di essere padre e Alex lo adora; idem i miei!”
“Sono felice per te!” disse zia Lotte, e anche Frida si dimostrò d’accordo.
Richiamai Alex e gli presentai Frida, Charlotte, Hans e Marie; alla fine lui sbalordì tutti esclamando “Allora tu sei la zia Frida!! La mamma dice che sei mitica, e io volevo tanto conoscerti! E poi mi parla sempre anche di te, zia Lotte…dice che senza di te non sarei mai nato!!”
Il concerto e l’urlo della folla interruppero le nostre chiacchiere.
Ci alzammo tutti in piedi per vedere meglio e, quando attaccarono, proprio con “Break Away”, Alex impazzì letteralmente.
L’esibizione prosegui a ritmo frenetico per più di un’ ora e mezza. Bill era come al solito magnetico; Gustav aveva fatto passi da gigante, e anche Georg era diventato un impeccabile bassista. Tom…erano indescrivibili le emozioni che mi scatenava dentro, con la sua Les Paul.
Dopo una breve pausa Tom tornò sul palco, da solo, e attaccò a suonare.
“Angel…” sussurrai io, incredibilmente felice e commossa.
Il pubblico andò in estasi: sapevano perché non la suonava mai e, probabilmente, si stavano chiedendo tutti che cosa, proprio quella sera, lo spingesse ad eseguire quel pezzo.
Io non riuscivo a smettere di sorridere e piangere allo stesso tempo. Terminata la canzone Tom prese il microfono e spiegò “Sapete tutti perché non suono mai “Angel”. Questa sera però l’ho fatto, e spero che non mi biasimerete se userò questo momento per una cosa un po’ personale. Dieci anni fa, in Germania, quando il nostro successo cominciava ad uscire dai confini di casa nostra, conobbi una persona che ebbe il coraggio di spronarmi a seguire i miei sogni, nonostante significasse separarci. Ora l’ho ritrovata e c’è una cosa che vorrei dirle, e spero che voi sarete felici per me.” Fece una breve pausa durante la quale mi cercò e, quando mi trovò, fissò gli occhi nei miei: non era vicino, ma potevo sentire quello sguardo. Poi riprese a parlare “Sophie, Angelo, dopo dieci anni di lontananza ci siamo ritrovati e, anche se non ce lo siamo ancora detti, sappiamo di amarci ancora come allora, per cui ti chiedo…vuoi sposarmi?”
Mi aspettavo fischi e cori poco gradevoli; invece le fan cominciarono ad applaudire, e ad urlare il suo nome, come per incoraggiarlo e sostenerlo.
“Idea originale!” commentò mia madre, ma io non riuscivo a staccare gli occhi da quell’uomo magnifico che si era persino inginocchiato sul palco.
A quel punto, da dietro le quinte, una voce, che sembrava proprio quella di Bill, cominciò ad intonare un “Sophie, Sophie, Sophie…” cui ben presto si unì tutta l’Arena.
Affidai Alex a Frida e cominciai a scendere le scale, raggiungendo la platea. Mi spostai, camminando il più possibile vicino alle transenne, e raggiunsi il palco. Sullo schermo c’era ancora Tom inginocchiato, e il pubblico continuava ad urlare il mio nome.
La guardai di sicurezza mi chiese se fossi io…domanda retorica: chi altri poteva chiedere di salire sul palco, se non la legittima destinataria di quella richiesta? Tutte avrebbero voluto essere chieste in moglie da Tom, ma chi avrebbe avuto la faccia tosta risalire sul palco per sentirsi dire dal chitarrista “non sei tu!”?
“Si, sono Sophie!” dissi alla guardia che mi sollevò di peso appoggiandomi poi davanti alle scale che permettevano di accedere al palco.
Salii e mi avvicinai a Tom: il silenzio calò sul’Arena, e il rasta parve ridestarsi.
Mi vide, ed un sorriso smagliante comparve sul suo volto.
Mi porse una scatolina, aperta: era un anello, vero, questa volta.
La mia risposta non tardò a venire “Si, Tom Kaulitz, ti sposo.”
Mi mise l’anello e mi sollevò da terra, facendomi roteare per aria. Il pubblico riprese ad applaudire, ma a noi sembrava di essere soli in quel posto.
Io, lui, e il nostro nuovo sogno. Questo era tutto ciò che mi interessava.
Sul palco ci raggiunsero anche gli altri componenti della band che si congratularono con noi.
Poi Bill prese il microfono e scherzò col pubblico “Un altro membro del gruppo felicemente sposato. Niente paura però: io e Georg restiamo sempre disponibili!” Ci fu un boato, dopodiché chiesi il microfono a Bill.
“Vi rubo solo un secondo. Innanzitutto grazie per essere stati così gentili. Prometto che lo tratterò coi guanti, e lo spronerò a suonare sempre; perché la musica e i fan sono parte integrante della sua vita. Ora però godetevi il resto del concerto.” Salutai i ragazzi e diedi un lungo bacio a Tom; poi fui scortata al mio posto, dove tutti si dimostrarono felici per noi.

Cris, a fine concerto, ci accompagnò nei camerini, dove era stato allestito un buffet per i ragazzi.
Alex, Hans e Marie attaccarono il cibo; io presentai Allen, Paul, Liz e Leonard alla band, e fui felice di riabbracciare Hanna.
Ora era la moglie di Gustav, ma restava la ragazza semplice e gentile che avevo conosciuto quando ero ancora piccola; a giudicare da quanto vedevo doveva essere incinta.
Gustav me lo confermò, felicissimo, mentre abbracciava la moglie.
“Oggi è proprio una giornata di sorprese, a quanto pare” commentai, congratulandomi con Hanna.
“Direi di si!” rispose Gustav, aggiungendo poi “sono davvero felice per te e Tom, sai?”
“Ti ringrazio davvero, Gustav. Io invece sono felice di avervi fatti conoscere!”
“Non ti ringrazierò mai abbastanza” disse il biondo, poggiandomi una mano sulla spalla “e sappi che io ho fatto il bravo, come mi hai raccomandato. L’ho perfino sposata prima di metterla incinta!”
Si prese uno schiaffetto affettuoso dalla moglie e tutti e tre cominciammo a ridere. Erano davvero felici, e Gustav era così dolce con lei…sarebbero stati una bella famiglia.
In lontananza notai Tom che mostrava le sue chitarre ad Alex che lo seguiva come un cagnolino.
Georg interruppe i miei pensieri, salutandomi con un bacio sulla guancia, e dicendo “Sono felice per voi, Sophie. Vi meritate una bellissima vita insieme. Io ho cercato di tenerlo allegro, sai? Però il sorriso che ha ora…erano dieci anni che non lo vedevo.”
“Grazie Georg. So di averti affidato un compito non da poco, e so anche che ti sei dato da fare per tenermelo allegro.” Dissi guardando verso il mio bel chitarrista.
Bill ci raggiunse e mi salutò scherzosamente strepitando “Cognatina!!”
Io e Georg scoppiammo a ridere e lui serio aggiunse “Guarda che è un colpo, sai? Trovarsi con un nipote e con una quasi cognata nel giro di 2 giorni! Però è una cosa bellissima. Tuo figlio, poi…è una forza. Se fossi in te non lo lascerei tanto con suo padre…rischi che lo travi!”
Sorrisi a Bill, mentre Georg ci salutò per raggiungere Cris e i bambini che dovevano adorarlo, considerate le feste che gli fecero Marie e Hans.
Rimasi sola col cantante che, serio, mi disse “Ti sono debitore, Sophie. Ti devo una parte del nostro successo perché, se Tom non ti avesse conosciuta, certe canzoni non le avrebbe mai scritte; e ti devo anche parte della mia felicità: il consiglio che hai dato a Frida di non legarci in modo fisso ci ha permesso di vivere ogni attimo insieme al massimo, senza recriminazioni, e senza aspettative per il futuro che avremmo rischiato di deludere. Sei davvero preziosa per me e anche per tutti noi.”
Lo abbracciai, profondamente grata per le parole che mi aveva detto, e risposi “Anche io però devo ringraziarti per aver aiutato Tom, e per aver portato la band fino in Inghilterra, cosicché io potessi riabbracciare tuo fratello.”
Passammo un’allegra serata insieme, e andammo via così tardi che i bambini si erano ormai addormentati davanti alla PlayStation con Georg.
Tom mi accompagnò a Londra, e fu la nostra prima notte insieme, dopo la lunga separazione.
“Perfetta, come me la ricordavo”
“Cosa?” chiesi a Tom, sfinita, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“La nostra sintonia.” Disse lui, contro le mie labbra, mentre mi baciava con l’infinita dolcezza che lo aveva sempre contraddistinto.
“Ti amo Tom.”
“Anche io, Sophie.”

N.d.A.

Sono arrivata alla fine…come avrete notato non ho potuto cedere al fascino dell’happy ending! Spero che vi sia piaciuta la storia che ho scritto; io mi sono divertita molto a scrivere di Tom, Sophie, Liz, Frida, Bill,…
Vi avverto che mi sono così tanto presa a cuore la storia che ho aggiunto una specie di “conclusione” che però posterò come storia a parte; il titolo sarà: IMPARANDO A VOLARE: ARIA DI FESTA! (fantasioso, vero?). Sperò che avrete voglia di leggere ancora qualche avventura di questo strampalato gruppo!
Ringrazio tutti quelli che, nel corso della storia, hanno lasciato una recensione (anche chi ne ha lasciata una sola…sono state tutte piacevoli da leggere, e mi hanno dato l’incoraggiamento giusto.), e tutti quelli che hanno aggiunto "imparando a volare" tra i preferita. In particolare ringrazio chi ha recensito l’ultimo capitolo:

Frehieit489: E come poteva mancare una tua recensione? Spero che la tristezza lasciata dal capitolo precedente sia stata spazzata via con questo capitolo! Sono felice di aver reso l’idea del legame forte che c’è tra i due, nonostante il poco tempo che hanno avuto…Per le situazioni familiari…la verità è che io sono orrendamente precisa, quindi, prima di scrivere, ho creato una specie di story board che mi ha aiutato a non perdere per strada le cose…Non mancherò di continuare a leggere e recensire la tua fiction, prometto. Grazie per gli auguri, anche se il mio anno è iniziato con la febbre…spero continuerà meglio!! A presto!!
GodFather: ecco pronto il prologo! Sono contenta che tu abbia compreso le “scelte” di Sophie…in effetti non potevo lasciare in sospeso le cose a Londra! Mi fa piacere che anche i personaggi di mia invenzione, oltre a quelli già (fortunatamente) esistenti, abbiano avuto successo, almeno per te. Come puoi notare qua si parla di un concerto…un piccolo preludio del concerto di Torino, che ci vedrà tipo…schiantate sotto il palco? :D In bocca al lupo per tutto, e spero di ritrovarti per “aria di festa”…ammetto che ho fatto troppa fatica ad abbandonare questa fiction, e ho dovuto scrivere questa “cosa” in più! Grazie per tutti i commenti!

Spero che mi concederete qualche riga anche per ringraziare i personaggi reali che mi hanno ispirato questa fiction:
Mia Madre: l’esatto opposto di quella di Sophie; il suo carattere è servito a creare la fantastica zia Lotte. Sperando che trovi anche lei un po’ di serenità!
Le mie Fride e la mia Liz: le migliori che esistano…vi adoro.
Le Martha Harris, i Tristan e gli Hermann: tutti quelli che ho conosciuto nella mia vita e che ho incontrato alle feste di beneficenza…facessero beneficenza al mondo diventando persone serie forse sarebbe meglio!
  
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