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Autore: Chemical Lady    20/06/2013    5 recensioni
Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera mancante di questo gioco pericoloso.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di un orco ma che, dietro ad una maschera di marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un nuovo tassello alla famiglia De Medici.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo ottavo.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 


 

 


 
 
 
 
 
Parte VIII: Il Dono, parte I.
 
 
La prima cosa che Beatrice avvertì fu un eco strano proveniente  da chissà dove, seguito da una brezza leggera ma fredda, che le accarezzò il viso ridestandola dal mondo dei sogni. Aprendo gli occhi non incontrò la solita presenza del baldacchino e del soffitto, bensì un tetto di rami nodosi e foglie. Non giaceva su un soffice materasso di piume, ma sul manto erboso di un bosco.
Sbatté le palpebre un paio di volte, permettendo alla vista di adattarsi a quella luce che, seppur soffusa, le arrecò fastidio. Poi, conscia di non sapere dove si trovasse, scattò seduta, guardandosi attorno.
Senza ombra di dubbio, era in mezzo ad un bosco con alti alberi che impedivano ai raggi del sole di filtrare per bene, rendendo vana anche la comprensione di che parte del giorno si trattasse.
Istintivamente la giovane si alzò, abbassando gli occhi sul suo corpo e meravigliandosi per ciò che vide; al posto della candida vestaglia che aveva indossato la sera precedente aveva una lucente maglia di anelli metallici, tipica dei cavalieri pronti a scendere in battaglia. Non solo. Alzò le mani sul capo, sentendolo pesante e le dita incontrarono la fredda consistenza di un elmo. Lungo il suo fianco pendeva la spada di suo nonno Cosimo. Fece per prenderla, come per verificare che fosse davvero lei, ma un male improvviso al braccio la fece desistere. Laddove terminava la tunica metallica vi era una ferita sanguinante, che le occupava quasi tutto l’avambraccio. era un disegno strano, formato da due linee curve poste una innanzi all’altra che però non si toccavano. Strinse l’arto ferito, cercando di interpretare quello strano simbolo, ma perdeva troppo sangue. Strappò un laccetto dalla camicia sotto alla maglia e legò stretto l’avambraccio, prima di stringerlo al petto. Poi iniziò a pensare al da farsi.
Non sapeva cosa fare, o dove dirigersi. Non aveva nemmeno idea di come fosse finita lì, ma qualcosa nella sua testa le suggerì di incamminarsi per un sentierino al limitare della via. Una sorta di sesto senso.
Aveva percorso pochi metri quando la strada svoltò e gli alberi iniziarono a diventare sempre più radi. Anche se non ancora vicina, si intravedeva la cinta muraria di una città. Era poco più bassa di quella di Firenze, ma di un colore diverso, più grigia e spenta. Era così concentrata nel tentativo di orientarsi che quasi non si accorse della figura che con lei divideva una piccola radura, posta all’imbocco di due vie. Sussultò quando si accorse di non essere sola, ma poi riconobbe immediatamente la persona che aveva a pochi metri.
“Giuliano!”
Anche se di spalle rispetto a lei, non avrebbe mai potuto non riconoscerlo. Fece per raggiungerlo, ma un fitto nido di rovi che le arrivavano fin quasi alla cintola le impedirono di passare. Chiamò il fratello altre due, tre, dieci volte, ma lui non si voltò mai mentre la giovane cercava un’altra via che semplicemente non esisteva.
“Giuliano, ti prego!” le lacrime iniziarono a scorrerle sul viso “Dove siamo?! Perché non  ti volti a guardarmi?!”
Per risposta, il fratello alzò una mano, quella libera visto che l’altra brandiva la spada, indicandole il sentiero sulla destra. C’era un albero accanto a lui, su cui era stata incisa una strana lettera, di un alfabeto a lei sconosciuto.
Si morse il labbro “Cosa stai cercando di dirmi!? Ti prego, parla!”
Non ottenne risposta nemmeno in questo caso, così semplicemente si rassegnò. Decise di fidarsi del fratello, imboccando il sentiero che lui aveva scelto per lei. Dopo pochi passi fece per voltarsi, ma la radura era svanita e di essa non rimaneva traccia.
“Cosa diavolo sta succedendo?” chiese ad alta voce a sé stessa, portando la mano alla fronte e prendendo un attimo di respiro, prima di ripartire nuovamente. Arrivò alle mura, decidendo di aggirarle sempre tenendo il lato destro. Fu allora che incontrò qualcun altro. Vicino all’ampio fossato se ne stava Lorenzo, con gli occhi rivolti verso una figura che rantolava, stesa sul terreno erboso.
“Lorenzo!” Beatrice corse da lui, appoggiandogli le mani sul petto e cercando il suo sguardo. Ma lui si comportò come se non la vedesse, mantenendo gli occhi sulla figura a terra “Fratello mio, vi prego ascoltatemi! Giuliano è perso nel bosco! Dobbiamo trovarlo!” quando ancora non ottenne la sua attenzione decise di scoprire cosa rendesse così cieco il Magnifico. Quando riconobbe l’uomo che giaceva morente, impregnando l’erba di sangue scuro, per poco ebbe un collasso “Becchi!” si lasciò cadere accanto a lui, portando le mani sulle sue spalle e sollevandolo. “Vi prego Becchi, guardatemi! Parlatemi e dite chi vi ha ridotto così!”
Per la prima volta da quando si era destata, qualcuno parve notarla. L’anziano mentore la guardò negli occhi, boccheggiando parole che non arrivarono all’udito di Beatrice. Si chinò su di lui, trattenendo i singhiozzi nel vedere così l’uomo che l’aveva allevata rendendosi più presente di quanto fosse mai stato suo padre. Appoggiò l’orecchio sulla bocca di Becchi e finalmente sentì cosa stava sussurrando.
“Guardati le spalle, le spalle Beatrice… Le spalle.”
“Guardarmi le spalle?” domandò lei, scuotendo piano il capo. Stava morendo, vedeva la vita scivolare via degli occhi chiari dell’uomo “No! Non lasciatemi Becchi! Ditemi chi vi ha ridotto così! Ditemi da chi dovrei guardarmi!”
Il mentore borbottò un paio di parole incomprensibili prima di spirare, tenendo gli occhi ormai privi di ogni luce in quelli della giovane che si lasciò andare allo sconforto. Tirò maggiormente a sé Becchi, piangendo lacrime amare, e allora notò qualcosa sulla schiena dell’uomo. C’era un pugnale intarsiato in oro, conficcato su di essa e un’altra lettera, incisa nella carne. Una linea sottile e uncinata, poco lontano dal punto in cui il fendente letale si era accanito.
“Vi vendicherò, è una promessa.” Sussurrò, estraendo il pugnale e appoggiando delicatamente Becchi sull’erba. “Lorenzo!” si voltò di scatto, ma del fratello nemmeno l’ombra. “Lorenzo! Dannazione!” ringhiò distrutta ed irata, scorgendolo con la coda dell’occhio mentre camminava nella direzione opposta a quella che aveva condotto lì Beatrice. Si alzò e lo rincorse, ben intenzionata a non perderlo di vista.
Tutti i suoi sforzi furono però vani. Una volta raggiunto l’angolo delle mura, Lorenzo era svanito. Si ritrovò però ad un levatoio abbassato, che conduceva all’interno di quel Castello mai visto prima. Su di esso, esattamente posti sotto all’enorme ingresso in pietra, c’erano altre due persone che Beatrice riconobbe quasi immediatamente.
La prima era un ragazzo molto giovane, suo coetaneo quasi, che aveva le mani sporte verso di lei come se le stesse porgendo un aiuto. Aveva gli occhi bendati, ma i capelli color paglierino e i tratti del viso famigliari alla giovane gli permisero di venir riconosciuto “Botticelli…” Sussurrò Beatrice, prendendogli le mani e stringendole. Lo sentì stringere di rimando e la cosa la confortò. Sui dorsi di entrambi le mani, Sandro aveva scarabocchiata a carboncino l’ennesima lettera sconosciuta: la studiò per un istante e le ricordò una M, chiusa in alto. Si chiese cosa volessero dire tutti quei segni, cosa stessero cercando di dirle quelle persone che a stento le parlavano e se lo facevano non erano chiare. Sandro sembrava volesse dire qualcosa, socchiudeva le labbra, le inumidiva e provava, ma da esse non uscì mai nemmeno un suono.
Non era solo, però.
Accanto a lui, fermo immobile come una statua, c’era Leonardo da Vinci.
Con una mano reggeva le briglie di un cavallo scuro, quasi nero, mente con l’altra mano teneva davanti al viso uno strano aggeggio dorato, di forma cilindrica, che Beatrice ricordava di aver visto da qualche parte, ma non dove.
Con titubanza, lasciò le mani di Botticelli che per un istante arrancò alla sua ricerca e si rivolse all’altro artista “Leonardo, mi riconoscete? Sono Beatrice de Medici…” si interruppe, notando che questi aveva corrugato maggiormente la fronte, come se la presenza della dama lo stesse in qualche modo disturbando. “Da Vinci? Da Vinci vi ordino di ascoltarmi!” nemmeno la minaccia sembrò funzionare, visto che lui non discostò mai lo sguardo da quell’aggeggio, come se da esso dipendesse la sua intera vita. 
Anche Leonardo sembrava marchiato da una lettera, quella che sembrava una comunissima M, simile a quella di Botticelli ma paradossalmente più semplice.
Doveva domandargli cosa stesse accadendo perché Beatrice sapeva che se mai avesse avuto modo di svelare quell’arcano, solo Da Vinci le avrebbe dato il codice giusto per farlo.
Beatrice ponderò l’idea di dargli un calcio fra le gambe, magari si sarebbe mostrato più interessato a disquisire con lei, ma cambiò idea non appena notò chi l’attendeva oltre il portone.
Era un uomo non troppo alto, con capelli e barba candidi e lo sguardo buono di chi ha un cuore più ricco delle proprie tasche. A pochi metri da lei, guardandola come se fosse la cosa più bella che ci fosse al mondo, c’era Cosimo de Medici. 
Portò una mano alla bocca, mentre gli occhi tornavano ad inumidirsi. Odiava piangere, si sentiva sempre la bambina piccola di casa ogni qualvolta lo faceva, ma in quel caso si concesse di farlo. Era felice.
“Nonno!” si lanciò in una corsa disperata, sperando di poterlo sentire tangibile contro le sue braccia. Appena lo raggiunse si rese conto che lo era. Era solido, così come lo era sempre stato quando era una bambina. Il suo profumo, le sue mani che le accarezzavano i capelli, il suo sorriso che le scaldava l’anima….
Tutto era come in quei ricordi che aveva gelosamente conservato in un cassetto, nella sua mente. Si strinse a lui, lasciandosi confortare. Era frustrante, certo, ma almeno tutto aveva un senso “Questo… Questo è un sogno, vero?” domandò titubante, prima di staccarsi da lui per potersi specchiare in quegli occhi così simili ai suoi.
Il nonno le sorrise, accarezzandole la guancia “Chiamiamolo ‘incontro non programmato’, va bene?” le indicò una scalinata che conduceva alle mura “Accompagnami, come facevi un tempo.”
Lei annuì, prendendolo per un braccio con delicatezza come soleva fare da bambina. “Non vi siete mai manifestato a me, avete sempre mandato il Turco” disse la giovane, quando arrivarono sulla cima della cinta muraria, che presero a percorrere. “Perché ora siete qui?”
“Ci sono segreti che non potevo relegare ad Al-Rahim.” Le confessò l’anziano “In più volevo vederti per bene, sei diventata così bella, Beatrice. Sei tale quale tua nonna, Anna.”
“Mi mancate moltissimo entrambi” confidò la nipote, guardando oltre l’orizzonte mentre una folata di vento le spostava i capelli dietro alle spalle. Non si era nemmeno resa conto di aver levato il casco, mentre si chinava su Becchi, così presa dalla foga. “Non so come comportarmi. Come interpretare i segni che mi avete inviato. Cosa succederà a Giuliano e Lorenzo? Ho per caso predetto la morte di Becchi? E cosa centrano i due artisti? Sono così confusa ora che non trovo un significato nemmeno nei segni che avete posto lungo il tragitto.”
Lui le sorrise ancora di più “Sei sempre stata molto intelligente, Beatrice, ma la pazienza è una dote che a te manca del tutto. Devi imparare a osservare il mondo con maggiore attenzione e a tenere a bada le tue emozioni che spesso tendono a tradirti. Nel mio diario troverai la risposta ad una parte delle domande, per il resto, ti chiedo di attendere.”
“Ma se ciò che mi avete mostrato appartiene ad un futuro lontano, perché farlo ora?” domandò stranita la giovane “Non capisco.”
Cosimo parve a sua volta titubante. Si schiarì la voce, prima di sospirare come se avesse appena preso una decisione molto importante “C’è un motivo se ti ho condotta qui. Sai dove siamo?” lei scosse il capo “Questo è un luogo a cui tu sei legata in questo tuo presente, ma ancora non lo sai.” Si voltò verso l’interno del castello, indicando con un cenno del capo sotto di loro “Ti ho portata qui per mostrarti questo, guarda.”
La ragazza si affiancò al nonno, volgendo lo sguardo laddove lui stesso stava guardando, notando immediatamente due uomini che stavano combattendo a spade sguainate. Il primo non lo riconobbe, in quanto sembrava più un’ombra nera che una vera e propria persona, mentre l’altro era…
“Girolamo…” sussurrò Beatrice, sgranando gli occhi. Cercò di ricollegare il luogo sconosciuto a suo marito che combatteva e improvvisamente comprese. Riario le parlava da un paio di giorni di un’impresa che avrebbe dovuto portare a compimento per volere del Papa. Un territorio che gli era stato concesso di conquistare e di governare in qualità di reggente. “Siamo a Forlì?” chiese stravolta la ragazza. Cosimo si limitò ad annuire, facendole segno di guardare.
Il combattimento proseguì senza esclusione di colpi per diversi istanti e Riario sembrò sul punto di prevalere sul nemico. Riuscì a farlo cadere a terra, rivolgendogli alcune frasi di scherno che Beatrice non sentì a causa del vento e della distanza. Poi qualcosa andò storto. Quell’ombra raccolse una manciata di terra arida, buttandola negli occhi del Conte che stava per sferrare il fendente decisivo. Beatrice trattenne il fiato mentre il marito perdeva il contatto con l’avversario, che riuscì ad infierirgli una coltellata alla coscia. Girolamo cadde a terra, con gli occhi arrossati e le mani a tentare di trattenere il flusso di sangue che usciva dalla gamba. L’ombra raccolse la spada del Conte, mettendosi di fronte a lui.
“Devo fare qualcosa!” disse Beatrice, portando una mano all’elsa della sua spada ed estraendola dal fodero, ma appena l’ebbe alzata, la lama si sciolse diventando come acqua. Lasciò cadere l’impugnatura e senza guardare suo nonno prese a correre per le mura fino ad una scalinata che conduceva al luogo della disputa. Non fece in tempo a discenderla che l’ombra aveva levato la spada, conficcandola con un colpo deciso nel petto del Conte Riario “NO!”
L’assassino si dissolse come fumo, mentre la spada cadeva a terra e Riario stesso si accasciava in avanti. Beatrice riprese a correre, buttandosi in ginocchio accanto al marito “Non fate scherzi, Conte…” sussurrò tremolante, voltandolo a pancia in su. Non respirava e il suo cuore aveva smesso di battere, trafitto dalla sua stessa lama metallica “No, non è possibile.” Portò una mano sul viso insanguinato dell'uomo, accarezzandolo, mentre gli occhi non riuscivano a staccarsi da esso, inorriditi. “Girolamo, no… Non puoi lasciarmi, così…”
Si chinò sul suo petto macchiato di sangue, stringendo i pugni per soffocare un grido, prima di cercare lo suo nonno con lo sguardo madido di lacrime. Lo trovò in piedi accanto a lei “Beatrice…”
“Questo è quello che accadrà a Forlì, vero?”
“Si.”
La ragazza guardò il corpo dell’amato sotto di sé, cercando di convincersi che Girolamo era ancora nel loro letto, addormentato e vivo “Me lo avete mostrato perché così potrò impedirlo?”
“L’ho fatto per permetterti di scegliere. Puoi salvarlo oppure puoi lasciarlo andare e poi partire di nuovo per Firenze. Questa è una tua scelta.”
La ragazza lasciò scorrere lo sguardo sulla pavimentazione di pietra, dove il sangue del Conte, scorrendo, aveva creato una linea fin troppo retta, interrotta al centro da un triangolo che usava come base quello stesso fiumiciattolo. Un altro segno. “Lo impedirò.” Disse risoluta.
Il nonno la guardò accondiscendente “Sei pronta ad assumerti le responsabilità di questa decisione?”
“Si, sono pronta.” Si staccò dal corpo di Riario, alzandosi in piedi.
“Quest’uomo vaga per sentieri molto oscuri, Beatrice. Io ti avverto solo di prestare attenzione a ciò che sceglierai, perché da questo dipende il futuro non solo tuo, ma di tutta la nostra famiglia.”
La mora annuì “Io credo che sia recuperabile. Non è un uomo cattivo, semplicemente ha priorità sbagliate e ha riposto la sua fedeltà nelle mani di qualcuno che non la merita.”
“Credo nel tuo giudizio. Ora devo tornare e devi farlo anche tu.” Le passò una pergamena ripiegata, prima di abbracciarla di nuovo. La sentì stringersi a lui forte, prima di staccarsi con riluttanza “Ci rivedremo prima di quanto non credi, mia piccola stella. Medita su questo sogno, ricercane il significato. Io ti guiderò sempre, per quanto mi sarà possibile.”
La giovane gli strinse la mano tra le sue un’ultima volta “Non ti deluderò”
“Non lo farai…” Cosimo sorrise dolcemente, prima di dissolversi nell’aria, svanendo nel nulla. Beatrice aprì la pergamena, osservando attentamente il segno in essa scarabocchiato con inchiostro dorato. Era diverso da tutti gli altri, intrecciato e complesso. Così come lo era sempre stato suo nonno.
Sorrise al pensiero, guardando un’ultima volta Riario giacente “Non permetterò che ti portino via da me.” disse, poi chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Pronta a tornare. 
 

 

***

 
 
 

Beatrice spalancò gli occhi, rendendosi immediatamente conto di essere ansante e ricoperta di sudore. La seconda cosa che realizzò fu il gruppo di persone che la stavano sovrastando. Primo fra tutti vi era Riario, che la teneva per le spalle, bloccata contro il materasso. A pochi metri c’era Camilla, che la stava guardando ad occhi sgranati, con il terrore nello sguardo. Lupo Mercuri faceva bella mostra della sua vestaglia lunga da notte, immobile alla destra di Riario, con la Bibbia stretta fra le mani. Poi c’era Zita, in piedi sulla porta con un catino pieno di acqua fra le mani e un paio di stracci appoggiati ad una spalla.
Il letto sotto di lei era sfatto, un cuscino era caduto e le coperte se ne stavano ammucchiate ai suoi piedi.
“Cos-Girolamo?” alzò gli occhi sul marito, portando entrambe le mani sul suo viso, estremamente sollevata. Come da previsione, era ancora vivo. Era stato solo un sogno, anche se, a quanto pare, particolarmente violento.
“Sembravate tarantolata” il primo a rivolgerle la parola fu proprio Mercuri, mentre Riario smetteva di tenerla premuta contro il materasso e la sollevava appena, come per assicurarsi che stesse bene “Abbiamo temuto che un diavolo si fosse impossessato di voi!”
“Era solo un incubo.” sussurrò la giovane, senza distogliere gli occhi e le mani dal viso del marito, che aveva l’aria ancora parecchio preoccupata “Sembrava molto nitido.”
“Urlavate e vi dimenavate come una pazza.” Insistette Lupo.
Solo a quel punto, Girolamo parlò “Come mia moglie vi ha già detto, Mercuri, si è trattato solo di un brutto incubo. Ora vi prego di tornare nelle vostre stanze, mi occupo io di lei.”
Camilla si fece avanti mentre Beatrice si stendeva per bene sul letto, sistemandole le coperte addosso. La guardò sospettosa e l’amica le fece largamente intendere che ne avrebbero parlato il giorno successivo. Diede la buona notte ad entrambi i coniugi e si ritirò nelle sue stanze, lasciandoli soli con Zita che si apprestò a passare al Conte uno degli stracci imbevuti di acqua e sali terapeutici.
La mora lasciò passare qualche minuto, mentre il marito le passava lo straccio sulle braccia, sul viso e sul petto lasciato scoperto dalla camicetta da notte, prima di rompere il silenzio con una richiesta “Non partite, dopodomani.”
Girolamo si bloccò, senza alzare gli occhi dal suo polso. Rimase fermo il tempo di un paio di respiri, poi riprese “Perché mai non dovrei partire?”
“Ho avuto un brutto presentimento sulla buona riuscita di questa impresa. Temo che non tornerete più da me.” Beatrice si interruppe. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a farlo ragionare e che sarebbe comunque partito.
Infatti, l’uomo non fece una piega. Buttò lo straccetto nell’acqua e congedò Zita con un gesto gentile, attendendo che se ne fosse andata prima di riprendere la conversazione “La mano di Dio mi guida, non posso fallire.”
“La volontà del Signore opera in molti modi e maniere, Girolamo. Non dubito della vostra abilità o del vostro valore, ma temo molto per voi.”
Il Conte passò una mano tra i capelli della giovane moglie, prima di scendere dal letto per spegnere un paio di candele poste sul comò innanzi a loro “Siete molto dolce a preoccuparvi per me, Madonna.” Sussurrò, imprigionando una fiammella tra l’indice e il pollice, soffocandola “Però non dovete. Farò ritorno prima che voi possiate anche solo rendervi conto della mia mancanza e vi condurrò in un nuovo dominio. Sarete la Contessa di Forlì, baluardo assai ardito in quanto stanzia in una zona di confine turbolenta.”
Beatrice si morse le labbra per non aggiungere altro, consapevole che non poteva dire a Riario cosa aveva visto. Nella migliore delle ipotesi l’avrebbe bruciata sul rogo per stregoneria, o imprigionata per eresia. Nella peggiore avrebbe scoperto la sua appartenenza ai Figli di Mitra, visto che sicuramente lui ne sapeva qualcosa. Non avrebbe avuto quella chiave, se no.
Doveva saperne di più su di lui prima di prendersi certe libertà su simili confidenze. Doveva anche scoprire di più sul suo sogno per comprendere come aiutarlo al meglio. Così lasciò semplicemente perdere, conscia che se Riario fosse partito, sarebbe stata solo a lei salvargli la vita.
Attese che si rimettesse a letto, accanto a lei, prima di voltarsi a guardarlo, ripiegando un braccio sotto al capo “Potete quanto mano promettermi di prestare più attenzione del solito?”
Girolamo corrugò le sopracciglia “Tutti questi timori per una semplice sensazione?”
“Chiamatelo intuito femminile se preferite, ma di rado ci sbagliamo” gli permise di accarezzarle piano il volto, poi il Conte si sporse e spense anche l’ultima candela, segno che il discorso era chiuso e che intendeva riposare ancora qualche ora prima dell’alba.
Beatrice rimase a fissare  il suo profilo frastagliato nel buio, prima di prendere una decisione.
Non poteva farcela da sola, le serviva almeno un aiuto.
 
 
 

***

 

 
 
Quanto Beatrice si presentò nella stanza di Camilla, buttandola giù da letto poco dopo l’alba, la ragazza quasi non notò che fra le mani reggeva un diario e un foglio di carta con degli strani scarabocchi sopra.
Spiegarle che quelli erano segni che aveva visto in quel famoso incubo, che tanto l’aveva stravolta la notte precedente, e che dentro al diario vi era il modo di tradurli fu relativamente facile.
L’intero discorso sul perché aveva fatto quel determinato sogno fu molto più complesso.
Inizialmente, Camilla pensò che Beatrice fosse semplicemente impazzita per il poco dormire. Tante parole astruse per dirle che era un’eretica, adorante di un Dio falso  neo pagano e che questa credenza le era stata lasciata in eredità da niente di meno che Cosimo de’ Medici. Non solo: era la detentrice di quel quaderno ricco di appunti esoterici e di strane stregonerie che da sole le sarebbero costate il rogo. Per non parlare poi di una fantomatica chiave che, a sentire la mora, avrebbe aperto qualsiasi serratura ideata da un gruppo di miscredenti noti come Figli di Mitra.
In una parola, deliri.
Dopo aver appurato che non era uno scherzo, Madonna Colonna si agitò parecchio, per poi calmarsi di fronte ad una spiegazione più accurata.
“Io non sono che uno strumento, di tutto ciò ne so ben poco. Quel che ho appreso mi è stato donato da mio nonno e dalle pagine di questo diario, ma è di ben poco conto.”
Camilla le prese le mani, stringendole “Beatrice, ormai ti considero al pari di una sorella” le sussurrò dolcemente, ignorando il buon costume di dar del voi ad una persona di rilievo come l’amica “Non ti sto dicendo che ciò che fai sia abominevole, è una tua scelta e comprendo che per te sia importante onorare il volere di tuo nonno,  ma vorrei ricordarti di chi sei moglie: non esiste uomo più pio di Girolamo Riario, tutta Roma lo sa. Mio padre in persona l’ha visto evitare un etiope che aveva cercato di divulgare il credo di Allah sotto al Colosseo. Fai molta attenzione a ciò che fai e tieni nascoste queste cose.” Prese tra le mani il foglio “Questi, ad esempio, cosa rappresentano?”
Beatrice si sedette sul letto accanto a lei, tenendo aperto il diario “Li ho sognati e appena Girolamo si è alzato per andare a parlare con il capo delle guardie svizzere li ho scarabocchiati velocemente su di un foglio, per non dimenticarli. Ognuno di loro è collegato ad un membro della mia famiglia o a qualcuno che comunque conosco. Inizialmente credevo fossero lettere di un alfabeto a me sconosciuto. Poi ho seguito il consiglio di mio nonno e ho cercato nel diario. Ho scoperto che in realtà sono rune.”
“Ne ho sentito parlare” disse la ragazza castana, sbirciando il quadernino “Conoscevo un ragazzo che si faceva predire il futuro da una megera, tramite le rune. Sono celtiche, vero?”
“Non sono una grande esperta” Ammise Madonna de Medici “Ma qui ci sono i significati delle possibili interpretazioni. Questa per esempio.” Ne indicò una sul foglio, tracciandone i bordi con la punta del dito “Era incisa su una corteccia, accanto a mio fratello Giuliano. Si chiama Uruz, e sarebbe una delle rune fondatrici e indica il Fato, il destino già segnato. Su quell’albero era stata incisa al rovescio, il che le da un significato ancor più preciso: significa che la persona a cui è riferita non avrà la forza di volontà per compiere una gesta di qualche tipo, poiché si lascerà sfuggire un’occasione importante. Indica anche la cattiva salute e l’attitudine a farsi guidare dagli altri, ma conoscendo mio fratello escludo queste ultime due. È un uomo buono ma molto impulsivo, gli capita spesso di sprecare opportunità d’oro a causa della sua irascibilità”
Camilla la ascoltò attentamente, prima di appoggiare il dito su un’altra runa “Questa, invece?”
Beatrice la cercò, prima di rispondere “Quella è Mannaz. Indica il mondo dell’aldilà e l’intelligenza. Può essere interpretata come un buono auspicio perché colui che la porta con sé darà una mano in un progetto o un ideale comune. È anche il simbolo di coloro che si uniscono sotto la medesima causa.” La mora sospirò “Ce l’aveva scarabocchiata sulle mani un ragazzo che ho conosciuto a Firenze poco prima di partire. Si chiama Sandro Botticelli. Non capisco come posso collegarla a lui, perché ora come ora non condividiamo praticamente nulla, figurarsi una causa.”
“Potrebbero riguardare tutte il futuro, no?” domandò Madonna Colonna, prima di indicare la runa più a destra di tutte, accanto a un segno di penna “Questa?”
“Quella non ero certa di ricordarla bene, ma poi l’ho ritrovata quasi subito. Era incisa sulla carne viva di Gentile Becchi, il consigliere di corte dei Medici, e ne ho appreso il significato da ciò che lui ha detto prima ancora di leggere cosa fosse. Si chiama Laguz, simboleggia l’acqua e l’evocazione degli spiriti. Quando si presenta bisogna prestare molta attenzione alle insidie della vita. È anche il simbolo del tradimento.” Si interruppe, mordendosi il labbro “Becchi era insieme a mio fratello maggiore Lorenzo, dinnanzi alle mura di una rocca.”
“Il Magnifico?” domandò curiosa Camilla “Ne ho molto sentito parlare. Si dice che sia un poeta squisito, oltre che un grande Signore.”
Beatrice sorrise nostalgica “Sì, lo è. Lorenzo è un grand’uomo. Uno dei migliori che Dio abbia mai fatto, in effetti. Lui non aveva alcun simbolo, ma leggendo il diario ho scoperto che omettendolo mi hanno rivelato che in realtà ce l’ha eccome. La runa bianca, che si presenta senza numero o disegno, è quella del destino che oscilla da buono a cattivo a seconda delle azioni degli altri. Il futuro è quindi nelle mani del Fato e non può essere predetto o anticipato.”
“Bella fregatura…” Camilla scosse piano il capo “Forse il suo sarebbe servito molto più degli altri. Parlami di questi che sono rimasti.”
Beatrice annuì osservando gli ultimi quattro segni. Indicò il primo sulla sinistra “Questo è Ehwaz, la runa dei cavalli, che Leonardo Da Vinci aveva sulla mano sinistra. Lui è un grande artista, quindi il significato più plausibile per lui è la predizione del cambiamento in meglio. Ho parlato con lui tre volte ma ho capito sin da subito che è destinato a diventare un grande. Un altro significato è quello di presagire un importante viaggio. Non capisco se di tipo fisico o mentale. Quest’altra è Inguz, la protezione famigliare. Non mi stupisce il suo significato visto che era su una pergamena consegnatami da mio nonno in persona.”
“Tuo nonno?” chiese Camilla, sempre più confusa “Hai sognato anche lui?”
Beatrice annuì “Lui mi ha chiamata a sé. Una cosa che ho imparato dai Figli di Mitra è che riescono a scavalcare le leggi che regolano la vita e la morte. Lui mi è apparso in sogno ma so di non averlo solo immaginato. In qualche modo, lui era davvero lì con me.”
La Colonna parve titubante, ma credette all’amica. Sembrava troppo convinta e lucida per essere una pazza o una bugiarda “Il significato di questa runa quindi centra con la famiglia?”
“Sì, ma c’è dell’altro. Significa anche un periodo di transizione, la fine di una fase della vita e l’inizio di un nuovo periodo, un periodo di energia positiva e di fortuna. Anche se, però, accostata a molte rune negative, indica il fallimento. Per me Giuliano, Lorenzo e Becchi sono la mia famiglia e i loro presagi non sono dei migliori. Tutto è nelle mani di Lorenzo, in base al suo destino si evolverà anche il nostro.” Fece una pausa, sospirando, prima di concludere “Le ultime due rune le ho viste più nitidamente delle altre. La prima era incisa sul mio braccio e l’altra dipinta dal sangue di Girolamo.”
Camilla deglutì, sgranando gli occhi “In che senso, nel sangue del Conte?”
“C’è un motivo se il nonno mi ha portata lì, proprio stanotte. Mi ha mostrato come andrà la battaglia di Forlì.”
L’amica attese, torcendosi le dita di una mano per il nervosismo.
Quando Beatrice parlò di nuovo, Camilla comprese tutto “Girolamo non sopravviverà allo scontro con un nemico. Questo vuol dire la sua runa, ovvero Thurisaz: farà una scelta sbagliata, spinto da eccessiva ambizione.”
“La tua invece? Che diceva?”
Beatrice chiuse il diario “Jera ha tantissimi significati, ma il più importante è quello che più temo. Rappresenta il bivio, una scelta importante da prendere. Mio nonno mi ha già detto che devo scegliere se salvare Girolamo o lasciarlo andare a morire e tornare a Firenze. Io però, ho già fatto la mia scelta.”
L’amica le prese una mano tra le sue, stringendola “Quale scelta?”
“Il nostro è stato un matrimonio politico, è vero, ma io credo di amarlo.” si morse il labbro, titubante “Io devo salvarlo, Camilla.”
Madonna Colonna annuì risoluta, poiché già conosceva quel responso. Si limitò a guardare Beatrice negli occhi, determinata quanto lei “Posso fare qualcosa per aiutarti?”
La mora sospirò “Sì, mi servirà il tuo aiuto. Ho un piano”
 
 

***

 
 
 

9 Giugno, 1476
È sempre stato nella mia natura il desiderio di difendere coloro che amo. Non verrò di certo meno a questo voto. Farò tutto ciò che è in mio potere per salvare la vita di Girolamo. Ciò che mi serve è solo il sostegno cosciente di Camilla, una divisa da guardia svizzera e un cavallo.
Ovviamente anche una lama ben affilata, ma quella sarà la cosa più facile da procurarmi.
Il coraggio non mi è mai mancato e oramai l’avventatezza è diventata il mio secondo nome. Il nonno mi ha fatto questo prezioso dono.
Non lo sprecherò.
 

 

Continua



 

Nda.
Ecco la prima parte del capitolo otto!
Mi piace particolarmente questo pezzo del racconto, mi sono divertita a descrivere il sogno e adoro la divinazione!
Nel prossimo capitolo vedrete come si svolgerà il piano di Beatrice!

Grazie come sempre a »Eagle« e a Yoan per le bellissime recensioni **
Come sempre, accetto commenti e critiche da tutti coloro che leggono^^

A sabato!
Un  abbraccio
J.
  
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