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Autore: Rosette_Carillon    21/06/2013    3 recensioni
Russia:
Volgograd, 2011; Erzsebeth è in gita con la sua classe in Russia e si reca a visitare un rifugio antiaereo quasi del tutto distrutto.
Stalingrado, 1942; Fedora è una giovane infermiera che vive in quello stesso rifugio dall'inizio della guerra. Alla fine di uno dei bombardamenti, uscendo per cercare feriti, salverà la vita al capitano Witt, della RAF.
Dal testo:
Lui le sorrise debolmente " Non credo di … "
" Questo è un ordine capitano, lei è tenuto ad obbedire agli ordini di un tenente colonnello. " la risposa di Fedora fu l’unica frase che sentì chiaramente prima di cadere in uno stato di semi-incoscienza.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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                                Volgograd, 10 Febbraio 2011

 

 

 

It's like forgetting the words to your favorite song.

You can't believe it, you were always singing along.

It was so easy and the words so sweet.

You can't remember; you try to feel the beat.

 

Bee-ee-ee-ee-ee-ee-ee-ee-

Eet eet eet.

Ee-ee-ee-ee-e-…

 

Erano appena le 07:00 del mattino quando nella piccola stanza d’albergo risuonarono le note di “Eet” di Regina Spektor.

Erzsebeth balzò dal letto, si sedette dopo essersi scostata le pesanti coperte di dosso e il gelo della stanza le diede quella lucidità necessaria per rendersi conto che la musica proveniva dal suo telefono: era la sveglia.

Con un sospiro tolse l’oggetto da sotto il cuscino e spense la sveglia cercando di calmare il battito del cuore; in quel momento notò dei movimenti negli altri due letti e capì che anche le sue compagne di stanza si stavano alzando.

Rabbrividendo scostò del tutto le coperte e si alzò dall’accogliente e caldo letto mentre un “Buongiorno” veniva svogliatamente mugugnato da Anikò che si stava stropicciando gli occhi ancora assonnata.

Erzsebeth andò verso la sua valigia e prese il maglione e i jeans che avrebbe indossato quel giorno mentre Jana si passava una mano fra i capelli raccogliendo i vestiti che la notte prima aveva sparso per la stanza non avendo avuto voglia di rimetterli in ordine.

:<< Vado in bagno a cambiarmi. >>

Come risposta ottenne solo un “Mmh” d’assenso :<< Anikò! Alzati! >>

:<< Mmh! >>

:<< Seconda guerra mondiale. >> quelle tre semplici parole bastarono a far scattare la ragazza giù dal letto e a darle energia.

:<< Preparo la borsa e andiamo a fare colazione. >>

:<< Io e Jana, non essendo andate a dormire vestite, dovremmo cambiarci. >> detto questo, Erzsebeth entrò nel bagno ignorando la delusione della compagna.

Chiuse la porta dietro di sé e gettò i vestiti su una sedia bianca vicina alla doccia, poi prese il telo da bagno dal termosifone e lo poggiò sopra i vestiti.

Entrò nella doccia e aprì subito l’acqua calda per evitare di morire assiderata: se mai fosse riuscita a sopravvivere a quella gita scolastica e a tornare in Ungheria avrebbe potuto dire di essere sopravvissuta al famoso inverno russo.

Erano passati tre giorni dall’inizio di quel viaggio scolastico, ma quei pochi giorni erano stati abbastanza stancanti, tuttavia quella mattina lei e i suoi compagni di classe erano riusciti a trovare la forza di alzarsi dal letto solo perché ciò che avrebbero visto era un qualcosa che interessava a tutti.

A pensarci bene non aveva nulla di speciale, era un rifugio delle Seconda Guerra Mondiale completamente distrutto nel ’42 durante un bombardamento. Era stato da poco aperto al pubblico ma non c’era quasi nulla da vedere.

Uscì dalla doccia, si asciugò e si vestì velocemente, uscì dal bagno mentre vi entrava Anikò e andò davanti al grande specchio sul quale si riflettevano i tre letti della camera, cominciò a raccogliersi i capelli mentre Jana, affianco a lei, faceva lo stesso.

Pochi minuti dopo le tre uscirono dalla camera con le loro borse dirette nella sala della colazione, lì le  professoresse informarono loro e la classe che dovevano farsi trovare nella hall dell’albergo entro quaranta minuti in modo da poter arrivare in orario al rifugio.

:<< Il rifugio è molto distante? >> chiese qualcuno.

:<< Dodici chilometri e quattro metri a nord, fuori dalla città. >> ripose una delle professoresse allontanandosi assieme alla collega.

:<<< Cos’è un GPS o una donna? >>

:<< Anikò! Potrebbe sentirti. >>

Quella sbuffò avviandosi verso uno dei tavoli liberi e, poggiando la borsa su una sedia, si sedette su quella a fianco mentre Erzsebeth andava prendersi una tazza di caffè e un piattino di dolci.

Jana invece si avvicinò al tavolo dove erano sedute delle loro compagne di classe per chiede qualcosa a una di loro .

Dopo aver fatto colazione le tre si recarono nella hall e, dopo aver consegnato le chiavi, si sedettero nei semplici divani verdi aspettando l’arrivo degli altri.

Quella mattina erano troppo stanche per parlare fra loro, poiché la sera prima erano andate a letto tardi, quindi Jana riprese a leggere “ Il mastino dei Baskerville” mentre Anikò  e Erzsebeth ascoltavano musica.

Quando tutti furono arrivati, la classe si diresse fuori dall’albergo e s’incamminò verso il rifugio, anzi, verso ciò che ne restava.

Erzsebeth camminava vicino ad Anikò che le parlava del romanzo che stava leggendo mentre osservavano affascinate la steppa innevata. Il tragitto non fu molto breve, e arrivarono presso il rifugio dopo alcune ore.

Mentre la classe si guardava attorno cercando qualcosa che potesse vagamente somigliare a un rifugio antiaereo, un uomo si avvicinò alle due professoresse e i tre cominciarono a parlare in ungherese.

:<< Ragazzi tutti qui. >> chiamò la professoressa Gàl stringendosi nel suo cappotto nero per via del freddo pungente :<< Dobbiamo scendere sotto terra. >>

Tutta la classe si avvicinò.

:<< Lui sarà la nostra guida: Andrej Rachmaninov. >> continuò la professoressa.

Tutti si avvicinarono alla guida che cominciò a parlare loro del rifugio, della struttura, di quando fu costruito e quando, durante uno dei tanti bombardamenti, fu distrutto.

:<< Il rifugio venne costruito agli inizi del 1941 quando cominciò la “battaglia di Stalingrado”, crollò nel 1943, poco prima della fine della battaglia. Come potete vedere la costruzione è completamente sotto terra; è divisa in due piani e ha cinque entrate-uscite, l’entrata principale con tutta probabilità era quella dalla quale adesso scenderemmo noi. >> si voltò e indicò una rampa di scale che scendeva sotto terra.

:<< Attenzione ai gradini, purtroppo non sono in buone condizioni. >>

Per alcuni minuti si sentì solo il rumore prodotto dalle scarpe, in particolare i tacchi delle ragazze, contro i gradini delle scale.

Anikò poggiò la mano contro il muro della stretta galleria temendo di cadere: nonostante i gradini fossero larghi e non molto alti erano molto rovinati.

Il corridoi sarebbe stato completamente buio se non fosse stato per le lampade appese al soffitto che mandavano sui gradini una soffusa luce.

Scesa la scala, Erzsebeth si trovò in un corridoi più illuminato che curvava a destra.

  
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