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Autore: Majic    06/01/2008    2 recensioni
Non saprei riassumerla, leggetela e lo scoprirete ;-)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Mary

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                              Per Mary

e chi non smette

Di sognare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La breve storia del bambino che inseguiva le nuvole

 

                                                                                 

 

                                                                               Bedogni Davide

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I

 

 

Era l’alba del 15 di giugno dell’anno 2003.

Il sole stava percorrendo, come ogni giorno, la scalata al cielo, che caccia le tenebre della notte e infonde al mondo di nuovo la vita e la luce. Quel piccolo paesino di montagna era deserto, la gente se ne stava ancora avvolta tra le tiepide coperte, chi sognando e chi semplicemente dormendo. Solo i contadini si apprestavano a uscire di casa per portare le vacche al pascolo. Nella baita, che stava a metà tra il monte e la vallata, abitava un bambino che in paese conoscevano tutti, ma proprio tutti, il suo nome era Tomaas. Aveva 7 anni e frequentava la scuola elementare del paese, era un bambino molto intelligente, purtroppo la sua infanzia fu molto breve. All’ età di tre anni, il padre fu stroncato da un tumore ai polmoni lasciando alla madre il peso di crescere da sola il figlio. Il padre era un gran uomo, in paese tutti lo ammiravano perché era un instancabile lavoratore e anche molto simpatico, uno di quei tipi con cui passare le serate più buie, uno di quelli che dopo una giornata storta ti faceva tornare il buon umore con due battute dette al bancone di un bar. Aveva il vizio di fumare, tanto. Nessuno si stupiva se in una giornata fumasse trenta sigarette, per lui era più che normale. Se ne è andato all’età di 54 anni, lasciando un vuoto incolmabile dietro a se.

Nella baita il silenzio venne rotto dalla voce della madre:

“Tomaas! Svegliati che è ora di andare”.

Tomaas non si mosse dal letto pur di restare tra le dolci braccia delle coperte appena cinque minuti di più. La madre si avvicinò al letto, lo scosse piano, gli tolse le coperte e gli disse con tono affettuoso “Tomaas…devi imparare ad alzarti quando ti chiamo, lo sai che non c’è tempo da perdere…”

E lui con voce molto dormiente “ Si, lo so mamma, ma sono le cinque di Mattina, ed è appena finita la scuola, lasciami dormire almeno un po’…”

“Hai ragione, per questa volta ti do ancora una mezz’oretta di sonno, ma da domani niente più capricci, ok?”

“Ok” rispose Tomaas infilandosi di nuovo sotto le coperte.

La madre uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina per preparargli la colazione.

Dopo appena un quarto d’ora Tomaas si presentò all’uscio della porta con la classica faccia che fanno i bambini, quando vogliono ottenere qualcosa con la propria tenerezza.

“Lo vedi mamma… Adesso che mi hai svegliato non riesco più a dormire”

E la madre si avvicinò a lui, lo prese in braccio e gli disse “Scusa tesoro, ma dovrai farci l’abitudine. Lo sai che mi devi aiutare a pascolare le mucche, ti è sempre piaciuto tanto stare all’aria aperta!”

A Tomaas piaceva veramente tanto stare tra le praterie, si sentiva libero e felice, mentre era abituato a stare chiuso nell’aula a scuola dove non si sentiva né libero, né felice.

“Va bene mamma, mangio e andiamo”

“Bravo Tomaas.”

Tomaas avendo perso il Padre così prematuramente, era maturato molto in fretta, aveva acquisito un senso del dovere e di responsabilità che i suoi coetanei non avevano ancora.

Finì la colazione e uscì di casa con la madre.

 

 

 

 

 

 

 

II

 

 

 

Quella mattina c’era un’aria diversa … Sarà perché era Domenica, sarà perché la scuola era appena finita, ma Tomaas sentiva dentro se qualcosa che si muoveva, un ritorno alla sua terra, il contatto con le bestie, l’aria pura di montagna in primavera lo rendevano felice più del solito.

Il cielo era bellissimo, di un azzurro intenso, non ci si stancherebbe mai di guardarlo. Le nuvole erano bianche e correvano veloci in preda del vento che soffiava forte come se fosse un cavallo imbizzarrito. Il sole appena levato dava un leggero tepore, accarezzava dolcemente la pelle morbida di Tomaas.

Era tempo di lavorare però. La mamma e Tomaas si diressero verso la stalla dove aprirono il portone facendo uscire una ventina di mucche dal manto maculato di un marrone chiaro.

I due arrivarono ad un altipiano dove erano soliti lasciare le mucche pascolare liberamente.

La madre si fermò di un tratto e disse a Tomaas: “Tu rimani qui finché non vedi che il sole sarà dritto sulla tua testa, allora potrai scendere a pranzare. Io intanto torno alla baita… Devo fare da mangiare, preparare gli attrezzi per la mungitura e non posso stare qui con te.

Tomaas la guardò negli occhi e disse: “Ma mamma, io qui da solo non ci sto, ho paura! Vengo con te…”

“No, Tomaas, tu devi portare a casa le Vacche una volta finito il pascolo…Mi devi aiutare… Te l’ho già detto: da quando tuo padre è morto…”

E Tomaas la interruppe dicendo sottomesso: “Lo so, ci dobbiamo aiutare a vicenda… Ma ho paura a stare da solo!”

E la madre: “Non devi aver paura, non ti può succedere nulla qui… Vedrai che il tempo passerà veloce…”

Tomaas era un bambino che capiva al volo le situazioni e disse: “Va bene mamma, ci sto”

“Bravo” gli rispose la madre.

La madre era molto fiera di suo figlio, era consapevole che era un bambino d’oro, ma questa fierezza se la teneva per lei, mai disse alle amiche per vantarsi che suo figlio andava bene a scuola o che l’aiutava nei lavori in casa, queste cose se le teneva per se, e dovrebbero impararlo in molti.

Così la madre voltò le spalle e si diresse verso la baita, lasciando Tomaas in solitudine.

Tomaas rassegnato si coricò a terra, guardando il cielo e pensava… Vide che le nuvole correvano e, non so cosa gli prese, forse un modo come un altro per passare il tempo, o sentì qualcosa dal profondo del suo cuore, ma si mise ad inseguirle. Correva Tomaas, correva per tutto l’altipiano a testa insù, i capelli biondi a baschetto erano mossi dal vento che gli passava in mezzo e i suoi occhi azzurri riflettevano con l’azzurro del cielo quasi fossero una cosa sola. Tomaas si divertiva ad inseguire le nuvole, i suoi occhi erano sognanti, cosa vedesse nelle nuvole nessuno può dirlo, ma era felice.

Il sole era sopra la sua testa, era mezzogiorno ed era ora di tornare a casa.

Tomaas smise di correre, radunò le vacche e le riportò giù alla baita dove la mamma lo aspettava.

La tavola era già apparecchiata, non era imbandita come quella di un re, ma il cibo si avvicinava molto. La madre di Tomaas era una gran cuoca, fin da piccola amava cucinare e questa passione le è rimasta sempre.

Finito di Mangiare Tomaas andò in camera a fare un po’ di compiti, mentre la madre mungeva le vacche nella stalla.

Tomaas non amava andare a scuola, ma sapeva che era il suo dovere, quindi faceva il suo lavoro e non si lamentava più di tanto.

Finiti i compiti spesso andava giù in paese: magari a comprare qualcosa o a trovare parenti e amici.

Queste azioni erano abituali, ogni giorno era uguale all’altro, anche perché in quel piccolo paesino non c’erano tanti svaghi, ma il tempo comunque passava e Tomaas cresceva sereno.

Una notte di settembre però questa routine fu spezzata come un fulmine che rompe un albero secco durante un temporale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

III

 

 

 

Quando la madre andò a svegliare Tomaas, lo trovò steso al suolo immobile. Si avvicinò. Era come morto, sbiancato in volto e freddo. La madre andò nel panico. Lo tirò su con forza e lo rimise nel letto, poi subito chiamò l’ambulanza per portarlo al più vicino ospedale. Prese in braccio il piccolo Tomaas e lo portò fino all’ingresso, in modo da perdere il meno tempo possibile. La stazione della croce rossa era molto vicina, infatti, dopo pochi minuti arrivò davanti alla casetta di montagna, caricarono Tomaas e partirono veloci, giù per la stradina, diretti all’ospedale più vicino.

Arrivarono fortunatamente dopo pochi minuti e Tomaas fu ricoverato d’urgenza.

Gli fecero alcuni Test, ma capirono subito che la causa di tutto era il suo cuore, che per cause sconosciute aveva smesso di battere. Di corsa portarono il corpo del piccolo Tomaas in cardiologia, ove cercarono di riattivare il battito cardiaco con il defibrillatore. Fortunatamente ci riuscirono.

Era passato poco tempo da quando Tomaas entrò in Coma a quando la madre lo trovò, grazie al tempismo impeccabile della madre e della croce rossa i dottori riuscirono a salvare Tomaas.

Furono momenti terribili per la madre, ma la fede verso Dio la rendeva ottimista. Beh, quel giorno Dio ascoltò le sue preghiere.

Tomaas era ancora un po’ sotto shock, quando la mamma entrò nella stanza per parlare con lui.

C’era un gran silenzio nella piccola stanza d’ospedale, i sentimenti, però, coprivano quel silenzio, tanto da poterli quasi toccare con mano. La madre si avvicinò al lato sinistro del letto e si sedette sulla seggiola bianca. I due si guardarono negli occhi, nessuno riusciva ad esprimere i propri sentimenti racchiudendoli in una manciata di parole, ma quel silenzio si esprimeva da solo in tutta la sua tenerezza.

La madre prese la mano al figlio, la strinse forte e disse: “Tomaas” poi si mise a piangere, e intento rideva. Erano lacrime spontanee, vere, e gioiose.

Tomaas la guardò, era ancora un po’ scosso, ma intese bene la situazione e sorrise anche lui.

La madre uscì dalla stanza, i medici dovevano fare degli accertamenti per stabilire la causa del malore. I medici le dissero che Tomaas sarebbe dovuto stare in clinica per almeno una settimana in osservazione. La madre lasciò l’ospedale serena e tornò verso casa.

Il giorno dopo tornò a trovare Tomaas, questa volta era cosciente e riuscirono a parlarsi.

La madre tornò a sedersi sulla seggiola bianca al lato sinistro del letto e disse: “Ciao”

Tomaas rispose sorridendo “Ciao!”

“Guarda cosa ti ho portato” E dalla borsa tirò fuori due piccoli peluche, due orsetti che aveva preso giù in paese.

Poi riprese a parlare: “Questi orsetti sono speciali, portano fortuna, tienili con te e vedrai”

“Davvero?” Rispose Tomaas incredulo

“Si, e poi ti faranno compagnia”

“Sono belli! Li chiamerò Tim e Tom!”

“Si, buona idea” –Rise- “L’abbreviazione di Tomaas!”

“Già” poi Tomaas smise di ridere e chiese: “Mamma, ma quanto devo stare qui da solo?”

La madre per rassicurarlo gli disse “ Ancora qualche giorno, ma non preoccuparti… Non sarai solo, io che ti verrò a trovare spesso e poi ci sono Tim e Tom ricorda!”

“Va bene, ma però salto la prima settimana di scuola vero?” Sorrise.

“Si.” Disse la madre. “Adesso vado a casa, ci vediamo stasera…”

La madre si alzò e uscì dalla stanza.

All’ uscita la stava aspettando un medico. La madre di Tomaas si fermò per sapere la situazione del proprio figlio.

“Signora, lei è la madre di Tomaas giusto?”

“Sì” Disse come se avesse paura di ciò che il dottore le stava per dire.

“Suo figlio è malato al cuore, quando compie degli sforzi intensi il cuore batte molto forte e ciò provoca l’arresto cardiaco, ma non si preoccupi, con determinate precauzioni non avrà problemi…” Affermò il dottore.

“Ma Tomaas non mi risulta che abbia compiuto grandi sforzi…”

“Eppure, non c’è altra spiegazione”

“Capisco. Cosa dobbiamo fare?” Chiese la madre.

“Innanzi tutto, la cosa fondamentale è che non compia sforzi. Questo è importantissimo. Poi le prescriveremo una medicina che dovrà prendere per un anno in modo da evitare ricadute.”

“Va bene dottore lo terrò osservato, glielo dica anche lei a Tomaas”

“D’accordo allora. Arrivederci”

“Salve.”

Il dottore entrò nella stanza di Tomaas e la madre ritornò verso casa.

Tomaas, invece, il pomeriggio prima di stare male ha rincorso le nuvole, è stato quella la causa del suo malore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IV

 

 

 

Il periodo all’ospedale, finalmente, finì, e fu per Tomaas come tornare a vivere di nuovo, come se respirasse aria pulita dopo aver respirato tanto gas. Fu una liberazione.

Il tempo dettava il ritmo della vita di Tomaas, tra scuola, libri e poco altro ancora.

La madre era sempre uguale, il tempo sembrava che su di lei non avesse potere, sempre sorridente, paziente e con tanta voglia di fare.

Tomaas invece stava scoprendo tutto, in fondo, a quell’età c’è tutto da scoprire.

Si era fatto un amico, Luca i due passavano molte giornate assieme: D’inverno spesso si trovavano per svolgere i compiti e poi guardavano assieme i cartoni animati alla televisione, d’estate invece, quando le giornate erano belle, Luca seguiva Tomaas al pascolo.

Gli attacchi di cuore non si ripeterono più, e ormai il peggio pareva passato.

Tomaas sapeva di non dover fare sforzi, si limitò ad eseguire l’ordine e non ci furono problemi di nessun tipo.

Tomaas e Luca crebbero felicemente insieme, erano molto amici. Estate dopo estate, inverno dopo inverno arrivarono alla fine della quinta elementare. Per Tomaas era come un inizio più che una fine, si sentiva più grande, e più forte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

V

 

 

 

Una nuova estate stava per iniziare. Erano le prime luci del 11 giugno 2006, la scuola era finita da un giorno e si tornava sulle praterie a pascolare. Era una bella giornata di sole, c’era serenità nell’aria, il cielo si colorava sempre più di un azzurro intenso, mentre il sole lentamente si alzava. Gli uccellini erano già desti, alcuni di loro già erano a caccia di cibo per i loro piccoli, mentre altri se ne stavano sul nido a cinguettare gioiosamente.

Tomaas come tutte le mattine, dopo aver terminato la colazione si apprestava ad uscire di casa. Davanti alla porta trovò Luca ad aspettarlo. Era venuto senza preavviso, ma a Tomaas fece molto piacere, almeno in sua compagnia la giornata sarebbe stata meno ripetitiva.

Così, i due passarono per la stalla a radunare i bovini, poi con passo sostenuto, si diressero su per l’altipiano. Dopo un quarto d’ora arrivarono.

L’altipiano era sempre lo stesso, gli anni passavano, ma in quel luogo pareva che il tempo si fosse fermato da anni. C’era sempre il piccolo stagno, sempre gli stessi alberi, sempre la stessa erba folta, verde e alta fino alle caviglie. La primavera aveva già portato tanti fiori e nell’ aria c’era un profumo intenso pungente, ma allo stesso tempo infinitamente delicato.

Luca e Tomaas liberarono le mucche, poi si sedettero all’ombra e iniziarono a chiacchierare.

Luca iniziò a parlare: “Che bello…è finita la scuola!”

“Già” rispose Tomaas.

“Adesso ci vedremo più spesso, e possiamo giocare invece di fare i compiti!”

“Beh, ma abbiamo sempre quelli delle vacanze purtroppo”

“Sì, infatti, se ci danno così tanti compiti non si dovrebbero nemmeno chiamare vacanze…” Sbuffò Luca.

“Quest’anno ne abbiamo tantissimi… non credo riuscirò a finirli…”

“Vorrà dire che arriveremo fin dove riusciamo” Disse Luca con tono di superiorità.

“Bravo! Si fa quello che si può”

“Infatti” Rise un attimo, poi riprese: “Guarda cos’ ho portato!” Si gira su se stesso, alza la maglietta di un poco, quanto basta per vedere la cintura “Ma…. Non ci sono!”

“Cosa?”Domandò Tomaas

“Le biglie che avevo portato per giocare!”

“Forse non le hai mai prese” E rise

“No. Le ho prese sono sicuro!”

“Ma non ci sono…”

“Forse mi sono cadute mentre venivamo su…” Ipotizzò Luca.

“Sì non è difficile, siamo saliti velocemente, forse non erano legate bene alla cintura e sono cadute”

“Allora andiamo a cercarle!” Affermò Luca.

“No, vai tu, io non posso venire.” Disse Tomaas in modo un po’ dispiaciuto per non poter seguire il suo amico.

“Perché?” Domandò l’amico.

“Perché devo stare attento che le vacche non scappino…”

“Ma non scappano, vedrai….”

“Non si sa mai… Per sicurezza resto qui, tu vai pure…”

“Va bene. Se lo dici tu”

“Ci vediamo tra poco allora…”Disse Tomaas

“Ok, vado” E tornò sui suoi passi in cerca delle biglie perdute.

Tomaas stette seduto ad osservare il suo bestiame, poi alzò gli occhi verso il cielo.

Vide di nuovo le nuvole, bianche e soffici che correvano come sempre, spinte da un vento forte e perpetuo, che non le dava pace. Si ricordò di quando era piccolo, che passava i giorni ad inseguirle. Era fortemente tentato, sapeva anche che il suo cuore non era molto affidabile, ma sua madre non gli aveva mai parlato di questo come una cosa grave, quindi non gli ha mai dato tanto peso.

Così pensò che una corsettina la potesse fare senza problemi.

Iniziò quindi a correre dietro alle nuvole, come ai vecchi tempi. Per lui correre dietro le nuvole era più di un gioco, era correre dietro ad un sogno, un sogno che pare vicino, ma irraggiungibile, era come cercare di toccare qualcosa di inarrivabile e questo faceva sognare Tomaas ad occhi aperti.

Non sentiva neanche la fatica, lui correva e basta, felice, senza pensare a nulla, come se in quel momento su quella terra ci fossero solo lui, le nuvole e il cielo infinito.

Corse per un po’… Poi ad un certo punto iniziò a girargli la testa. Si fermò. La testa girava sempre più velocemente. Si sedette sul prato. Il cuore impazzì, batteva come se fosse un cavallo in corsa. Dall’ orizzonte vide sfumare una luce bianca, ma si sentiva bene con se stesso, era contento e il silenzio dei monti lo coccolava come una madre. Si accasciò al suolo senza forze, senza opporre resistenza, e non si mosse più.

Dalla valle si sentì un grido: “Trovate!” Era Luca che aveva trovato le biglie e si apprestava a risalire all’altipiano.

Quando arrivò, notò subito che Tomaas non era più dove lo aveva lasciato, scrutò con lo sguardo tutto lo spazio che aveva intorno a se, poi lo vide, alla sua destra, accasciato a terra. Si spaventò a morte, ma trovò il coraggio per avvicinarsi. Corse verso il corpo di Tomaas. Quando arrivò appresso a lui, subito si accorse che era ancora caldo, sapeva che era successo da poco, e le speranze aumentarono. Mise poi la sua manina sul cuore di Tomaas, non sentì nessun battito, adesso era in preda al panico.

Disperato provò ad appoggiare l’orecchio, ma ancora niente, il suo cuore aveva cessato di battere. Non sapeva cosa fare, provò a sollevarlo, ma era troppo pesante, provò a spingerlo, ma avrebbe impiegato troppo tempo, provò a svegliarlo, ma era tutto inutile. Disperato e in lacrime corse giù a valle verso la casa di Tomaas dove avrebbe trovato la madre.

Bussò alla porta quattro colpi con tutta la sua forza, la madre accorse e gli aprì. Vide Luca afflitto da un forte dolore, e capì subito che era successo qualcosa a Tomaas, le mamme queste cose le sentono subito. Luca gli spiegò tutto velocemente al meglio che poteva, la madre chiamò subito la croce rossa, ma già erano in ritardo e su un altipiano irraggiungibile con l’autoambulanza. La croce rossa chiamò l’ospedale in modo da portare soccorso in elicottero e impiegare il minor tempo possibile.

Mentre l’elicottero partiva, Luca e la madre di Tomaas erano già in cima all’ altipiano che cercavano di svegliare Tomaas con le poche tecniche di pronto soccorso che conoscevano, ma non ci fu niente da fare. Arrivò l’elicottero. Subito il personale di bordo capì la gravità della situazione e nemmeno provarono a soccorrerlo sul posto, ma lo caricarono sul velivolo e partirono per l’ospedale.

Arrivarono, il corpo di Tomaas era già freddo e sbiancato. Era da un quarto d’ora almeno che il suo cuore aveva smesso di battere.

Lo portarono in barella di corsa al reparto cardiologia, il dottore afferrò il defibrillatore e lo utilizzò su Tomaas, più volte, sempre con più potenza, ma il cuore era fermo.

Questa volta, non ci fu nulla da fare. Si tentarono tutte le strade per far tornare a battere il cuore di Tomaas, ma più passavano i minuti e più le speranze si facevano labili e incerte.

Un dottore uscì dalla sala con aria dispiaciuta si avvicinò alla madre e disse: “Abbiamo fatto di tutto… Mi dispiace… Ma per suo figlio non c’è niente da fare” Il dottore parò con tono sommesso, gli dispiaceva molto che una persona se ne andasse ad appena dieci anni e di non averla potuta salvare.

Così il dottore voltò le spalle e tornò in sala. La madre rimase shockata da quelle parole, aveva perso la cosa più grande che aveva al mondo, la cosa più preziosa, la cosa che le riempiva il cuore e le dava la forza per andare avanti. Aveva perso suo figlio, così giovane, così fragile. Scoppiò in un pianto straziato.

Luca era incredulo, non ci credeva ancora, era fermo sulla sedia, immobile, non piangeva, ma quando prese coscienza dell’accaduto anche lui non seppe trattenere le lacrime. Era preso da sensi di colpa, non era riuscito a salvarlo, non era riuscito a portarlo a casa, lo aveva lasciato solo. Non poteva fare più di così, fu fin troppo bravo. Luca perse il suo migliore amico, lasciando un grande vuoto nel suo cuore.

E così un angelo saliva al cielo, un piccolo angelo di soli 10 anni, quel giorno segnò la vita di molte persone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VI

 

 

14/06/2006

Tre rintocchi di campana accompagnavano l’entrata in chiesa della piccola bara, bianca, portata da parenti e amici. La chiesa era piena dentro e c’era anche un gruppo di gente fuori, proprio come si addice all’ addio di una persona importante. Tomaas era importante, nel suo paese lo conoscevano tutti, in una terra di mille abitanti, tutti si conoscono almeno di vista, e la sua morte così tragica, così prematura, aveva commosso tutti, e tutti si erano riuniti al dolore della madre e dei parenti più stretti.

Il parroco iniziò a parlare, in ricordo di Tomaas. Disse le cose che si dicono di solito ai funerali, ma questa volta suonavano con accento diverso, parevano più spontanee e soprattutto più vere. L’ intera chiesa era commossa, in molti non seppero trattenere le lacrime, mentre il prete ripercorreva le tappe della breve vita di Tomaas. Le campane quel giorno suonarono in modo diverso. Non fu sempre la solita cantilena triste, questa volta aveva un’ombra di allegria, come avrebbe voluto Tomaas. Diceva che ai funerali non si deve essere tristi perché una persona è morta, ma si deve essere felici per ciò che ha fatto in vita.

Finita la messa, tutti si diressero verso il cimitero che era a pochi passi, quasi di fronte alla chiesa.

La cassa era portata da cinque persone, tra cui c’erano la madre e Luca, le due persone con cui Tomaas aveva legato di più.

Venne sepolto. Sulla sua tomba venivano portati ogni giorno fiori e dediche dalle persone del paese, ma anche da qualche forestiero che in qualche modo venne a conoscenza della storia.

Ma sulla sua lapide, non fu mai versata una lacrima, casomai sorrisi, se pur forzati, così come avrebbe voluto Tomaas.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO ULTIMO

 

Questa storia parla di un bambino che inseguiva le nuvole. Le nuvole stanno a significare i sogni e le fantasie che ci sembrano così vicine, ma spesso inafferrabili e inarrivabili.

Questa storia parla di un sognatore, che ha rincorso i suoi sogni fino alla fine nonostante sapesse delle conseguenze a cui andava incontro.

Questa storia parla dei bambini, che mi stupiscono sempre con la loro innata fantasia e con la loro capacità di stupirsi davanti alle piccole cose, come le nuvole o i fiori.

Questa storia parla delle nuvole, del sole, dell’ erba, degli alberi, dei fiori e di tutte le cose bellissime che abbiamo davanti ogni giorni, ma spesso ce ne dimentichiamo presi dalla fretta e dallo stress.

Questa storia parla della fantasia che più si cresce e più si perde, mentre invece si dovrebbe cercare di mantenerla il più possibile intatta.

Questa storia parla dei sognatori, questo è palese, Tomaas era un sognatore, come tutti i bambini del resto sono.

Questa storia parla di chi non sogna e suggerisce loro che se ogni tanto chiudessero gli occhi e si lasciassero trasportare dalle proprie fantasie, forse sarebbero un po’ più felici.

Questa storia parla di me, anch’io sono stato un piccolo Tomaas, ma parla anche di tutti voi, perché anche voi lo siete stati.

Questa storia parla delle madri che i figli guardano sempre più sotto una cattiva luce e che invece dovrebbero imparare a capire che i genitori sono coloro che vi vogliono più bene.

Questa storia parla del fatto che dobbiamo imparare a sognare, a viaggiare con la fantasia, a volare su mondi migliori di questo,  stupirci delle piccole cose che abbiamo davanti ogni giorno, dal sorriso di un bambino a una lucertola che prende il sole su un sasso, solo così potremmo essere felici con noi stessi e con tutti, e magari partendo da questo il mondo girerebbe in modo migliore.

 

 

Ringrazio la Mary, che mi ha sostenuto nella stesura di questo piccolo libro.

Ringrazio coloro che non hanno potuto leggere le bozze, ma che mi avrebbero dato un’ appoggio.

Ringrazio chi leggerà questo lavoro indifferentemente dal fatto che lo apprezzi o lo disdegni.

Ringrazio chi mi ha dato l’ispirazione per questo libro, un bambino che ha saputo illuminarmi con un sorriso in una giornata buia.

Ringrazio chi mi sono dimenticato di ringraziare, infondo chi mi conosce sa che la mia memoria non è delle migliori.

 

 

 

 

Spero che questo mio lavoro sia di vostro gradimento.

 

 

 

 

 

Bedogni Davide

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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