Quei tuoi fili rossi
Titutitù. Titutitù. Titutit…
E basta! Spengo
stancamente la sveglia (alludo a quella specie di ordigno
bellico che ha suonato fino a pochi secondi fa) e infilo la testa sotto al
cuscino. Mh… sì… decisamente
meglio.
Siamo a New
York, sono le ore 7.15 e avete appena assistito al risveglio di uno dei ragazzi
più belli degli Stati Uniti (..UNO dei
più belli? Il mattino è deleterio per la mia autostima!).
Ok,
è ora che mi alzi, che mi lavi e che scelga cosa mettere oggi.
In
realtà dovrei uscire di casa alle 9.00, ma una
buona quarantina di minuti vanno solo per adempire correttamente a
quest’ultimo punto. Oh, stupido, superficiale e vanesio ragazzino!
Mmmmh… già, avete ragione, credo che il termine tecnico sia
proprio quello!
Vediamo di
chiarire meglio questo assioma con qualche elemento in
più.
Mi
presento. Mi chiamo Nicky Haydensen, ho vent’anni e faccio il modello.
Me la tiro,
so di farlo, ma non posso farne a meno.
E
soprattutto odio i falsi modesti. “Oh, sì, bè, Versace mi
ha scelto per la sua nuova collezione, ma è stata solo
fortuna! Bello, io?? Ma va!
Sono solo un ragazzo semplice!”
Bleah.
Vi giuro, a costo di apparirvi antipatico e presuntuoso, preferisco
la trasparenza.
Sono alto
un metro e ottantatre e sono molto magro, ma non
scheletrico.
Ho un
occhio verde e uno azzurro e i capelli rossi.
Sì,
lo so che mancano il viola e il giallo e poi coi
colori dell’arcobaleno abbiamo completato, ma vi assicuro che non sono
niente male! Anzi, diciamocela tutta: sono bello. Sono molto bello, non lo
nascondo, non faccio il modesto né tanto meno rinuncio a servirmi delle
mie notevoli qualità fisiche per farmi strada
nel mondo.
A dirvela
tutta, non vedo perché avrei dovuto restarmene
in quel buco di paesino nel Kentucky dove sono nato, a spalare sterco con mio
padre e mungere vacche con mia madre quando da un’audizione per una linea
di intimo sono arrivato a vivere in un bilocale nel centro di New York,
lavorando a pieno ritmo per stilisti e marchi quali Cavalli, Lacoste, Dior,
Gucci e chi più ne ha ne metta.
In
compagnia di modelli degni di me, si intende…
anche i passatempo non mancano, insomma.
Per esempio
l’ultimo, Jason! …Jake… John…? Mh… vabè,
quello là con
Se dentro quei Just Cavalli aderenti era uno spettacolo, senza era
ancora meglio!
Sì,
ok, mi ci sono volute due ore al make-up per cancellare ogni traccia della
nottata (Mr J. aveva una ventosa, al posto della bocca!) ma
ne è valsa la pena!
In tutto
questo monologo ho fatto in tempo a farmi una doccia e
darmi una sistemata, e adesso sono qui, davanti al mio enorme armadio stracolmo
di qualunque ben di Dio (aah… Armani… ciao…hai visto che hai
un’anta tutta per te?) a tentare di decidere cosa mettermi.
In
realtà la scelta non dovrebbe essere particolarmente ardua: tanto per
cominciare, nel mio guardaroba c’è SOLO roba di classe.. roba bella… opere divine, oserei dire.
In secondo
luogo, in ogni caso, qualunque cosa mi metta mi sta
alla perfezione, quindi perché farsene un cruccio?
E infine,
tra un’ora devo essere sul set fotografico per un servizio per la nuova linea
di Harrods. Perciò, qualunque cosa decida di
indossare, arrivato lì me lo faranno togliere, e tutti gli sforzi di
questa mattina saranno stati vani. Contando che vado e torno in macchina,
quindi comunque non abbaglierei nessuno con la mia
bellezza sui mezzi, o per strada!
D’accordo,
ora basta, è veramente tardi.
Jeans di
D&G, camicia nera con gilet in tinta di Armani.
Clarks
nere.
Uno
schianto.
È
primavera inoltrata, posso uscire così, fa caldo.
Scendo in
garage e salgo sulla macchina. Set, arrivo.
Non faccio
in tempo ad arrivare agli studios che vengo
immediatamente circondato da costumisti, make-up artist, parrucchieri e chi
più ne ha ne metta.
-Tesoro sei
in ritardo.- Julia. La truccatrice. È simpatica, anche se a volte
è troppo nevrotica.
- Non
è vero!-
-Sì che lo è. Sono le 9.40. Dovevi essere qui alle 9.30.-
- Oh buon
Dio, stai scherzando?? Non verrò
licenziato per tanta impudenza, vero?-
-Idiota.-
-Zitella.-
-Parla
lui.-
Intanto il
nostro teatrale botta-riposta viene passivamente
seguito da Tony, il parrucchiere, che durante questo battibecco mi ha fatto
sedere su una seggiolina da regista cominciando a sistemarmi i capelli,
spostandomeli da tutte le parti.
Quando
è di fretta ha la delicatezza di un pellerossa alle prese con uno
scalpo.
-Avete
finito di fare le megere?- chiede facendomi la riga di
lato con un colpo di spazzola, mentre una sempre più isterica Julia mi
spalma una quantità industriale di cerone antiriflettente per le luci
del set fotografico. In questi momenti mi sento molto Gisele Bundchen nello spot di D&G.
-A che punto siamo?- grida George, il tecnico delle luci, ancora
sull’uscio della porta del camerino. – Il fotografo e la troupe saranno qui tra
poco!-
-
Gesù, George, rilassati!- lo rassicuro, guardando la mia immagine
riflessa nello specchio. Istintivamente assumo un’aria
provocatoriamente sexy. Colpa del trucco e dei capelli.
O forse
della mia irresistibile e androgina bellezza.
O forse
semplicemente del mio inguaribile narcisismo.
- Ma sì! “George rilassati!”- esclama lui
esasperato, gesticolando nervosamente con una cinquantina di fogli per mano
(chissà cosa sono, poi, quei fogli che ha sempre appresso!) –Voi
ve ne state lì, a farvi truccare, vestire, pettinare, massaggiare eccetera eccetera e avete il coraggio di fare la faccina
sarcastica e di dirmi di stare calmo!!-
-George?-
-Sì??-
-Potresti
smettere di parlare in seconda persona plurale?- gli chiedo, ironico
–C’è sempre questo VOI che aleggia
nei tuoi isterici monologhi… dopo un po’ è fastidioso. Ci
sono IO,qui.-
Mi guarda
basito, come se avessi bestemmiato. Rilassati, tesoro! E io
che mi prendo pure amorevolmente cura della tua sintassi.
Cazzo,
Tony, vorrei tenermeli attaccati alla testa, i
capelli!
Scusate.
Sono uscito dal filo del discorso. Ma stavolta ha
tirato veramente troppo.
Comunque!
Eravamo
rimasti a George che mi guarda con un’aria a metà tra
l’assassina e la sconvolta.
Inutile che
stia qui a lambiccarmi cercando di capire quali elucubrazioni gli passassero per la testa, tanto se n’è appena
andato.
Dieci
minuti e sono pronto.
Questa
camicia è davvero divina. E questi pantaloni mi fasciano il culo in maniera stratosferica!
-Muoversi,
sono arrivati!- urla isterica (sì, sono tutti
isterici qui) Allison, la padrona della baracca, entrando in camerino e
spingendomi poco gentilmente verso il set fotografico.
Attraverso il corridoio, una porta col maniglione antipanico, un altro
corridoietto, altre due porte e finalmente eccoci sul set. Cavoli, stavolta l’hanno
allestito veramente bene!
Luci,
drappi e una sedia sdraio bianca al centro.
Ok. Fine
del mio Gisele-moment.
Ora mi
sento Mathias Lauridsen in Gucci Pour Homme.
Mi guardo
intorno. Tecnici, truccatori, gente che non conosco… modelli.. altra gente che non conosco…
- Will! Sei in splendida forma! Quant’è che non ti si vedeva in giro?-
-Lo so,
Allison, scusami, è che sono molto impegnato, a Los Angeles!-
La mia attenzione viene
improvvisamente attirata dal dialogo tra Allison è uno degli elementi
dell’insieme “gente che non conosco”.
E credo
di averlo identificato.
O. porca.
Merda.
Aiuto.
Help. SOS. Che cazzo ci fa qui?? Nonononono!!
Allison
continua a ridere come un’oca sistemandosi ossessivamente i capelli
(quanto mi innervosisce quando fa così!),
finché non mi vede, e mi fa cenno di raggiungerli.
-Nicky,
caro, voglio presentarti William Sonders, il nostro fotografo. Will, lui
è Nicky, e in questi tre giorni sarà il tuo modello.- cinguetta giuliva.
Vecchia
sgualdrina. Non eri in preda ad una crisi di nervi fino a cinque minuti fa?
-Molto
piacere.- dice lui sorridendo e stringendomi la mano.
Ah, mi
sorridi, anche? Brutto bastardo figlio di buona donna!!
-Piacere
mio.- rispondo, ricambiando la stretta. Lo fisso negli occhi.
Magari se mi impegno lo incenerisco con lo sguardo.
Dai,
Nicky… sforzati!
No, non
scoppia. Cazzo.
Lui
ricambia l’occhiata. Mi guarda, mi fissa, mi studia. O forse mi sfida?..
- Bene!-
esclama l’oca –Ora che abbiamo fatto le presentazioni possiamo
iniziare a lavorare!-
- Certo! Al
lavoro!- risponde Will con un sorriso.
Ridi, ridi.
Come minimo
ti faccio passare tre giorni d’inferno, stronzo.