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Autore: snow nymph    22/06/2013    1 recensioni
Jade Williams non ha mai creduto nell'anima gemella, probabilmente perché non è mai riuscita a trovare neanche qualcosa di vagamente somigliante. Ma quando scoprirà che essa esiste, anche se solo nella sua testa, come riuscirà a far combaciare realtà e fantasia?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia ha partecipato ai contest “Impossible Love” e “A Sentence to Dream” sul forum di EFP.






Dream a little dream of me





I've been alone with you inside my mind
And in my dreams I've kissed your lips a thousand times
I sometimes see you pass outside my door
Hello, is it me you're looking for?



1.


E' usanza diffusa credere che ognuno di noi sia destinato a incontrare la propria anima gemella. Quando si è piccoli si perdono ore a fantasticare sul futuro che si avrà insieme alla persona speciale, sull'arredamento della casa in cui andrete a vivere, sul nome dei vostri figli, cose così. E' normale, quasi la prassi. Nessuno pensa mai all'eventualità che l'anima gemella potrebbe benissimo non esistere; o comunque, non essere mai trovata.
Probabilmente perché è un pensiero troppo deprimente anche solo per fargli prendere forma nel retro della nostra mente. A nessuno piace stare da solo nella realtà, figurarsi immaginare di stare da solo anche in futuro; la mente e l'immaginazione sono i nostri porti sicuri, e almeno lì tutto deve poter andare bene. La cosa buona del futuro è che può essere immaginato roseo, limpido e appagante; il problema arriva quando il suddetto futuro si trasforma in presente e ci si rende conto che niente è andato come speravamo.
Era per questo che a Jade Williams non piaceva fantasticare; ci si illude che tutto possa andare bene, e quando ciò non accade si rimane inevitabilmente delusi. Non le piaceva fantasticare sul suo redditizio futuro lavoro, sulla sua numerosa futura famiglia, e meno che mai sulla sua perfetta futura dolce metà. Perché sapeva che, con buona probabilità, non avrebbe mai avuto niente di tutto questo. Da ragazza normale qual'era, impiegata part-time in un caffè, non poteva puntare a molto altro senza l'educazione universitaria che aveva rifiutato di avere, e probabilmente sarebbe finita con un uomo che sarebbe stato carino ma lungi dal modello di perfezione che tutte le altre ragazze pitturano nelle loro fantasie.
Non si deve pensare che fosse pessimista, o che amasse buttarsi giù; solo, le piaceva rimanere coi piedi per terra, in modo da evitare delusioni troppo grandi che non sarebbe riuscita a sopportare.
Fu quel giorno di metà febbraio che, cominciato come ogni altro, portò una nuova concezione della vita a Jade; che le fece capire che non poteva frenarsi sempre per paura di essere ferita, e di impedirsi di godersi le cose che avrebbe potuto avere se solo si fosse lasciata andare, ogni tanto.
Ma cominciamo dall'inizio.


« Salve, cosa le posso servire? »
L'uomo dall'altra parte del bancone fece segno di aspettare, distratto da qualcosa che era comparso sul suo telefono di ultima generazione. Jade aspettò pazientemente che finisse e nel frattempo lo guardava incuriosita e divertita; quel signore avrà avuto almeno settant'anni, eppure smanettava con quell'affare anche meglio di lei.
L'uomo finalmente ripose il telefono in una tasca e alzò gli occhi, degnandola della sua attenzione per la prima volta; alla vista di quella giovane dai capelli color caramello e gli zigomi alti, sorrise intraprendente. « Un cappuccino con panna, mani fatate, per favore. »
Jade trattenne a stento una risata, prendendo l'ordine. « Arriva subito. Vuole accomodarsi? Glielo possiamo portare al tavolo. »
Il vecchietto le sorrise ancora di più, aggiustandosi la giacca di ottimo taglio. « Se non ti dispiace, lo prendo al bancone, così posso godere un po' della tua compagnia. »
Jade frenò l'impulso di alzare gli occhi verdi al cielo. « Sarà pronto in un attimo. »
Quando servì l'ordine al signore, questi si spostò per far avanzare la fila, prendendo posto su uno sgabello. Mentre serviva il cliente successivo, Jade intravide una signora altrettanto arzilla avvicinarglisi.
« Che ci fai ancora qui, Jonathan? » stava chiedendo, la voce acuta. « Sei sempre a guardare le ragazze più giovani. Non vedi che sei tutto rugoso? Non ti vuole nessuno, a malapena ti sopporto io! »
« Piano, Marie, mi fai male... »
« Ti conviene bere quell'affare in fretta e seguirmi, e stai certo che da domani cambiamo posto per prendere il caffè! »
« Ma Marie... »
Jade si girò verso la coppia, con la scusa di dover fare un latte macchiato, e vide la signora prendere letteralmente per l'orecchio quello che doveva essere il marito e trascinarlo verso l'uscita. Jade scosse la testa, un sorriso sulle labbra, e si accertò che l'uomo avesse lasciato i soldi del cappuccino sul bancone. Dopodiché tornò alla fila di clienti, che si era ridotta fino a lasciarne solamente uno; dopotutto l'ora di pranzo era quasi completamente passata e la folla stava cominciando a scemare.
Fu con orrore che vide la sua unica amica e ufficiale piaga della sua esistenza fare capolino dall'altro lato del bancone.
Cat appoggiò entrambi i gomiti sul legno, sporgendosi verso Jade e guardandola con uno sguardo da predatrice.
« Allora, hai da fare questa sera? » disse, senza perdere fiato prezioso in convenevoli stucchevoli come i saluti o i cari vecchi “come te la passi, cara?”
Jade sospirò, alzando gli occhi al cielo nel sentire la medesima domanda che le era stata posta almeno dieci volte nell'ultima settimana.
« No, Catherine, e non ho intenzione di fare nulla, » rispose, finendo di scribacchiare un ordine sul quadernetto e decidendo di non prestare eccessiva attenzione all'amica.
Cat emise un suono sommesso. « Ma perché? Ti giuro che questa volta ti ho trovato il ragazzo perfetto; è intelligente e maturo, ma soprattutto dolcissimo, e ha un non so cosa di... etereo, direi. »
Jade alzò gli occhi dal foglio per guardarla, inarcando un sopracciglio. « Etereo? »
« Sì. Sarà il modo in cui si muove, o i suoi occhi che quando ti guardano sembrano scavarti dentro, non so... »
« Stai parlando di un ragazzo in carne ed ossa o del protagonista di un romanzo Harmony? »
Cat lanciò Jade un'occhiataccia. « Taci. Io mi sto facendo in quattro per aiutarti e tu neanche hai la decenza di apprezzare. »
« Ma io apprezzo » disse Jade, chiudendo il quaderno e lasciando la penna in mezzo, per non perdere la pagina, « dico davvero. Solo, non vedo perché ti sforzi tanto. Ho già acconsentito ad andare a ben tre appuntamenti con questi ragazzi, tutti -a detta tua- bellissimi e dolcissimi, e non ce n'è stato uno che non mi abbia fatto venire voglia di prendere la bottiglia di vino sul tavolo e scolarmela per dimenticare. O spaccarla in testa al tipo, dipende di quale dei tre terribili pretendenti vogliamo parlare. »
« Jade, fai troppo la difficile. Dici sempre di non aver bisogno di un uomo, ma la verità è che cominci a sentirti sola. »
« Io sto benissimo. »
« Davvero? » chiese Cat, guardandola scettica, « che cos'hai nella tua vita? Un lavoro mediocre e poco stimolante, non una famiglia né tanto meno qualcuno da cui tornare a casa la sera. Passi il tuo tempo a fare turni extra che non ti vengono mai pagati e il tempo libero che ti rimane lo occupi a cercare di trovare un lavoro che nessuno vuole darti. Sei infelice, Jade. Non puoi biasimarmi solo perché voglio di meglio per te. »
Jade fissò l'amica stancamente. La verità era che, per quanto la infastidisse sentirsi sbattere in faccia tutto questo, non poteva negare che fosse la verità. A neppure vent'anni si sentiva come se non avesse mai davvero vissuto la sua adolescenza e, ora che ne era uscita, non avrebbe più potuto riaverla indietro. Aveva lasciato la scuola quando i suoi genitori erano morti, tre anni prima, per trovarsi un lavoro e potersi mantenere. Il meglio che era riuscita a trovare era quel posto da barista che pagava a malapena il necessario per poter mantenere il minuscolo appartamento dove viveva in affitto. Inoltre doveva vedere i suoi amici crescere e diventare qualcuno, mentre studiavano o venivano presi come apprendisti da qualche parte, formandosi e accrescendo il loro bagaglio culturale.
E nel frattempo lei rimaneva lì, a pulire i bicchieri e servire ai tavoli. Cat gliel'aveva forse fatto presente nel meno gentile dei modi, ma su una cosa aveva ragione; doveva trovare qualcosa, o qualcuno, per cui valesse la pena tirare avanti.
« Va bene, » assentì Jade, sospirando.
Cat rizzò le orecchie. « Cosa? »
« Va bene, uscirò con questo tizio stasera. »
« Evviva! Non te ne pentirai, Jadie. A casa mia alle sette, stasera; faremo una cenetta a quattro con il mio Mark, così non sarà troppo imbarazzante per voi. »
« Ho l'impressione che lo sarà comunque. »
« Sciocchezze. Mi raccomando, esci da questa topaia non appena finisci il turno e vai dal parrucchiere, scopri quelle gambe e infila un paio di tacchi; ho la sensazione che lui sarà quello giusto. E' un amico di Mark e lo sai che lui ha solo amici belli. »
Jade a quel commento la guardò perplessa; Mark era il ragazzo di Cat e pover'uomo, era sì simpatico e disponibile ma non esattamente quel che si dice un adone.
Oh, si sarebbe pentita di aver accettato di andare a quell'appuntamento al buio, ne era certa.


Le 19:15. Jade imprecò mentre cercava di infilarsi una scarpa assurdamente alta che non ne voleva sapere di entrare, saltellando su un piede da una parte all'altra della stanza. Era già maledettamente in ritardo e per arrivare a casa di Cat ci voleva almeno mezz'ora, traffico permettendo. Posò sgraziatamente il piede a terra e spostò tutto il suo peso su quella gamba finché la scarpa non calzò faticosamente, lasciando un segno rosso sul piede nel punto in cui era stato forzato. Senza curarsene, afferrò il cappotto e le chiavi e volò fuori dal suo appartamento fino ad arrivare in macchina, incespicando. Non voleva dare una brutta impressione di sé arrivando con quasi un'ora di ritardo. E se lui se ne fosse andato, stanco di aspettare qualcuno che evidentemente era così poco interessato ad incontrarlo da nemmeno presentarsi all'appuntamento?
Mentre era al volante, le luci dei negozi che sfrecciavano fuori dal finestrino, Jade si chiese come mai tutto ad un tratto si ritrovava a
volere andare a quell'appuntamento. Probabilmente perché, nonostante non le piacesse illudersi sulle quasi inesistenti probabilità di trovare l'anima gemella, in realtà anche lei voleva trovarla. Chi, dopotutto, in fondo al cuore, non lo desidera?
Certo, sicuramente questo ragazzo non sarebbe stato l'uomo della sua vita, ma se fosse andato tutto bene almeno avrebbe avuto qualcuno. Jade aveva sì i suoi amici, ma loro avevano la loro vita e la loro famiglia di cui occuparsi.
Ma doveva essere sincera, almeno con se stessa: la verità era che Jade voleva essere la priorità di qualcun altro, per una volta. Aveva bisogno di sentirsi indispensabile, che qualcuno avesse bisogno di lei.
Jade fermò la macchina in coda a una ventina di altre auto in fila al semaforo e tirò fuori il cellulare, notando un messaggio ricevuto.
Da: Cat 19.23
Dove sei?
A: Cat 19.26
Sono per strada, arrivo. E' già lì?
Da: Cat 19.26
E' in ritardo anche lui, ma dovrebbe essere qui a momenti. Come sei vestita??
A: Cat 19.27
Abbastanza bene. Dammi informazioni.


Un rumore assordante di clacson informò Jade che le auto davanti a lei si stavano muovendo. Posò il cellulare e ripartì, sperando che Cat avesse scelto bene questa volta; l'ultimo terrificante tipo con cui aveva cercato di combinarla era più basso di lei di tutta la testa e sembrava avere filetti di carota invece di capelli. Inoltre era fissato con i supereroi. A ventinove anni.
Jade scosse la testa, rallentando in vista dell'ennesimo semaforo. Riprese velocemente il telefono per leggere la risposta di Cat, le dita incrociate.

Da: Cat 19.29
Bruce, 22 anni, futuro avvocato, castano, buona famiglia. Non so molto altro, l'ho visto solo una volta alla festa di laurea di Mark.
A: Cat 19.31
Sembra incredibilmente noioso.
Da: Cat 19.31
Ti piacerà. Muoviti!!

Jade sbuffò. Non le aveva detto praticamente niente; stava per scriverle di quanto fosse brutto il nome Bruce, quando qualcuno dietro di lei suonò di nuovo, avvertendola che il semaforo era verde. Il tempo di alzare gli occhi ed era già giallo. Jade buttò il telefono sul sedile del passeggero e rimise in moto; era già in ritardo e ogni semaforo faceva perdere almeno cinque minuti, per non parlare di tutti gli accidenti che le avrebbe mandato quello dietro se avesse fatto passare un verde inutilmente. Jade premette sull'acceleratore e arrivò all'incrocio proprio mentre scattava il rosso; la ragazza poteva quasi sentire le imprecazioni dell'automobilista di dietro. Soffocando una risatina e gettandogli un'occhiata veloce fece per passare l'incrocio, rallentando appena dopo lo sprint al semaforo.
Non si rese conto che l'auto alla sua destra stava arrivando a tutta velocità proprio mentre lei era al centro dell'incrocio; ebbe appena il tempo di capire che una spaventosa jeep le stava finendo addosso, perché subito dopo fu investita da un rumore tremendo e una luce abbagliante.
Dopodiché, il nulla.




Non era buio, per niente. Al contrario, era tutto rosso. Almeno così credette Jade in un primo momento. Poi pensò che forse era giallo, un giallo vomitevole, e probabilmente era quella la ragione del voltastomaco che la stava prendendo e che non faceva altro che peggiorare. Ma poi il giallo si sostituiva al viola, e quel viola le faceva dolere la testa in maniera allucinante. Poi finalmente il viola, da vivido che era, andò attenuandosi, fino a diventare blu notte, e questo le dette un po' di pace. Tanto che si sentì quasi abbastanza in forze da cercare di tornare nel mondo dei vivi.
« ...costole rotte, possibile perforazione di polmone... »
« ...coperto di ustioni... »
« ...l'auto è esplosa? »
Ah, di nuovo il rosso. Jade avrebbe urlato di dolore, se solo avesse avuto abbastanza fiato per farlo. O avesse trovato dove si trovava la sua bocca in quella pozza rossa in cui stava annegando.
« Perché diavolo è sveglia? Svelti, iniettatele quel maledetto coso, il dolore dev'essere- »
Nient'altro. Forse il colore che continuava a vedere era il nero, dopotutto.



Prima di aprire gli occhi, Jade si crogiolò ancora per un poco nella deliziosa sensazione che le stava sopraffacendo i sensi. Era così comoda, e calda. Ma la sensazione di calore era strana, quasi come se fosse indotta da qualcosa, non come se effettivamente l'ambiente attorno a lei fosse caldo.
Jade aprì gli occhi.
Era avvolta in una coperta chiara e leggera ma caldissima, con addosso null'altro se non una vestaglia bianca. Tutto attorno a lei, neve candida. Jade aggrottò la fronte, chiedendosi come facesse a sentire tutto quel caldo.
« Ciao. »
Jade sobbalzò e si girò di scatto in direzione della voce. Lì, appoggiato a una parete di ghiaccio, stava seduto un uomo che la stava salutando con una mano. Jade fece un piccolo passo verso di lui.
« Chi sei? » chiese, guardinga.
Lui alzò le spalle, divertito. « Stavo per farti la stessa domanda. »
« L'ho chiesto prima io. »
« Sasha. »
Jade annuì. « Jade » rispose, e si avvicinò un altro poco. Ora che lo vedeva bene, l'uomo era più che altro un giovane, dai tratti ben definiti ma allo stesso tempo delicati. Sembrava anche molto alto, sebbene in quel momento fosse seduto, la schiena contro la parete.
Jade continuò a vagare con lo sguardo, cercando di capire dove si trovasse; sembrava di essere dentro a un igloo semiaperto, ma non riusciva a trovare nessuna fonte di luce. Era come se il biancore attorno a lei fosse così accecante da illuminare tutto.
Cos'era quel tutto, Jade non lo sapeva.
« Dove siamo? » chiese al giovane, avvicinandosi ancora. Ormai si trovava a pochi passi da lui, che guardò in alto per far incontrare i suoi occhi azzurri con quelli verde scuro di lei.
« Non ne ho idea. Dove siamo? »
Jade lo guardò, perplessa. « Se l'avessi saputo non te l'avrei chiesto, non trovi? »
Sasha annuì. « Suppongo tu abbia ragione. »
Jade scosse la testa per cercare di mettere ordine tra i suoi pensieri. « Fammi capire. Non sai dove siamo? »
« Perché pensi che io lo sappia? »
« Io... » Jade allargò le braccia, incredula, « insomma, eri già qui quando mi sono svegliata, quindi mi sembra logico supporre che tu sappia dove siamo o come ci siamo arrivati! »
Sasha la guardò, tristemente. « Mi dispiace, ma non ti posso aiutare. Per quello che ne so, io sono sempre stato qui. »
Jade batté le palpebre. Quella conversazione non aveva senso, e quello era probabilmente solo un assurdo sogno. Probabilmente in quel momento si trovava in un letto, con un bernoccolo in testa, a riposare dopo l'incidente e questa era la conseguenza della botta presa. Per quello che ne sapeva lei l'incidente poteva addirittura non essere nemmeno successo, e lei si sarebbe svegliata tra poco pronta a iniziare una nuova giornata a lavoro.
« So che sei confusa, » stava intanto dicendo il ragazzo, « ma non ne so molto più di te. Non so molto nemmeno di me, se è per questo. »
Jade stava per aprire bocca per avvertire il tipo di non essere così criptico, quando il bianco svanì e tutto tornò di nuovo nero.

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Jade riaprì gli occhi per ritrovarsi in quella che sembrava essere la parte complementare del posto in cui era stata prima. Se quello era un igloo, questo era l'esterno. Era distesa sulla riva di un laghetto ghiacciato, azzurro chiaro e brillante nei punti in cui i raggi del sole lo accarezzavano. Jade cercò di alzare gli occhi ad esso, ma non riusciva a vedere niente sopra di lei; non un sole, né una nuvola, né tanto meno un cielo.
« Ciao di nuovo. »
Jade si voltò e vide Sasha avanzare verso di lei con le mani nelle tasche dei pantaloni che, neanche a dirlo, erano bianchi. Tutto quel candore stava davvero cominciando a stancarla.
« Perché sono di nuovo qui? »
« Ah, » disse lui, aiutandola ad alzarsi, « mi dispiace, ma temo che potresti tornare a farmi visita per un po' di tempo. »
« Come faccio a farti visita se non so neanche dove mi trovo? »
Sasha si limitò a guardarla con quei suoi occhi tristi.
Jade fece un verso impaziente e decise di lasciarlo perdere, quindi si voltò e cominciò a marciare lungo la riva del laghetto, decisa a farsi per lo meno una vaga idea di dove si trovasse e del perché ci si trovasse.
Fu sorpresa e frustrata di ritrovarsi, poco dopo, allo stesso punto di prima, nonostante fosse certa di aver preso la direzione opposta.
Sasha le rivolse un debole sorriso, quasi di scuse. « Non servirà a molto. »
Senza che potesse farci niente, Jade cominciò a piangere, nascondendosi il volto nelle mani. Dopo un attimo, sentì il ragazzo abbracciarla delicatamente.
« Per favore, dimmi che è un sogno. Che non sono morta. Che è un sogno. »
Sasha non rispose.





  
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