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Autore: Friedrike    19/06/2013    3 recensioni
Ludwig Beilschmidt e Felicia Vargas (rispettivamente Germania e Fem!Italia del Nord), in un contesto AU, quello della Seconda Guerra Mondiale. Non più Nazioni, bensì un uomo ed una donna che s'innamorano l'uno dell'altra. Si conoscono ad un ballo in Italia ed è subito amore. Ma la guerra li separa e quando il soldato della Wehramcht ritornerà dal fronte niente sarà più come prima.
Genere: Angst, Fluff, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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Diario di un pilota. 
 
Caro diario,
credi sia una cosa da femminucce scriverti? Pazienza.
I raggi del sole riflettono ancora felici sul mio Junkers Ju 88. Non è forse fantastico? Abbiamo volato insieme ancora oggi, e ieri, e il giorno prima, e quello prima ancora. Voliamo sempre insieme. Credo quell'aereo sia la mia anima gemella.
...Continuio a chiedermi perché lo considero così importante.
Forse dovrei farmi una famiglia vera, sai, come Ludwig. Quel bambino, mio nipote, è bellissimo. Ha degli occhi verdi stupendi e pare molto sveglio. Chissà...
Ma siamo realisti; chi vorrebbe mai un fidanzato malato? Si vede, ahimè!, si vede.
Ho gli occhi del demonio, la pelle troppo, troppo chiara ed i capelli quasi bianchi. 
Però non è colpa mia. Io non posso farci nulla, ti pare? Eh! Lo so che significa.
Significa che non sono un ariano puro e anche se servo il Reich con tutte le mie forze, anche se sono un magnifico pilota, finirò presto insieme agli ebrei.
E già mi vedo a piangere insieme a loro. Non avrò un aereo lì. 
Provo una fitta al cuore mentre, caro diario, te lo confesso. Sarò da solo e nessuno potrà farci nulla. Forse faranno degli esperimenti su di me. Non ho mica ben capito dove vadano quegl'ebrei, io. Si dice in campi accoglienti, e chi lo sa. 
...Diario, posso dirlo solo a te.
Ho una fottuta paura. Non voglio morire insieme a loro. Non me lo merito! Morirei per il Reich, ma non per la sua forte mano traditrice! Io sono un eroe! .. un eroe!
 
Mein Gott, sto impazzendo.
Ma cosa mi prende?..
 
Gilbert, il Magnifico. 
 
 
 
 
Disperazione. Tristezza, angoscia. 
Perché nessuno fa niente? 
Sono tutti quanti -tutti!- nel salone della villa de' Vargas. 
Felicia ha in braccio il suo bambino, che in preda alle colichette di stomaco, non fa altro che piangere. E fa così caldo, accidenti...
E' già arrivato luglio. Quello è il primo giorno del mese ed il caldo s'è impadronito di quella casa racchiudendola come in una bolla per non far scappare un sol filo d'aria.
-Mathias, ti prego, non piangere- lo supplica la madre. 
Lo stringe a sé, ha gli occhi rossi per il pianto. -Shh, va tutto bene... shh!- gli dice in tono più dolce possibile, cercando più che altro di rassicurare sé stessa.
Ma il bambino è troppo nervoso e sta ancora singhiozzando.
-Fallo stare zitto! Non lo voglio sentire! Zitto, zitto!- sbotta Simonetta.
E' seduta sul terz'ultimo gradino delle scale, il volto affondato tra le mani. Il suo corpo è anch'esso scosso dai singhiozzi e gli occhi sono gonfi. 
Non riesce a non figurarsi davanti lo sguardo di Romano, a non ricordare le sue labbra sul proprio corpo, le sue mani, il suo odore, la sua voce. 
Lo vorrebbbe lì, accanto a lei, lui sapeva sempre come calmarla, lo faceva con le buone o con le cattive, ma ci riusciva sempre. Ed ora... 
-Se tu la smettessi di urlare, lui la smetterebbe di piangere!- le risponde protettiva l'altra ragazza. 
-Ora è colpa ma se tuo figlio strilla tutto il giorno! Certo!-
Il comunista si sente d'intervenire, agitato pure lui, sbattendo la mano contro la parete. -Cazzo, state zitte tutt'e due! Siamo tutti nervosi e angosciati per Romano, ma fare così non migliorerà le cose- sospira pesantemente. -Mi sta scoppiando la testa, porca puttana.- 
Le due giovani donne si zittiscono. 
Ettore si concede una parola: -Ragazzi, è meglio se voi andate via. Non è sicuro stare insieme, non adesso. Potrebbero sospettare altro.  Bisogna far calmare le acque.- 
Felicia si alza in piedi passeggiando ansiosamente per il salone, il bambino cullato da quel ritmo regolare si calma un poco. 
Di spalle, davanti a una finestra, decide di aprirla, magari passa un po' d'aria fresca; ma no: il vento è fermo. 
-Lo lascerete morire..?- domanda in poco più di un sussurro.
Scende un silenzio inverosimile, pesante. 
Hanno tutti i partigiani in mente un pensiero diverso. 
La maggior parte di loro pensa a ciò che è più giusto fare.
Vale la pensa rischiare la vita di tutti per un solo uomo? Sì.
Aldo, il rosso, fa un passo in avanti. 
-E' un mio compagno, dannazione, io non l'abbandono!- esclama.
Il quarantenne gli risponde: -Calma lo spirito, ragazzo. Non occorre farsi ammazzare. Dobbiamo pensare con coscienza che fare.- 
-Non capisci! Io non posso stare qui a pensare mentre Roma è in mezzo a quella merda fascista!- 
Tutti volgono la loro attenzione su di lui, con occhiate poco rassicuranti. -Shh!- dicono in coro.  
Lui si zittisce, ancora scosso. 
Simonetta si alza da lì ed infila il suo giacchetto con gesto svelto ma impacciato.
-Lo stanno torturando, di certo. Lo stanno torturando. Chissà che gli stanno facendo, mio Dio!- 
Si avvicina svelta alla porta ed appoggia la mano sulla maniglia di essa.
Ha fretta di uscire, di andare da lui, vuole salvarlo. Non ha mai tenuto così tanto ad una persona, mai quanto tiene adesso al ragazzo. 
Lui è così bello, e così intelligente, uno dei pochi istruiti tra loro. E ha quei modi di fare, che la fanno impazzire. Darebbe la sua vita per toccarlo ancora una volta.  
Giuseppe, però, distrugge tutti i suoi sogni e le si para davanti; non la lascerà andare incontro a morte certa. Sebbene abbia solo diciassette anni, è abbastanza maturo da capire che devono organizzare meticolosamente tutte le loro prossime mosse. Devono farlo insieme e nessuno ha intenzione di lasciare quella casa, a meno che i padroni di essa non li buttino fuori.
 -Sì, Simo- conferma lui. -Lo stanno torturando. O forse è già morto. Ma tu da qua non esci.- 
La ragazza, in preda ad una crisi isterica, gli molla un ceffone, finendo poi a piangere al suo petto.
Felicia, anche lei in lacrime, si copre il viso con una mano.
"Ludwig... dove sei? Quando torni? Abbiamo bisogno di te..." 
 


 
Ludwig in questi ultimi giorni non ha fatto altro che pensare a lei.
Gli altri soldati lo hanno preso un po' in giro, ridendo, perché ogniqualvolta chiedessero qualcosa lui rispondeva "Come? Eh?" con la testa tra le nuvole.
Non ha mai dato molte spiegazioni.
Ad ogni modo, le lettere di lei gli mancano moltissimo. 
Così, seduto in uno di quei bar francesi oramai colonizzati dai soldati con la divisa verde militare della Wehrmacht, recuperata carta e penna, si mette a scrivere, il boccale di birra accanto al foglio, vicino uno degli angoli superiori.
 
"Amore mio, 
E' così tanto che non ho tue notizie, e credo di impazzire senza sapere che cosa sta facendo mio figlio. Come sta? Cresce? E' in forze? Vorrei sapere ogni cosa. Vorrei che tu mi raccontassi proprio tutto. Non sono molto pratico di queste cose, ma credo sia nell'età delle coliche di stomaco. Beh, non è l'unico. Il cibo dell'esercito non è mai un granché, ma almeno abbiamo qualcosa di caldo ogni giorno.
Ultimamente, a dire la verità, ci siamo fermati in Francia -non ti spiegherò ivi le delicate trattative che hanno condotto a questa sorta di accordo, di relativa pace- e dunque possiamo definirci in una situazione di "stallo." Alcuni miei Kameraden vanno al cinema stasera, credo andrò con loro. Questo è per farti capire che sto bene e che non rischio la vita. E' tutto sotto controllo. Vorrei dirti molte cose, ma la maggior parte di essere vanno dette di presenza, magari mentre ti stringo tra le braccia o ti bacio.
Mi mancano le tue labbra. 
Mi manca tutto di te. I tuoi occhi nocciola... 
Ma sono fiducioso e presto saremo di nuovo insieme. 
Ti amo tanto, lo sai?
Aspettavo le tue lettere, ma non ne è arrivata nessuna. O forse non ne hai spedite. Non importa; ti sto scrivendo io. 
Ti amo, amore mio, e amo il mio bambino.
Mi mancate tantissimo.... 
 
Tuo, 
Ludwig."
 
Ripiegata la lettera in quattro parti, la nasconde nella divisa e torna dai suoi compagni, per bere in compagnia. 
 

 
 
E' inutile fingere.
Lui sa.
Sa quello che rischia -anzi, sa che di qui ad un paio d'ore al massimo non sarà più su questa terra- e per un momento si pente di tutto.
Avrebbe solo voluto un altro mondo, più pulito, più puro. Ha sempre detto che "deve esserci qualcos'altro, sono stanco di vivere in catene." Aveva perso ogni voglia d'alzarsi la mattina, aveva perso tutto, ma i giorni da partigiano gli avevano ridato la vita. 
Ogni giorno, fiero di sé come mai, metteva in atto nuove strategie. Ogni giorno, pieno d'orgoglio, camminava per le sue strade, sognando il giorno più vicino possibile in cui queste potessero essere di nuovo libere per tutti. 
Sognava un altro pianeta, senza fascisti -e sognare che male fa? 
Aveva voluto illudersi che ci sarebbe riuscito.
Adesso, però, ha perso ogni speranza. 
L'unica cosa che lo ferma dal piangere, è la dignità che gli rimane, l'unica cosa che gli resta.
Ha visto così tante volte i suoi compagni -perché questo erano, sebbene non li conoscesse- impiccati. E le corde s'appoggiavano ovunque, per sorreggere quei corpi privi di vita. Alle volte ai lampioni delle strade, ai forti rami di un albero, alle altalene dei bambini, ai balconi di certi palazzi. Romano quando camminava tra di essi notava con stupore il viso di alcuni suoi conoscenti. Del figlio del panettiere, ad esempio. Ed ogni volta si diceva: "se avessi saputo chi era! Ah, sarei stato di certo più gentile con lui." 
Ma i partigiani hanno i loro segreti e nessuno ha da ridire su questo. Ogni partigiano sa che non deve fare domande; e perciò non chiede.
Il ragazzo non rimaneva molto a guardare quei corpi, il più delle volte volgeva lo sguardo da un'altra parte. Ha sempre avuto paura di finire in quel modo, e più li osservava, più la paura prendeva il sopravvento. L'ha nascosta nel suo cuore, e quel timore adesso è arrivato attraverso le vene, insieme al sangue, in tutte le parti del suo corpo, anche le più nascoste. 
Tremerebbe di paura, se ne avesse il coraggio. 
Ripensa a moltissime cose adesso ma nessuna di queste gli sembra importante.
Si chiede ancora come abbino fatto a scoprirlo, ma non deve attendere poi così tanto per saperlo.
Qualche momento dopo, infatti, due camicie nere, lo trascinano a forza in un luogo se possibile ancora più angusto della cella nella quale sta attualmente, col cattivo odore di chiuso che ha una stanza quando le finestre non vengono aperte da giorni ed i mobili spolverati -v'è polvere ovunque.
Ha i polsi legati e due fucili puntati alla nuca. 
Non dirà niente. 
I compagni non si tradiscono -e non si abbandonano. Ma lui non pretende gli altri verranno a salvarlo, oramai si da per morto. Immagina già le discussioni che stanno avendo ed esse nella sua mente sono molto simili alla realtà. 
E' solo un altro di quei corpi che cammina ancora un po', esanime, per poi accasciarsi in un angolo per abbandonare, poco dopo, squallidamente quel mondo. Avrebbe solo voluto... vivere un altro po'. E' soltanto un ragazzo, dopotutto. 
Ironicamente, una terza guardia, gli sussurra: -Vuoi che ti legga le tue accuse, bandito?-
Adesso il gioco sta a lui. Dichiararsi tale, dichiararsi partigiano, o continuare con la sua scenetta? Rassegnato al suo destino, a testa alta, si confessa. -Nossignore.-
E lo fa con un mezzo ghigno, il quale, i soldati vorrebbero subito cacciar via. 
Eppure non ci riusciranno così presto. 
Ma, nel tentativo, iniziano a picchiarlo. 
Gli colpiscono ripetutamente il viso, lo stomaco e la schiena; calci, pugni, colpi di fucile.
Lui non fa una piega, ma sputa per terra il sangue che s'accumula svelto sulla sua bocca. Ricoperto di quel liquido caldo e rosso, continua a sostenere il loro sguardo, ma non ascolta le loro parole.
"Papà... ti ricordi? Mi hai sempre detto di essere forte. Sempre detto di inseguire i miei sogni, le mie passioni, i miei ideali. E a cosa mi hanno portato? A questo? Avrei preferito arrivarci dopo. Avrei voluto il mio sacrificio servisse a qualcosa; vedere dove porterà. Per cosa sto morendo? Per chi? Qualcuno capirà mai a cos'è servito questo genocidio di compagni? Se ne ricorderanno mai? Sì, lo so quello che pensi; e mi manchi. I miei ricordi di te sono oramai sfocati dal tempo; ma non temere. Presto saremo di nuovo insieme."
La guardia più matura, più alta di grado, afferrato il proprio fucile, colpisce nuovamente sul viso il ragazzo, con tutta l'energia che ha in colpo.
-Mi stai ascoltando, bastardo?! Voglio sapere chi sono gli altri!- gli sta urlando contro.
Roma inizia a tossire, e tossisce sangue fresco. La vista è appannata. Non s'accorge nemmeno di essere ricoperto di sangue. 
-Sappiamo tutti, dei certificati. Un uccellino ha cantato- mormora ancora quella, mentre un ghigno gli deforma il volto già brutto.
Il certificato a cui si riferisce non è altro che la giustificazione che ha Romano, come molti altri, per non andare a servire il paese, perché "malato." L'aveva firmato l'amico, quello medico dei partigiani, che, troppo codardo per andare con loro, s'era comunque schierato da quella parte.
Ma poi li ha traditi, minacciato dai fascisti, i quali, l'hanno ammazzato con una pallottola sulla fronte una volta ottenute tutte le informazioni. 
Che strano gioco del destino...
Bestemmiando, il ragazzo digrigna i denti come meglio può, cercando di trattenere il dolore.  
Adesso i pensieri del ragazzo sono diretti ad un'altra persona.
"Sorellina... forse non te l'ho detto abbastanza, quanto tu sia importante per me. Forse avrei dovuto spiegarti più spesso che ti voglio bene, ma io non ti sarò sempre vicino, e questo lo sapevi già. Vorrei dirti a voce queste parole, ma non c'è più tempo. Avrei voluto vedere mio nipote crescere e difenderti per sempre. Chissà se quel crucco saprà farlo..."
Ha il respiro affannato.
Non ascolta le loro domande, non vale la pena, perché non vi darà una risposta. 
Non sa che farsene dei loro toni alti, intimidatori, delle loro belle uniformi, dei loro fucili -che, in altro momento, avrebbe provato a rubare.
Non sa che farsene della loro prepotenza e dei loro modi rozzi. 
"Simonetta, mia bella. 
Ci siamo capiti troppo tardi. Io mi voltavo per guardarti quando tu già te n'eri andata. Ogni volta che facevamo l'amore ti sfioravo e ti vedevo solo mia. Non è mai stato solo sesso. E lo sapevamo entrambi. Quell'unico bacio da innamorato che ci siamo dati, lo porterò con me. Ma tu, ora, sii felice anche senza di me. Te lo meriti, amore mio." 
E' davvero questa la fine? 
Non si regge più in piedi. 
E' rannicchiato contro il muro, non sa neppure come ci sia finito, eppure non se lo chiede. 
Non ci vede più. Non sa più formulare un pensiero concreto. 
Una delle guardie si china su di lui, con un'espressione beffarda. -Allora, bandito, un'ultima parola?- 
Con le poche forze che gli rimangono, il ragazzo accenna un sorriso. 
La vita sta scorrendo fuori dalle sue vene. Non vedrà un'altra alba. Il suo corpo non verrà appeso da nessuna parte, forse, ma verrà gettato in una fossa comune. 
"Forse c'è davvero un altro mondo... chi lo sa. Mamma, papà, sto arrivando." 
Chiude agli occhi. Sussurra solo tre parole.
-Morte al fascio.-
Poi, più nulla.
  
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