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Autore: Alaskas    19/06/2013    2 recensioni
Non gli poteva dire della sensazione allo stomaco che provava quando lui era troppo vicino. Non gli poteva confessare che lei lo guardava attentamente quando lui non se ne accorgeva. Non gli avrebbe potuto dire che quella volta che si era addormentato sulle sue gambe, ubriaco fradicio, dopo una festa lei aveva passato circa un’ora ad accarezzargli i ricci morbidi e gli aveva dato anche un piccolo innocente bacio sul naso. No, non glie lo avrebbe potuto rivelare. Con Harry parlava di tutt’altro. Parlava di cose buffe, come i cappellini strani della professoressa Diaz, ricordava le cazzate che avevano fatto insieme tempo prima, fantasticavano sul loro futuro, di come avrebbero potuto passarlo insieme con Louis a girare il mondo, parlava delle onde, del surf e dello skateboard, Harry le parlava delle ragazze che gli piacevano e Izzy si limitava a ridere nervosamente e quando lui le chiedeva se le piacesse qualcuno, le si formava un vuoto dentro, avrebbe tanto voluto dirgli che si era innamorata di un ragazzo riccio, ma non ci riusciva. Le parole le si fermavano in gola e non riusciva a pronunciare una sola sillaba.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Izzy Wilson piacevano tante cose. Il profumo che proveniva dalla cucina quando tornava a casa la sera, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, il sorriso della bibliotecaria quando riportava un libro, il modo in cui il professor Jefferson si spazientiva quando lei non stava attenta, le risa dei bambini, l’erba che le solleticava le dita dei piedi in giardino, il chiosco sulla spiaggia di San Clemente, la brezza marina che le scompigliava le onde scure di sera, la sabbia che le si intrappolava fra le dita dei piedi, il sorriso fiero di suo padre quando portava a casa una delle poche sufficienze in matematica, il modo in cui riusciva sempre a cavarsela, San Clemente vuota alle 3 di notte, le goccioline d’acqua salata che le bagnavano i tratti del viso mentre surfava, i brividi che prendevano controllo del suo corpo al primo contatto con l’acqua dell’oceano. A Izzy Wilson piacevano tante piccole cose, e si era resa conto da quasi un anno che non erano solo fatti, emozioni, paesaggi e pensieri, ma erano anche persone. Si era resa conto da un’anno della cotta che aveva per uno dei suoi migliori amici. Si era resa conto che le piaceva il modo in cui lui scostava i ricci scuri dalla fronte, il modo in cui i suoi occhi – a parer suo di un colore indescrivibile, fra il verde smeraldo e il ciano – si muovevano veloci per scrutare con attenzione, le piaceva lo skate vecchio e usato che non dimenticava mai, i movimenti del suo bacino quando era su di esso, le piccole fossette che gli si formavano sulle guance quando le sorrideva beffardo, le sue battute, tal volta stupide, la mania che aveva per i tatuaggi, il loro significato, le sue grandi mani che forse troppe poche volte l’avevano stretta per rassicurarla, il profumo di menta che solo poche volte aveva potuto sentire. Si era resa conto di essersi perdutamente innamorata di quel riccio del suo migliore amico. E quando se n’era resa conto si era maledetta, si era insultata e aveva desiderato sparire dalla faccia della terra. Come poteva essersi innamorata di lui? Era consapevole delle farfalle che si impossessavano del suo stomaco quando incrociava il suo sguardo, ma era anche consapevole che quella sensazione di vuoto sotto i piedi lui non l’avrebbe mai provata, lui non sarebbe mai stato suo, mai. Perché Harry Styles non era di nessuno, tutti, o meglio tutte, lo sapevano. Tutti a San Clemente sapevano che Harry Styles non si sarebbe mai legato a una ragazza. Lui era il ragazzo più ambito del liceo, lo skater ribelle che rimorchia ragazze peggio di un aspirapolvere. Izzy sapeva che la sua migliore amica non gli sarebbe mai potuta piacere. Perché? Harry Styles aveva l’intero liceo ai suoi piedi, riusciva a salvarsi miracolosamente dalla bocciatura ogni anno, era bello, bello come un Dio, era bravo ad andare in skate e se la cavava pure sulla tavola da surf, riusciva sempre ad addolcire la bidella della scuola con uno dei suoi sorrisi e lei lo lasciava entrare anche se era in ritardo, perché si vedeva che sotto quella corazza acida anche quella scorbutica gli sbavava dietro. Harry Styles era il ribelle che aveva tutto, e Izzy Wilson la ragazza con una stupida cotta.  
Come al solito quel martedì mattina Harry era in ritardo alla prima ora: lezione di scienze. Era una delle poche ore della settimana che lui e Izzy avevano in comune e il pensiero che lui se la stesse potendo spassare con Natalie, la bionda che in questo periodo lui stava frequentando, invase la sua mente. Il fatto che la stesse frequentando da più tempo rispetto alle altre ragazze le fece comparire un cipiglio in fronte. Possibile che lei gli interessasse? La porta dell’aula si aprì, e la signora Diaz dovette interrompere la sua spiegazione sull’evoluzione della specie di Darwin perché una testa riccioluta fece ingresso nella stanza. Tutti gli occhi, compresi quelli azzurri di Izzy, si spostarono su di lui. “Giustifucazioni per il suo ritardo, Styles?” Il ragazzo si diresse s con gli occhi bassi e lo skate sotto braccio verso il suo banco in fondo, non troppo lontano da quello di Izzy. Appoggiò la tavola di legno a terra assieme allo zaino, da dove velocemente tirò fuori un astuccio. “Le brioches in vetrina alla pasticceria erano così invitanti che mi sono fermato ad assaggiarle. Non so resistere, il mio senso culinario prevale sempre.” La voce roca risuonò fra le quattro mura mentre lui faceva spallucce, sorridendo strafottente. Izzy soffocò una risata ma non riuscì a trattenere un sorriso che involontariamente le comparve sul viso. “Sempre una scusa nuova, Styles.” Disse la Diaz scribacchiando qualcosa sul registro. In quel momento gli occhi di Harry viaggiarono veloci fra le teste degli altri studenti, fino a trovare quella che cercava. Le sorrise sfoderando le fossette e una stretta s’impossessò dello stomaco di Izzy, che subito diventò rossa mentre un sorriso timido le si formava sulle labbra. Poi ritornò a guardare il libro e le piccole figure di animali che erano stampate sulle sue pagine. Sentiva uno sguardo infilzarla da poco lontano, ma sapeva a chi appartenesse e non si volle girare. La voce della professoressa le infrangeva i timpani da quanto era acuta e una vibrazione nella tasca dei pantaloncini di jeans che indossava le fece perdere l’attenzione che stranamente quel giorno aveva rivolto alle parole della donna. “Ma cos’ha oggi in testa quella donna? Un uccello morto? Comunque non era una scusa, le brioches erano buone, te ne volevo portare una ma alla fine me la sono mangiata, scusa.” Izzy lesse velocemente le parole sullo schermo del suo iPhone, spostandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Sorrise e si girò in direzione del suo migliore amico che la stava fissando con il cellulare sotto il banco, attendo a non farsi vedere. Izzy si perse in quel sorriso mozzafiato che lui le stava rivolgendo “Credo sia il nuovo esemplare della sua collezzione di cappellini obrobriosi. Ma conoscendola avrebbe anche potuto uccidere a mani nude un povero uccellino, non dimenticartelo, ti ho detto che è una strega.” Invio.  Si voltò di nuovo verso di lui, e fu felice di veder spuntare ancora una volta le fossette sul suo sorriso, seguite da un’innocente e piccola risata. Izzy sorrise, dopotutto quella non era una giornata così brutta. Le onde fuori dalle finestre dell’aula si muovevano rumorose, i canarini cantavano, non aveva ancora preso nessuna nota e Harry le sorrideva.
Questo le bastava, per adesso. Il pensiero che Harry fosse felice, per adesso le bastava.
L’arietta delle 6 di sera faceva svolazzare i capelli scuri di Izzy mentre lei camminava con ritmo lento. Gli shorts di jeans le lasciavano vedere le gambe magre e abbronzate, la felpa azzurra con il logo della Wesc di due taglie più grandi non la rendeva molto femminile, ma lei adorava quella felpa. Glie l’aveva regalata Louis, in realtà una volta era proprio sua, ma Izzy glie la rubava di continuo, così lui glie la regalò a Natale di due anni prima. Appena strappata la carta del pacchetto era saltata in piedi e un enorme sorriso aveva reso quel viso dolce ancora più bello. Quel sorriso c’era ancora, ma non era più lo stesso da tempo. Era spento, era un sorriso falso, di cortesia, come se Izzy si sentisse in dovere di sorridere, per educazione, in modo che nessuno le chiedesse cosa c’era che non andava. L’aveva sempre odiato. Apparire debole, l’aveva sempre odiato. Era troppo forte per mettere il broncio, o per piangere. Odiava anche quello, piangere. Da quando sua madre era morta quando lei aveva 7 anni in un incidente stradale, si era ripromessa di non piangere più. Almeno non in pubblico. Si, perché qualche volta quando aveva bisogno di sfogarsi di notte piangeva, quando non riusciva a dormire, le lacrime bagnavano il cuscino che Izzy si stringeva vicino al petto. Era un pianto silenzioso, senza singhiozzi, solo un pianto liberatorio, come una pioggia che bagna la città dopo troppi giorni di sole. In passato piangeva per la perdita di sua madre, ora piangeva perché aveva così tanto dentro, ma non lo riusciva a buttar fuori. Ci riusciva solamente con Louis. Sì a lui diceva tutto quello che le passava per la testa e questo le faceva bene, era una buona alternativa al pianto. Con lui buttava fuori tutto ciò che aveva dentro e lui non la giudicava, lui si limitava ad ascoltare, e finito ciò che Izzy doveva dire lui le dava dei consigli, la rassicurava, la stringeva in un abbraccio e le diceva che tutto sarebbe andato bene, insieme. Anche con Harry Izzy buttava fuori tutto ciò che aveva dentro, ma era diverso. Certe cose a lui non le poteva dire. Non gli poteva dire della sensazione allo stomaco che provava quando lui era troppo vicino. Non gli poteva confessare che lei lo guardava attentamente quando lui non se ne accorgeva. Non gli avrebbe potuto dire che quella volta che si era addormentato sulle sue gambe, ubriaco fradicio, dopo una festa lei aveva passato circa un’ora ad accarezzargli i ricci morbidi e gli aveva dato anche un piccolo innocente bacio sul naso. No, non glie lo avrebbe potuto rivelare. Con Harry parlava di tutt’altro. Parlava di cose buffe, come i cappellini strani della professoressa Diaz, ricordava le cazzate che avevano fatto insieme tempo prima, fantasticavano sul loro futuro, di come avrebbero potuto passarlo insieme con Louis a girare il mondo, parlava delle onde, del surf e dello skateboard, Harry le parlava delle ragazze che gli piacevano e Izzy si limitava a ridere nervosamente e quando lui le chiedeva se le piacesse qualcuno, le si formava un vuoto dentro, avrebbe tanto voluto dirgli che si era innamorata di un ragazzo riccio, ma non ci riusciva. Le parole le si fermavano in gola e non riusciva a pronunciare una sola sillaba.
“Ehi, straniera!” Louis strofinava un panno da dietro il bancone di legno del chiosco. Il solito sorriso giocoso stampato in faccia, e una grande macchia viola sulla T-shirt rosso fuoco, che gli faceva risaltare gli occhi azzurri, come l’oceano. “Peter Pan.” Izzy mosse la testa, in saluto, sorridendo. Si sedette sullo sgabello rialzato di fronte al ragazzo e rise indicando la macchia sulla maglietta. “Solito pasticcione.” Lui le diede un leggero buffetto sylla guancia “Quello era uno psicopatico!” Si giustificò, mentre la voce di Izzy iniziava una fragorosa risata, pure i suoi occhi azzurri ridevano, si vedeva che non era una delle sue risate di cortesia, come quelle dopo una battuta scadente. Si vedeva perché Izzy riusciva a ridere anche con gli occhi, con le mani, coi capelli. Tutto di lei rideva, rideva veramente. Era quello ci voleva. Dopo qualche minuto passato a ridere vedendo Louis mettere un finto broncio offeso, Izzy si voltò leggermente e le farfalle incominciarono a volare nel suo stomaco. Due occhi verdi, delle scavature vicino al sorriso, un fisico alto e muscoloso e dei ricci perfetti entrarono nella visuale dei due ragazzi. Harry sfrecciava sul suo vecchio skateboard, i capelli leggermente scompigliati, la maglietta nera a scollo a V che lasciava intravedere alcuni dei suoi tatuaggi. Ormai arrivato vicino al bancone saltò giù dallo skate con una mossa veloce delle gambe, e tutti gli occhi femminili si posarono su di lui, come sempre. Izzy sapeva quanto le altre ragazze come lei lo desiderassero, ma sapeva che solo ad alcune era concesso questo onore, lei no. “Ehi ragazzi.” Si sedette sullo sgabello di legno vicino a quello di Izzy. “Ciao Haz, frappè alla menta?” “Si grazie.” Si scostò i ricci dalla fronte con un movimento diventato ormai meccanico. “Per me al cocco, grazie.” Louis si voltò per preparare i due frappè e Harry sorrise, lui e Izzy prendevano sempre quei due frappè. La mora si sentiva lo sguardo di Harry su tutto il corpo, perché doveva fare così? La matteva in agitazione, come se la stesse guardando dentro,come se con un solo sguardo potesse capire cosa provava. Izzy si sentì scoperta da quello sguardo quindi si girò e incontrando quelle iridi verdi si perse. I loro sguardi si incatenarono, e per un attimo credette di aver visto una scintilla in quegli occhi, o forse stava diventando completamente pazza. “Ecco.” La voce sottile e leggermente acuta di Louis le fece interrompere il contatto visivo, voltò il viso e sorrise al suo migliore amico che le porgeva un bicchiere.
Harry e Louis passarono il tempo parlando di calcio, mentre Izzy li guardava divertita quando discutevano per qualche fallo o qualche cosa su cui non erano d’accordo. Rideva, quando facevano delle battute e delle volte le faceva anche lei, suscitando le risa dei suoi due migliori amci. Stava bene con loro, erano le persone più importanti della sua vita, insieme a suo padre. Erano le cose di cui aveva bisogno, senza di loro e senza il surf non sarebbe sopravvissuta.
“Harry!” Una voce acutissima ma allo stesso tempo forte spaccò i timpani a tutti e tre i ragazzi, seduti al chiosco. “Oh no.” Louis scosse la testa guardando verso il basso. Izzy e Harry si voltarono verso la provenienza della voce. Una altissima bionda che riusciva a stento a camminare su quei trampoli che si ritrovava ai piedi si stava dirigendo in fretta verso di loro, seguita a ruota da due ragazze, che sembravano la sua copia esatta. La prima, Cassie, una volta aveva il naso un po’ ricurvo e per assomigliarle di più aveva fatto un intervento di chirurgia estetica, tanto suo padre era chirurgo. La seconda, Mandy, una volta era castana e si tinse i capelli di biondo come la leader del gruppo. Questa camminava nella sua minigonna rosa, così corta che se solo si fosse piegata… Beh, avete capito. “Oh, ciao Natalie.” Izzy si voltò verso Harry che non la stava più guaradando, i suoi occhi erano rivolti a quelli verdi della bionda. “Ci vediamo stasera? Sai, i miei sono via per un viaggio di lavoro e… Speravo che avresti trovato un po’ di tempo per me.” Natalie aveva assunto un’espressione da cucciolo con il fine di persuadere il ragazzo. A quelle parole a Izzy venne il volta stomaco. Sembrava lo stesse implorando. “Beh, veramente dovrei vedermi con loro stasera e…” Harry Indicò Izzy e Louis ma fu subito fermato dall’indice della bionda che si spiaccicò sulle sue labbra, zittendolo. Natalie si avvicinò pericolosamente, arrivando all’orecchio del riccio “Non vorrai deludermi, vero? Lascia stare questi idioti, ho una sorpresa per te se verrai stasera.” Gli sussurrò con voce sensuale, ma abbastanza forte da farsi sentire dagli altri. Le due oche dietro di lei sghignazzarono maliziose, mentre ad Izzy qualcosa si frantumava dentro, nel profondo. Solo il pensiero le faceva venir voglia di piangere ma si trattenne, lei non doveva più piangere. “Okay, vabene. – Natalie si staccò dalla sua guancia non prima di avervi lasciato un bacio voglioso – Ragazzi fa niente se...” Harry li guardò entrambi negli occhi “Ma stasera è la sera ‘Film e pizza’.” Lo interruppe Izzy, ancora con un filo si speranza nella voce rotta. Natalie intanto sbuffava, guardando la mora stufa e con disprezzo. Lei lo guardò, triste. “Si lo so, ecco, vedi…” Harry gesticolò, cercando un modo per dire le parole che voleva pronunciare. Izzy sentì le lacrime che minacciavano di scendere dai suoi occhi. Sentì anche la rabbia. “Come vuoi.” Disse fredda, si voltò dando le spalle alle tre oche. Fissava il bicchiere pieno del liquido bianco e denso, lo mescolava con la cannuccia mentre sentiva la conversazione maliziosa che stavano avendo il riccio e la bionda vicino a lei. “Sarà fantastico, come sempre.” Non ce la faceva più, il suo cuore si spaccava in frammenti sempre più piccoli ogni volta che le loro frasi raggiungevano il punto. “Forse anche di più, ti farò godere come mai.” Un coltello affilato nel cuore. “Non riuscirai nemmeno ad immaginare le cose che ho imparato a fare.” Le farfalle nello stomaco uccise da un’insetticida. Sentì un pericoloso bruciore agli occhi. Come poteva farle questo? Permettere uno strazio del genere? Loro due lì, a parlare in quel modo davanti a loro. Davanti a lei. Consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a trattenere ancora per molto la lacrima che minacciava di rigarle la guancia, si alzò velocemente in piedi, guardando Louis dritto negli occhi, attenta a non incrociare degli occhi smeraldini. “Non aspettare nemmeno me, stasera.” Sentiva il suo sguardo addosso, ma non le importava, come aveva fatto lui. Si allontanò lasciando il frappè al cocco ancora semi pieno sul bancone. Uno sguardo sulla schiena, le gambe veloci, una lacrima silenziosa.
“Buona notte, tesoro.” Il sorriso premuroso del padre scomparve dietro la porta della sua stanza, ora chiusa. Izzy si infilò sotto le coperte leggere, intenta a prendere sonno, sonno che non arrivò. Passarono le ore, e la mora non riuscì a chiudere occhio. Non riuscì nemmeno a sfogarsi piangendo, le lacrime non volevano uscire, forse le aveva esaurite quando era tornata a casa dalla spiaggia. Ma in qualche modo si doveva sfogare, quindi ignorò la sveglia sul suo comodino che segnava le 3 di notte e dopo essersi messa dei pantaloncini corti di una tuta, una maglietta blu a maniche corte e le amate e vecchie Vans, uscì dalla finestra, attenta a non scivolare mentre cautamente incominciava a scendere verso il suolo del giardino. Si maledisse per non aver messo qualcosa di più pesante quando il vento freddo la travolse appena ebbe messo piede a terra. Ma non se ne importò e agguantando un pallone da basket arancione si allontanò dalla casa nel buio della notte di San Clemente. Non si era mai preoccupata di quel che le poteva succedere uscendo a quell’ora della notte da sola con addosso solo una maglietta e dei pantaloncini corti. La zona di San Clemente dove abitava era sicura e distaccata abbastanza dal centro, non correva nessun pericolo. Camminando in fretta per il freddo che pungeva ogni punto del suo corpo, arrivò a un campo da basket vicino alla spiaggia. Il suono della risacca dell’oceano la tranquillizzò subito, la visione delle onde e della schiuma bianca che si infrangevano contro la sabbia nuda la mandarono in estasi: peccato che non avesse una tavola a portata di mano, se ne sarebbe fregata come sempre di ogni pericolo o divieto e si sarebbe tuffata, per poi cavalcare le onde come era capace lei. Peccato che non la avesse, ma si accontentò di quella sfera arancione che si passava ripetutamente da una mano all’altra. Incominciò a fare qualche palleggio, mettendo forza nelle sue esili mani e poi iniziò a tirare la palla cercando di centrare il canestro, alto rispetto a lei. Sbagliò il primo, palleggiò e con forza riprovò. Lo sbagliò. Palleggiò, lo sbagliò di nuovo e la frustazione si impossessò di lei. Cadde a terra, forse quello stupido gioco non serviva per farla sfogare. Tentò di piangere, non ce la faceva più e cercò disperatamente qualche lacrima, ma nulla. Si calmò, fece dei respiri profondi e si rialzò in piedi. Era rilassata, ancora un uragano dentro da sfogare, ma era rilassata. Fece qualche palleggio, più piano, prese la mira e piegò le braccia, le distese e la palla volò verso il cerchio di metallo, ormai senza più le corde che c’erano una volta. Sorrise leggermente, riprese la palla e fece gli stessi movimenti ma da una postazione diversa, un punto. Corse, riprese la palla e indietreggiò, più indietro e tirò. Centro. Continuò le stesse azioni, calmandosi del tutto. Fece un tiro e di nuovo la palla entrò nel canestro, ma la cosa strana era che non cadde a terra, non si sentì il rumore della sfera arancione che sbatteva contro il suolo del campo. Qualcuno la prese, ma era in ombra e Izzy non vide chi era la persona. Si preoccupò un attimo sul fatto che potesse essere un malintenzionato – cosa molto strana lì – ma poi si ‘tranquillizzò’ vedendo una chioma tutta riccioli avanzare, per poi vedere alla luce di un lampione sgangherato due pozzi verdi. Si avvicinò di più a lei ma non troppo “Non dovresti essere qui a quest’ora della notte.” Sorrise sfoderando due immancabili fossette e poi tirò la palla a canestro. “Neanche tu.” Disse Izzy guardandolo fredda. Voleva apparire delusa, arrabbiata, per fargliela pagare ma allo stesso tempo non ce la faceva, quelle dannate farfalle si liberarono nel suo stomaco. “Sei sempre così ribelle.” Disse Harry con una risata. La felpa color verde bosco gli ricopriva tutto il busto ma si potevano intravedere alcuni muscoli delle braccia. Izzy deglutì. “Dovresti essere con Natalie.” Disse mentre lui dopo avere ripreso la palla tentò un nuovo tirò da più lontano. A quelle parole si irrigidì e fece una smorfia quasi impercettibile ma che Izzy attenta notò. Sbaglio il canestro, distratto da quelle parole fredde. Il riccio ignorò il pallone che pian piano si allontanava rotolando e si girò a guardare la mora. Si avvicinò piano piano, ammirandola con gli occhi, e appena fu solo a qualche passo da lei disse con voce roca “Tu sai che lei non è niente, vero?” La ragazza corrucciò leggermente la fronte “Non mi sembrava così oggi.” Si guardarono a fondo, verde nell’azzurro. Non potendo reggere quelle due iridi, Izzy voltò le spalle e corse a riprendere il pallone poco più lontano. Palleggiò e poi fece segno. Intanto Harry continuava a guardarla mentre Izzy cercava di non farlo. Spazientito, la prese per le mani facendo cadere la palla a terra. Velocemente la attirò a sé, con l’intenzione di farle alzare lo sguardo. “Lei non è la ragazza che prova emozioni, lei non è quella che guarda sempre fuori dalla finestra nell’ora di letteratura, non è quella che doma le onde, non è quella che infrange le regole insieme a me, non è la ragazza che finisce i pop-corn prima che inizi il film, quella a cui piace la cioccolata calda anche se è estate, che è un’impedita a guidare un’auto e che ha paura dei porcospini, non è quella che ama battute stupide. Lei non è te.” Izzy a quelle parole così strane pronunciate dalla sua bocca chinò il viso, cercando di non incontrare quegli smeraldi. Harry spostò una mano dietro la sua schiena e la attirò maggiormente a sé. La mano destra, quella libera, raggiunse il suo mento, e con una leggera pressione la portò a guardarlo dritta negli occhi. Le iridi azzurre erano smarrite, perse, non capivano. “Non l’hai mai capito. – Le accarezzò dolcemente una guancia che subito si tinse di rosso. Mille brividi le percorrevano il corpo mentre Harry accorciava sempre più le distanze. Gli occhi del ragazzo non si stancavano un solo momento di guardarla con insistenza, vogliosi di qualcosa di più. – Non hai mai capito che morivo di gelosia quando parlavi così a lungo con Louis, mentre con me di parole ne avevi sempre di meno – La avvicinò di più, solo pochi centimetri tra di loro. – sempre meno.” Sussurrò con voce roca al suo orecchio. In quel momento una serie infinita di domande piombarono nella mente di Izzy. Cosa stava succedendo? Era un sogno? Si sarebbe svegliata se qualcuno le avesse dato un pizzicotto? Harry parlava sul serio? Era ubriaco? Perché non era nel letto di Natalie? Cosa era succeso tra loro? Quel pomeriggio si parlavano in modo così malizioso e ora? Perché? “È stato tutto un casino, questo periodo. I tuoi occhi, i tuoi capelli, la tua voce, le tue labbra, diamine, non riuscivo a farti andare via dalla mia testa. Ho cercato di distogliermi da quei pensieri poco casti sulla mia migliore amica vedendomi di più con Natalie, ma non è servito a niente – Si avvicinò all’orecchio della ragazza – eri sempre qui dentro.” “M-ma…” “Shh… - La zittì guardandole le labbra rosee – Mi dispiace, sono stato un vero coglione, e tu… Tu sei meravigliosa.” Disse facendosi più vicino. Le due labbra che si volevano, che si cercavano. Izzy ancora credeva fosse tutta un’illusione ottica, forse suo padre aveva messo qualcosa di strano nella salsa che aveva messo sulle patatine fritte. “Perdonami Izzy, perdonami.” A quel punto la mora si accorse che non era un’illusione, lui era veramente lì con lei. “Perdonami perché ti amo. Ti amo da forse troppo tempo ma non me ne ero accorto. Perdonami.” Lo sguardo di Harry era quasi supplichevole, mentre osservava interessato i suoi occhi, per poi passare alle sue labbra e poi di nuovo ai suoi occhi. “Si.” Disse semplicemente lei. Entrambi si stupirono di quella risposta così sincera e breve. Non complicata, dritta al punto. A quel punto il riccio era sul punto di scoppiare e non ce la fece più. La strinse più a sé facendo aderire i loro corpi, e con una mano prese dolcemente il viso di Izzy e lo porto più vicino, fino a che le labbra della ragazza non furono finalmente sue. A quel contatto le farfalle dello stomaco di Izzy impazzirono totalmente, volavano qua e di là, libere. La ragazza portò entrambe le mani sulla parte posteriore del collo di Harry, iniziando a giocare con i suoi indomabili ricci. Harry sorrise nel bacio. Era un bacio voglioso: quelle labbra erano state distaccate per troppo tempo. Le bocche giocavano l’una con l’altra. La lingua del ragazzo percorse il labbro inferiore di Izzy, che gli lasciò il passaggio. Incominciò una danza di lingue instancabile. Nessuno dei due voleva staccarsi dal contatto, ma furono costretti a dividersi – anche se di pochissimi centimetri – ansimando. Harry mise entrambe la mani sui suoi fianchi, in modo da non farla allontanare. Si guardarono negli occhi. “Ti amo.” Disse la mora in un sussurro. Il riccio sorrise sornione “Ci speravo.” 
  
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