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Autore: hanabi    21/06/2013    0 recensioni
Altra storia "gotica" (data 1989) con la pittura come protagonista: in un castello italiano, da tempi e luoghi diversi, convergono i personaggi di una tormentosa storia d'amore, desiderio e devozione per la quale tutti dovranno pagare il loro prezzo.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MARCO era un giovane dal temperamento romantico ed immaginativo, grazie al quale riusciva a godersi la vita con un trasporto forse esagerato per le scarse emozioni che questa gli offriva. Qualcosa di ineluttabile sembrava dirigere la sua esistenza: credeva ciecamente al destino. Quante volte aveva esaminato gli avvenimenti della sua vita, giocando al vano gioco del "se"... 

Era stata una fortuna per lui nascere in una famiglia abbastanza benestante da permettergli di studiare quella che era un'arte insita in lui. Lo avevano mandato all'accademia, ammirati dalla facilità con la quale, fin da piccolo, aveva maneggiato pennelli, matite e pastelli. Qualche parente gli aveva prospettato un tranquillo futuro di visualizer in qualche agenzia di pubblicità, tanto per concretizzare quella furia artistica un po' fuori moda.

Marco amava la pittura e la sua storia. Era destino che incontrasse proprio ad una mostra di quadri impressionisti la ragazza di cui poi si era innamorato.

Era una studentessa di liceo, d'aspetto quasi insignificante: sarebbe stata di moda molti secoli prima. Ma ora, nell'era delle modelle androgine alte, snelle e con seni maggiorati, lei non sarebbe mai stata considerata una gran bellezza. Piccola, con le spalle strette ed i fianchi larghi, aveva un volto da bambina che non truccava quasi mai e lisci capelli biondi sempre sciolti sulle spalle, luminosi ma sottili e senza volume. Solo gli occhi azzurri, grandi e tenerissimi, erano davvero notevoli.

Che colpo per le sue compagne di classe, quando lui era andato a prenderla all'uscita della scuola. Impossibile credere che una come Cinzia avesse un ragazzo da favola come quello! Mezza scuola aveva osservato con invidia e con nuovo rispetto l'insignificante biondina che si abbracciava a quel ricciuto e prestante ragazzo ben vestito, che pareva uscito da un fotoromanzo.

Anche i genitori di Marco erano rimasti un po' sorpresi. Ma non avevano fatto commenti. La ragazza era ben educata, discreta e senza grilli per la testa. E Marco era innamorato come mai lo avevano visto.

Perché proprio Cinzia?, si chiedeva ora, con un mezzo sorriso, guidando la macchina su una strada poco trafficata dalle parti di Langhirano. 

La sbirciò. Il suo profilo delicato e sorridente si stagliava contro il verde dei campi che sfrecciavano dal finestrino. Come facevano a dire che non era bella? E che dire poi del calore che sapeva portare con la sua compagnia? Erano insieme da un anno, ma era come se si conoscessero da tutta la vita. Mai un litigio; un perfetto accordo; insomma, un'unione voluta dal destino... 

Eppure Marco sapeva che nessuno di loro due aspirava a formare una vera e propria famiglia, con una casa e dei figli. Il loro era un legame unidimensionale, limitato sempre al solo presente, e nessun futuro da sognare... 

Perché?

Scacciò quei pensieri, sapendo che gli portavano soltanto malinconia, e si lasciò possedere dalla bellezza del paesaggio. Erano felici di quella vacanza: adoravano le gite fuori porta, alla ricerca di tesori d'arte lontani dai circuiti turistici tradizionali, da godersi in santa pace. La giornata era splendida e la campagna troppo verde per due cittadini come loro.

"Marco... "

La sua voce armoniosa lo trasse dalle fantasticherie.

"Sì, tesoro?"

"Stasera dove dormiamo?"

"Perché, avresti intenzione di dormire?"

Ridacchiarono.

"Non c'è problema, amore. Al limite abbiamo dietro i sacchi a pelo."

"Uh! Una notte all'addiaccio... lo sai che non ne sarei entusiasta!"

"Non ti agitare per nulla. Ci sono molte osterie con camere da queste parti."

"Chissà che camere!"

"Io le ho sempre trovate più che dignitose. E poi pensa a quali meravigliose mangiate... ."

Si interruppe di colpo. La sua attenzione era stata attratta da un biancore tra le colline verdeggianti. Erano torri merlate, in perfetta armonia.

Piantò una frenata fin troppo veemente, accostando sulla destra. L'auto che li seguiva per poco non li tamponò. Un clacson infuriato commentò quella manovra.

"Che succede?!" esclamò Cinzia, spaventata.

Marco non rispose subito. Guardava dal parabrezza quelle torri, affascinato. Cinzia seguì il suo sguardo, e mormorò:

"Bellissimo, ma c'era bisogno di inchiodare così?"

"Scusa," disse lui. "Non dirmi che stavamo per perderci quel capolavoro. Ma non era sulla lista delle cose da vedere per oggi, vero?"

Cinzia consultò la sua guida.

"No... che strano. Deve essermi sfuggito. Eppure è davvero notevole. Merita un paio di fotografie, no?"

"Tutto un rullino, direi."

"Non sapevo che ti piacesse qualcos'altro oltre la pittura."

"Mi piaci tu." Marco le sorrise, si stiracchiò. "Ed anche i castelli ed i vecchi manieri: ne collezionavo le cartoline, da bambino. Non so perché, ma sento che quelle torri mi chiamano... mi piacerebbe essere miliardario per poterle comprare e viverci dentro."

"Vivere in un castello! Sapessi come ci si sta scomodi... "

"Tu che ne sai?" Marco si allungò per darle un bacio. "Avanti, prendi la tua guida e dimmi tutto di questo posto."

Cinzia sfogliò il suo libro, sorrise.

"Sarai contento di sapere che quel castello possiede molte pareti affrescate."

"Me lo sentivo, io!"

"Allora cosa aspettiamo ad andarci? Può darsi che tra poco lo chiudano. Chissà che orario fanno... "

 






 

 

*

 

 


 

 

I due pittori si incontrarono proprio davanti al ponte levatoio del castello. Erano stanchissimi, inzaccherati di fango ed infradiciati dalla pioggia sottile che pareva salire dalla terra fumante, anziché scendere dal cielo brumoso. Le loro cavalcature e i loro muli erano più stanchi di loro.

Furono accolti dal siniscalco che li fece entrare con il meglio delle buone maniere che possedesse, ansioso di mostrarsi all'altezza degli usi cortesi. I pittori si fecero riconoscere parlando a bassa voce e mostrando i loro lasciapassare. Il siniscalco non sapeva quasi leggere, ma il sigillo ducale di Parma era sufficiente. 

Smontarono da cavallo, uno con un balzo, l'altro con l'aiuto di un garzone. Si diressero verso l'entrata del lato nobile del castello, ancora fresco di calce. Il castello era inerpicato su un luogo forte, adatto alla difesa della vallata, ed era stato costruito con cura. Si capiva che il padrone era un uomo d'arme.

Una volta all'interno, ambedue i pittori si calarono i cappucci fradici. Si guardarono in fretta, con sospettoso interesse, ma accennarono un inchino.

"Da questa parte," diceva il siniscalco, muovendosi a suo agio nella semioscurità, "il padrone vi attende."

Lo seguirono in silenzio, guardandosi attorno per vedere le pareti ancora vergini che avrebbero dovuto decorare.

Alla fine il siniscalco aprì una gran porta e fece un inchino.

"Illustrissimo, i pittori sono qui."

"Falli entrare! Porta del vino e manda a chiamare mia moglie. Muoviti!"

La voce era ruvida e forte, la voce di un capitano abituato al frastuono delle battaglie.

"Benvenuti nella mia casa, maestri!"

Pier Maria Rossi li aspettava in piedi, avvolto in un saione che doveva essere il migliore che possedesse. Era un uomo di mezz'età, ab bronzato ed indurito dalle intemperie e dalle battaglie. Si era guadagnato il suo titolo nobiliare in innumerevoli campagne militari, al soldo del Ducato. Non aveva mai conosciuto né apprezzato la pace, e la guerra lo aveva lasciato libero di essere irruente e violento, felice della propria rozza sensualità.

Ma non era uno stupido. Guerreggiando aveva viaggiato, aveva imparato cosa significasse essere nobili, cosa fossero arte e cultura. Ed il suo sogno era diventato quello di creare dal proprio sangue una nuova stirpe, una nobiltà virile amante del bello come della spada, e fare dei Rossi una schiatta famosa come le altre casate che erano salite in quei tempi agli onori della cronaca.

"Vi riconosco, Carlo Baglione," sorrise, con i suoi denti spezzati da un colpo di mazza, e si avvicinò ad uno dei pittori che si inchinò profondamente. "Voi siete il noto maestro Carolus...  quanto tempo è passato dalla mia visita alla vostra bottega!"

"Sono onorato del vostro interessamento alla mia persona," rispose umilmente Baglione, ed alzò la testa, mostrando il suo viso quasi grottesco... un volto magro, solcato da troppe rughe, con occhi sporgenti ed invasati e sottili, lunghi capelli grigi che cadevano, bagnati, sulle guance rinsecchite. Eppure il suo corpo rivelava che egli non era così vecchio come sembrava.

"Avevate dipinto le mie sembianze in una storia di Marte."

"Eravate... e siete tuttora... perfetto in quelle vesti," disse Baglione, con la sua voce bassa e sibilante, quasi un'eco della pioggia che batteva cupamente. 

"Mi erano piaciute le vostre pitture, e vi avevo promesso che mi sarei ricordato di voi, se avessi vinto un feudo decente per farvi un castello. Quel momento è giunto... la ricompensa per anni di dedizione. Ho ricostruito sulle basi di un vecchio forte. Voglio che questa diventi la casa nativa di una famiglia che sarà famosa, ed un simile, luminoso futuro esige che essa sia dotata di tutti i necessari decori. Naturalmente il prezzo è quel lo concordato sulla mia lettera... "

"Un munifico guiderdone," approvò Baglione, con un sorriso imperscrutabile.

"Benissimo. Sono lieto che non si debba discutere su questo punto. La stessa cosa vale anche per voi, messer... ?"

"Bernardino Bembo, per servirvi" disse l'altro pittore, inchinandosi con la grazia di un cortigiano. "Naturalmente sì, illustrissimo."

"Meno male!... Dunque siete voi il famoso Bembo. La vostra famiglia è veneta, se non sbaglio. Non ho mai visto le vostre opere, ma mi siete stato raccomandato da mio suocero, che è stato nella vostra città. Pare che il vostro stile di decorazioni stia diventando una moda. Mio suocero sa senz'altro cosa piace di più a mia moglie!"

Come se avesse atteso quel riferimento, una fanciulla giovanissima fece il suo ingresso nella stanza. Il volto ovale, sottile, era accuratamente imbiancato di cerussa e dipinto di rosa maiolicato. Il corpo, quasi infantile ma dai fianchi generosi, era avvolto in buone vesti di panno pesante. I capelli biondi e fini erano intrecciati e raccolti intorno al capo, in semplice acconciatura. 

I pittori si inchinarono.

"Ecco i maestri che ti avevo promesso, Beatrice," disse Pier Maria, e fece un sogghigno verso i suoi ospiti. "Mi sono conquistato una moglie istruita, molto ben educata in una corte cittadina. Non potevo deluderla, no?"

Le prese il mento con due dita e le fece alzare il viso.

"Che ne dite, eh? Non è male, per essere di un ramo minore dei Farnese. È giovane, e mi darà molti figli. Ora ho un titolo da lasciare in eredità, non posso più seminare bastardi per tutte le mie terre!"

Rise, pieno di gioia di vivere. E Beatrice lo guardò con odio malcelato, accomunando a quello sguardo anche la figura allampanata di Baglione, che la guardava con la stessa lubrica attenzione di Pier Maria... quasi fosse uno specchio sul quale la cattiveria del marito si rifletteva. 

Ah, Pier Maria, hai trovato finalmente un tuo simile con cui ridere! Mostro malefico, orco, vecchio rustico sudicio, capitano di ventura capace solo di battersi e rapire contadine! Ignorante valvassore, mi hai portata via dalla città per seppellirmi viva in questa desolazione, e ti sei portato via tutti i miei sogni di gloria! Avrei potuto essere la damigella della mia signora, e invece... 

Volse la testa, con un luccichio disperato negli occhi azzurri apparentemente dimessi. E si scontrò con lo sguardo di Bernardino Bembo, l'altro pittore, che la fissava incantato. 

Il Bembo era giovane, un'aria fine e delicata nei suoi lineamenti da cortigiano. Com'era diverso dagli altri due, così brutti e vecchi! Riccioli castani cadevano su una fronte alta e liscia, grandi occhi neri brillavano d'ardore e tenerezza, labbra decise e sensuali si disegnavano nel suo volto pallido; ma la mascella forte ed il collo muscoloso promettevano virilità. 

E Bernardino Bembo la guardava a sua volta, stupito che una simile, perfetta bellezza si potesse trovare in un luogo così poco consono a lei. Si vedeva subito, nel portamento e nel contegno, che lei era un frammento di raffinatezza cortigiana. Ed era lì, trattata come una puledra al mercato... 

Quasi non sentì la voce di Pier Maria che, lasciando la moglie per versarsi del vino, raccontava la sua predilezione per le decorazioni moderne, le grottesche, che aveva visto nel corso dei suoi numerosi viaggi. Non conosceva molto la mitologia, ma gli piacevano quelle scene ariose e voluttuose di déi ed eroi, di mostri e cariatidi... 

"Come sarebbe più bello e più semplice un mondo come quello degli antichi!"

Baglione annuiva, con assoluta partecipazione. Pareva che adorasse la figura di Pier Maria.

Bernardino Bembo continuava, quasi di nascosto, a rimirare Beatrice.

"Voglio delle decorazioni che mi rendano famoso nel circondario e che stupiscano i miei ospiti... loro si aspetteranno soltanto vacche e villani da un posto come questo, ed invece resteranno a bocca aperta, e si chiederanno se una negromanzia non li abbia trasportati in una città civile. Io renderò famoso questo luogo dimenticato da Dio... "

Pier Maria andò alla finestra, con un sorriso strano, gli occhi perduti in un luminoso futuro. Alzò la coppa e bevve il vino tutto di un fiato.

"Sì, tutti coloro che passeranno di qui renderanno onore al mio castello... la futura dimora avita della grande casata dei Rossi!" 




 

 

 

*

 

 

 





 

Marco e Cinzia avevano pagato il biglietto e si erano incamminati, in perfetta solitudine, sulla salita pavimentata di sassi che conduceva al castello vero e proprio.

Marco continuava a tenere lo sguardo in alto, a rischio di inciampare. C'era qualcosa in quelle mura che lo affascinava. E perché? Non era che un castello... uno delle dozzine di castelli che aveva visitato. Eppure, in questo, le pietre stesse gli parla vano, avevano una storia da raccontare. Si trovò ad accarezzare la pietra di un muretto, inter rogandola. La pietra era tiepida, scabra ed incrostata di licheni. La sua voce era un mormorio troppo lontano nella sua coscienza.

Si voltò a guardare Cinzia. Lei era rimasta indietro, avanzava a piccoli passi, con gli occhi fissi sull'acciottolato. Si muoveva come se qualche indumento misterioso limitasse i suoi movimenti.

"Tutto bene?" chiese lui, tendendole una mano.

Pensava che fosse affaticata. Invece lei si fermò, senza il minimo affanno nel respiro, alzò gli occhi alla sua mano stesa, poi a lui... 

... e arrossì.

Marco la guardò, un po' sconcertato.

"Cosa ti succede, amore?"

Cinzia battè le palpebre, una, due volte. Il rossore svanì, lentamente.

"Niente, Marco... niente." Sorrise, "Non ci crederai, ma mi sono emozionata a vederti. Ti ho trovato all'improvviso... così attraente!"

"Grazie!" Marco sorrise a sua volta, ma con imbarazzo. Cinzia non gli aveva mai fatto tanti complimenti. "Meno male che piaccio a qualcuno."

"Naturale che piaci, che discorso!"

"Allora che ti è preso per accorgertene ora?"

"Ora... me ne sono accorta di più. Andiamo?"

Cinzia lo sorpassò ed entrò in un cortile quadrato, candido, dominato al centro da un pozzo. Cominciò a vagare intorno ad esso, spiando ne le profondità.

Marco posò lo zaino e prese la macchina fotografica, cercando in quadrature ad effetto. Gli unici altri visitatori del castello erano due signori anziani che gironzolavano con la guida del Touring in mano. Che meraviglia! Niente folla, niente caos, e niente sporcaccioni che rovinavano tutto quel che toccavano!

Quel castello era un regalo inaspettato del destino, per lui.

E che potente, quel senso di deja vu! E perché no? Cortili e mura come quelli erano stati fotografati da Marco almeno una dozzina di volte. Non c'era nulla di particolarmente nuovo ed insolito, là dentro.

Eppure... 

Decise di usare il teleobiettivo per cogliere il profilo di Cinzia, mentre fissava le tenebre del pozzo. Mise a fuoco l'immagine, ma il dito gli tremò sull'otturatore.

Lentamente, abbassò la macchina fotografica e guardò Cinzia, stupito.

Era davvero lei? La conosceva fin nell'anima, e allora perché si sentiva così stranamente emozionato a rimirare il suo profilo delicato, il suo visetto pallido e tenero, gli occhi dalle palpebre abbassate e dalle lunghe ciglia?

Se adesso si voltasse e mi guardasse, mi sentirei le gambe molli davanti a lei! Avrei voglia di scappare per non cadere in ginocchio come un deficiente!

È questo che ha provato lei?... Ci stiamo innamorando di nuovo?!

Cinzia si incamminò verso di lui, con un sorriso radioso.

E Marco si voltò immediatamente, inquadrando una delle torri e contando mentalmente fino a dieci... 

La sensazione svanì, lentamente.

"E allora, Marco, che ne dici? Quindicesimo secolo? O precedente?"

"La prima ipotesi deve essere esatta. Questa struttura è da antologia."

"Non riesco mai a ricordarmi se i merli fatti così sono guelfi o ghibellini."

"Non c'è un cartello con notizie storiche, da qualche parte?"

"Bello quel portico... e quelle finestre ogivali! Credi che le abbiano rifatte, così grandi? Un po' generose come finestre di un castello... "

Marco prese Cinzia per un braccio, e le sussurrò ad un orecchio:

"Venite a parlarmi da quella finestra, questa notte, e venite attraverso quel verziere..."

Cinzia lo guardò, con un sorriso sorpreso.

"Ehi, da quando ti sei messo a fare citazioni? Sono la mia specialità! Vuoi forse mettermi alla prova?"

Marco era più stupito di lei. Le parole gli erano venute in mente così spontaneamente!

Naturalmente, per una fanatica di letteratura eroica come Cinzia, ed in un contesto come quello, la soluzione dell'indovinello era banale.

"Come mai ti è venuto in mente il Lancelot di Chrétien de Troyes?"

 

 





 

*




 

 

 

"Madonna mi ha incaricato di portarvi questo libro, messere. Vi prega di serbarlo con cura estrema: è parte del piccolo patrimonio che ha portato dalla sua casa natale.. qui nel castello non ci sono nemmeno le letture sacre."

Bernardino Bembo fissava la donna che aveva osato disturbarlo mentre schizzava con carboncini l'abbozzo delle storie di Bacco ed Arianna sulle pareti della sala vuota.

"Sono la nutrice di madonna," soggiunse la vecchia, irrigidendosi sotto lo sguardo sospettoso di Bernardino. Era una donna dignitosa, pulita, e parlava un volgare raffinato a paragone degli altri domestici di Pier Maria.

"L'avete seguita per tenerle compagnia?"

"La povera creatura non poteva essere mandata sola per il mondo. Sono la sua cameriera, la sua dama di compagnia... e la sua confidente."

"E quel libro... "

"Non lo avete forse chiesto voi a madonna, ieri, in prestito?"

Bernardino fissò gli occhi sorridenti della vecchia. No, non aveva fatto nulla di simile! Non aveva nemmeno osato rivolgere la parola alla bella Beatrice, anche se lo avrebbe desiderato. Aveva cominciato il suo lavoro nella stanza nuziale di Pier Maria, che aveva momentaneamente trasferito il suo grande talamo in un'altra ala del castello.

Tuttavia Beatrice aveva cominciato con lui un gioco cortigiano. E lui non voleva né poteva tirarsi indietro. Lei non avrebbe mai avuto un'altra occasione per godersi un piccolo intrigo cortese... 

Bernardino si pulì le mani nel grembiule e prese il libro.

La nutrice sorrise e se ne andò, lasciandolo solo.

Egli andò alla finestra, dove un raggio di sole disegnava il suo cammino sul pavimento di cotto. Aprì il libro: un prezioso mano scritto miniato, con figure di dame e cavalieri brillanti di colori. Di difficile lettura, ed in lingua franca. Bernardino non era che un pittore, seppure colto: come leggere un testo simile senza un aiuto ed in breve tempo?

Dov'era il messaggio? Un foglio celato tra le pagine del libro? Lo cercò, senza trovarlo. Si maledisse: che follia! Beatrice non poteva compiere un'imprudenza come quella di scrivere di suo pugno ad un insignificante pittore!

Bernardino richiuse il libro, con un sospiro. Che senso aveva dunque quel libro? Ne fissò la copertina, di buona pelle, accarezzandola con le dita, e pensando a lei... così bella, così giovane, così irraggiungibile.

E lo sguardo gli cadde sul titolo del libro.

Lancelot!

Gli occhi scuri di Bernardino si spalancarono, in improvvisa rivelazione.

Ecco il messaggio di Beatrice!

Per un attimo restò immobile, pieno di ammirazione per la sottigliezza della donna, per la sua raffinatezza... e per la gioia che gli procurava quel messaggio.

Qualche prete aveva tuonato, dal pulpito della sua città, contro quel romanzo cortese che circolava in tutta l'Europa, tradotto e rielaborato da infiniti scrivani, in latino, in provenzale, in tedesco, in volgare. Come si poteva tollerare l'ammirazione per un cavaliere francese forte, bello, cortese, coraggioso, leale... 

... e adultero?

Bernardino aveva sentito parlare di Lancillotto, aveva sognato come tutti i suoi coetanei su quelle avventure di un'epoca che era già finita. Sapeva che il primo passo verso l'adulterio l'aveva fatto proprio Ginevra, concretizzando quella che era la passione segreta del suo cavaliere.

Ginevra, come Beatrice... la moglie di un altro, di un feudatario. E lui, come Lancillotto... la tentazione!

Un brivido scese nella schiena di Bernardino. Beatrice aveva perfettamente inteso il desiderio nei suoi sguardi. Quel messaggio era chiaro, e spaventosamente esplicito. Ella non si accontentava di un amore cortese, di una civetteria senza seguito. E del resto, poteva un uomo rozzo come Pier Maria fare differenza tra i due amori? Avrebbe mostrato più tolleranza per un amore platonico piuttosto che una concreta passione?

Difficile credere ad un semplice amore cortese quando l'amante era un giovane di bell'aspetto... 

Bernardino strinse il libro tra le mani. Il rischio che correva! Pensò che un uomo come Pier Maria non avrebbe perso tempo a fare accuse. Se avesse sospettato qualcosa, avrebbe fatto semplicemente rapire e sgozzare il giovane pittore, in segreto. Un cadavere in più in qualche fosso nei campi... un'altra vittima di misteriosi banditi.

Lasciò il libro su uno sgabello, come se scottasse. Riprese i suoi carboncini e fissò la parete. Meglio scacciare quei pensieri pericolosi! Aveva una stanza da affrescare, l'intonaco aspettava, i cartoni ai suoi piedi attendevano la sua mano.

Arianna circondata da amorini... 

Era arrivato a tracciarne la figura fino a mezzo busto, quando si accorse di aver disegnato il ritratto di Beatrice, lo stesso viso, gli stessi occhi, gli stessi graziosi, piccoli seni che aveva indovinato sotto la sua veste.

Spezzò il carboncino e diede un pugno furibondo sulla parete.

"No, no... no!"

"Difficile disegnare con proporzioni corrette, direttamente sul muro, e con soggetti di discrete dimensioni."

Si voltò di scatto, con il cuore che pareva esplodergli nel petto.

Baglione era alla porta, sorridente... o meglio, ghignante. I suoi capelli, fini come tela di ragno, si dipartivano dalla sua testa come un'aureola arruffata. I suoi occhi rimiravano Bernardino con uno sguardo fisso.

"Mi avete spaventato," mormorò il giovane, ed afferrò uno straccio per cancellare il suo disegno.

Era spaventato davvero, lo sguardo di Baglione aveva qualcosa di ironico e lubrico che faceva gelare il sangue nelle vene.

"Avete sbagliato quel disegno? È per questo che siete furioso?"

"La luce, qui... non va bene," rispose Bernardino, cancellando con furia i suoi tratti di carboncino.

"Siete a buon punto, vedo. Io ho quasi finito la prima parete."

Bernardino si voltò, rimirò Baglione con stupore. "Come potete aver finito quasi... "

"Non uso cartoni, e dipingo direttamente sull'intonaco," sorrise il vecchio, entrando nella stanza. "E non ho..." una pausa, un sospiro: "... distrazioni."

Ci fu un istante di assoluto silenzio.

"Cosa intendete dire, messere?" chiese infine Bernardino, con voce gelida.

"Io sono un pittore, mio giovane amico... " Baglione si avvicinò, "Li vedete questi occhi così sporgenti? Sono occhi acutissimi, addestrati a rubare i colori al mondo. Quel che possono vedere questi occhi, molti mortali non lo immaginano neanche. E quel che ho visto in questi giorni, nessun altro lo conosce. Soltanto io... una vecchia intrigante... una moglie troppo giovane... e voi."

Bernardino impallidì mortalmente.

"Cosa dite, messere? Di quale fantasia parlate?"

"Pier Maria Rossi è un uomo notevole. Perché lo disprezzate? Perché è ambizioso? Perché non sa cinguettare come un cortigiano? Perché solo ora che non è più giovane ha trovato modo di cercare moglie?" La voce di Baglione era un sussurro lontano, si mescolava al sibilo del vento, appena udibile.

"Che cosa dite? Io, disprezzare!... È il mio mecenate... "

"State dunque saldo nella vostra decisione, mio giovane amico...  avete iniziato un gioco molto, molto pericoloso. Pier Maria Rossi è il mio mecenate come il vostro, il mio signore come il vostro. Non fategli del male..."

La mano di Baglione, lunga e ossuta, si posò sul petto di Bernardino.

"... a cagione di una femmina!"

Il sangue imporporò il volto di Bernardino. Con la voce strozzata dal ribrezzo gridò:

"Non toccatemi!... "

Baglione ritirò immediatamente la mano. La guardò, e poi fissò ne gli occhi il giovane mentre, provocatoriamente, se la portava alle labbra.

"Non vi punirei con la delazione, messer Bembo. Non lo farei mai. Sareste distrutto, e questo è qualcosa che non voglio... per nulla al mondo. Siete troppo avvenente per essere perduto. Avete il mio giuramento che non vi tradirò mai... "

"In cambio di cosa?" ribattè Bernardino, con voce tremante.

"Ah, la tentazione!..." ansimò Baglione, con occhi dilatati. "Ma dopo, che cosa potrebbe salvarmi dall'ira vostra e della vostra amante?... No, messer Bembo, questa è una questione di onore. Voi non farete quello che desiderate fare, perché se lo farete sarò io a punirvi...  soltanto io!"

"E come?"

"Non con la spada né col veleno... " Baglione trasse dalle pieghe della veste un pennello, e lo brandì davanti agli occhi di Bernardino, "... ma con questo!"

Gli voltò le spalle e, arrivato sulla soglia, disse senza voltar si:

"Ricordatevi di questo avvertimento, Bernardino Bembo...  ricordate!"

Bernardino restò solo, nella grande stanza, con le spalle al muro, ancora tremante.

"Vecchio pazzo... maledetto vecchio pazzo sodomita!" mormorò, tra i denti. 

  
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