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Autore: HuGmyShadoW    03/01/2008    1 recensioni
E' una vita davvero fantastica, quella dei Tokio Hotel... Fra concerti, interviste, passaggi da un albergo all'altro, non hanno quasi il momento di riposare. Ma ecco che un giorno, proprio a Bill Kaulitz càpita l'incontro più importante della sua vita, che da quel momento, non sarà più fantastica: sarà meravigliosa, unica ed inimmaginabile. Non mancheranno però gli intrighi, le cospirazioni, le passioni e le gelosie... Perchè la vita, in fondo, non è mai solo rose e fiori....
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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-Ehi… Bill… Bill! È giorno, svegliati… Svegl… oh!- .
Tom, entrando nella stanza, fu non poco sorpreso dalla scena che gli si presentò davanti: suo fratello, seduto sul letto, era completamente vestito, truccato e con la chioma leonina perfettamente ritta sulla testa.  Sbigottito, guardò la radiosveglia sul comodino e poi di nuovo Bill, che gli dava le spalle, rivolto verso la finestra, e che non dava segno di averlo sentito arrivare.
-Ehi, Bill, ti senti male?! Non è da te svegliarti senza… ehm… incoraggiamento, alle 8 di mattina… Per caso qualcosa non va?-, gli chiese Tom, andando a sedersi sul letto accanto al gemello e passandogli un braccio attorno alle spalle.
Tom, suo fratello. Sembrava gli leggesse nel pensiero, pensò Bill con affetto. “Qualcosa che non va… Se rispondessi la mia intera esistenza sembrerei troppo tragico? Forse è meglio non dirti nulla, per il momento, o ti preoccuperesti troppo”.
Finalmente, Bill sfoderò il suo sorriso più rassicurante, anche se quella mattina gli sembrò più tirato del solito, e si voltò verso Tom, che lo guardava con apprensione ed un pizzico di sospetto.
-Non è niente, figurati, ho solo fatto un sogno che mi ha fatto riflettere più del solito… Ma sto bene, te lo giuro!-, insistè il ragazzo, sempre sorridendo visto che il fratello non sembrava persuaso delle sue scuse sbrigative e per niente convincenti. I secondi passarono lentamente, mentre pareva che nella stanza, invece, il tempo si fosse fermato finché… anche Tom non si sciolse in un sorriso e si alzò ridacchiando, dicendo:
-Sì, come no, tu che rifletti! Sarebbe un miracolo! Comunque scendi, abbiamo le prove per il concerto di stasera!- , e sempre sorridendo lasciò una stanza e un ragazzo seduto sul letto, con addosso una maschera e dentro un devastante senso di colpa.  



-Nooooo!!! Non ci credo!!-, urlò Gustav sbellicandosi dal ridere e scivolando sul pavimento dell’autobus privato che stava trasportando i Tokio Hotel allo stadio, nel quale si sarebbe svolto, quella sera, il loro ennesimo concerto. Sempre scosso dalle risate e incapace di parlare, prese ad indicare Georg, rosso come un peperone, che continuava a balbettare inutili -Ma smettila!! Non dovevo dirvelo...-..
-Ora basta!!!-, ruggì quest’ultimo, furioso, e con movimento fulmineo si avventò sul compagno, sempre raggomitolato sul pavimento, che cominciò a dibattersi non appena l’amico iniziò a  strofinargli le dure nocche sulla testa, in una mossa probabilmente copiata da un lottatore di wrestling : -Smettila, maledizione!! Mi fai male! Ahiaaaa!!!!-, e ancora spinte e pugni giocosi, che non potevano fare altro che rafforzare la loro amicizia.
Comodamente stravaccato su un morbido sedile azzurro, Tom ridacchiava assieme ai compagni per quel gioco tanto infantile quanto bello. D’un tratto però smise e rimase attonito: “Perché non sento la risata idiota di mio fratello? Di solito è il primo che comincia a sbellicarsi per queste situazioni dementi… Pensandoci bene, è da quando siamo saliti sul bus che non lo vedo… Ma dov’è?!” , pensò il ragazzo sporgendosi a destra e a sinistra per cercare il gemello.  “Ah, eccolo, trovato…”. Tom sospirò di sollievo nel riconoscere la bizzarra capigliatura, ma poi si accigliò: qualcosa non andava, non andava affatto. Bill amava essere al centro dell’attenzione, era l’anima della band, chi riusciva a smuovere gli amici anche quando erano contrari a fare quella certa cosa… E allora come mai adesso se ne stava tutto solo in un angolo?!
Preoccupato, Tom si alzò con un sospiro dal comodo sedile e cominciò ad avanzare verso l’ultimo posto di quell’autobus, tanto piccolo secondo i suoi criteri, che però ora cominciava ad allungarsi ad ogni passo.
“Maledizione, ma questo corridoio non finisce più?!”, pensò, arrabbiato senza sapere perché.

Finalmente, riuscì a raggiungere il fratello, disteso sui due sedili con le spalle e la testa appoggiate al finestrino, sul viso un’espressione tanto malinconica quanto bella e struggente. Nel vederlo così spento, il rasta non poté che provare una grande tristezza per il fratello. Quest’ultimo sembrava non essersi nemmeno accorto che accanto a lui c’era qualcuno, e nemmeno si mosse quando un esitante Tom lo chiamò piano, dolcemente:
-Bill, senti… ehi!! Bill!! Biiill!!!!!-.  Soltanto quando il gemello gli urlò nelle orecchie, Bill si girò lentamente e si tolse, con un’ espressione sorpresa dipinta sul suo volto angelico, le cuffiette dell’ i-Pod.
-Meno male!!! Stavo per perdere la voce!!!-, lo apostrofò bruscamente Tom.
Sembrò che il ragazzo  impiegasse un’eternità a recepire il messaggio, con le sopracciglia aggrottate e la bocca arricciata di lato. Finalmente, dopo parecchi secondi, rilassò le labbra e sgranò gli occhi, chiedendo candidamente:
-Perché, eri qui da tanto?-.
“Come si fa a non volerti bene?!”, pensò Tom divertito, e con un lungo sospiro scaraventò giù dal sedile le lunghe, magre gambe del gemello, che perse l’equilibrio e si aggrappò al finestrino imprecando, e gli si gettò accanto.  

-Allora? Cosa c’è che non va? Sii sincero, per piacere, non sopporto più di vederti ridotto così… -, disse Tom,  e  subito si sentì gli occhi pericolosamente lucidi,  mentre Bill abbassava lo sguardo e rispondeva: -Niente…-, con un tono di voce che avrebbe sciolto un cuore di marmo. Per simulare l‘azione di asciugarsi i lucciconi finse di sistemarsi il cappello… Pericolo scampato. Il fratello sembrava non essersi accorto di nulla.
Tom rimase in attesa ancora qualche secondo, finché il gemello non alzò lo sguardo, e trafiggendo il suo gli disse, mesto:
-Senti, non devi stare male per me…-. A Tom venne un colpo. Come non detto. Bill si accorgeva sempre di tutto. -… È solo un periodo in cui, bè, preferisco stare da solo… Spero tu mi capisca…Non è niente di grave, riuscirò a superarlo, tranquillo… Tutto qui…-.
“Tutto qui…” . Questo era troppo.
Tom strappò dalle mani distratte di Bill l’ i-Pod con cui aveva giocherellato fino a quel momento e guardò  il titolo della canzone che ormai si ripeteva incessantemente.
Di nuovo sentì gli occhi bruciargli, ma questa volta non se ne curò. Alzò lo sguardo umido d’affetto verso il fratello, che lo guardava, vuoto e colpevole.
-Bill, è da quando siamo partiti che ascolti sempre e solo “Rette Mich”, vero?-.
Lo sguardo del ragazzo parlava da solo. - Tu non stai bene… Se adesso non vuoi parlarne, d’accordo, non ti costringerò a sfogarti con me, però sappi che quando sarai pronto io ci sarò sempre per te…-. Bill fece un grandissimo sforzo per trattenere le lacrime, pronte a comparire  in qualsiasi momento, quel giorno.
Detto questo, Tom strinse brevemente le spalle del gemello e si alzò. Stava per andarsene quando si ricordò…
-Ah, Bill…?-.
-… Sì…?-. rispose quello, guardandolo sospettoso.
-Ehm…-. Non sapeva come cominciare. Si morse un labbro gingillandosi con il percing. -Be’… stanotte ho sentito qualcuno urlare… Mi sembrava venisse dalla tua camera… Ehm… eri… insomma, eri tu, per caso?-. Con un sospiro di sollievo ed un filo di imbarazzo, finalmente quella frase mezza balbettata uscì dalla bocca tormentata del rasta.
Gli occhi sgranati del gemello, così simili ai suoi, gli diedero da soli la risposta, ma Tom preferì sentire cosa avrebbe veramente risposto il fratello. Lentamente, l’espressione di Bill si ricompose e con un tono di voce che si sforzò di far passare come tranquillizzante replicò:
-Chi, io?! Ma và, te lo sarai sognato… E poi perché dovrei mettermi ad urlare nel cuore della notte?! Io non ho sentito nessuno…-, e abbassò subito la testa per non far scorgere la colpevolezza nel suo sguardo.
Tom annuì: -Va bene… Allora… Quando vuoi, io ci sono…-, e senza aggiungere altro se ne andò, lanciandogli un ultima, malinconica occhiata.


Bill rimase immobile a guardarsi le punte delle sue nuove scarpe firmate, aspettando qualche secondo. Poi, di scatto, alzò la testa, facendo oscillare le sommità della sua capigliatura ed esclamò: -Tom!!! Io…!!-. Quando si accorse che non c’era più nessuno accanto a lui, scosse la testa ridendo di sé, e si rimise l’ i-Pod, tornando nella stessa posizione in cui l’aveva trovato il fratello pochi minuti fa.
“Già, Tom… lui non vorrebbe vedermi ancora così…”, pensò amareggiato Bill.
In quel momento attaccò ancora una volta il ritornello di “Rette Mich”. Un timido sorriso cominciò finalmente a farsi strada sul viso malinconico del ragazzo, diventando un po’ più largo quando con un lungo dito dall’unghia smaltata di nero premette il tasto “AVANTI” e le prime note di “Monsoon” iniziarono a spandersi nella sua mente tormentata.
Chiuse i begli occhi nocciola e appoggiò di nuovo la testa al finestrino.

“…togheter will be running somewhere new
and nothing can hold me back from you,
trough the monsoon,
just me and you...

Di nuovo, un sorriso illuminò l’espressione di Bill Kaulitz, che ora un po’ più sereno mentre si lasciava andare ad un piacevole torpore, sussurrò a tutti e a nessuno: -Grazie…-.
E una lacrima, in quel momento, lui fu sicuro fosse valsa più di mille parole. 



   
   
 
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