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Autore: aki_penn    19/06/2013    7 recensioni
“Fare il bagno nel sangue delle vergini mi mantiene giovane” disse, guardandosi le mani dalle dita lunghe e affusolate, sporche di rosso. “Quella ragazza che ti sei portato appresso quando sei arrivato a Rosenrot, è vergine?” domandò poi, guardandolo. Tinkerbell strabuzzò gli occhi e balbettò “Ru-Ruthie? Io non…non so…non ho mai chiesto…” incespicò, preso alla sprovvista, per poi accigliarsi e sbottare “E comunque non ho alcuna intenzione di farti dissanguare la mia assistente, se permetti!”
Genere: Azione, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo sette-

Il fuoco nell’armadio-

 

Joaquim Alvares era nato nel sud del Portogallo e quando aveva compiuto diciotto anni si era trasferito a Lisbona in cerca di fortuna. Da allora viveva di espedienti e di piccole truffe al danno di anziani Portoghesi mezzi sordi e studenti svampiti. Quel giorno invernale arrivò fino all’ultima porta in fondo al corridoio, vicino alle scale. Sul campanello stava scritto Chismes. Lui e José avevano studiato quell’appartamento per mesi, ci abitavano una donna grassa vestita sempre alla moda e un cinese tatuato, piuttosto mingherlino e dall’aspetto un po’ truce, aveva l’aria sciupata e probabilmente faceva uso di qualche sostanza stupefacente. Entrambi dovevano avere tra i trentacinque e i quarantacinque anni.

Il cinese era uscito la sera prima e non era più rientrato, a meno che non fosse passato dalla finestra, ma la cosa era improbabile, dato che l’appartamento si trovava al sesto piano.

Proprio quella mattina, lui e José avevano rapinato una coppia di vecchietti con la vecchia scusa di essere quelli della compagnia del gas venuti per fare un controllo. La donna grassa non sembrava tanto sveglia, e sicuramente non era nemmeno tanto agile, sarebbe stato un gioco da ragazzi prenderla in giro.

Suonò, mentre José stringeva la sua ventiquattrore, professionale.

Ad aprire venne la donna grassa, proprio come avevano immaginato, indossava una camicia da notte rosa ed era truccata solo a metà, i capelli erano pettinati in un caschetto corvino perfettamente liscio, con una frangetta corta. Li guardò con un po’ di diffidenza e Joaquim si presentò “Siamo qui per controllare che abbiate pagato la corretta bolletta del gas, signorina” spiegò, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi. Chismes  - doveva essere lei e non il cinese – alzò le sopracciglia, ma poi sorrise “Certo, il contatore è in cucina”.

La donna fece strada a José e Joaquim si mise in coda e si appoggiò allo stipite della porta del cucinotto, Chismes lo guardò di nuovo e poi si voltò ad aprire il contatore.

Il ragazzo, mentre il compagno intratteneva la donna, sgattaiolò in quella che doveva essere la camera da letto. All’interno la tapparella era abbassata e quando aprì la porta una striscia di luce gli indicò dov’era il comò, c’era anche un letto sfatto, ma lui non si fermò troppo su quello, i soldi non li nascondeva più nessuno nel materasso. Aprì il primo cassetto del mobile cercando di fare meno rumore possibile, ma al posto del solito scricchiolio del legno contro altro legno ne sentì un altro, che non avrebbe saputo riconoscere, sul momento. Si voltò di nuovo verso la porta, per controllare cosa stava succedendo e avvertì qualche cosa di freddo sotto al mento, il freddo si tramutò in dolore, il dolore di una lama che lo pungeva, sotto la mandibola.

Joaquim boccheggiò, senza sapere cosa fare. Davanti a lui c’era il cinese tatuato in mutande, con in mano un tridente, che lo guardava con gli occhi da pazzo, nella penombra. Dio solo sapeva dove avesse tirato fuori un’arma simile.

“Cosa stai cercando, stronzo?” disse, con voce bassa e rabbiosa, non v’era traccia di accento straniero, e l’epiteto stronzo si era fatto un po’ attendere, la cosa lo rendeva ancora più inquietante. Quello faceva davvero uso di droga.

Il cinese piegò la testa, sulla quale portava un’inadeguata cresta di capelli per la sua età, per indicare la porta, mentre Joaquim  ansimava e boccheggiava. “Sparisci, se non vuoi che appenda la tua testa in salotto” ringhiò e scostò il tridente da lui abbastanza da permettergli di allontanarsi. Fu allora che Joaquim si mise a urlare come un matto e come una scheggia uscì dalla camera “José, José, questi ci ammazzano, vieni via! Vieni via!”

José, che era ancora in cucina con la donna in camicia da notte, si affacciò e vide il complice correre fuori veloce come un missile, la porta si aprì davanti a lui, come sospinta da un vento inesistente e subito dopo il cinese spuntò, sempre in mutande, tatuaggi, tridente e cresta, dalla stanza, emettendo urli di guerra e brandendo con furia la sua arma. Fu allora che anche José iniziò a urlare e corse all’inseguimento dell’amico. La porta di richiuse dietro di loro e il cinese, che in realtà era giapponese, abbassò le braccia, stancamente, e poi guardò Chismes con odio “Quelli volevano derubarci!” sbottò.

Chismes alzò le spalle “Lo so, chiaro, ma sapevo che tu avresti fatto qualche cosa. Non avevo davvero idea di come fare per svegliarti: dobbiamo andare a fare la spesa, non voglio andarci il giorno della vigilia di Natale, tutti i negozi saranno pieni di gente” sentenziò, tranquilla.

“Tu hai un problema!” strillò lui, e tornò a letto.

***

I tacchi della signora Jennings battevano sul pavimento del corridoio dell’ospedale “Tuo padre mi ha telefonato giusto mezz’ora prima che arrivassi per dire che lui e il suo fidanzato hanno perso l’aereo” sbuffò “Sono ancora a Bangkok”, si fermò a guardarlo “Dai abbracciami di nuovo, mi sei mancato, Clay” fece, e allungò le mani verso di lui. Clay dovette piegarsi per farsi abbracciare da quella donnina, e pensare che finché non aveva compiuto sedici anni era rimasto più basso di lei. Non che con la maturità fosse diventato un vero colosso, ma aveva una statura degna. Sua madre sospirò di nuovo tormentandosi le mani, indossava una giacchetta blu e portava la minigonna, non stava male, per Tinkerbell sua madre non stava mai male, era solo preoccupato che finisse per riempirsi di botulino tanto da non avere più espressioni.

La donna fece una smorfia e le labbra rosse si incresparono un poco. Gli occhi scuri truccati di azzurro lo guardarono “E poi c’è quel demente di tuo fratello” ricominciò, riprendendo a camminare “Due settimane fa, mi è arrivato uno di quei maledetti piccioni viaggiatori scagazzanti che diceva che forse sarebbe tornato per Natale e poi più niente, perché cavolo non si compra un cellulare, mi domando!” esclamò, gesticolando. Clay alzò le spalle, Bernie si era appassionato ai colombi viaggiatori quando aveva diciotto anni, più o meno, e da quando era andato a lavorare su una nave da crociera li usava per mandare messaggi a sua madre. La mamma odiava tutti quei volatili.

“Ti ricordi? Al matrimonio di tua sorella hanno evacuato in testa a metà degli invitati!” esclamò, e un vecchietto col deambulatore sobbalzò, lì accanto.

“Sì, tra loro c’ero anche io” rispose Tinkerbell, con una smorfia. La signora Jennings scosse la testa e incrociò le braccia, con disapprovazione.

“Per il resto cosa si dice da queste parti?” chiese lui, abbracciandole le spalle con un braccio, mentre procedevano verso il reparto Lunghe degenze.

La signora tirò in fuori le labbra e scrollò le spalle “Nulla di nuovo, Glen ha vinto la gara per la miglior bistecca grigliata del quartiere”

Clay alzò le sopracciglia “In effetti, a casa nostra il barbecue è entrato prima del letto”

“Adesso è a casa ad addobbare per il Natale, vuole vincere il titolo di Casa più natalizia del quartiere” spiegò poi lei. Suo figlio chiuse gli occhi esasperato “Oddio, a forza di lucine sembrerà un’astronave”

“Niente di più facile” fu il commento asciutto di sua madre.

“Niente di nuovo quindi” La signora Jennings scosse la testa “No, i vicini spettegolano, perché mi sono rifatta gli zigomi, sto con un uomo più giovane, tuo padre si fa chiamare Joanna, tua sorella ha avuto un figlio a diciassette anni, tuo fratello è stato bocciato tre volte, si dice in giro che abbia tradito tuo padre perché Bernie non gli somiglia” e i due si guardarono, anche un cieco si sarebbe accorto che Bernie era stato adottato, non somigliava al signor Jennings, ma tantomeno alla signora Jennings “…ma secondo me sono solo invidiosi della bistecca alla griglia di Glen” concluse convinta, guardandolo con aria cospiratoria e Clay non poté fare altro che annuire.

“E poi i tuoi due fratelli sono tatuati come due camionisti infernali” continuò, lamentosa. Clay si chiese che tipo di camionisti avessero all’inferno.

Tinkerbell si ricordava qual’era la stanza nella quale stava andando, ma sua madre gliela indicò lo stesso e Clay seguì il suo dito indice, infilandocisi dentro.

“Clay” esclamò una cosina seduta sul letto che gli sorrise e scese con un balzo incerto. Qualche anno prima gli sarebbe corsa incontro abbracciandolo, quel giorno però percorse la corta distanza a passo calmo, come una vecchia signora. Clay allargò le braccia e l’abbracciò.

Jessie digrignò i denti in un sorriso da bimba mentre strizzava gli occhi oltre la spalla del fratello per poi allontanarsi da lui quanto bastava per vederlo in faccia e infilargli le dita tra i capelli scuri “Che bello finalmente vedere qualcuno con la mia faccia che ha ancora i capelli”

“Non dureranno molto, se me li tiri, Jessie” disse lui, con una smorfia, mentre lei rideva e lo scarmigliava.

Clay e Jessie erano stati davvero simili per essere due gemelli eterozigoti di sesso diverso. Nel viso incavato  e nelle arcate sopraccigliari senza sopracciglia di Jessie si vedeva ancora il suo legame di parentela con Tinkerbell, nel naso a punta e nel viso aguzzo. Jessie sorrise ancora, felice di vederlo, prima di salire di nuovo sul letto e si battere la mano sul materasso per incitarlo a sedere accanto a lei, come se fossero stati ancora piccoli.

Clay accettò l’invito sedendosi sul letto a gambe incrociate, mentre loro madre diceva qualche cosa sul rapporto scarpe-lenzuolo.

Jessie era piccolina, da quando stava in ospedale lo era ancora di più, ai lati del naso, tra gli occhi, si notavano due piccoli buchini, dove c’era stato un piercing, anche quello sotto il labbro era sparito. Quando aveva quindici anni se lo toglieva e poi cercava di fare la fontana, cosa abbastanza schifosa, ma al suo ragazzo, Richard, piaceva. I tatuaggi le si erano appiccicati addosso e sembrava che il cuore intrecciato nell’edera che aveva nel petto le fosse stato disegnato direttamente sulle ossa. In testa portava una bandana, per camuffare un poco la mancanza di capelli.

Quel giorno Jessie si mise in ginocchio davanti a lui e iniziò a strattonarlo per il collo della giacca, era come se non potesse stare ferma per l’agitazione, non era sempre così, Tinkerbell lo sapeva, ma pareva quasi che conservasse le riserve di energia per i momenti speciali. “Tra un po’ arriva Metal Dragon, escono proprio ora da scuola”

Clay venne scosso da un brivido, proprio non sopportava quel nome, aveva provato a chiamarlo M.D., ma il risultato era quello di sembrare si stesse parlando di una droga sintetica. “È il più bravo della classe, te l’ho detto, no? Non vedeva l’ora che tu e Bernie tornaste per Natale” disse, con un sorrisetto furbo.

Tinkerbell alzò un sopracciglio “Gli ho portato un souvenir per ogni paese dove sono stato” disse lui e Jessie incrociò le dita, chiudendo gli occhi “Le calamite per il frigorifero?”

“Già” Jessie emise un urletto di gioia e Clay pensò che i regali piacessero più a lei che al suo nipotino di otto anni.

La signora Jennings si sedette su una sedia pieghevole poco lontano dal letto, sospirando, i suoi gemelli erano più o meno gli stessi da tutta la vita, non riusciva a vedere troppe differenze, nonostante gli anni passassero. Fu in quel momento che la stanza si riempì di mille punti bianchi e scalmanati. Un decina o forse più di piccioni entrarono dalla porta battendo le ali come forsennati.

La signora Jennings si coprì la testa e lo stesso fece anche Jessie. Tinkerbell, invece, alzò il capo e sorrise, da quando gli toccava andare a caccia di mostri non ci metteva molto a intuire le situazioni, anche le più improbabili. Mosse quasi impercettibilmente la mano sinistra e una delle finestre della camera si spalancò, facendo uscire tutti i colombi viaggiatori di Bernie.

“Ta-dan! Il figliol prodigo è tornato!” urlò Bernie entrando nella stanza in quel momento. Tinkerbell ridacchiò e la signora Jennings gli lanciò una delle sue scarpe col tacco “Cretino!” urlò. Bernie si protesse come poté e barcollò da una parte. Jessie, ancora seduta sul letto ridacchiò.

”Tu e i tuoi piccioni!” strillò ancora la madre dei tre “Siamo in un ospedale, ci sono delle norme igieniche!” sbottò adirata.

“Volevo fare un’entrata trionfale” cercò di scusarsi Bernie, spalmato sulla parete mentre lei gli urlava contro.

“Hai ventisette anni, credo che la potresti smettere con queste cavolate!” sbottò ancora lei, in bilico su un tacco solo. Si guardarono per qualche secondo, occhi negli occhi, lei furiosa, lui spaventato. Poi lei sbuffò e saltellò su un solo piede ad abbracciarlo.

Bernie era quanto mai colossale rispetto a lei. Aspettò che lei si fosse allontanata per passarsi le mani sulle braccia nude e tatuate per lamentarsi per il freddo. “Fa freddissimo in Kansas!” esclamò.

Quel giorno Bernie sfoggiava dei pantaloncini di tela con le tasche, dei mocassini, una camicia a righe e un cappello di paglia da mafioso, decisamente un abbigliamento poco adatto alla stagione.

“E allora che cavolo ti vesti così?” sbottò sua madre, che con il maggiore dei Jennings non riusciva proprio ad avere un po’ di pazienza. Bernie non sembrava per nulla offeso dalla cosa.

“E’ che sono appena arrivato, sulla nave da crociera  faceva caldo” cercò di spiegare.

“Sei sbarcato davanti all’ospedale? Non posso credere che tu abbia fatto tutta la strada dall’aeroporto con solo ‘sta roba addosso!” sbraitò ancora sua madre e aggiunse “Finirai per ammalarti”

Bernie alzò le sopracciglia fulve e le sorrise.

“E ridammi la scarpa!”

***

Ruthie entrò in casa girando la chiave nella toppa. Era una villetta piuttosto grande, parte era andata distrutta nell’incendio di undici anni prima, nessuno si era mai preso la briga di metterla a posto, lei aveva passato la sua adolescenza in una casa famiglia e anche quando aveva compiuto diciotto anni aveva cercato di starci il meno possibile.

Era sempre impolverata, avrebbe dovuto mettersi a lavare le lenzuola prima di usarle per la notte. Si domandò se non fosse il caso di andare a dormire in albergo, mentre aspettava che Tinkerbell festeggiasse il Natale con la sua famiglia, per poi tornarla a prendere quando avrebbe dovuto correre incontro a un’altra bestia.

Così pensando entrò nella casa buia. Qualche tegola era caduta dal tetto e la soffitto era la tana di piccioni e altri volatili, ma Ruthie aveva sigillato la botola che portava in mansarda col silicone. Tastò ciecamente il muro finché non trovò lo sportello del contatore elettrico. Non ci mise molto, tutto funzionava a dovere, accese la luce delle scale e salì. Al piano di sopra era quasi tutto buio, le imposte erano chiuse e da quelle filtrava solo una luce fioca, accese la luce della propria camera, senza degnarsi di aprire le finestre, quel posto era umido e sapeva di chiuso e la luce era emessa solo da una lampadina impiccata al soffitto, nessun lampadario a colorire un po’ ambiente.

Aprì l’armadio dove teneva la biancheria e rimase ferma a guardare con le mani ancora sulle ante, dentro c’era una rogo. Una piccola fiamma bruciante che non sembrava espandersi, era come una cosa appoggiata lì, ma Ruthie ne era sicura, quello era fuoco, per davvero. E se ne stava dentro al suo armadio. Il rogo non si muoveva, ma lei cominciò a sentirsi bruciare, come se il fuoco le bruciasse dentro. Vide un’ombra con la cosa dell’occhio e si voltò di scatto “Mamma” chiamò, nel panico. Nessuna risposta e il fuoco dentro di lei diventava sempre più doloroso.

Proprio in quel momento cominciò a risuonare il tutta la stanza una musichetta, la ragazza si guardò intorno, guardò le imposte chiuse, la lampadina accecante, senza riuscire a ricordare dove avesse già sentito quella melodia così familiare, mentre il dolore del fuoco andava svanendo.

Batté due volte le palpebre e si voltò nel buio. Il suo cellulare, rumoroso ed accecante, trillava appoggiato sul cuscino accanto a quello dove Ruthie stava dormendo. Lo afferrò quasi con rabbia e rispose senza guardare chi la stesse chiamando “Pizzeria Carmen & Carmen, buona sera, cosa posso fare per voi?” fece con voce assonnata e piuttosto infastidita.

“Non era una pasticceria, l’ultima volta?” domandò una voce dall’altra parte.

“Tinkerbell” gemette Ruthie assonnata.

“Stavi dormendo?” chiese lui e Ruthie mugugnò un assenso. “Scusa, mi scordo sempre per il Connecticut è due ore più avanti del Kansas. Qui è mezzanotte. Ti volevo salutare, ma se dormivi…”

“No, va bene, non ti preoccupare” non aveva voglia di tornare al sogno con il fuoco nell’armadio “come sta tua sorella?”

Tinkerbell, che passeggiava sul tetto dell’ospedale, sorrise “Il dottore disse che sta migliorando, non tantissimo, ma un po’ sì”

Ruthie rimase per un secondo zitta e dall’altra parte venne un po’ il rumore del vento che sferzava la faccia a Clay.

“Senti, Tinkerbell, se non puoi chiedere aiuto ai tuoi genitori per guarirla, perché hanno già usato i loro desideri…ecco…”cercò di dire. Tinkerbell la interruppe “Ruthie”. Sapeva dove voleva arrivare.

“No, davvero”

“Perché no?” sbottò lei, la voce si era alzata e si era fatta forza sui gomiti, era completamente sveglia.

“Non voglio che tu sia il mio padrone, sei il mio famiglio, questo basta e avanza. Non voglio che tu debba esprimere un desiderio per salvare mia sorella” disse lui alzando la voce a sua volta, serio, irremovibile.

“Ma perché? Dopo quello potrei usare gli altri due al momento del bisogno! Sarei più brava di chiunque altro tuo padrone, e lo sai questo! Non ti fidi di me?” strillò lei e sentì la bocca seccarsi. Clay mandò giù un boccone amaro e strinse le labbra, prima di emettere un sospiro. Quando parlò di nuovo la sua voce era più calma “Ruthie, mi fido di te, ma il lavoro è un conto, la famiglia è un altro. Non voglio dirti il mio nome e tu rimani comunque la persona che meglio mi conosce” deglutì “anche meglio di quanto mi conosca Jessie”

Rimasero in silenzio ancora un po’, entrambi col telefono nell’orecchio, Ruthie cieca nel buio, Clay sopra le luci della città “Immagino sia il no definitivo”

“Lo è. Ti avevo chiamato solo per salutarti, ‘sta sera rimango a dormire con mia sorella, anche se le infermiere non vogliono”

Ruthie fece un sorrisetto tirato “Non può fermarti una bestia, di certo non potrà un’infermiera testarda” Clay ridacchiò “Buona notte”

“Anche a te”

Ruthie si fece ricadere di faccia nel cuscino, avrebbe quasi preferito che non l’avesse chiamata.

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera: Eccomi con un nuovo capitolo! Wooo! È un po’ cortino, ma ho delle difficoltà a scrivere, nell’ultimo periodo.

Spero che vi possa un po’ intrattenere e vi ringrazio tanto per aver letto fin qui! :)

   
 
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