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Autore: leo rugens    19/06/2013    24 recensioni
Secondo ricerche svolte negli ultimi trent'anni, si può definire il carattere di una persona dalla sua calligrafia. Certo, sarebbe veramente delizioso raccontare in bella grafia, senza cancellature o scarabocchi, così vi addormentereste sereni. Questa storia, queste persone, però, sono strane: sono una vita fra parentesi.
ATTENTION: Larry and Ziam as romances.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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leo rugens' stories 2013 ©
Disclaimer: Questa storia è stata scritta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla.
Non si tenta in alcun modo di stravolgere il profilo dei caratteri noti.
Nessuno degli One Direction mi appartiene, in alcun modo.
Se copiate, giuro che vi prendo a sprangate.




Scrivo adesso e poi taccio per sempre, visto che sono circa 17 pagine di Word e già è un miracolo se arriverete a metà. Ci sono Larry e Ziam come romances, se la cosa vi dà noia, chiudete pure il link. Sono novemila e passa parole, avete tutti i diritti di tirarmi roba dietro, è lunghissima, lo so. Il banner è di mia proprietà, ma volevo lasciarvi le canzoni che mi hanno ispirato per i personaggi e quelle presenti nella storia.
Harry canta Stop Crying Your Heart Out, degli Oasis (link)
Ed stava cantando Masters of War, di Bob Dylan (link)
Louis, invece, Love More di Sharon Van Etten (link)
La canzone di Ed Sheeran, You Need To Cut Your Hair (link) -preciso che non è stata scritta prima di incontrare Syles, nel lontano 2003-
Trovo molto azzeccata, per il personaggio di Lou, Fear of the Dark, degli Iron Maiden (link), per quello di Harry, invece, Black Star dei miei più che venerati Radiohead (link) e per la loro romance, beh, una signora ballad: Desperado, degli Eagles (link).
Per Zayn avevo pensato a Blower's daughter di Damien Rice (link) e per Liam a My Hero, dei Foo Fighters (link). Per la loro coppia: Marchin On, One Republic (link).
Ad essere sincera, Zayn mi ricorda tanto anche Jesus of Suburbia, dei Green Day (link)
Social nella bio, potete uccidermi quando volete, le dediche sono in fondo, a presto,
Sun.



 

Fra parentesi


 


A Niall è sempre piaciuto da matti il giallo, perché gli ricorda il sole, le guance calde, un La maggiore. Nessuno si è stupito quando, qualche mese fa, è uscito dal salone del suo parrucchiere con i capelli biondo platino e un sorriso da un orecchio all’altro.
“Amico, così sembri finocchio.”
Ma io la donna ce l’ho, è la musica!”
Si calca in testa il vecchio cappello di paglia di Bob e, con un’andatura un po’ sbilenca, svolta l’angolo canticchiando. È così, per caso, girandone uno dei tanti, che si innamora per la prima volta.
“Mamma, ho visto una chitarra veramente figa al negoz…”
Con i tuoi soldi.”
Alza gli occhi al cielo e poggia il cucchiaio nel piatto, ormai vuoto.
“Quali?”
“Quelli che ti guadagnerai quest’estate, lavorando.”
Non può pensare agli occhi dolci che quella Fender gli ha fatto, la cassa armonica così lucida che ci si vedeva riflesso, la mascella che rischiava di staccarsi e cadere nella pozzanghera lì vicino. Per quanto adori le sue coperte calde e svegliarsi tardi, accetta. Ah, l’amore.


Harry, invece, il giallo lo odia, anche se una delle sue canzoni preferite lo osanna fino al nono cerchio del Paradiso. Coldplay (e Chris Martin, ma non ditelo a nessuno) a parte, gli trasmette un’allegria fin troppo finta e forzata, che non gli si addice. Preferisce il verde intenso, quello della copertina de Le Cronache di Narnia, del maglioncino preferito di Gemma, dei suoi occhi quando piove.
“Mamma, ho trovato un lavoretto.”
Sorride, arricciando il naso e appendendo il giacchetto dietro la porta. È fatto così: non sa aspettare, non sa mentire. Harry non sa diventare adulto, anche se ha sedici anni, -“Fra poco diciassette!”- è fin troppo alto, magro (a detta di sua nonna) e intelligente. Quello sguardo che ha è così furbo e naïve che ti fa venire voglia di tirargli due morsi sulle guance, tant’è tenero.
“Niente di impegnativo, viene anche Niall, deve pagarsi la chitar… No, voglio pagarmelo da solo!”
Harry adora viaggiare, anche senza bagagli. Girerebbe il mondo con le mani in tasca, niente sulle spalle e dietro. Vuole solo che le stelle splendano per lui, una volta tanto.
“Chi ha osato toccare la mia collezione di CD?”


Niall e Harry sono strani. Lo sono anche presi singolarmente, ma quando sono insieme vivono in un mondo esclusivamente loro, con regole e idee che sfidano la fisica e il buonsenso. Un universo fatto di abbracci goffi e pacche sulla schiena, compiti copiati la mattina davanti al cancello di scuola e ombrelli dimenticati.
Harry senza Niall non esiste, perché il verde lo fai con il giallo. Più ne aggiungi più diventa chiaro, più diventa un ragazzo riccio, con le spalle larghe e la maglietta degli Stones. Tante volte si chiede come sarebbe andato il mondo se non si fossero incontrati nel coro della Chiesa la domenica mattina, ancora troppo piccoli per credere in qualcosa o lontanamente provarci.
Niall ha un anno in più di Harry, ma capisce molte meno cose. È un tipo impulsivo, che ragiona solo dopo averla combinata grossa. Il verde gli serve a rilassarsi, tirare il freno, fermarsi, staccare. Harry è il suo interruttore della luce: lo spegne e proietta i sogni sul muro.


Harry e Niall si vogliono bene. Di amor proprio ne hanno poco, ma per l’altro darebbero un polmone o il cuore. Sanno che, se batte ancora, è perché si sono trovati, per le focacce alla caffetteria della scuola e per le partite alla PSP il giovedì. Sono uno la quotidianità dell’altro, il signore anziano con il bastone che lancia molliche di pane alle anatre giù al parco. Qualcosa così radicato nella tua vita che non riesci a strappare, neanche volendo. Lo vedi dalle effe frettolose di Niall, dalle emme panciute di Harry, le canzoni lasciate sulla scrivania,Titanic in pausa.


***


“Tesoro, svegliati!”
Zayn spegne la sigaretta e prende la cartella sospirando. Non riesce mai a dormire più di sei ore, la cosa lo sta iniziando a preoccupare. È più forte di lui: in tutto quel nero non ci si sente, non vede. È circondato da macchie, colori, emozioni e non prova niente: apatia.
Salta sull’autobus, scende all’undicesima fermata, aspetta che la campanella suoni, cerca di stare attento alle lezioni. La sua vita è un elenco, come se tutto fosse programmato minuto per minuto. Ignora chiunque tenti un minimo approccio con lui, sbatte forte l’armadietto, chiude a chiave la porta del bagno. Poi piange. Come se fosse due cose, due persone diverse. Circondato dalle pareti bianche e dalla luce, si sente sbagliato, ha paura, è sporco: troppi sentimenti.


L’ora di Arte è l’unica cosa che trova utile e appagante. Tutti i suoi problemi vengono gettati su una tela, per qualche secondo si sente più leggero. Disegna, colora, cancella: le mani vanno da sole, conoscono la strada. Si sente un foglio completamente bianco che, stanco del nero che lo circonda, prende e se lo spalma addosso. Tutti quei difetti che gli macchiano la pelle, graffiano la schiena, urla soffocate, si fa inghiottire dall’oscurità. A Zayn piace il nero: soffre, come lui.
Ci sono dei giorni, però, in cui scappa. Si sente radicato nel buio, non vuole esserne prigioniero. Allora corre, più forte che può, più lontano che può: le gambe vanno a casaccio, tirano a indovinare. Strappa la luce, la maglia, i fogli, è una macchia che viene cancellata dalla gomma. Zayn ama il bianco: è così maledettamente ingiusto.


Lo Ying e lo Yang sono un antico simbolo giapponese e possono avere più significati. Uno dei tanti, è sicuramente un ragazzo con i capelli fin troppo scuri, gli occhi espressivi e le labbra curvate all’ingiù. Zayn è lo Ying e lo Yang: un minuscolo raggio di sole circondato dal buio che viene inghiottito e, nel contempo, la più piccola delle ombre, che vaga sperduta in un mare di luce. Zayn è nero e bianco: non un colore, ma all’inizio di tutto. Non c’è da stupirsi, quindi, delle sue elle, che rappresentano quello che lui è ogni giorno: strano, differente.  Ordinate, fredde, calcolatrici, bianche, confusionarie, felici, strane, nere. Ogni giorno sono diverse.


***


Liam è rosso, per qualsiasi cosa provi a dirgli. Sente un gran caldo e le orecchie bruciare, ma ti guarda e risponde, balbettando un pochino. Di poche parole, adora correre e i cereali la mattina: è una persona semplice. La sveglia suona, imperterrita, lui continua a dormire tranquillo, causa troppi succhi di frutta la sera prima. A diciotto anni non ha ancora preso la prima sbronza, la prima sufficienza a matematica e la moto che vuole da quando aveva otto anni e mezzo.
“Quando deciderai di tagliarti quei benedetti capelli?”
Ruth, sua sorella, gli scompiglia i ricci e, alla sua smorfia affettata, risponde con un sorriso divertito.
Le passa la cesta con i panni da lavare e se ne torna in camera, a giocare alla Play, aspettando l’ora di pranzo.
“Liam, ricordati di andare alle poste domani dopo scuola, devi spedire il pacco per la nonna!”
Annuisce, come se suo padre possa vederlo, e segna il terzo goal di fila con Messi, soffocando un grido di contentezza.


“Scusi, vorrei spedire questo pacco a questo indirizzo.”
L’impiegata delle poste sorride gentile e gli sfila il pacco di mano, leggendo sul foglietto l’indirizzo della nonna di Liam.
“Certo, sono cinque sterline per la tassa di spedizione.”
Appoggia la banconota sgualcita sul bancone e si congeda con un cenno del capo. Liam è abituato a stare solo: è una persona molto chiusa, ha pochi amici, quasi nessuno. In compenso, conosce un sacco di posti dove sedersi e riflettere. Quando non ha nessuno intorno rilassa le spalle, e si sente un po’ più libero. È in quei momenti che pensa alle cose più disparate: bicchieri, lattine, futuro, amore. Soprattutto dell’ultimo, sente un bisogno disperato, ma continua ad aspettare. Vuole trovare qualcuno che abbia dei demoni simili ai suoi.


Liam non ama scrivere, che sia la lista della spesa o un biglietto per dire a sua madre che è andato un secondo da Andy, il suo vicino di casa. Ha un amico di penna da anni però, che sente con una regolarità invidiabile. Si chiama Louis,è di Doncaster, ha la voce gentile, gli piacciono le righe e fa la u simile alla enne. Ma va bene così.


Il blu è il colore che meglio lo riflette, in particolare i suoi occhi. Louis potrebbe amare solo con quelli, a pensarci bene. Dall’attimo in cui li apre, insonnolito, al mattino, fino a quello prima di richiuderli la sera tardi, non fa che guardare. Se lo cerchi, è il ragazzo con i capelli sui toni del nocciola, affacciato alla finestra, una matita in bilico fra le dita e l’aria assorta: non sembra, ma sta ascoltando ogni singola parola che la professoressa di chimica sta dicendo. Non ha voglia di capirla, preferisce scarabocchiare sul quaderno quello che gli frulla per la testa.
“Signor Tomlinson, cosa stavo dicendo?”
“Stava per darci la definizione di mole.”
“Vuole spiegarla lei a tutta la classe?”
“Per carità, è il suo lavoro quello, mica il mio.”
L’insegnante sospira rassegnata e comincia a parlare di pesi atomici, molecolari, Carbonio 12, e Louis scrive. Non fa altro, non sa. Gira sempre con un taccuino in tasca, perché l’ispirazione arriva ma non avverte mai. Lo trovi accucciato nei bagni, con le spalle contro l’armadietto in corridoio, in equilibrio precario sulla metro e cosa fa? Scrive, mormorando ogni tanto qualche parola, facendosela scappare.
 

Torna a casa dopo tre giri di chiave nella serratura e un ombrello messo fuori ad asciugare, canticchiando ora i The Fray, ora una canzone che ha sentito per caso mentre era a prendere un frullato. È  sempre così tranquillo e sorridente che quasi ti dà fastidio. Bacia sulla guancia Lottie, scarruffa le gemelle, urla a Jay che è a casa e sale sul tetto, se fuori non piove. Quello è il suo posto per pensare, staccare la spina e sentirsi la più piccola fibra dell’Universo. Pensa che sia sadico il sollievo che prova nel sentirsi così infinitamente minuscolo, ma non può farne a meno. In questi momenti, da quanto si mimetizza con il cielo, Louis diventa azzurro, azzurro vero. Se gli alzi un poco la maglietta la pelle comincia a coprirsi di nuvole mentre i capelli volano via con il vento. Questa agghiacciante meraviglia, la vedi solo se sei bambino: perché lui ha deciso di non crescere più, vuole fare come Peter Pan. Glielo vedi nel sorriso, così giocoso, attento, infantile. Non diventerà mai grande, perché è piccolo di statura, ha le spalle strette, trova subito la seconda stella a destra. Perché scrive i sogni dove gli capita, anche se non ha un foglio.


Louis ha questo amico di penna da qualche anno, di Wolverhampton, con gli occhi da cucciolo e le mani grandi: si chiama Liam, è un patito dello sport, dei video-games, odia Inglese, non può bere alcolici e fa delle bi veramente buffe. È l’unica persona che riesce a rassicurarlo sul serio e gli piace abbracciarlo, le poche volte l’anno che si incontrano. Per qualche momento si sente al sicuro, protetto e tira un sospiro di sollievo. Poi è di nuovo nella mischia, a cercare di riemergere per prendere una boccata d’aria. Ma va bene così.


***


“Dai Niall, non è così difficile.”
Harry si becca l’occhiataccia dell’amico mentre si aggiusta il maglione bordeaux e trattiene un sorrisetto soddisfatto.
“È la quinta volta che cerco di farla, ma non mi riesce!”
Il campanello della porta suona, segno che qualcuno è entrato, e si affretta a scendere dal bancone.
“Buongiorno- Sorride il riccio –Posso esserti utile?”
Un ragazzo con i capelli scarruffati e rossi, no che dico, arancioni, gli sorride, e alza a mo’ di scusa la custodia di una Gibson acustica.
“Volevo cambiarle le corde, posso vedere che marche hai?”
Harry gli fa segno di seguirlo e lui gli arranca dietro, in quei pantaloni troppo larghi che si ritrova.
Niall sospira e rimette al suo posto la chitarra con uno sguardo così malinconico che ci puoi vedere le strade bagnate di Londra quando è Ottobre e inizia a far freddo.
“Davvero? Anche Niall suona!”
I ragazzi rientrano nella stanza e raddrizza le spalle, cercando di darsi un contegno.
“Beh, sto imparando. Sono qui perché almeno posso suonare senza comprarne una, mi sto mettendo da parte i soldi…”
Il ragazzo gli sorride, porgendo una mano callosa e piccola: “Sono Ed.”
“Niall, ma Harry te lo deve aver già detto.”
Ed ride, poggiando sul bancone dieci sterline, e Harry si affretta a fargli il conto.
“Ce l’ha un nome?”
“Chi?”
Niall addita la chitarra che l’altro tiene sulle spalle, con quel fare curioso che tanto gli si addice.
“Oh, si, ovviamente! Niall, Trevor. Trevor, Niall. Scusa, non la tiro fuori perché le ho rotto tre corde, è stato un trauma.”
“Oh, ehm… Non fa niente, figurati.”
“Se vuoi in settimana torno e ti insegno qualcosa.”
“Lo faresti davvero?” Chiede stupito, mentre sente gli angoli della bocca tirarsi su in un sorriso.
“Perché no, tanto non ho niente di meglio da fare.”
Saluta con la mano e se ne va canticchiando,con le chiavi che tintinnano ad un ritmo troppo indie folk.


Ed è simpatico. Non sa giocare alla PSP, ha tre chitarre, non va più a scuola, dorme sui divani, fa le a in scripter e ha una vera e propria fissa per Damien Rice. Spesso si ritrova a discutere con Niall, che idolatra Jon Bon Jovi come se non avesse un’anima o un domani e Harry li guarda ridendo, spostandosi i ricci da sopra gli occhi. Anne, la mamma di Harry, dice che è per colpa delle loro origini irlandesi che si trovano sempre a litigare; Maura, la mamma di Niall, dice che è proprio per quelle che vanno così d’accordo.
Harry, con una lattina mezza vuota di birra in mano, sinceramente non pensa. Ed è Ed, con i suoi troppi CD di gente sconosciuta a metà della popolazione inglese e quella risatina sarcastica. Anche se si conoscono solo da qualche mese, sa che le sbronze del sabato sera con lui saranno una delle parti migliori della sua adolescenza.
“E tu, Hazza, che fai?”
“Eh?”
“Chupa.”
Niall scoppia a ridere, diventando rosso come al solito.
“Ti stavo chiedendo se musicalmente fai qualcosa, razza di rincoglionito.”
“Canto sotto la doccia. Vale come “musica”?”
Ed prende un sorso di birra, è la terza stasera, e sbuffa, forse per il troppo caldo, forse perché deve trovare la risposta giusta.
“Beh, in doccia c’è un’ottima acustica, non c’è che dire.”
Adesso è Harry che ride, dondolando i piedi e volendo disperatamente posarli a terra. Ora che ci pensa, chi glielo ha fatto fare di salire su un cavolo di cancello così alto? Non ha mai sofferto di vertigini, ma la testa gira e vorrebbe l’asfalto sotto le scarpe.
“Canti?” Propone dal niente Niall, guardando prima la punta delle Supra e poi gli occhi di Harry, come per cercare conferma.
“Cosa?”
“Quella canzone fica che mi hai fatto sentire l’altro giorno.”
Harry si schiarisce la voce, imbarazzatissimo e, con le guance rosse, comincia.
’Cause all of the stars are fading away, just try not to worry: you'll see them some day. Take what you need and be on your way and stop crying your heart out, stop crying your heart out.”
“Si, ecco, quella!” Sorride Niall, mentre Ed fischia in approvazione.
Il riccio si sente andare a fuoco e decide di spostare gli occhi sull’alba che quel giorno è più chiara che mai.


Se li guardi da fuori sono uno dei trii più strani che si possano mai vedere. C’è Harry, quello alto, riccio, sorridente e verde. Canta sotto la doccia e lavora in una panetteria perché vuole mettere su i biglietti per visitare il Giappone. Adora il sushi e i manga, per non parlare delle puntate di Ranma sul secondo canale della BBC la domenica mattina. Ha diciassette anni compiuti da poco -“Ma punto ai diciotto, tranquilli!”- e dovrebbe tagliarsi i capelli, che oggi tiene nascosti sotto un beanie  fregato dall’armadio di uno dei suoi migliori amici, Niall.
Niall ha gli occhi azzurri, una chitarra di cui è follemente innamorato, lavora in un negozio di dischi perché si deve prendere un amplificatore. È un fan sfegatato dei Bon Jovi e andrà ad un loro concerto fra tre settimane e due giorni, se ne avesse voglia conterebbe anche i minuti. È giallo, come i girasoli, fa la chiave di violino al contrario e ha sempre un plettro in tasca, visto che le canzoni ti passano per il cervello a loro piacimento, mica quando decidi tu.
Quest’ultima perla è di uno sfigato che viene dalle parti di Halifax, si chiama Ed, adora la birra e rompe spesso le corde, per non dire le palle. Per lui ogni stella in cielo è l’Orsa Polare, per svegliarsi beve una tazza di caffè freddo e Anne lo ha costretto a trasferirsi da loro, con tanto di letto tutto per lui in camera di Harry. Così casa Styles si è colorata di arancione e ha perso quel pizzico di normalità che le restava. Ed lavora nello stesso negozio di CD di Niall, li hanno assunti insieme. Sta mettendo i soldi da parte per la sala di incisione, vuole registrare un EP che chiamerà Want Some. Sta pure scrivendo una canzone per Harry, l’ha iniziata l’altro giorno mentre correva per non perdere la metro: si chiama You need to cut your hair.


***


Zayn dorme si e no quattro ore a notte e inizia ad essere davvero stanco. I suoi genitori hanno deciso di trasferirsi  perché suo padre ha ottenuto una promozione importante a lavoro. Così cambierà tutto: scuola, casa, autobus. Lui, purtroppo, rimarrà sempre lo stesso. Scorbutico e chiuso, con quelle ti sempre più alte quando scrive e gli scarabocchi sulle porte dei bagni. Vorrebbe solo che qualcuno vedesse quanto sia male, quanto stia affondando ma tutto quello che può fare è urlare. Sottovoce, altrimenti lo sentono.


Il primo giorno nella nuova scuola è il solito: un paio di presentazioni, lezione di disegno, il suo nuovo orario delle lezioni. Durante l’intervallo gli si affianca un ragazzo con i capelli sugli occhi e i pantaloni troppo stretti.
“Ciao, sono Louis!”
“Zayn.” Bofonchia e cerca di non far vedere quanta paura abbia, quanto le mani gli tremino.
“Certo che sei parecchio bravo eh!- Osserva l’altro, sfilandogli dalle mani il disegno che stava finendo –Io, è già tanto se faccio un omino stilizzato che va sullo skate!”
Louis sorride incoraggiante, restituendogli il foglio e Zayn si affretta a chiuderlo nella cartellina.
“Sei nuovo, vero?”
“Si, sono arrivato ieri da Bradford.”
“Doncaster ti piacerà, vedrai. È tranquilla, anche se il tempo non è dei miglio…”
“Devo andare, ciao.”
Si mette lo zaino sulle spalle e se ne va, sbattendo con forza la porta dell’aula di arte. E corre, chissà dove.


Louis è bravo ad Inglese. Risponde a tutte le domande che la professoressa gli fa con fare scocciato, come se stesse lì solo perché altrimenti si annoierebbe. Da quello che ha sentito dire per i corridoi è bocciato un paio di volte, ma non per stupidità. C’è chi dice abbia avuto problemi a casa, chi con la droga, chi abbia ucciso qualcuno: ragion per cui tutti si tengono a debita distanza. Zayn tira fuori una sigaretta e tasta i jeans alla ricerca dell’accendino, che non trova.
“Vieni accendo io!”
Uno scatto, odore di gas e la sigaretta brucia, il sapore di fumo che gli invade la bocca, facendogli rilassare i nervi.
“G-grazie.”
“Non c’è di che! L’ora di quella vecchia befana non finiva più, vero?”
Si volta e, cazzo, si ritrova Louis che lo fissa in attesa di una risposta, le mani intrecciate dietro la schiena e una scarpa legata male.
“Ma vai bene, nella sua materia, hai risposto a tutte le domande.”
“La scuola non mi piace, non è il mio mondo. Scrivo, ma posso considerarlo solo un hobby.”
“Capito.”
“Sei di poche parole, eh?”
“Non mi piace parlare.”
“Allora facciamo così: io sto zitto ma tu non mi devi lasciare solo, ok?”
Schiaccia la sigaretta con la punta della sneaker e lo guarda, dritto negli occhi. Ci vede stanchezza, disperazione e cielo: la cosa, stranamente, gli piace. Senza rendersene conto sussurra un ok e, dopo quelli che sembrano secoli, sorride, timidamente.
Un passo alla volta Zayn, uno alla volta.


Louis esce di casa correndo, in ritardo come al solito. Il bottone della giacca è saltato e il taccuino di poesie minaccia di scivolargli via dalle mani.
“Mamma, sono in ritardassimo, ci vediamo alle quattro, ciao ragazze, vi voglio bene, fate le brave!”
Fa appena in tempo a sentire le sue sorelle salutarlo prima di chiudersi la porta di ingresso alle spalle.
“Era ora!” Grida divertito Zayn dall’altro lato della strada, la solita cicca in equilibrio dietro l’orecchio e la cartellina dei disegni sotto braccio. È incredibile quanto siano cambiati, Zayn e Louis, in questi sei mesi. Sono quasi sempre insieme sia a scuola, sia fuori. Stanno pensando di collaborare e fare un libro illustrato, o magari un fumetto,unendo le loro forze. Uno che disegna, l’altro che scrive. Tutti, oramai, sono abituati a Louis che saltella per i corridoi, rincorrendo il moro che non vuole fare tardi a lezione di Arte. Si mormora che siano fidanzati, chi compagni di letto. Zayn ci ride di cuore, ha finalmente imparato come si fa, quando il suo amico glielo rammenta e gli concede di dare l’ultimo tiro alla sigaretta.
“Stai zitto, non avevo sentito la sveglia!”
Caccia indietro l’ennesimo sorriso e fa spazio a Louis sotto l’ombrello, visto che sta cominciando a piovere.
“Dove andiamo oggi?”
“Non lo so, dove vuoi di andare?”
“Prendiamo il primo autobus che vediamo e dove va, va.”


Zayn e Louis sono due facce della stessa medaglia. Li vedi spesso in periferia di Doncaster, uno che finisce dita e carboncino sul ritratto di una bambina che gioca e l’altro che scrive del cigolio dell’altalena. Concentrati su quello che fanno, non ci sono per nessuno, nemmeno per loro stessi. Ogni tanto alzano lo sguardo, si sorridono e tornano a quello che stavano facendo. In quei momenti sentono quanto l’altro sia diventato indispensabile. Certo, hanno ancora i loro problemi: Zayn dorme poco, Louis la notte piange, perché ha paura del buio. Stringono i denti e resistono, perché la solitudine non è più fuori dalla porta. Basta una chiamata, un sms, attraversare due isolati a piedi e si sentono salvi. Strano ma vero, il blu mischiato con il bianco e il nero è sempre il solito: più chiaro, più scuro, poco importa. Convivono perfettamente, come le stelle e la notte. Louis si chiede se quella che vede non sia una coperta scurissima che copre chissà cosa. Quando lo dice a Zayn sospira, perché lo aiuta a riflettere. Allora si sente stringere la mano e “Cazzo, quanto sei filosofico”.
Louis e Zayn sono uno l’opposto dell’altro: uno parla troppo perché è abituato ad usare le parole per esprimersi, l’altro è taciturno, perché per dire la sua usa fogli e matite. Vederli tirarsi avanti però è il più bello dei regali, uno di quelli che pochi saprebbero apprezzare.


***


La scuola è finita, gli Script hanno cominciato un nuovo tour, Liam ha lasciato atletica e si è dato al nuoto, perché il rumore dell’acqua lo rilassa. Ha appena gettato il borsone pieno di cose sul letto quando il cellulare squilla e si affretta a rispondere.
“Pronto?”
“Liam? Sono Louis…”
“Oh, ciao Lou! Come stai?”
“Bene, credo. Senti, quest’estate hai da fare?”
“Non credo, perché?”
“Beh, mamma ha affittato un cottage vicino Brighton, ma non può andare per lavoro e le ragazze vogliono rimanere qui a Doncaster. Se andassimo io, te e Zayn?”
Liam non sa chi sia questo Zayn di cui il suo amico parla tanto, sia al telefono, sia nelle sue lettere. Deve ammettere che si sente parecchio infastidito dalla presenza costante di questo tizio, ma è solo perché vorrebbe essere l’unica persona in grado di proteggere Louis.
“Chiedo a mia madre e ti faccio sapere con un messaggio stasera.”
“Perfetto, ciao Lì!”
“Ciao ciao!”


Liam, spesso e volentieri, si sente solo. Quando sua mamma gli urla di buttare la spazzatura,  mentre fa la doccia dopo gli allenamenti, se esce con Andy e l’altro gli parla a macchinetta della sua ultima serata al Funky Buddha. Non sa se questo sentirsi sospeso a mezz’aria sia solo una sua sensazione –sta per caso diventando matto?- o la triste realtà. Vorrebbe bucare quei palloncini che lo tengono su e fare un volo, cadere per centinaia e centinaia di metri. Poco gli importa del rosso del sangue, delle urla, delle pi: ne ha decisamente troppo addosso, vuole liberarsene.
Nuotare lo aiuta, perdonate il gioco di parole, a tenersi a galla. L’aria trattenuta, tutto che si muove a rallentatore, sentirsi trasportato dalla corrente lo fa sentire se stesso. Alle otto e mezza, l’orario di chiusura della piscina comunale, vorrebbe morire ed esce dall’acqua con la testa bassa e le orecchie che fischiano. Le persone, il mondo là fuori, non gli piacciono. Liam non vuole essere normale, scontato, odia dire la sua, camminare per strada. Forse è per questo che è così bravo nel nuoto, perché vive in apnea.  Non si sa come faccia a stare sul fondo senza bombole di ossigeno, maschera o appigli. È lì, seduto, gli occhi chiusi, rannicchiato contro il muro con troppo cloro addosso e vuole che qualcuno lo salvi. È lì, seduto, mentre fuori imperversa il temporale, le bombe scoppiano, la gente piange. Dentro la sua testa e fuori.
Aiuto.


Il rosso è un colore strano, perché da quante emozioni prova quasi ti spaventa. Se ne sta tranquillo, in disparte, così indifferente che pensi che in realtà non senta niente, neanche la musica troppo alta delle cuffiette. In realtà dire che riesce a vedere tutto è riduttivo. Liam è un ragazzo sensibile, non sopporta l’intransigenza e gli stronzi. Vorrebbe ripiegare tutti i difetti del mondo e metterli in una valigia, come sta facendo adesso con le magliette, i pantaloni, le canotte. Si limita a controllare di aver preso anche lo shampoo e mette il borsone ai piedi del letto.

A: Lou
Testo: Prendo il treno fra mezz’ora, per pranzo sono alla stazione di Doncaster.

Paura.



***


Harry si sveglia e non ha idea di che ore siano: sa solo che è tardi. Apre la finestra, mette le Vans e scende al piano di sotto, l’odore di bacon e uova nell’aria. Ed è ai fornelli, cerca di cucinarsi un paio di toasts, Niall si limita a spazzolare quello che ha nel piatto.
“Buongiorno.”
“Ehi Haz!”
Prende del succo di frutta dal frigo, un pacco di Oreo e si butta sulla sedia, facendo schioccare le nocche delle mani. Morde un biscotto allungando le gambe sotto il tavolo e sorride tranquillo. È il secondo giorno a Brighton, nel bungalow del suo patrigno, e sarà l’estate più bella di tutta la sua vita. Glielo dice Keith –la nuova chitarra di Edward- sul divano, la lavatrice che ha finito il lavaggio, il sole tranquillo fuori.
“Allora, cosa facciamo oggi?”
“La spesa, Cappello di Paglia ha già dato fondo a tutto quello che c’era.”
Niall ride, un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché il paragone con Rubber di One Piece è fin troppo azzeccato, e si pulisce la bocca con un tovagliolo.
“Io andrei a comprare la cibarie dopo pranzo, voi che dite?”
“Amico, sono le due e mezza del pomeriggio.”
“Certo, come passa il tempo quando si è in vacanza, eh?”


Liam sfila gli occhiali da sole con un sospiro e pulisce la lente sinistra con un lembo della maglietta. Non ricordava che la stazione di Doncaster fosse così caotica e piena di smog, tante grazie Ventunesimo secolo. Si avvia verso il bar e controlla l’ora sul cellulare, per scoprirsi in perfetto orario.
Prende un sorso di integratore e si appoggia al muro, guardando la fretta con occhi spenti e tristi.
“Payne, Payne!”
si volta e, istintivamente, apre le braccia, in tempo per afferrare un lampo sovreccitato che gli bacia una guancia, abbracciandolo forte. È in questi momenti che sente di avere uno scopo nella vita: proteggere gli altri. Non risponde e si limita a sollevare Louis ancora più in alto, girando su se stesso e ridendo.
“Come stai?”
“Bene, il tuo amico delle lettere dov’è?”
“L’ho mandato in avanscoperta a Brighton,almeno arriviamo là e abbiamo tutto pronto. Così chiacchieriamo un po’ io e te, ti va?”
Mentre aspettano la coincidenza delle tre e tredici, Louis parla e lui ascolta, il vento che scompiglia i capelli ad entrambi e le valigie a terra. Scopre che l’altro sta scrivendo un libro, ha comprato una abatjour, così ha la luce anche quando fuori è buio, ha smesso con gli alcolici, tranne il venerdì. Mentre timbrano il biglietto accenna qualcosa su questo Zayn e Liam non sa cosa pensare. A detta di Louis è bello, taciturno, fuma troppo, ha un bel sorriso e adora i giacchetti di pelle, un po’ un controsenso, visto che è vegano.
“E tu Lì, cosa hai fatto durante l’anno?”
“Ho nuotato… Cioè, ho iniziato il corso per il brevetto di salvataggio.”
“Davvero? La casa in affitto ha la piscina, se vuoi puoi allenarti lì.”
“S-sul serio?”
“Ci mancherebbe, ma dovrai sopportare i miei tentativi di deconcentrarti!”
Ridono insieme salendo sul treno, così tranquilli rispetto al resto del mondo. Louis dopo due fermate si addormenta, la guancia che preme leggermente sul palmo della mano e il respiro ridotto a piccoli sbuffi. Liam si perde nel paesaggio che cambia ma rimane uguale e si immagina come sarebbe vivere su una nuvola, con un impermeabile rosso e un cellulare per chiamare il tramonto. Gli occhi non li chiude, sogna ad occhi aperti.


Poundland non è mai stata così piena, quasi avessero annunciato il loro arrivo con un paio d’ora d’anticipo ai commessi.
“Oddio Haz, ci sono i bocconcini di pollo!”
Harry, povero ragazzo, sta avendo una crisi di nervi e vorrebbe strapparsi tutti i capelli, pestando forte i piedi. Cerca di attenersi alla lista che ha pazientemente stilato a casa, ma Niall continua a prendere roba e metterla nel carrello, beccandosi occhiatacce e facendolo correre a rimettere i prodotti a posto. Ed, del canto suo, è nella fase super sayan del suo io barbone: seduto in un carrello con le ruote rotte davanti al banco degli affettati, suona una canzone di Bob Dylan che parla di guerra, gli occhiali da sole che nascondono gli occhi attenti e fanno a pugni con la sua pelle troppo chiara.
“Niall, santa pazienza, rimetti quel branzino a posto!”
Rettifichiamo: Harry, a diciassette anni e cinque mesi, sta avendo una crisi di mezza età per colpa dei suoi due migliori amici. Mette le mani sui fianchi, inspira, espira, controlla che l’uva non si sia schiacciata e, minchia, prende una posizione.
“Se non mi date una mano a finire di comprare la roba che ci serve, sciopero e non vi faccio la bistecca per cena.”
Come per magia, un quarto d’ora dopo sono fuori, stracolmi di borse, Ed che sgranocchia un Kinder Bueno e Niall che mette in moto la vecchia Ford di Greg.
“Perché, fra tutti noi, devi guidare proprio tu?”
“Ed non ha la patente, tu sei troppo piccolo e… E il più fico qui sono io, il volante mi spetta di diritto.”
Ormai i ruoli in famiglia sono definiti: Niall l’autista, Harry il cuoco e Edward l’ubriacone. È tutto nella norma quando iniziano ad urlare una vecchia canzone dei Ramones a radio spenta, il poliziotto di turno che chiude entrambi gli occhi perché sa che non abitano troppo lontano e si augura che non facciano troppi danni.


Louis stropiccia gli occhi, intontito, quando sente una voce chiamarlo piano, dicendogli che sono arrivati. Afferra il trolley e salta giù dal vagone 9, cercando Zayn. Appena lo vede, le mani in tasca e lo sguardo puntato su di lui, si lascia scappare un sorriso e si incammina tranquillo verso di lui, tenendo Liam ben stretto per il polso.
“Credo che abbiate l’età per presentarvi da soli, giusto?”
Liam tende una mano, titubante e borbotta quello che dovrebbe essere il suo nome. Maledetta timidezza, non riuscire a guardare qualcuno in faccia è così frustrante. Si sente un povero fallito, ma non raddrizza le spalle e continua a guardarsi la punta dei piedi.
“Zayn, piacere.”
Per rompere l’imbarazzo venutosi a creare, Louis tossicchia, spostando il peso da un piede all’altro e prende la parola.
“Allora, siamo in macchina per conto nostro o in taxi?”
“Mi sono fatto prestare la vecchia auto di mia sorella, useremo quella.”
“L’hai parcheggiata lontana?”
“No, dall’altro capo della strada. Ha… Ha un portabagagli bello grosso, non avremo problemi.”
La voce sottile di Louis è  l’unico suono che li accompagna per tutto il viaggio fino a casa e che risuona per la camere troppo ampie, da imparare a riempire.


***

Dopo la sua solita corsetta di mezz’ora della mattina, decide che una pausa se la merita, seduto a uno dei tavoli di quel bar veramente carino che aveva adocchiato un paio di giorni fa. Con un bel muffin davanti e l’acqua fresca a ricordargli quanto siano buone le cose semplici, si sente imprigionato in uno di quei momenti in cui non sei sicuro che la vita sia reale, ma un castello campato per aria. Non ha voglia di tornare subito a casa, Ed e Niall staranno componendo come al solito e non vuole disturbare, così inizia a giocherellare con le dita, facendole battere sul tavolo in chiave di basso. Proprio quando si è alzato ed è lì lì per andarsene, un ragazzo che sta correndo come un matto lo travolge, facendolo finire per terra.
“Oops!”
Harry non ha mai visto niente di così bello: le guance rosse per l’affanno, i capelli scompigliati che ricadono a mazzette sulla fronte e, cristo, quegli occhi dove naufragherebbe una vita intera, se non due. Il cuore accelera, la bocca è arida e il cervello manda messaggi totalmente sconclusionati.
Harry Styles, diciassette anni, colpo di fulmine in corso.
“Ehm, c-ciao.”
“Scusami, non ti avevo visto.”
Si rialza, togliendo con le mani la polvere dai pantaloni blu, decisamente troppo stretti. Dio, com’è basso, pensa Harry, ancora rintontito dall’accaduto, indeciso se muoversi o meno. Gli è venuta una voglia matta di abbracciarlo e tenerlo sotto una campana di vetro, perché una cosa tanto piccina e bella là fuori potrebbe farsi male. Il ragazzo gli tende una mano e lui l’afferra, per tirarsi su. Scopre di superarlo di cinque centimetri buoni mentre si scosta i ricci dagli occhi, per guardarlo meglio.
“Beh, scusa l’ho già detto?”
Si scopre a fare pensieri  sdolcinati e da emerito rincoglionito sulla sua voce sottile e decisa, sulle rughette vicino l’occhio sinistro, la clavicola che spunta dalla maglia a righe.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
“No, no. H-hai già chiesto scusa, ma la colpa è mia, stavo sovrappensiero.”
L’altro sorride e Harry si chiede se il sole splendesse così tanto, gli uccellini cantassero, gli unicorni gli facessero le linguacce e tutto fosse così pieno di arcobaleni anche prima.
“Beh, io vado, scusa ancora!”
Lo fermerebbe volentieri, chiederebbe di parlargli ancora, magari di darsi la mano, per vedere quante volte più piccola la sua sia. Fa un cenno di saluto con la testa e riprende il cammino, con una camminata degna di un alcolizzato.
Aspetta, ma quelle che sento sono campane?


Liam adora sentire l’acqua fra i capelli, secondo lui li fa sembrare delle alghe marine di chissà quale pianeta. Non sa da quanto stia effettivamente nuotando, ma le rughe sui polpastrelli suggeriscono che è ora di uscire o, perlomeno, di fare una pausa. Si siede sul bordo della vasca e sospira soddisfatto, chiudendo gli occhi e stendendosi a terra. Louis è uscito a comprare la colazione, il suo amico è un eremita e lui sta diventando una nuova specie anfibia: la giornata è iniziata nel migliore dei modi.
Sente un gran vociare dal bungalow accanto e, incuriosito, si avvicina alla staccionata per guardare che diavolo stia succedendo. Due ragazzi, uno rosso e uno biondo, stanno correndo per il giardino, schizzandosi con delle bottigliette e ridendo come bambini.
“Ed, amico, non credi sia ora di rientrare e scrivere quel cazzo di pezzo?”
“Merda Niall, ti sei macchiato con il sugo delle fajitas!”
“Porca puttana, dove?”
“Qui!”
Ed, il ginger si chiama così, finisce di rovesciare l’acqua in testa al povero Niall, che strilla indignato e inizia un corpo a corpo fatto da schiaffetti sulla nuca e solletico. Deve ammettere che si sente imbarazzato perché non ha mai avuto un rapporto così intimo con qualcuno, nemmeno con le sue sorelle.
“Ciao!”
Sussulta, vedendo due paia di occhi azzurri che lo fissano curiosi e si sente messo in soggezione.
“I-io…”
“Scusa, stavamo facendo troppa confusione?”
“Beh, ecco, veramente si.”
Il rosso ridacchia e, dopo essersi asciugato una mano alla bell’e meglio sui jeans scuri, gliela tende, sorridendo amichevole.
“Io sono Ed, l’umile vicino pentito che chiede perdono.”
“Liam, accetto le tue scuse.”
Il biondo scoppia a ridere in modo esagerato, tenendosi la pancia con le mani e piegandosi leggermente su se stesso.
“Io sono il vicino perennemente brillo, ma puoi chiamarmi Niall, fai prima.”
“Se può interessarti  ho una scorta quasi annuale di aspirine in casa.” Scherza, stringendogli forte la mano e cercando di far vedere di essere a proprio agio.


Appena Harry rimette piede in casa sente delle risate dal salotto, insieme al rumore di un Sol scordato. Fa capolino nella stanza e si trova davanti una scena davvero buffa: Ed che cerca di insegnare a un ragazzo riccio in costume come tenere bene la chitarra, mentre Niall sgranocchia delle patatine guardandoli e aggiungendo qualcosa di tanto in tanto.
“Ehi, sono a casa.”
“Hazza, pensavamo che fossi andato ad iscriverti alla maratona di New York, non tornavi più!”
Ride, gettando la felpa della tuta sul divano e beve un sorso di acqua per rinfrescarsi un po’.
“Ho solo fatto qualche chilometro in più. Questo poveraccio chi è, la vostra nuova vittima?”
“No, è Liam, il vicino!”
Harry gli fa un cenno con la mano e sorride incoraggiante, mentre quello avvampa e diventa di una tonalità molto simile al rosso papavero.
“Non farci caso, è una vecchia acida. Ti dicevo, tieni premuta la corda così e…”
“Io sono ancora qui, razza di stronzo!” Trilla indignato, fulminandolo con lo sguardo e avvicinandosi a passo di carica.
“Liam, vieni qui, queste cose sono cinema di alta qualità.”
Si affretta a sedersi accanto a Niall, al sicuro e, visto che c’è, si permette pure di sgranocchiare una Cipster.
“Lo so, volevo che sentissi, Miss.” Commenta sornione Ed, alzandosi e raggiungendo il riccio, guardandolo con aria di sfida.
“Di persone strafottenti come te ne ho conosciute davvero poche, credimi Edward.”
“Non hai osato.”
Oso.”
“Azzardati di nuovo a…”
Edward. Christopher. Sheeran.”
“Tu, piccola testa di cazzo!”
Niall li osserva rotolarsi per terra in quella che dovrebbe essere una lotta all’ultimo pugno, ma che sembra più una zuffa fra gattini di tre mesi. Butta un’altra manciata di patatine in bocca e la mastica rumorosamente, senza distogliere gli occhi da Ed e Harry.
“Devo dedurre che fanno spesso così, giusto?” Mormora Liam, fissandoli piuttosto divertito.
“Chi, loro? Almeno una volta a settimana. Prima era più eccitante, adesso è quasi noioso.”
“Brutto deficiente, mi hai fatto male!”
“Hai mai pensato di filmarli e metterli su YouTube?”
Niall si illumina, come se le parole appena dettegli avessero aperto nuovi mondi a lui sconosciuti.
“Amico, sei un fottuto genio.”


***


Liam è simpatico e, grazie alle continue figuracce di Harry, sta smettendo di arrossire per qualsiasi cosa. Ha iniziato a girare video e caricarli in giro, sta progettando il suo primo cortometraggio e, Niall ha scoperto, ha un debole per i fiori, così gli regala spesso un sacchettino di semi. È divertente veder sbocciare le corolle più colorate e disparate sul terrazzo, spiare un ragazzo che tutte le sere le annaffia con cura paterna e quasi le bacia mentre gli canta la canzone che in quel momento gli frulla in testa. Liam è di Wolverhampton, ma ha due amici di Doncaster: si chiamano Louis e Zayn, e sono due artisti con i fiocchi. Stanno sempre insieme, come i gemelli siamesi, anche se fisicamente sono gli opposti –questa cosa fa particolarmente ridere Edward, povero cretino- e comunicano solo con gli sguardi. Ogni sera Harry vorrebbe trovare Louis da solo, guardarci il cielo insieme, baciarlo anche, ma si sta abituando a farlo solo nei sogni. Magari non gli piace, magari sta con qualcuno, magari vuole diventare prete: povero, ha solo una voglia matta di abbracciarlo e non svegliarsi da solo.
Non sa dove trova il coraggio di avvicinarsi quel giorno sulla spiaggia, lui che prende –cerca- il sole, Liam che vuole raggiungere la boa a largo, Ed che cerca di far parlare Zayn e Niall che sputa semi di cocomero.
“Louis, ma se tu mi piacessi, cosa dovrei fare?”
“Conquistami.”
“Come?”
“Non lo so, tu fallo e basta.”


Zayn non sopporta più tutto l’arancione che Ed si porta dietro, ché cerca di distrarlo ma non pensa che a lui. Vorrebbe buttarsi in acqua e raggiungerlo con un paio di bracciate ma, ironia della sorte, non sa nuotare. Deve godersi lo spettacolo da riva, il blocco per disegnare sulle ginocchia, le chiacchere di Niall nell’aria. Vorrebbe gridare al mondo di essere invidioso, perché lui la perfezione l’ha trovata: è Liam. La linea delle spalle, la voce roca la mattina, i silenzi imbarazzati: Zayn sta impazzendo da un mese e tre giorni, è appena iniziato Agosto, deve arrivare sano di mente al cinque Settembre e già  non ce la fa più. Sta male, sa che sta bussando alle porte del Cielo ma che c’è il divieto di sosta, che dovrebbe prendere il salvagente e rincorrerlo, rivalutare l’uso del rosso nei quadri, sorridergli più spesso e non ci riesce.
Fra dieci anni Malik, fra dieci anni dove sarai?
Vorrebbe rientrare in casa e trovarlo addormentato sul divano, chiedergli se per caso sa dove ha messo il progetto di Architettura. Zayn gli occhi li chiuderebbe per trovarlo lì al suo risveglio, si tirerebbe le coperte fin sopra il naso per guardarlo dormire ma non può. Liam si merita di essere felice, qualcuno che lo renda felice –maschio o femmina che sia- e contento, il suo lieto fine. Non sa neanche cosa vorrà fare domani mattina, amarlo è troppo rischioso.
Codardo, vede il mondo solo in bianco e nero.


Possiamo dire che Harry Styles le stia provando tutte. Il mazzo di rose era un cliché, i cioccolatini dovevano essere dietetici - non bombe caloriche-,  il tanga pitonato troppo diretto ed eccessivo. Adesso è a corto di idee, sdraiato per terra, con le urla di Louis nelle orecchie. Quando si arrabbia stringe le mani a pugno e le guance diventano rosse, ma non urla, anzi, sussurra.
“Hazza,  la cena è pronta.”
Ed si affaccia, non osa entrare per la paura di essere sbattuto fuori a calci e sospira, stufo di vedere l’amico in quelle condizioni.
“Che si mangia?”
“Messicano.”
“Non lo avevamo ordinato ieri sera?”
“No, quello era thailandese.”
“Ah, ok.”
Si tira su seduto con le spalle curve e gli occhi pesti, anche se è stato a letto tutto il pomeriggio.
“Come va con Louis?”
“Una merda, sbaglio sempre qualcosa.”
“Non ci pensare per qualche ora, dai, vieni.”
Quando scende dopo essersi lavato le mani, Niall sta mettendo il cibo in tavola, imprecando in crescendo perché era tutto troppo freddo, nachos compresi.
“Ah, Harry, si vede che in questa cazzo di cucina manchi tu!”
Piatto che si rompe,crash.
La sera, dato che in televisione ci sono solo programmi spazzatura, Ed prende la chitarra e cominciano a cantare, ma lui non partecipa.
“Ah, Harry, vogliamo indietro le tue controvoci!”
Lampadina che si accende, tin, idea: se Louis non cede con questa, è decisamente il massimo esponente dell’etero.


***


Dopo essersi pianto addosso una settimana intera, Zayn ha deciso che vuole imparare a stare a galla. Così la mattina presto afferra i braccioli, mette il costume, la protezione trenta e scende in piscina, senza far rumore. Tutto tace, deserto, c’è solo il rumore lontano degli irrigatori dei campi da golf. L’acqua è fredda, il cloro puzza e, dio, deve amare veramente tanto Liam per spingersi a gesti così avventati e disperati. Inizia a costeggiare il bordo della vasca nuotando a cagnolino, il terrore di affondare cresce ogni minuto che passa. Si allontana un po’ quando ha preso dimestichezza, e la cosa gli piace al punto da iniziare a canticchiare.
“Zayn?”
Ditemi che quello non è Liam che mi fissa come fisserebbe un alieno, ditemi che è tutto un incubo.
Sorride tirato e alza un braccio in segno di saluto, realizzando di non raggiungere con i piedi il fondo della piscina.
“Senti, è normale non toccarci qui?”
Splash, si è tuffato.
“Vuoi che ti insegni come si fa?”
Zayn annuisce e afferra la mano di Liam, incerto se lasciarlo andare o meno.


Din don. Louis, sbuffando, va ad aprire la porta, ritrovandosi davanti un Harry nervoso, con tanto di camicia bianca e scarpe di vernice. Sgrana gli occhi, incredulo, facendo un paio di passi indietro.
“Come mai così in tiro?”
Vuoi uscire con me stasera?”
“Ok, ma…”
“Mettiti le infradito e vieni, dai.”
“Nono, mi cambio, sono vestito maliss…”
Promemoria: Harry riesce a sollevare di peso chiunque, per non parlare del ‘ti carico in spalla come un sacco di patate’. Ha smesso di scalciare da un pezzo, si è zittito e sente i neuroni intorpiditi.
“Harry, sangue alla testa.”
Per tutta risposta lo prende a cavalluccio e continua a camminare con quella flemma tutta sua, ghignando quando Louis appoggia il mento sulla sua spalla e aumenta la stretta intorno ai suoi fianchi.
“Meglio?”
“Assolutamente. Dove mi porti?”
“Non te lo dico.”
Gioca con un suo ricciolo e non dice niente, cercando di inspirare più profumo possibile.


Muovi i piedi, inspira,Liam, riemergi, sputa l’acqua, Liam, ridi.
I pensieri molto filosofici di Zayn Malik dopo tre ore a cuocere in piscina, signore e signori. Si siede sul lettino, ancora con il fiatone, e scuote i capelli, sparando goccioline ovunque.
“Per essere la prima volta, non è male.”
Si sente quasi male quando alza lo sguardo e, in controluce piena, lo vede completamente bagnato che sorride incoraggiante. Annuisce e si muove, per fare posto all’altro.
“Sei un bravo insegnante.”
“Grazie.”
Il silenzio fra Liam e Zayn è una cosa che non si riesce ad afferrare. Non fastidioso, carico di ormoni o elettrico: è loro. Se ne stanno fermi e condividono i loro difetti, cicatrici chiuse male, giorni persi. Vorrebbero svegliarsi in corpi diversi, condurre vite fintamente appagate, scendere in strada senza la paura che possa succedere qualcosa. Non che vivano passivamente, chiariamoci: esistono con il terrore di essere visti per come sono. Hanno così tanti demoni, fanno così tanti incubi, troppi pensieri, caterve di se.
Se fossi, se andassi, se facessi, se mi ammazzassi.
Sono stanchi di andare controcorrente, cadrebbero da una rupe e scivolerebbero via, spossati. Arrabbiati per non essere abbastanza, dissolversi all’aria, baciare il sole. Zayn non dorme da anni, non si sa mai che lo vengano a prendere mentre è distratto. Eppure, appena ha visto Liam, si è sentito protetto, a casa: è il suo eroe, è venuto a salvarlo da quel bianco e nero che lo circonda. Non è in sella a un cavallo bianco, né vestito d’azzurro, ma ha la canotta rossa con su scritto Salvataggio. Si lascia prendere, torna a respirare.
Liam, ti va di andare a bere una cosa stasera?”


***


Sulla scogliera tira un vento gelido e Louis maledice i denti che battono, desiderando avere una coperta calda e un quaderno per scrivere. È fermo da troppo tempo, i romanzi non si scrivono da soli, deve esorcizzare la paura con le parole. Come se gli avessero letto nel pensiero, sente qualcosa di caldo sulle spalle e una voce bassa ma melodiosa si confonde con il rumore delle onde.
“Non ho steso gli asciugamani a terra per niente, sai?”
Si ritrova seduto fra le gambe di Harry, il suo petto premuto contro la schiena, davanti solo il mare e le luci delle barche. Un paesaggio da cartolina, il cielo senza nuvole e luna, la salsedine nei capelli: si sente vivo. Chiude gli occhi e si lascia andare indietro sicuro, perché lui lo riprenderebbe anche se fosse all’Inferno.
“Louis?”
“Mh.”
“Facciamo uno scambio?”
“È così che si dice ‘scopiamo’ ai giorni d’oggi?”
L’altro ridacchia al suo orecchio, appoggiandogli una mano sul ginocchio, sospirando.
“No, tu mi dici la cosa in cui sei più bravo e io la faccio. Viceversa, tu fai quella in cui sono più bravo io. Ci stai?”
“Harry, ma queste idee da dove ti vengono? Ci pensi su la notte?”
“Ci stai, Lou?”
Tentenna, voltandosi a guardare tutto quel verde che rilassa, culla, intriga.
“Perché no.”


Zayn scende al piano di sotto sistemando la sua giacca college preferita, controlla di avere le sigarette in tasca e bussa piano ad una porta azzurra.
“Liam, sono io, sei pronto?”
“Za’, mi sento male.”
Liam sbianca, appoggiandosi al muro e cercando di rimanere cosciente, gli occhi che si chiudono. È un calo di zuccheri, si dice, mentre inizia a vedere come se tutto fosse una fotografia sovresposta, è un calo di zuccheri, si dice, cercando di rispondere a Zayn, rimasto chiuso fuori.
È un calo di zuccheri, si dice, e sviene.
Quando riapre gli occhi è sul suo letto, la porta del balcone è aperta e sente qualcuno parlare, probabilmente al telefono.
“Si mamma, l’ho fatto. Ho capito, appena si sveglia acqua e zucchero e le sue proteine in polvere, ok. Ti chiamo poi, grazie.”
Zayn spegne la cicca nel posacenere sulla ringhiera e rientra, chiudendosi dietro la porta.
“Liam!”
Vede un sospiro di sollievo lasciare quelle labbra e gli angoli della bocca curvarsi all’insù. La bolla di cui era prigioniero scoppia e non è abituato alla libertà. Il moro gli passa una mano fra i capelli, sedendosi accanto a lui.
“Ciao.” È tutto quello che riesce a dire, troppo preso dai suoi occhi per articolare una frase con un senso compiuto che non sia ‘Ti prego, baciami’.
“Come ti senti? Hai avuto un calo…”
“Di zuccheri, lo so.”
L’altro armeggia con una caraffa d’acqua poggiata sul comodino e gli porge un bicchiere colorato, continuando a guardarlo come se avesse paura di chissà cosa. Il sapore dolciastro dello zucchero si scioglie sulla lingua e beve avido, non vedendo l’ora di rimettersi in forze. Una mano si poggia sulla sua e le dita si intrecciano, perché sono fatte per stare insieme.
“Non farmi prendere mai più un colpo del genere, capito?”
Liam si toglie le coperte di dosso, ha troppo caldo, quelle peggiorano solo la situazione, e lo guarda, stringendo forte quello che, per ora, è l’unico contatto che hanno. Sente che tutto è al suo posto, perché ha finalmente qualcuno che si preoccupa per lui, qualcuno da cui tornare. Zayn e le sue matite spuntate ne valgono la pena. Se ci sono loro, risalire in superficie va bene.
“Promesso. Resti qui con me?”


Si sta concentrando, ma non gli viene in mente niente. Il foglio lo fissa, anonimo, la penna non vuole saperne di scrivere. Louis lo guarda curioso, le ginocchia rannicchiate al petto e i capelli ovunque.
“Cosa dovrei comporre?”
“Quello che vuoi.”
“Può essere in prosa?”
“Certo.”
Torna a guardare il vuoto, in attesa che arrivi l’idea. Basta Harry, scrivi quello che senti, per una volta non pensare.

Vivere una vita baciandoti, perché sei la cosa più vicina all’amore che io abbia mai visto. Andare a letto la sera, spegnere la luce e abbracciarti, perché so che hai paura del buio, ma finché sei con me, andrà tutto bene. Indovinerei a cosa pensi ma sbaglierei solo per farti ridere mentre mi dai dell’idiota. Ti farei da scudo contro il mondo e le sue ingiustizie, sei troppo blu, bello, chiaro per essere umano. Cancellare il tuo passato, parlare a voce bassa, farti capire quanto per me tu sia perfetto. In Giapponese esistono tre modi per dire ‘ti amo’, a me basta guardarti per inventarne almeno altri cento.

Louis sente che potrebbe esplodere da un momento all’altro perché quello che vede nei occhi è sincerità, speranza. È tutta per lui, non ne ha mai avuta così tanta ed esita a prenderla. Harry ripiega il foglietto in quattro, glielo porge arrossendo un pochino e si schiarisce la voce, imbarazzato.
“Hai deciso la canzone?”
“Qual è la tua preferita?”
“Non voglio che tu canti qualcosa che so che mi piace.”
Si perde in quei ricci, in quegli occhi supplicanti, e si scopre cotto, così perso da non essersene neanche accorto. Louis Tomlinson, quasi vent’anni, prima serenata della sua vita: fatta.
“I thought that's how it was, I thought that we were fine. Then the day was night, you were high, you were high when I was doomed and dying for… With no light, with no light. Tied to my bed, I was younger then, I had nothing to spend but time on you, but it made me love, it made me love, it made me love more.”
È sempre assurdamente piacevole vedere quanto una strofa, una poesia, qualcosa, rifletta il nostro stato d’animo. Non ti senti solo, sei meno unico e speciale, non ti importa: vuoi solo sapere che c’è gente disperata quanto te. Louis, cantando della sua paura del buio, di esserci lasciato, incatenato, senza cibo né acqua, lascia che un grosso peso gli scivoli via da sopra il cuore. Harry lo ascolta con le lacrime agli occhi, perché non è giusto soffrire, cercare di nascondersi perché vorrebbero che tu fossi altro.
“A me vai bene così.” Mormora al più grande, cercandone gli occhi e immergendocisi. L’altro sorride e allarga le braccia, facendogli cenno di stringerlo forte, perché si sente volare via. Un bacio è l’ancora di Louis, quello che lo tiene legato a terra, per non farlo tornare di nuovo sull’Isola Che Non C’è. C’è qualcuno che ha bisogno di lui per continuare a tirare avanti, qualcuno che gli accarezza piano i capelli, perché ha paura di fargli male. Harry sente che sta per perdere un polmone dalla gioia ma continua a premere le labbra su quelle del suo Boo: ha un vuoto all’altezza del petto che riesce a colmare solo lui.


C’è una porta socchiusa, se sbirci senza fare rumore vedi due ragazzi abbracciati, aggrovigliati come le coperte in fondo al letto. Sono vestiti e quelli che sembrano sussurri, in realtà, sono i loro respiri. Zayn sta dormendo, il braccio di Liam che lo stringe in vita, la mano sulla sua. I ricci dell’altro gli solleticano il collo, ma non ci fa caso, preso com’è dal sonno. Liam protegge Zayn anche mentre dorme, perché della gente non si fida, lui è il suo tesoro nascosto e non vuole che nessuno lo trovi. I loro passati sono differenti ma complementari. Non sanno se quello che sentono sia amore o qualcosa di più profondo, la cosa non li spaventa, perché se stanno insieme tutto si sistema. È mattina, il sole entra da sotto la tenda bianca della finestra e aprono gli occhi quasi in contemporanea. Liam ha imparato a guardare negli occhi realtà e persone, ma il suo sguardo rimarrà sempre il suo preferito. Zayn, come se avesse captato i suoi pensieri, gli scompiglia i capelli con una mano, scarruffandolo ancora di più.
“Che ore sono?”
“Presto, puoi tornare a dormire se ti va.”
“No, non ho sonno. Sei rimasto qui alla fine?”
“Te lo avevo promesso.”
Liam si allunga, gli prende la testa fra le mani e lo riempie di pepper kisses su tutta la faccia, facendolo ridere.
“Buongiorno anche a te, Lì.”
Quando lo bacia, sente che la sua vita è ricominciata: ripartono da zero nel migliore dei modi.


***


Niall ha comprato il negozio di CD dove lavorava da ragazzo e insegna chitarra tre pomeriggi a settimana, quando non è in tour. Il suo amico Ed è diventato famoso in tutto il mondo, sta presentando il suo album di esordio, Plus. È stato nominato ai Brit Awards come Best New Artist e, per festeggiare i traguardi degli ultimi tre anni, si sono presi una sbronza memorabile –infatti non ricordano niente di cosa hanno fatto quella sera. Sul palco si spalleggiano e dividono la scaletta come i pacchi di biscotti dietro le quinte ma appena hanno un minuto di respiro suonano il campanello di un appartamento fin troppo conosciuto e Harry apre, sorridente.
Fa il fotografo, è stato assunto alla National Geographic dopo un servizio sulle culture orientali così bello da essere stato esposto alla National Gallery, a New York. Canta per hobby e si diverte a incidere i cori per i pezzi di Ed, ma solo se le canzoni piacciono particolarmente a Louis, suo marito.
Fa lo scrittore, ha tre romanzi nelle prime dieci posizione della Classifica del New York Times e del The Sun, uno in corso su Word, troppe poesie sul comodino e ha smesso di dormire con la luce accesa perché Harry adesso è il suo faro. Le copertine dei suoi best sellers sono tutte disegnate da un certo Zayn Malik, professore di Arte a Manchester , fumettista e suo migliore amico. Una volta al mese si ritrovano per passare un week-end insieme, ricordando i vecchi tempi. Zayn ha chiesto a Liam di sposarlo, facendolo scoppiare in lacrime al tavolo del ristorante dove lo aveva portato fuori a cena.
Liam è diventato regista, l’altro giorno è arrivata l’autorizzazione di Hollywood per produrre il suo primo film. Ha già iniziato a mettere su il cast, non c’è tempo da perdere, è ansioso di sfilare sul red carpet.

Sei uomini che hanno avuto il coraggio di buttarsi, che hanno faticato per realizzare i propri sogni, che ogni estate girano il mappamondo, puntano il dito e scelgono il posto dove passare tre mesi insieme, come la prima vacanza a Brighton tanti anni prima. Noi, che li abbiamo seguiti in un angolino per tutto questo tempo, possiamo definirli un miracolo fra parentesi, perché le favole esistono davvero.


***

 

Con un ritardo veramente immenso, dedico questo scritto a due persone speciali, che chiamerò Anonimi.
Con la speranza di vederci un giorno e chiarire questo casino che sono le nostre vite, con la speranza che non sia solo masturbazione mentale, con la speranza di essere capita davvero.

A Winnie, che deve smetterla di farsi buttare giù dagli altri, perché è un ragazzo meraviglioso che merita solo il meglio.

 

  
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