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Autore: REDRUMILLA_    19/06/2013    3 recensioni
Harry Styles e Louis Tomlinson sono due ragazzi tutto fuorchè normali. Harry è un indeciso cronico, si aggrappa a chi gli è vicino per vivere e, pur provando in tutti i modi a dare una ragione a tutto quel vuoto che sente dentro di lui più passa il tempo e più si sente inadatto, solo, incompreso.
Louis invece é un ragazzo rabbioso, incazzato con il mondo, con il padre drogato e alcolizzato, con la vita che gli ha giocato un brutto scherzo. Il bullo della scuola, quello che tutto ammirano per la bellezza ma disprezzano per lo spinoso carattere da duro. L' unica cosa in comune che questi due esseri così diversi hanno è un semplice, quanto contorto rapporto di familiarità. Sono fratelli.
Come puó complicarsi ulteriormente un rapporto ormai compromesso? Come puó peggiorare l'irrecuperabile?
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[Larry] [Successivamente Ziam]
Se siete sensibili o facilmente influenzabili evitate di aprire!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
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CIAO A TUTTI *____*
Prima che questa mia nuova fanfic parta vorrei specificare alcune cose.
Questa fan fiction, a differenza della mia precedente è del tutto diversa.
Non vi sono discorsi in terza persona o cose simili ma è tutto fatto a mo di diario.
E' inoltre ambientata in un altre circostanze e non rispecchia i caratteri dei veri Harry e Louis.
Non so se questa “innovazione” possa piacervi o meno, non ne ho idea, ma io, dopo questa breve anticipazione, vi lascio al mio nuovo lavoro.

Ho seriamente paura! Va beh, buona lettura!
(Il bannerino è il mio, prendetelo pure se volete e se siete forti di stomaco! Non mi arrabbio..Anzi, mi fa piacere x°D)



copyright @REDRUMILLA


Harry Styles

Improvvisamente luce. Qualcosa di imprecisato mi destò dal sonno. I raggi solari mi pervasero e un fastidioso calore mi irradiò il corpo seminudo.

Le coperte fasciavano il mio corpo in maniera approssimativa, avevo seriamente avuto problemi a prendere sonno la notte prima e la vittima di questa mia insonnia era stata il malcapitato nuovo letto della mia ancora immacolata camera.
Le pareti bianche e spoglie riflettevano in maniera nervosa la luce che, irrimediabilmente si scontrava contro i miei occhi, ancora assonnati e semichiusi.
Tutto in quella stanza mi era estraneo. Nessun fumetto era disposto sulle mensole, nessun poster delle mie band preferite era incollato malamente sulla sponda del mio letto e tutto, in quel luogo nuovo, sembrava volermi dire quando inadatto ero ad abitarvi.
Mi passai velocemente una mano sul viso per poi schiaffeggiarmi alcune volte le guance, strano rituale mattutino che mi aiutava a prendere conoscenza.
Mi mossi insicuro verso un bagno a me sconosciuto e, con molta indecisione presi piano dimestichezza con la doccia.
Mi lavai velocemente e presi i primi vestiti che mi capitarono davanti disposti in maniera disordinata nella mia capiente valigia arancione.
I miei piedi nudi a contatto con le mattonelle fredde continuavano a procurarmi fastidio, abituato come ero al parqué consumato della mia vecchia casa.
Una voce conosciuta, prima cosa quella mattina a me familiare mi invitò a scendere per la colazione.
Afferrai le mie scarpe frettolosamente e le infilai mentre scendevo per la rampa di scale che mi divideva dalla cucina in cotto rossa che mia mamma aveva tanto reclamato considerandola più professionale.
La prima cosa positiva che mi accadde quella mattina, e anche l’ultima ahimè, fu l’odore di brioches appena sfornate.
Cercai di arrivare per primo al piatto che le conteneva aumentando il passo ma due piccole pesti riuscirono a superarmi accaparrandosi la colazione prima del sottoscritto.
Mi sedetti quindi e afferrai quello che a primo impatto mi parve una ciotola di thè e, avvicinandola alla bocca la bevvi piano.

“HARRY, SANTO DIAVOLO!” reclamò una voce stridula ma allo stesso tempo matura.
“DOVE CAVOLE HAI MESSO LE CHIAVI DEL MOTORINO?” continuò piombando repentinamente nella cucina.
“Non fare la sciocca Felicitè. Sono dove le hai lasciate!” aggiunse il riccio riportando la sua attenzione alla tazza ancora tiepida.
“Certo. Peccato che non ci sono!” borbottò ancora, insistente finché non venne interrotta da un’ ennesima voce femminile.
“Sono qui! Stupida” Disse risoluta la sorella più grande, Lottie.

Anche se quel quadretto familiare era ormai consolidato nella tradizionale colazione di famiglia, sentivo qualcosa di stonato nella strana armonia che in anni si era andata a creare con i miei familiari.
Una nota discordante in una melodia abituale.
Non riuscivo ad accettare il trasferimento di mia madre in una nuova città, non riuscivo a contemplare di aver abbandonato la mia vita per trasferirmi in un luogo sperduto come Doncaster.
E ad aggiungersi a questa già disperata situazione si aggiungeva imminente primo giorno di scuola.
Arrivare a metà anno scolastico non era di certo la miglior decisione ma perdere un anno scolastico, questo di certo non potevo permettermelo.
Quindi, senza lamentarmi molto decisi di prende in spalla la mia cartella ed incamminarmi verso scuola.
Mentre Felicitè imprecava contro il motorino inceppato il mio sguardo si rivolse altrove.
Innumerevoli piante di diverso genere sparse per gli altrettanti spazi verdi mi portarono a rivalutare quel luogo che tanto avrei desiderato, prima del trasferimento, vedere il più tardi possibile.
La pace dovuta al fatto di essere immerso nella vegetazione sparì gradatamente quando mi imbattei in una massa disordinata di ragazzi tutti diretti in un'unica direzione. Seguendo quindi il corteo di perfetti sconosciuti, arrivavi davanti a quella che sarebbe stata la mia scuola per gli anni a venire.
Un brivido mi percorse la schiena come a mettermi in guardia su quello che poi sarebbe accaduto.
 
“Sei un lurido gay, Styles.”
“Sono così contento che ti levi dalle palle, odio vedere la tua faccia da finocchio in giro per questa scuola.”
 
Pensieri riaffiorarono nella mia mente quando varcai finalmente la porta di ingresso.
E quello fu il primo ed ultimo ricordo accettabile della mia permanenza nella Doncaster High School.




Louis Tomlinson


Sempre le solite persone, le solite facce viste e riviste. Facce smussata dalla mia ancora immensa stanchezza. Innumerevoli incubi albergano il mio sonno. Ogni giorno mi sveglio sudato, le coperte ormai infondo al letto e un forte, implacabile dolore al petto.
Sollevai un attimo gli occhi dal mio cellulare e, niente di nuovo apparve davanti ai miei occhi.
Le solite facce guardavano verso la mia direzione e timidamente chiamavano il mio nome, in cerca di una risposta. Di un cenno di risposta che da parte mia non arrivava mai.
Questa scuola mi ha sempre dato la nausea. Odio l’odore di libri vecchi e ammuffiti che aleggia in questa sottospecie di topaia. I muri pregni di ditate, vernici ormai scolorite e parzialmente scrostate. Questa scuola va letteralmente a pezzi.
Decisi che era l’ora di alzarsi dalla panchina fuori dall’entrata e di muovermi a passo svelto verso l’ingresso. Diedi un calcio secco alla porta malconcia e entrai sicuro.
Come ogni giorno il mio ingresso non passò inosservato. Molte persone fissavano la mia figura e, come in precedenza, erano desiderose di un mio saluto.
Non mi piaceva avere gli occhi puntati su di me. Ho sempre detestato attirare l’attenzione.
Ho sempre infatti preferito vivere nell’ombra, senza essere notato. Alla fine a cosa serve essere popolari se si può essere liberi?
Mi domando spesso il perché di questa mia continua tristezza, è come se non trovassi mai nulla che mi va realmente bene.
Mi sistemai velocemente il ciuffo specchiandomi sulla finestra più vicina a me e, sorridendo inarcando un angolo della bocca, decidi che ero finalmente pronto ad un altro giorno di merda.
Mio padre non era ancora tornato, mi sono dovuto svegliare nel completo silenzio.
Camera mia era un disastro. I vestiti avevano piano piano ricoperto gran parte del pavimento. Le pareti ormai non esistevano più poiché sommerse da miriadi di poster di giocatori di calcio.
Mi deciderò a strapparli un giorno.
Sempre la solita stupida camera. Sempre la solita insonnia. Sempre la solita stupida vita vuota.
Quella mattina avevo seriamente voglia di qualcosa di caldo ed è per questo che, stramente decidi di andare a dare un’ occhiata in cucina.
Mi stupì enormemente quando vidi tutti i piatti a terra, e i nostri bicchieri migliori frantumati sul pavimento. Tutti questi dettagli mi conducevano a una deduzione più che logica: Mio padre era riuscito a trovare dove nascondevo gli alcolici.
Quella mattina rinnegai svariate volte di essermi deciso a tenere dell’alcool in casa. Ma alla fine il mio vecchio è abbastanza maturo per decidere della sua vita e se vuole ridursi ad uno straccio bevendo merda, che faccia pure.
Detesto vederlo barcollare in casa. Detesto doverlo accompagnare quasi privo di sensi in camera sua e dover sopportare il tanfo che produce il suo alito.
Dannato stupido. Non si rende conto quanto cazzo ho pagato per quegli alcolici.
Sono dannatamente triste. Sono dannatamente solo.
Ma alla fine, forse, è destino.
Forse, davvero, le persone si meritano quello che hanno, e se davvero questo deduzione è corretta io, devo fare proprio schifo.
Penso salterò la terza ora, odio sorbirmi quella psicopatica di Matematica.
 


Harry Styles


Era ormai la decima volta che percorrevo quei corridoi. L’odore acre dei libri antichi riusciva a rilassarmi e il sole che puntava repentinamente sui mie occhi mi rendeva stranamente quieto.
Nessuno durante le lezioni mi ha rivolto la parola. Mi sono semplicemente limitato ad ascoltare, o meglio a fingere interessamento, verso la professoressa di Matematica.
Concluse le prime due ore sono riuscito a capire che quella donna ha seri problemi. Avrebbe bisogno di essere ascoltata e capita, un po’ come me.
Un messaggio interruppe bruscamente i miei pensieri. Un messaggio per nulla inaspettato.

“Come va?
Nick.”


Breve e coinciso, tipico.
Risposi velocemente, contento di sentire finalmente qualcuno di conosciuto.

“Tutto ok! Sento solo la mancanza di casa..
Haz.”


La successiva risposta arrivò con una velocità inaudita.

“Non preoccuparti piccolo, ti abituerai.
Nick.”


In quel frangente trovai seriamente fastidiosa la sua schiettezza nel rispondere. Per una volta avrei seriamente preferito si aprisse un po’ di più a me.
Continuai a camminare per il lungo corridoio evitando di mandare un altro messaggio a Nick, non mi sarebbe stato comunque molto di aiuto.
Mi ritrovai davanti ad una grande vetrina trasparente contenenti innumerevoli enormi trofei.
Club di Tennis, Club di Nuoto, Rugby e altri ancora.
I miei occhi però vennero attirati da una coppa di dimensioni superiori alle altre.
Brillava, mostrava magnificenza e irrimediabilmente provai un senso di invidia nei confronti del possessore di tale riconoscimento.
Una foto, probabilmente del talentuoso vincitore, era esposta accanto a quest’ultimo.
La foto in bianco e nero era sfocata ma si poteva facilmente notare che il ragazzo in questione era un membro della squadra di Calcio della scuola.
Aveva un fisico notevole, proprio per la prestanza fisica che possedeva mi chiesi per quale motivo, nelle mie ormai forsennate camminate lungo il corridoio, non avessi notato una persona così particolare.
Qualcosa come un presentimento, che si fece presto spazio nel mio cuore, mi avvertì che qualcosa non andava.
E questo presentimento divenne vero e proprio terrore quando lessi il nome sul trofeo.
Quel nome così conosciuto, così familiare ma allo stesso tempo estraneo mi fece sobbalzare e portò facilmente il mio palpitante cuore in gola.
Affiorarono nella mia mente innumerevoli vaghi ricordi.
E le note di una canzone che cantavo spesso da piccolo uscirono timide dalla mia bocca.
Note che piano piano, col procedere della canzone si fecero sempre più sicure e, in poco tempo mi portarono a stupirmi di me stesso e di quando ancora, quei ricordi così distanti fossero ancora così reali nella mia testa.
 


Louis Tomlinson


Nel percorrere la strada per arrivare fin sopra, nel terrazzo, Passai per il corridoio e, nel mio ondulatorio camminare venni sovrastato da una voce. Quest’ultima proveniva da un aula in fondo al corridoio, e questa voce incantevole io, la conoscevo bene.
"“Louis non riesco a dormire, ho paura.” Disse tremando il ragazzino dai grandi occhi verdi, disteso a pancia in giù sul suo grande letto, mentre teneva il pollice in bocca e le gote rosse a contatto con il cuscino.
Il più grande decise allora di poggiare i piedini nel freddo pavimento, infilarsi le ciabatte e camminare in punta di piedi fino al letto dell’altro.
Il pigiama con le macchine che sua mamma lo costringeva a indossare era abbandonato in un angolo della casa e il ragazzino solamente in mutande decise di avvinarsi alla faccia paffuta del ricciolo e, dolcemente, cercare di calmarlo.
“..Canta con me! Ti insegno una canzone che ascolto sempre alla radio!” Disse deciso il piccolo Louis fissando il ragazzo davanti a lui.
Si infilò piano sotto le coperte e tenendolo per le mani, fissandolo costantemente nei suo grandi occhi verde smeraldo, intonò la prima strofa.

“Now you were standing there right in front of me.
I hold on scared and Harder to breath”

Le mani del ragazzino ricciolo erano calde e sembravano adattarsi perfettamente a quelle sudaticce del piccolo Louis.
Tutto in quella stanza, il tempo, si era improvvisamente fermato. C’erano solo loro due e una magica atmosfera, quasi surreale ad avvolgerli. Gli occhi chiusi, come ad assaporare ogni momento, ogni attimo, ogni respiro caldo sulla palle.
Quando infatti quest’ultimo decise di cessare il contatto la tristezza si impadronì del candido volto del riccio.
Louis, si affacciò repentinamente alla finestra, alzando gli occhi al cielo, fissando sognante le stelle.
In punta di piedi su una vecchia sedia con le ruote, guardava pensieroso in alto, scostando lentamente i ciuffi che nel frattempo gli avevano coperto il volto.
Si aggrappò saldo al termosifone posto saldamente sotto la finestra e continuò.

 “All of a sudden these lights are blinding me.
I never noticed how bright they would be”

Continuò intonando la seconda strofa, con gli occhi ormai incantati del ragazzo dai morbidi riccioli, che puntavano insistentemente i suoi capelli muoversi con la il leggero vento di una notte di afosa estate.
E quando finalmente arrivò al tanto atteso ritornello, inspiegabilmente l’eccitazione usata in precedenza negli altri versi lentamente scemò e si coprì di un leggero velo di tristezza.
Perché già in tenera età il giovane Louis sapeva, sapeva che quella felicità, apparente gioia, sarebbe durata ancora per poco.
Harry si alzo e pian piano lo raggiunse e, anche se non molto convinto, si unì a cantare insieme a lui in una di quelle notti che tutti e due, anche se solo degli innocenti bambini, non riusciranno a dimenticare tanto facilmente.
"
 
“Don’t let me,
 don’t let me,
don’t let me go,
‘cause I’m tired of feeling alone”

 
Ero ormai completamente affacciato per sbirciare chi stesse cantando quella che era la canzone che tanto mi era familiare.
Ma mi bastò accostare l’orecchio alla porta dell’aula per capire di chi fosse la voce. Un tono basso quanto insicuro non poteva essere frainteso.
Ricordai le serate passate a ripeterla per memorizzarla, le notti passate insonni a stringere forte a me il più piccolo cercando di farlo addormentare, cantando quella canzone. La canzone che in quel momento riuscì a svuotarmi la mente dai miei soliti pensieri. Pensieri scuri, tristi, sostituendoli con alcuni più leggeri e, perché no, felici.
Rimasi ancora un po’ ad origliare quella canzone magica e venni trasportato indietro nel tempo. Mi sentì di nuovo bambino e una lacrima scese sul mio volto quando per l’ennesima volta, in maniera straziante, Harry Styles ripeté il ritornello visibilmente emozionato.
Inarcando le spalle e soffiando quelle parole, ancora una volta, trafiggendomi in pieno il petto. Ancora e ancora.

“Don’t let me,
Don’t let me,
Don’t let me go,
‘cause I’m tired of sleeping alone.”




Wow! Mi mancava scrivere nello spazio dell'atrice, CAVOLO! *___*
Sono tornata con un'altra long. Non che abbandoni l'altra sia chiaro, ma mi voglio dare a qualcosa di diverso, di più "soft".
Io non riesco seriamente a scrivere fluff e questa infatti non lo è-
Dio, ovvio che non vi strapperete i capelli leggendola ma vi giuro che non è per nulla felice çAç
In questo capitoletto che possiamo chiamare "intro" si vede un po' i caratteri dei personaggi. Il loro pensiero e il loro modo di approcciare il nuovo giorno di scuola in maniera del tutto diversa.
Harold si sveglia in un posto nuovo per lui, un posto che non gli appartiene e che non conosce.
Il signorino sonofigohtuttoioTomlinson invece è stanco della monotonia e della sua vita, che si scoprirà andando avanti moolto diversa da come i compagni di classe credono che sia.
Abbiamo due tipi belli complessatini, tutti e 2 con problemini gravini e boh, non so che altro dire.
AH! Ho messo la nuova canzone di Hazza perchè ci stava un botto bene quindi accompagnerò anche altri capitoli, ovviamente.
Il titolo invece è ripreso dalla canzone dei coldplay che se volevo potete ascoltare mentre leggete.
Che senso ha se lo dico alla fine? ._. Vabbeh. Vi linko qui sotto le due canzoncine per chi non le conoscesse! (VERGOGNA!)

The scientist- Coldplay
http://www.youtube.com/watch?v=EdBym7kv2IM

D
on't let me go- Harry Styles
http://www.youtube.com/watch?v=Q8NUfvJlTGw&NR=1&feature=endscreen

B
YEEEEE, AL PROSSIMO CAPITOLO!!

  
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