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Autore: The queen of darkness    21/06/2013    2 recensioni
Non sempre nella vita prendere i pezzi di quello che è stato e metterli insieme per formare quello che sarà è semplice.
Tuttavia, delle volte ci si riesce.
E se si fallisce, si è pronti a cadere. Ma con la consapevolezza di averci provato, e di essere stati vicini al risultato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Jane sbirciò dalla tenda che occultava in parte il vetro della stranza per controllare che Malcolm non facesse follie. Era ancora agitato, visto che le poche notizie ricevute non sembravano positive, e non la smetteva di vagabondare tra il letto dalle lenzuola di carta e la finestra. Guardava fuori per un breve momento, lasciava che le luci della città ai suoi piedi si riflettessero nel suo sguardo, e poi ripartiva per la sua esplorazione, mangiandosi le unghie.
-Sì, non si preoccupi, signorina Miles – disse la ragazza, sistemando il telefono sotto la guancia.
Un sospiro metallico diede una nuova cadenza alla risposta. –Va bene, tesoro, lo sai che di te mi fido. Lascia che ti porti un cambio, qualcosa…
-No, no, non è necessario, verrò io stessa a prenderlo – si affrettò a dire Jane, spaventata. Distolse lo sguardo dalla camera che avevano loro assegnato in attesa di Kim, improvvisamente angosciata all’idea che qualcuno potesse invadere la sua stanza.
-Come vuoi, allora – disse l’altra, vagamente rincuorata. –Troverai aperta la porta sul retro, se ti serve. Ci sarà Jeff, di turno, domani mattina.
Fra sé e sé, la ragazza sospirò di sollievo. –Grazie, grazie davvero. Arrivederci.
-Riguardati, tesoro – rispose la signorina Miles. La nota materna nella sua voce era resa meccanica dal cellulare. –A domani.
Chiuse la comunicazione con una vaga inquietudine. La donna non aveva avuto reazioni particolari quando le aveva praticamente vietato di entrare in camera sua, e sperò che non si insospettisse ed entrasse lo stesso. Non c’era nulla di compromettente, ma Jane mal sopportava presenze estranee nel suo personale luogo di riposo, visto che era l’unica stanza al mondo capace di farla sentire a casa.
Aveva spostato il letto, comprato lenzuola nuove con i soldi racimolati da un lavoretto estivo, appeso disegni sull’armadio, spostato i propri vestiti negli ordini che preferiva e rivoluzionato lo spazio con una serie di accortezze che le parevano più familiari al suo modo di essere. Quel posto parlava di lei, dei suoi libri, dei suoi quadri, di tutto quanto di più caro avesse al mondo. Sotto al cuscino, riposavano le foto dei suoi genitori.
-Come va, adesso? – chiese la ragazza, entrando nella stanza d’ospedale. Ne avevano assegnato una in previsione dell’ammalata, ancora in fase di visita, che sarebbe presto arrivata, visto che quella sera il reparto pediatria sembrava particolarmente affollato.
Il ragazzo parve riscuotersi dal suo viaggiare senza meta. Sembrava ancora più alto, incastrato nel piccolo spazio colorato. I tentativi di rendere la camera più allegra avevano soltanto peggiorato la situazione.
-Meglio – rispose, passandosi una mano sul viso. –Prima un’infermiera è passata e mi ha detto che la stanno ancora visitando, e che la terranno tutta la notte in osservazione. Forse entro domani possiamo andare a casa, ma… - scosse piano la testa, - lei dice che è meglio prendersi un attimo per la convalescenza.
Jane si sforzò di sorridere. - È già una buona cosa che ti abbiano detto che potrà andare a casa presto.
Il ragazzo annuì, poco convinto. –Sì, hai ragione. 
Non avendo nient’altro da dire, lui si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani. Quella posizione ricordò a Jane qualcosa, ma non seppe identificare il ricordo con abbastanza precisione. Era un’immagine sfocata, arrivata all’improvviso, che aveva lasciato dietro di sé una sensazione spiacevole di…sporcizia.
Si sostenne appoggiando una mano sulla cassettiera lì vicino, cercando di calmare i cerchi concentrici in cui la superficie arancione era sprofondata, e cercò di scacciare la risata di lui, il suo fiato pesante, dalla sua testa. Se non aveva raccontato a Malcolm tutto del proprio passato, quella volta, era per il motivo che le tornò lucido alla memoria, in un baleno: quel periodo della sua infanzia faceva semplicemente e oggettivamente schifo. Chissà se Sophie ce l’aveva nei propri fascicoli dell’FBI.
-Tutto ok? – le chiese il ragazzo, stranito.
Jane si riscosse. Si sforzò di sorridere: -C…certo, certo. Sto benissimo. È solo che…non mi piacciono gli ospedali, ecco tutto.
La fece sembrare una cosa da poco, ma capì di non essere stata convincente. Il ragazzo non insistette, ma non si dimostrò totalmente convinto dalla sua versione dei fatti; lo ringraziò mentalmente per non aver cercato di fare inutili indagini, mettendola in difficoltà con domande pressanti.
-A proposito – continuò lei, per affogare il disagio che sentiva nel petto, - ho chiamato tua madre. Dice che l’aereo è atterrato, e che noleggiando un’auto sarà qui fra circa un’ora.
-Per eccesso o per difetto? – chiese Malcolm, sarcasticamente.
-Per difetto, temo – sospirò Jane. Appoggiò la borsa e vi frugò dentro. –Visto che ho fatto quello che dovevo fare, ti ridò il telefono. Una certa Betty ti ha inviato un messaggio.
-Betty? – domandò, sorpreso. Allungò una mano e accettò l’oggetto che gli stava porgendo. La ragazza annuì, con un vago senso di malessere; evidentemente anche la sua nuova ragazza era preoccupata per lui.
Non era certa che avesse una nuova fiamma, ma in fondo al cuore se lo sentiva. Certo, Malcolm era un solitario, ma era un bel ragazzo, e questo non era un dettaglio trascurabile. Sicuramente, a giudicare dal nome, si sarebbe trattato di un’ennesima approfittatrice, dal momento che si sarebbe dimostrata tutto zucchero e caramello per i primi tempi, e poi sarebbe diventata una dispotica opportunista.
Lei si morse la lingua, mettendosi una mano sugli occhi stanchi. Non conosceva la ragazza in questione, e non poteva permettersi di giudicarla. Se Malcolm l’aveva scelta, qualche qualità doveva pur averla, no? E poi non stava a lei decidere le misure della felicità del ragazzo, bastava solo che stesse bene, null’altro.
-Grazie – disse lui. Prese in mano il telefono e, scusandosi, uscì dalla stanza per fare una chiamata. Jane era sicura di conoscere la destinataria.
Rimasta sola, in ogni senso, la ragazza decise di prendere il libro che stava leggendo, e sedersi sulla sponda del letto. Aprì dove aveva messo il segno e l’odore di pagine ingiallite la fece stare un po’ meglio; era un profumo rassicurante, avvolgente e immutabile, un punto saldo nella sua vita.
I suoi occhi corsero sulle righe d’inchiostro abbastanza distrattamente, per trovare il segno. Vagava fra le lettere fino a quando tutte si mescolarono fra loro, creando un guazzabuglio nero di grafemi in una lingua sconosciuta. Man a mano che la sua fantasia si intrometteva, le sembrò quasi che il ritmo immobile del susseguirsi delle parole formassero una figura: aveva curve sinuose e lunghi capelli mossi, e delle labbra arricciate che erano l’unico dettaglio visibile.
Di quest’ipotetica persona si potevano vedere solo i bordi. Capendo che il suo cervello stava cercando di dare un’aspetto alla fantomatica Betty, Jane chiuse gli occhi, li stropicciò e notò con grande piacere che i significati arcani del libro si stavano svelando a lei solo sottoforma di drammi scritti, senza disegni strani.
“Non mi avrai in mano tua, cervello!”, pensò divertita, accigendosi a leggere. Solo che le sembrava che l’inchiostro fosse melassa; non riusciva ad afferrare nessun significato concreto. Coglieva solo parole qua e là, senz’ordine, ma non era capace di mettere insieme delle frasi. Quando si imponeva concentrazione poteva stare calma solo per pochi secondi.
Betty tornava sempre, con velocità e tenacia esasperanti. Delle volte era bruna, e aveva un bellissimo sorriso mentre rimaneva languidamente abbracciata ad un’improvvisa visione di Malcolm. Delle altre era bionda, e le sue labbra imbottite di lucidalabbra usurpavano impunemente quelle del ragazzo. Provò addirittura ad immaginarsela rossa e minuta, con delle lentiggini a colorarle le guance perennemente imbarazzate e una pelle diafana celata da un estivo vestito a fiori.
No, non esisteva, decise. Non avrebbe ceduto; chi fosse Betty, quale fosse il suo aspetto o che colore avessero i suoi capelli non erano affari suoi. Sperò che fosse bella, molto più bella di lei, e in un istinto di masochismo le attribuì tutte le doti che a lei mancavano.
“Che sia una ragazzina magra, splendida, dagli avambracci intatti, con un’allegria contagiosa e un sacco di buone virtù riassunte nel volontariato!” pensò, piccata, decisa a non dare soddisfazione alla sua psiche.
Era così assorta nel lanciare invettive a sé stessa tramite un’idealizzata Betty che non si accorse del ritorno di Malcolm. Il ragazzo tornò nella stanza con un’espressione più distesa e tranquilla, ma Jane non se ne rese nemmeno conto.
Lui si appoggiò allo stipide della porta, osservandola. Guardava la linea degli zigomi piatti, la bocca carnosa semi aperta dalla concentrazione, le ciglia che celavano in parte gli occhi scuri e la pelle candida, liscia, increspata solo da attimi di tragedie crudeli che lei stessa aveva deciso di ricordare perennemente, con decisi tagli all’altezza delle braccia. Come sempre, la trovò bellissima, soprattutto perché non si rendeva conto di esserlo; troppe ragazze avevano la presunzione di essere splendide, e questo rubava loro moltissima spontaneità.
La prima cosa che aveva notato di lei era una certa goffaggine per nulla simulata. Era stato questo ad incuriosirlo: di solito, una ragazza così avvenente non aveva problemi relazionali, e Jane era anche simpatica ed intelligente, ed era per questo che non capiva cosa potesse impedirle di essere popolare. Poi, conoscendola meglio, aveva visto nel profondo dei suoi occhi la luce tipica di chi resta, qualsiasi cosa egli faccia, un destinato all’esilio. Solo che lei l’aveva accettato, se l’era auto-imposto. Ed era stato l’inizio che aveva segnato il suo inevitabile, e sempre più forte, innamoramento per lei.
 Quasi bruciava dal desiderio di riportare tutto a quell’idilliaco pomeriggio in cui aveva potuto trattarla come propria ragazza, ma si era ormai rassegnato all’evidenza di essere stato stupido; era andato troppo veloce, aveva fatto le cose di fretta, e lei aveva ceduto solo per un attimo di debolezza. Se c’era qualcuno degno di amarla, pensava, allora non era lui.
-Cosa leggi? – chiese il ragazzo, facendola trasalire.
-N…niente, niente – si affrettò a dire Jane. Posò il volume accanto a sé: -Non riesco a concentrarmi. Sono troppo preoccupata.
Non era affatto una bugia: stava letteralmente fremendo per saperne qualcosa della bambina, ma sembrava che il tempo si fosse cristallizzato.
Malcolm, senza dir nulla, le si accomodò vicino, mantenendo una rispettosa distanza. Con un brivido, Jane ripensò ossessivamente a cosa avrebbe pensato quella Betty della situazione, e come avrebbe reagito nello scoprire cosa c’era stato, seppur per un breve momento, fra loro.
Basta, doveva smetterla, stava andando fuori di testa. Doveva assolutamente pensare ad altro, altrimenti sarebbe sicuramente impazzita a furia di rimuginarci sopra. Solo che, quando si preparava a scacciare il pensiero, un altro si faceva strada dentro di lei, e non le dava pace. Non sapeva decidersi su quale fosse peggiore, ma capì perfettamente che non poteva sopportare il peso che la seconda possibilità portava con sé. Decisamente meglio Betty, se si volevano paragonare le due scelte.
-Sono così in ansia per lei -, ammise lui, dopo un po’.
-Anch’io – confessò Jane, a sua volta.
-Cosa si fa in questi casi? Voglio dire, per alleviare la tensione. Ci dev’essere un modo.
La baby-sitter si strinse nelle spalle. –Potendo io mi farei un bel bagno bollente con un libro in mano, ma sono sicura che qui non vedano il mio desiderio di buon occhio.
Suo malgrado, Malcolm ridacchiò. Ci fu solo silenzio, ma quel suono parve rischiararlo un po’, rendendolo meno pesante, meno ricco di frasi non dette ma incofessabili ugualmente.
Era un’immobile situazione di stallo, dove tutto l’imbarazzo o i ricordi spiacevoli davano tregua ai loro possessori e, semplicemente, sparivano, si dissolvevano. Certo, però, non era una cosa destinata a durare, e a Jane sembrò che passassero anni prima che quel silenzio si interrompesse.
-Mi manchi, Jane – sussurrò lui, ad un certo punto. Lo disse con un tale livello di sofferenza sincera nella voce che sembrava una spugna impregnata di dolore.
Jane ne fu scossa, intimamente. Era come se avesse parlato non al guscio che lei aveva al di fuori, bensì a tutto ciò che lei teneva dentro, serbato dentro di sé così stretto da essere ormai impenetrabile. Con una sola frase, così piccola da sembrare insignificante, Malcolm aveva sgretolato tutte le finte difese che aveva eretto negli anni, con una fatica atroce ma anche una debolezza incurabile.
Forse era la situazione fine a sé stessa ad aver reso spaventosa l’eco di quella confessione, ma anche la disarmante sincerità con cui l’aveva resa partecipe delle sue ansie. Si era esposto: era vulnerabile e sofferente quasi come lei.
Esisteva davvero qualcosa con cui replicare? La ragazza non ne era affatto sicura, ma in fondo al suo cuore sapeva che le cose da dire in quel caso erano davvero poche. Malcolm si era esposto, era stato sincero, aveva sviscerato il suo io più profondo per farle capire quanto davvero fosse stato sconvolto dagli eventi, e lei doveva per forza ricambiarlo con la stessa dose di rispetto.
-Anche tu – disse, in un soffio. Ma anche le sue parole galleggiarono nell’aria tanto prive di consistenza da dare l’impressione di non essere state dette. Il silenzio che seguì quell’affermazione accentuò l’impressione di essersi immaginata tutto, e di non aver detto nulla.
-E allora…perché? Perché non sono stato capace di renderti felice, Jane? – domandò. Non c’era affatto curiosità nella sua domanda.
Il modo in cui pronunciò il suo nome la spogliò completamente non solo degli abiti, ma anche di qualsiasi difesa emotiva avesse contro il mondo intero, sventure incluse. Divenne così fragile in un solo momento che quasi si pentì di aver risposto alla chiamata, quella sera, e di aver abbandonato Kim con quell’uomo dal camice bianco.
-Non…non dire così – disse. – Sei importante, per me, come nessuno lo è mai stato.
-E allora cos’è che è andato storto? – chiese ancora, fissandola.
-Questo presuppone che ci sia stato qualcosa da rovinare – osservò Jane. Per un attimo avesse sperato che il ragazzo abbandonasse il discorso e lo lasciasse cadere nei meandri della dimenticanza, ma non era affatto possibile.
-Vero – ammise il ragazzo, a fatica.
Lei non aggiunse altro. Si era illusa che la replica sarebbe stata diversa, che Malcolm cercasse di difendere il sentimento che li aveva legati fino a poche settimane prima, che non si limitasse a riconoscere nella ragazza la verità di aver sviscerato il passato, ma che negasse la sua affermazione e che urlasse che aveva sbagliato, che qualcosa di meraviglioso li aveva veramente coinvolti. Non dicendolo sembrava quasi che non esistesse, e valutò l’idea di rimanere in silenzio per sempre. Poi, però, si decise a parlare, giusto per fare in modo di mettere chiarezza nella propria testa e ordinare i pensieri.
-Ecco…credo dipenda molto da me, sai? Per anni non ho voluto alcun contatto con le altre persone, quindi è stata una sopresa sentirmi così in sintonia con te. Certo, mi hai visto in momenti pietosi della mia vita, dove ho veramente toccato il fondo…e sappi che ti sarò sempre debitrice.
-Tu non mi devi niente – disse Malcolm, con un sorriso rassegnato.
-Sì, invece – rimarcò la ragazza. –Senza di te non ce l’avrei mai fatta.
-Io non…non ho saputo aiutarti. Da solo sono stato così incapace che hai rischiato di… - voleva continuare a dire, ma gli mancò la forza di pronunciare quella parola specifica, come se portasse in grembo un potere oscuro e pregno di sfortuna.
-Morire – completò Jane, con voce atona. Non si curò della gratitudine del ragazzo nell’aver continuato al suo posto. –Ma sbagli se credi che non sia dipeso da te.
-Non voglio che tu ti creda mia debitrice, né che a legarti a me sia solo una stupida gratitudine.
-E allora cosa dovrei darti, Malcolm? – chiese, sperduta. –Cosa vuoi che mi leghi a te?
Il ragazzo non rispose, impotente di fronte a quell’ennesima frase. Sembrava che Jane si sforzasse di non capire, e non si sarebbe affatto sorpreso di trovarla al suo fianco con le dita nelle orecchie cantando una filastrocca per distrarsi.
Per un istante, lui prese in seria considerazione l’idea di dirle quanto veramente la amasse, come fosse rimasto sconvolto dalla potenza di questo serntimento innegabile, di come non avesse mai porvato nulla di simile per nessun’altro, nemmeno sé stesso, ma alla fine rinunciò. Lei non era pronta ad ascoltarlo, né tantomeno ad accettare quanto lui aveva da dirle; sarebbe stato annientato da una qualsiasi risposta negativa o errata di fronte ad una disperata dichiarazione d’amore, e non poteva sopportarlo. Non in quel momento.
Fu lei, sorprendentemente, a reagire. Gli posò una mano sul braccio, e nei suoi occhi si dipinse una profonda tristezza. Malcolm non riuscì a non guardarli nel profondo, perché quel colore lo faceva impazzire; il suo tocco leggero scottava come il fuoco, e la sua testa prese a vorticare d’emozione vedendo che non ritraeva la mano.
-Io…è stata tutta colpa mia. Non sto scherzando, Malcolm. Ho rovinato tutto. Non puoi sapere quanto mi dispiaccia, ma veramente non sono capace di fare qualcosa di buono. Per me è sempre stato così; uccido il bene nelle persone.
Lentamente, lui le posò una mano sulla guancia, e si stupì di quanto aderisse alla sua pelle morbida. –Non dire così… - sussurrò.
Lei distolse lo sguardo. –Lo so che non vuoi rinunciare alla nostra amicizia…non so come fai a starmi vicino dopo tutto quello che ho fatto…
-Perché, cos’hai fatto, Jane? – le chiese, dolcemente.
-Ci ho allontanati… - mormorò, poco convinta.
Malcolm, con estrema delicatezza, le accarezzò la guancia anche con l’altra mano, prendendole il viso come se volesse veramente guardarla per la prima volta. I suoi occhi incontrarono quello sguardo triste, sperduto, la sua bocca si schiuse in un pallido sorriso di fronte a quelle labbra meravigliosamente screpolate, il suo respiro divenne incosciamente calmo e rassegnato.
-Hai parlato di amicizia – le ricordò.
La ragazza annuì. I suoi occhi sembravano quelli di un cerbiatto smarrito.
-È questo quello che vuoi tra noi? – domandò allora, a voce bassa. Aveva bisogno di un’ultima conferma, della risposta decisiva che avrebbe segnato per sempre la sua idea nei suoi confronti.
Il ragazzo non voleva perdersi in inutili deliri d’amore per lei. Certo, sarebbe stato difficile in caso di affermazione resistere alla tentazione di implorare il suo spirito per un bacio, ma avrebbe resistito. Non avrebbe permesso a sé stesso di infastidire la vita di Jane, già fin troppo complicata dal tempo stesso, con assurdi sensi di colpa; aveva solo bisogno di capire cos’era veramente nei suoi desideri, e si sarebbe svenato per farglielo avere.
Lei tardava a rispondere, ma le sue guance esangui arrossirono, con un colore simile a quello die fiori in primavera.
-Certo, come quello che vuoi tu da me – disse, catturata dal suo sguardo. L’iride così azzurra da sembrare tagliente le stava ferendo l’anima.
Lui, con molta fatica, tolse le mani dalle sue guance. Non sapeva dire cosa provava esattamente in quel momento, ma si accorse con cupa rassegnazione che in fondo se lo aspettava.
Lei, invece, tolse la mano dal suo avambraccio e, senza guardarlo, disse delle parole che lo fecero riflettere.
-E poi tu adesso hai una ragazza, giusto? Non serve che ti preoccupi per me, posso…cavarmela.
-Ragazza? – domandò Malcolm, con tetro divertimento. –E da quando, scusa?
Lei continuava a fissare il muro e ad arrossire, torturandosi le dita delle mani. –Beh, sono sicura che ne hai una.
Il ragazzo sospirò. –Sicura, eh? E cosa te lo fa pensare?
Jane lo guardò, improvvisamente decisa a farlo smettere con quei giochetti mentali. La stava forse prendendo in giro? Era palese che si era innamorato di qualcuna!
-Non lo so. Si può dire che me lo senta.
Lui sollevò un sopracciglio, scettico. –Ma davvero? Le tue doti di preveggente lasciano davvero molto a desiderare.
Jane si stupì del suo tono acido, e ne fu ferita. Ferita perché improvvisamente anche lui andava in cerca di un litigio, di uno scontro, così come lo voleva anche lei. Non si accorse della stupidità del fatto, né di quanto fosse da bambini comportarsi così, ma fu sempre più decisa a continuare e a portare a termine
-Certo, quasi quanto le tue doti di bugiardo! – strillò, piccata.
-Bugiardo? Io non ti ho mai mentito!
-Ah, no? E adesso cosa stai facendo? – commentò con aria di sfida.
-Sto parlando con una ragazzina che deve aver scambiato mia zia Betty per la mia nuova fiamma – disse, gelidamente.
Il suo viso sembrò congelarsi in un’espressione di marmo che lei non aveva mai visto, e che le fece paura. Il volto, ormai, era così freddo nei suoi confronti che le pareva impossibile un qualsiasi riavvicinamento con lui.
Inoltre, anche lo spettro di Betty era stato violentemente ucciso. Non aveva messo in dubbio il suo presentimento nemmeno per un istante, e si trovava ora a dover fare i conti con un sospetto del tutto sbagliato con cui l’aveva caparbiamente accusato, senza avere nessuna prova all’infuori della sua cocciutaggine.
L’aveva persino bollato come bugiardo…come aveva potuto permettersi di fare una cosa del genere? Da quando era diventata una persona così stupida?
-Oh… - disse, confusamente. – I…io…mi dispiace…
Balbettò, per poi recuperare un minimo di lucidità e prendere una decisione. –Scusami, ho bisogno di un po’ d’aria.
Malcolm non disse nulla, semplicemente si scostò per lasciarla passare. Jane, come una vigliacca, aprì la porta dell’ospedale e si mise a camminare, speditamente, verso una qualsiasi porta anti-incendio che potesse portarla fuori da lì. 
  
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