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Autore: AsfodeloSpirito17662    22/06/2013    7 recensioni
Doveva ubriacarsi. Non c'era altro modo di affrontare quella grigia, grigissima tragedia. Il punch scivolò giù nella gola che una vera bellezza! Forse un po' troppo bene, tant'è che lo stomaco iniziò a bruciargli come avesse inghiottito un fiammifero. Lasciò cadere il bicchiere di plastica vuoto a terra e si appoggiò al muro durante un giramento particolarmente crudele. Era alla maledetta festa della confraternita dei Camelot, Arthur Pendragon era lì da qualche parte a strusciarsi in mezzo alla bolgia ubriaco come una melanzana e lui, che finalmente era riuscito a trovarsi nello stesso posto alla stessa ora e non perché avevano lezione insieme, era vestito da donna!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Lancillotto, Merlino, Mordred, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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DODICESIMO CAPITOLO


Sguazzare nell'erba bagnata era una delle cose che odiava fare di più e se non poteva chiamarsi amicizia quella, non sapeva cos'altro avrebbe potuto definirsi tale. Era stata costretta a legare i capelli, perché quel tempaccio umido li avrebbe sicuramente ridotti ad una sorta di panettone natalizio, se solo li avesse lasciarti liberi di cadere sulle spalle come al solito. Il grigio scuro del suo trench invernale faceva coppia con lo stesso colore dell'ombrello, che a sua volta si sposava perfettamente con il cielo plumbeo che quel giorno dominava i cieli inglesi.

Ma perché per arrivare alle serre bisogna per forza passare in mezzo all'erba? Visto che c'è, Lake potrebbe anche mettersi a costruire un maledetto sentiero di ciottoli o roba simile!


Ebbene sì, quella mattina Morgana si era alzata con tutte le intenzioni di andare a parlare con quello stoccafisso che era il ragazzo di Gwen. Aveva voluto sempre farlo dal giorno dell'esplosione, ma tra lo studio e Duirvir che la stalkerava, aveva dovuto continuamente rimandare. Com'era ovvio che fosse, Gwen non sapeva nulla di quell'iniziativa (non fosse mai che si potesse pensare che Morgana stesse facendo qualcosa di carino per qualcuno)! Voleva sapere fino a che punto l'instabilità mentale di Lancelot fosse grave e se lo avesse ritenuto sin troppo pericoloso per una come la riccia, avrebbe cercato il modo di farla ragionare e spostare i suoi occhioni cioccolatosi su qualche altro partito; cercare di far allontanare due persone non era forse tra i metodi più ortodossi da adottare in amicizia, ma quello era il suo modo di dimostrare che ci teneva: o lo si apprezzava, oppure no, con Morgana vie di mezzo non ce n'erano.


Quando vide la struttura semi distrutta delle serre farsi sempre più vicina, controllò attorno che non vi fosse quella bestia infernale di Attila. Non le piacevano i cani e dopo aver visto cosa aveva rischiato il sedere di Lancelot per ben due volte di fila, aveva deciso che ancor di più era quel cane a non piacerle. Quando raggiunse l'ingresso delle serre, chiuse l'ombrello e scavalcò i resti della porta, adocchiando il pavimento cosparso di piccolissimi pezzi di vetro; era un miracolo che Lancelot non se ne fosse ritrovato nessuno conficcato negli occhi o nel cervello! Alcune povere piante avevano foglie e fiori bruciacchiati, per non parlare del terriccio costellato di calcinacci ed altre macerie.

Qui dentro è successo l'Armageddon. E Lancelot crede di essere sfigato? Se lo fosse stato sul serio sarebbe stato espulso oltre che morto! Io dico che è maledettamente fortunato!


Il rumore di un martello che batteva attirò la sua attenzione oltre una fila di piante sempreverdi che le nascondevano alla vista una buona porzione di spazio; facendo un cauto slalom tra i resti di organismi viventi, semi viventi, morti o mai vissuti, si avvicinò sino a sporgersi oltre le fronde: Lancelot stava inchiodando alcune tavole di legno, reggendo dei chiodi tra le labbra. Dal modo in cui fissava il martello, con la fronte corrugata, doveva trovarsi in una fase di massima concentrazione.

Il lato malvagio di Morgana iniziò a stuzzicarla.

Quasi quasi gli faccio prendere un infarto mentre cala il martello.

La sua coscienza rediviva cercò di farla ragionare.

Sei qui per Gwen, potrai sempre fare la prepotente in un altro momento.


Con un sospiro, attese che Lancelot ebbe dato un paio di colpi al chiodo puntato sulla tavola, prima di attirare la sua attenzione con un breve fischio. Lake alzò la testa e la osservò sorpreso: era evidente che non l'avesse minimamente sentita entrare. Mise giù il martello e tolse i chiodi dalla bocca.


"Ehi Morgana" esclamò, abbozzando un sorriso, "Cosa ci fai qui?"

Lei si strinse nelle spalle e si guardò attorno con aria piuttosto interessata, cercando di dare una valutazione approssimativa ai danni che li circondavano.

"Passavo per vedere come te la stavi cavando" commentò con semplicità ed allungò la punta dell'ombrello per far rotolare un sassolino poco distante.

Lancelot abbassò le maniche della maglia che aveva tirato su fino ai gomiti e la guardò con un certo smarrimento.


"Davvero?" il suo tono trasudava scetticismo: lui non aveva mai avuto chissà quale grande rapporto con Morgana; lei era semplicemente la sorella di Arthur e l'amica di Gwen.

"Sì" annuì lei, con un sorriso eccezionale, "Ed anche per chiederti cosa diavolo ti passava per la testa quando hai deciso di far saltare in aria questo posto"

Il ragazzo non rispose subito, poiché fu letteralmente ipnotizzato dal movimento sfarfallante che avevano le ciglia di Pendragon Femmina; alla fine, lei fu costretta a schioccargli le dita sotto al naso per riportarlo alla realtà.

"Eh?"

"La serra"

"Eh"

"E' esplosa!"

"Sì..."

"Perché?"


Grattando la base del collo con un mano, Lancelot abbassò lo sguardo e temporeggiò. A qualcuno voleva spiegare le sue motivazioni, perché l'idea che lo considerassero tutti un pazzo esaltato non è che lo facesse urlare dalla gioia.

"Volevo fare... una cosa..."

"Sì, questo l'avevo capito. Che cosa?"

"Una cosa per Gwen..."

"Del tipo farla morire di paura per quello che sarebbe potuto accaderti?"

Morgana alzò l'ombrello e glielo puntò contro il petto come se fosse un'arma; lo sguardo di Lancelot risalì su quello per tutta la sua lunghezza, prima di fermarsi sul volto della sua carnefice: un paio di occhi acquamarina lo fissavano come fosse stato un esperimento da laboratorio.

"Voglio sapere di cosa si tratta Lake e voglio saperlo adesso. Dimmelo!"

Quel tono perentorio e la pressione della punta dell'ombrello sulla pelle, gli fecero inumidire le labbra secche con la lingua e fare un gran sospiro.

"Devo chiederle di sposarmi!"

Morgana restò di sasso. Sgranò gli occhi e schiuse la bocca, completamente sbigottita! Almeno questo finché il cervello non elaborò nello specifico la curiosa scelta di parole che Lancelot aveva deciso di usare.

"Devi?"

"Sì! No, cioè, voglio!"

"Vuoi?"

"Sì!"

"Allora perché hai detto devo?"

"Perché..." si bloccò, non sapendo bene come continuare. Avrebbe dovuto raccontare tutte le vicende mostruosamente assurde che l'avevano portato a prendere quella decisione? Morgana gli avrebbe creduto o l'avrebbe semplicemente trapassato da parte a parte con l'ombrello? E a proposito di ombrelli, quando il suo silenzio si prolungò un po' troppo, la punta tornò a farsi sentire al centro del petto.

"Allora?!" lo incalzò Pendragon Femmina, riducendo gli occhi a due diaboliche fessure.

"Ho fatto un patto con suo padre. Gli ho promesso che l'avrei sposata entro la fine dell'anno ed è quello che intendo fare! Sempre se è ciò che vuole anche lei..."

Deve volerlo. Io la amo, lei è il mio mondo! Se dovesse dirmi di no mi lascerò divorare da Attila. Pezzo dopo pezzo. La mia vita non avrebbe più senso! Non che ora ce l'abbia, certo.


"Hai fatto un patto con quello psicopatico di suo padre? Ma allora non fingi di avere problemi mentali, ce li hai sul serio!"

Lancelot aprì la bocca per dire qualcosa in sua difesa, prima di capire che sarebbe stato del tutto inutile. Quindi la richiuse.

"Così è a questo che servivano i fuochi d'artificio!" ricominciò Morgana, elaborando la situazione con tutti gli elementi raccolti, "Volevi chiederglielo quella sera! Ma qualcosa è andato storto, non è vero?"

Lancelot emise uno sbuffo di risata "Come al solito" aggiunse, facendo della nera ironia, oscura come la notte più profonda.

"E quando intendi riprovarci?"

Tornando a prendere chiodi e martello, Lake le fece segno di avvicinarsi.

"Hai un po' di tempo da perdere? E' una cosa piuttosto lunga..."

"Ho sempre tempo da perdere per questo genere di chicche"

L'informazione è potere!


*


Era diventato un chiodo fisso, da ore non riusciva che pensare a nient'altro. Si stava forse ammalando? Aveva contratto qualche virus virale? Ma sopratutto, esisteva una cura? Guardò ciò che Emrys aveva dentro il piatto, senza vederlo realmente. Al contrario di quello che potreste pensare, ciò che stava martoriando il suo cervello da mattina a sera non era il profumo che aveva sentito il giorno prima; il chiodo fisso che non riusciva a scacciare, sedeva davanti a lui e si stava ingozzando di uova, formaggio e toast alla marmellata.

Lo accusano tutti di non mangiare abbastanza. Il fatto è che quasi nessuno sa la verità. Mangia come un maledetto trita rifiuti e non mette su un grammo. Ma io lo so.


In realtà Arthur Pendragon si era casualmente accorto di sapere un bel po' di cose sul conto di quel Merlin Emrys che il giorno prima se l'era data a gambe levate e quel giorno stesso, quando l'aveva incrociato per i corridoi, l'aveva invitato a fare colazione con lui. Per esempio, Arthur sapeva che Merlin era geneticamente portato ad essere un ritardatario cronico; sapeva che non gli piaceva poltrire troppo a lungo e che pensava molto più di quel che diceva. Arthur aveva scoperto che Merlin voleva riuscire in qualsiasi cosa facesse e l'impegno che metteva nello studio, nell'amicizia, nella vita, era pari a quello di pochissime altre persone. Arthur aveva visto con i suoi occhi come Merlin non sapesse mai dire di no a nessuno, pure se certe volte si faceva un po' pregare; aveva notato come preferisse studiare all'aperto quando c'era il sole e come, a mensa, evitasse qualsiasi tipo di carne e di pesce. Non poteva ancora spiegarsi come facessero le sue enormi orecchie a sembrare così appropriate su quella testa arruffata o come riuscissero a diventare viola in diverse occasioni, ma era un evento che lo affascinava. Aveva notato come Merlin preferisse passare inosservato, piuttosto che essere al centro dell'attenzione; eppure gli piaceva stare in compagnia delle altre persone, fare parte di un gruppo: voleva fare l'uno dei tanti, non il leader. Ad Arthur questa cosa faceva venire voglia di sorridere, perché con le qualità che quell'idiota aveva, avrebbe potuto benissimo esserlo. Un leader, si intende. Eppure con lui aveva sempre recitato la parte del consigliere, dimostrandosi molto più saggio e lungimirante di quanto lui fosse mai stato o avrebbe potuto essere. Emrys non l'aveva mai trattato come 'Arthur Pendragon, il figlio di...' ma sempre e solo come 'Arthur, l'asino imbecille'. Se prima sentirsi dare dell'asino l'aveva irritato (perché non esisteva giustificazione per quel comportamento irriverente nei suoi riguardi), con il passare del tempo aveva visto cosa c'era dietro: una persona che gli diceva ciò che si meritava. Solo sua sorella si era presa tutte le libertà che Merlin si era preso e questo all'inizio lo aveva disorientato. Arthur sapeva che Merlin era un tipo piuttosto mattiniero e che aveva il sottile, sadico piacere di rincoglionire la gente di chiacchiere già dalle sette solo per puro diletto personale. Ma durante il resto della giornata, quando le persone avevano il cervello decisamente più attivo, Merlin smetteva di essere logorroico e spesso parlava solo se interpellato. Arthur aveva notato anche come Merlin prestasse interesse solo allo studio, agli amici e mai alle ragazze e si era chiesto perché.


"Ne vuoi?" domandò il diretto interessato, spingendo il piatto con i toast verso di lui. Pendragon Maschio scosse la testa e si rigirò tra le mani la tazza di caffè.

"Sicuro? No perché li stai fissando da tipo dieci minuti"

"Mi ero solo incantato..." si giustificò allora, mandando giù un sorso della bevanda divenuta tiepida.

"Su cosa?" domandò Merlin, cercando di ficcare almeno mezzo toast tutto nella bocca. Arthur lo guardò con le sopracciglia inarcate, non sapendo se cedere e mettersi a ridere oppure provare sempre più inquietudine per la quantità assurda di cibo che quell'essere riusciva ad ingurgitare.

E' quasi peggio di Gwaine... Quasi, perché quello lì non potrà mai essere superato in nessun modo. Non da altri esseri umani per lo meno.


Con le guance gonfie come quelle dei criceti Merlin lo fissò, masticando allegramente come fosse solo al primo boccone.

"Non puoi pretendere di avere una conversazione con me se hai quella faccia!" Arthur voltò la testa da un lato e Merlin non capì perché sembrasse così a disagio.

"Quafe faffia? Quefta è la mia faffia! Non ho affe faffe!"

"Non parlare con la bocca piena, stai sputacchiando!"

"E fu non mi offenfefe!"

"Che cosa?! No, aspetta, non voglio saperlo! La vista di quello che stai masticando mi è già bastata"

A quel punto Merlin appoggiò i gomiti sul tavolo, sorresse il mento con i palmi delle mani e lo fissò apertamente, con un'insistenza imbarazzante; le dita lunghe racchiudevano le guance gonfie di cibo e le palpebre si chiudevano a malapena.

E ora che gli prende? Perché si è imbalsamato?!


Per riflesso Arthur si tirò indietro con la schiena e lo guardò di rimando con fare guardingo.

"Che c'è?!"

"Non lo fo, diffelo fu" rispose Merlin, prima di inghiottire parte del malloppo e ritornare quindi ad avere una faccia un po' meno deforme.

Pendragon Maschio sentì l'impellente desiderio di ribaltare il tavolino, afferrarlo per i capelli e scrollarlo come un lenzuolo.

Io dovrei essere quello che dovrebbe dire cosa c'è che non va? IO? Se vuol mettere alla prova la mia pazienza ci sta riuscendo!


Merlin sembrò intuire i suoi pensieri solo guardandolo, perché smise di masticare e fece finta di interessarsi alle mosche che volavano fuori la finestra vicina. Purtroppo per lui, che per l'ennesima volta si era scavato la fossa da solo, Pendragon Maschio non era tipo da lasciar perdere le cose; se all'inizio lo aveva fatto, aveva poi deciso che continuare con quella politica non gli stava più bene. Arthur mise su un'espressione da gnorri totale e ripagò il moro con la stessa moneta: iniziò a fissarlo insistentemente, come cercasse di trapanargli il cervello. Il suo sguardo divenne talmente intenso che Merlin iniziò ad avvertire un leggero pizzicore all'altezza della tempia destra. Cercando di risultare più casuale possibile, gli lanciò un'occhiatina con la coda dell'occhio e ciò che vide sul volto dell'altro gli creò un sacco di disagio. Quando tornò a guardare le mosche fuori dalla finestra, si guadagnò un secco e risentito calcio sotto il tavolo, che lo beccò dritto sullo stinco. Merlin spalancò gli occhi e lo guardò con viva indignazione.


"Ahio!" esclamò scioccato, non credendo a quello che era appena successo.

"Stai prendendo la brutta abitudine di ignorarmi e la cosa non mi piace" lo sovrastò allora Arthur, incrociando le braccia contro il petto, "Nessuno può ignorarmi. Fino ad ora ho cercato di essere gentile, mi sono limitato alle parole. Adesso, per ogni volta che farai finta di niente quando ti chiederò qualcosa, verrai maltrattato. A te la scelta, Merlin"

Se possibile, gli occhi del moro divennero ancora più grandi ed Arthur cercò di imitare la sua assurda espressione facciale, tanto per rimarcare il fatto che no, non stava scherzando.

"Perché te la stai prendendo con me ultimamente?" domandò allora, massaggiando il punto che Pendragon Maschio aveva colpito.

"Perché non vuoi dirmi il motivo che ti spinge ad avercela tanto con me" replicò l'altro, come fosse la cosa più ovvia del mondo, spalancando le braccia con eloquenza.

Merlin raggrumò le labbra e schioccò la lingua sul palato: "Fai così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi amici?"

Arthur aprì la bocca per rispondere, poi si rese conto che non sapeva cosa rispondere, quindi la richiuse. Fissò il moro con un'espressione piuttosto interdetta e sentì la ruota del criceto che aveva nella testa al posto del cervello, iniziare a cigolare.(1) Era mai stato così insistente con altre persone? La risposta che gli balenò per prima, lo fece muovere a disagio sulla sedia, come avesse le pulci.


"Merlin!"


Distolti entrambi da quell'analisi clinico-psicologica appena improvvisata, voltarono la testa per adocchiare una sorridente Gwen fare slalom in mezzo ai tavoli per raggiungerli. Merlin alzò un mano sventolandola in sua direzione e le sorrise, Arthur invece le fece un cenno con il mento. Quando la ragazza si fermò accanto al loro tavolo, li squadrò entrambi con aria un po' titubante. Portava i capelli raccolti e qualche ricciolo sfuggiva all'acconciatura, andandole ad accarezzare i lineamenti gentili del volto.


"Disturbo?" esordì lei, afferrando la cinghia della borsa con entrambe le mani.

"No figurati" rispose Merlin, spostando immediatamente la sedia all'indietro per evitare di ricevere altri calci da Pendragon Maschio. Quando lo guardò infatti, incrociò un paio di occhi minacciosi. Gwen corrugò le sopracciglia e restò qualche attimo ad osservare quella battaglia silenziosa, prima di schiarire la gola.

"Arthur, avrei bisogno di parlare con Merlin, ti dispiace?"

Smamma, sto lavorando anche per te! Sono qui in veste di ultimatum!


Il biondo alzò la testa e scrollò le spalle "Certo che no, fai pure!"

Quando restò seduto, limitandosi ad indicarle la sedia vuota, Gwen schiarì la gola ed incespicò un po' nelle parole.

"Emh... intendevo da sola..."

"Ah..."


Merlin iniziò a tamburellare le dita sul tavolo, fissando Arthur come fosse improvvisamente diventato un elefante gigante e rosa. Pendragon Maschio cercò di fare la parte del sostenuto, ma gli occhi azzurri del moro non si scollavano da lui e gli stavano comunicando con molto sentimento di andare a farsi una passeggiata. Una passeggiata lunga. Dopo lunghi istanti di silenzio, durante i quali Gwen pensò bene di non proferire parola (era piuttosto certa che fossero nel bel mezzo di una comunicazione non verbale), alla fine Arthur fece strusciare rumorosamente la sedia sul pavimento e si alzò in piedi tutto impettito.

"Me ne sto andando" si scollò dal palato, raccattando la borsa con l'aria di un nobiluomo che era stato appena scartato in favore di un plebeo.

"Scusami Arthur, è una cosa piuttosto personale, non ti offendi vero?"

Lui guardò il punto in cui la mano di Gwen gli aveva fatto una carezza ed arricciando le labbra, completò l'opera di indignazione: adesso sì che sembrava un bamboccio a cui era stato appena tolto il giocattolo! Aprì bocca per rispondere piuttosto falsamente, ma Merlin lo precedette.

"No che non si offende, sono sicuro che Pendragon avrà un sacco di cose da fare. Vero?"

Quando Gwen spostò lo sguardo sul volto del suddetto interessato, lo vide inspirare silenziosamente e a fondo.

Oddio come vorrei saper parlare il non verbalese! Che cosa si stanno dicendo?!


"Certo" si risolse infine il giovin ciuchino, "Allora ci vediamo dopo Emrys"

Chissà perché a Gwen suonò un po' come una minacciosa promessa. Quando si accomodò al tavolino, aspettò che Arthur si fosse allontanato e solo a quel punto, alzò gli occhi dalla gonna per scoprire che Merlin la stava già osservando con malcelata curiosità. Il ragazzo stesso fece altalenare per qualche volta gli occhi da lei ad Arthur, come stesse valutando qualcosa.

"Deve essere importante, se hai aspettato addirittura che fosse fuori portata di orecchie" commentò ad un certo punto, quando fu abbastanza sicuro delle sue supposizioni. L'amica gli indirizzò un piccolo sorriso e si strinse nelle spalle.

"E' perché si tratta di entrambi" rispose lei, forse iniziando un po' timidamente, ma acquistando via via un acceso coraggio. Merlin corrugò la fronte e la guardò con la faccia a forma di punto interrogativo. In realtà Gwen aveva di nuovo quella espressione, la stessa che aveva la sera della prima festa, quella che non gli piaceva e che ogni volta riusciva a farlo sudare freddo.

Sapessi le domeniche d'agosto quanta neve che farà... Io lo so. Mi fa sudare di un freddo certe volte che mi pare di essere al Polo.


"Definisci entrambi, per favore" il tono cauto che Merlin utilizzò, bastò da solo a far apparire un'espressione greve sul volto della ragazza.

"Merlin, se sono qui a dirti queste cose sappi che è perché sono tua amica e ti voglio bene. Il fatto che tu potresti pensare il contrario, non mi disturberà perché so che non lo penserai davvero"

Ecco la storia di come mi guadagnai un posto tra gli impiccati di Paint. Spero di poterla raccontare ai miei figli un giorno...


Il moro sentì di botto la gola seccarsi e una specie di vuoto al posto dello stomaco, come una voragine abissale. Guardò Gwen con occhi piuttosto penetranti, cercando come di trapanarle il cervello per scoprire da solo cosa ci fosse dentro la sua testa. Istintivamente strinse le mani attorno alle posate e restò immobile come una statua di sale. Gwen lo fissò di rimando, unendo le labbra in un'unica linea sottile. Sentiva il peso dello sguardo di Merlin, peso che ad un certo punto la spinse di nuovo a parlare o avrebbe perso coraggio e si sarebbe data alla macchia.

"Voglio che confessi ad Arthur la verità"


Come c'era da aspettarsi, Merlin scoppiò a riderle in faccia.

"Per la miseria Gwen, ci avevo quasi creduto, ma che cavolo!" esclamò infatti, non credendo ad una singola virgola di ciò che lei aveva detto. Tuttavia, quando il ragazzo notò che l'amica non rideva con lui e anzi, si era fatta se possibile ancora più seria, i muscoli del sorriso gli si congelarono sulla faccia e restò lì a fissarla come un cretino, le labbra ancora tirate e plastificate nella stessa posizione, con le rughette ai lati degli occhi. Sembrò passare un tempo infinito, durante il quale Merlin rimase come uno stoccafisso a guardare Gwen e lei ebbe l'impressione di stare osservando una fotografia fatta persona, tanta era la sua perfetta immobilità.

Adesso gli metto le dita sotto il naso per vedere se respira ancora...


"Merlin..." iniziò ad un certo punto la poveretta, non potendo più sopportare quella specie di teso silenzio che li aveva avvolti come una spirale.

"Che diavolo ti salta in testa?"

Poche volte in vita sua Gwen aveva sentito Merlin sibilare... quel giorno, era una di quelle. Lei lo guardò con decisione, cercando intimamente di aggrapparsi a quella misera quantità di coraggio che aveva racimolato per andare a parlargli. Drizzò la schiena, volendosi dare una parvenza autoritaria e gli piantò gli occhi addosso, con l'aria di qualcuno che non voleva essere contraddetto.

"Hai sentito benissimo Merlin. Confessa ad Arthur la verità!"

O interverrò a modo mio!


"Tu sei matta! Non l'ho fatto fino ad ora, cosa ti fa credere che lo farei proprio adesso?!" sbottò lui, rintanatosi già sulla difensiva. Aveva lasciato cadere le posate nel piatto vuoto e si era allontanato dal tavolo, come a non volerlo nemmeno toccare.

"Perché sai che i miei consigli sono giusti e saggi, sai che voglio solo il tuo bene e che non hai un motivo reale per non farlo!"

"Ah, non ce l'ho? Parli sul serio o almeno questo è uno scherzo?"

"Parlo sul serio, stupido! Sono tua amica Merlin e non sopporto di vederti stare male per uno addirittura più cretino di te!"

Merlin strabuzzò gli occhi, sembrando esattamente come un Bambi sorpreso dai fari di una macchina.

"Sei venuta a parlarmi per offendermi?"

"No, razza di idiota! Lo vedi che sei te a tirarmi fuori gli insulti?! Sono venuta a parlarti per cercare di farti ragionare!"

E per evitare di essere costretta a fare una cosa alle tue spalle.


"Fiato sprecato Gwen" esclamò allora il moro, alzandosi dalla sedia con risolutezza, "Non tornerò sulle mie decisioni. Direi che ho già fatto abbastanza"

Quando l'amica prese fiato per rispondere, lui le si allontanò senza neanche aspettare di sentire che cosa aveva da dire. Lei richiuse la bocca ed abbassò la testa con aria sconfitta, il tutto accompagnato da un sospirone di quelli di natura esistenziale.

Bene Gwen, direi che è andata egregiamente. Sei stata davvero molto convincente, ti meriteresti un premio come migliore amica dell'anno.


Aspettando soltanto di racimolare i cocci dei propri buoni propositi dal pavimento, si alzò in piedi e per istinto, indirizzò gli occhi al di fuori di una finestra vicina; non appena lo fece, vide scattare verso il basso una zazzera di capelli biondi. Restò lì ferma in piedi un po' spiazzata e sbatacchiò le palpebre, cercando di capire se avesse avuto un'allucinazione o meno. Le bastò aspettare un altro po', per scoprire che ci vedeva ancora bene per fortuna. Non appena Arthur notò che lei stava ancora guardando verso la sua direzione, si rituffò verso il basso, sperando che Gwen non si fosse veramente accorta di lui; quando le ante della finestra si aprirono sopra la sua testa, seppe che non gli era andata così bene come aveva sperato.

Ovviamente.


"Sul serio, Pendragon?" sentì la voce di Gwen chiedere e si vedeva come stesse trattenendo a stento le risa. Arthur alzò il viso verso di lei, ancora accucciato per terra contro le mura della scuola e la guardò come non avesse nessuna colpa.

"Sul serio cosa?" domandò infatti, con una tale nonchalance che ci sarebbe stato da iscriverlo all'accademia di arti drammatiche. Lei appoggiò i gomiti sul davanzale e si sporse con un sorriso un po' furbo.

"Ci spiavi dalla finestra?"

"Spiarvi? Io? Che? Cosa? No, io non- cosa? Ma che! Cioè!"

"Perché ci spiavi?" rincarò la ragazza, ignorando bellamente le sue farneticazioni. A quel punto Arthur si alzò in piedi superandola in altezza (le finestre al pian terreno della scuola erano davvero molto basse, quasi raso terra). Muovendo una gamba dopo l'altra, scavalcò il davanzale dove era prima appoggiata Gwen e si ritrovò di nuovo all'interno del bar. Non si accorse della luce un po' inquietante che era apparsa all'improvviso negli occhi scuri della ragazza, troppo impegnato a cercare una giustificazione.


"Non stavo spiando voi. Cioè, sì ma no. Nel senso, ho bisogno di parlare con Emrys non appena possibile e stavo solo controllato quand'è che avresti finito con lui, tutto qui" si risolse a dire, finendo a schiarirsi per parecchie volte la gola. La riccia iniziò a trafficare con la borsa e si stampò sulla faccetta angelica un sorriso un po' saputo.

"Certo, come vuoi" lo accontentò con una certa accondiscendenza, considerando che al momento non le interessava battere chiodo su quel discorso. Ad un certo punto prese Arthur a braccetto e gentilmente diresse entrambi verso l'uscita del bar. Il biondo si lasciò guidare senza fare storie, dal momento che Gwen intavolò subito una conversazione.

"Spero tu non ti sia offeso per prima, sai... E' che ultimamente parlare con Merlin sembra essere diventata un'impresa! E' così sfuggente..."

Il biondo rise seccamente, scrollando la testa.

E a me lo dici?!


"Tu sai per quale motivo?" le chiese invece, approfittando di quell'occasione per indagare attraverso altre fronti. Gwen raggrumò con dispiacere le labbra e scosse i riccioli scuri in segno di diniego. Prestando molta attenzione a ciò che faceva, fece scivolare qualcosa all'interno della borsa di Arthur.

"Mi duole ammetterlo ma da qualche tempo faccio fatica a farmi raccontare le cose. Eppure vedo che con te passa un sacco di tempo. Non ti ha detto niente?"

"Mh" mugugnò l'altro, arricciando la punta del naso, "Mi piacerebbe poterti dire di sì per tranquillizzarti, purtroppo temo di essere messo peggio di te. Certo che a volte è veramente difficile capire che gli passa per la testa, vero?"

A quel punto Gwen rallentò il passo fino a far fermare entrambi in mezzo al corridoio. Con un sorriso morbido sulla bocca gentile, si posizionò davanti al biondo ed appoggiò con dolcezza le mani sulle sue spalle.

"No Arthur, non lo è. Basta saper guardare, sempre che tu voglia farlo"

Nonostante lo sguardo totalmente smarrito che ricevette come risposta, la ragazza non aggiunse nient'altro e dopo aver lasciato una carezza sul braccio di Pendragon, preferì continuare da sola verso la prossima lezione, il sorriso che da gentile aveva assunto sfumature di soddisfazione.

Fatto il misfatto.


Arthur restò lì, impalato in mezzo al corridoio, gli occhi ancorati sulla schiena di Gwen che si allontanava. Sembrava che tutti sapessero qualcosa che lui non sapeva, ma nessuno aveva intenzione di dirgli cos'era.

Perché? Cosa dovrei capire da solo?


L'argomento principale era sempre Emrys. Forse la risposta si nascondeva già tra le righe e lui era stato semplicemente poco attento. Corrugò la fronte, ripensando piuttosto sommariamente a tutto il tempo che aveva passato in compagnia dell'amico. Era certo di aver notato un sacco di cose sul suo conto, cose che probabilmente non tutti avrebbero colto. Era sicuro di essere stato attento, molto attento. Cosa gli era sfuggito? L'aveva osservato con particolare interesse sin dal primo giorno che l'aveva conosciuto, perché i suoi modi di fare avevano destato in lui una certa curiosità.


"Fai così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi amici?"


La domanda che Merlin gli aveva fatto qualche istante prima dell'arrivo di Gwen, tornò a galla come un pugno nello stomaco. Arthur compì qualche lento passo lungo il corridoio, quasi senza accorgersene, troppo preso da un pensiero che via via andava formandosi nelle nebbie di Avalon che gli avviluppavano il cervello sin dalla nascita. Non era mai stato molto bravo a capire certe cose.

No, dovette ammettere (e se davvero voleva giungere ad una conclusione, la sincerità era essenziale), non mi sono mai comportato così con nessuno.

Con nessuno tranne Mithian.

Sì, ma Mithian poi è diventata la mia ragazza.


Dovette fermarsi in mezzo al corridoio di nuovo, perché la piega che stavano prendendo le sue considerazioni avrebbe potuto portarlo a dei risvolti che non aveva mai osato neanche immaginare. Mithian era stata la sua ragazza durante i primi due anni di college. I loro caratteri un po' troppo dominanti li avevano poi portati a rimanere solo amici, ma all'inizio Arthur l'aveva letteralmente martoriata, pur di indurla a stare con lui; l'aveva esasperata nello stesso identico modo in cui stava facendo con Merlin.

All'improvviso tutto il suo malessere, tutto il suo disappunto alla sola idea che Emrys potesse ignorarlo, che potesse non voler avere più niente a che fare con lui, acquisivano un senso.

La risposta a come facesse quell'essere dalle orecchie enormi ad avere tutta quell'influenza sul suo umore e sulle sue decisioni, si trovava in una conclusione così stupida e logica che Arthur quasi si diede dell'imbecille per non esserci arrivato prima.

Ma se si fosse dato dell'imbecille sul serio, avrebbe quasi ammesso una cosa che non era vera.

E Merlin era un ragazzo.

E di certo non voglio che stia con me in quel senso...


Non avrebbe mai potuto provare niente del genere per un altro uomo.


"Fai così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi amici?"


O forse sì?


*


Morgana era rimasta completamente stupefatta dalla mente machiavellica dell'insospettabile Lancelot. Si era fatta raccontare per filo e per segno com'è che il ragazzo intendesse proporsi nuovamente a Gwen e il piano strabiliante che quel pazzo suicida aveva ideato, non avrebbe saputo attribuirlo neanche ad una immaginazione romantica tanto quanto lo era stata quella di Shakespeare. Lake era veramente cotto come una pera della sua ragazza: ogni volta che parlava di lei i suoi occhi iniziavano a luccicare e i suoi feromoni spargevano talmente tanto amore nell'aria circostante, da renderla satura di positività (e metteva a rischio di diabete chiunque si trovasse a vicinanza inferiore ai cinque metri). In quel modo tuttavia, Morgana aveva ricevuto la conferma che si era aspettata e cioè che Lancelot non avrebbe mai fatto (intenzionalmente) del male alla sua pasticcina. Non che andasse bene quando era lui a farsi del male, intendiamoci, ma ciò che stava a cuore di Pendragon Femmina era l'incolumità della riccia in primis.

Ritenendosi piuttosto soddisfatta da ciò che era riuscita a spillare da Lake, aveva lasciato le serre un po' più tranquilla e si era diretta ai dormitori femminili di Albion per recuperare una cosa che non le apparteneva.

Sì, l'aveva fatto e no, quella non voleva essere un'ammissione di interesse nei riguardi di Duirvir.

Aveva lavato la sua stupida maglietta soltanto perché era stata lei a sporcarla.

E dato che sono una ragazza educata, ho ritenuto giusto rimediare al danno che io stessa ho causato, tutto qui.


Seduta sul letto, ripiegò con cura l'indumento e lo infilò in una borsa; gettò uno sguardo fuori la finestra, notando nubi sempre più scure gettare sul college un'atmosfera quasi notturna. Si alzò in piedi allora e dall'armadio andò a recuperare una giacca con il cappuccio, perché proprio non le andava di portarsi dietro l'ombrello; sarebbe stata solo questione di qualche minuto e dopo aver riconsegnato a quel demonio di Duirvir i suoi averi, sarebbe tornata in camera a studiare. Tornando verso il letto prese la borsa con dentro la maglia ed uscì dalla stanza, già cercando dentro la tasca dei jeans il suo cellulare. Per il corridoio incrociò un paio di ragazze con le quali scambiò un criptico saluto e cercò in rubrica il numero di quel demente. Non fu difficile trovarlo in realtà, considerando la quantità assurda di messaggi con i quali le aveva intasato il telefono; le labbra tentarono di arricciarsi verso l'alto ma i denti le trattennero perché no, non era affatto divertente. Quando appoggiò il cellulare all'orecchio in attesa che Mordred rispondesse, iniziò a scendere le scale saltellando. Un lampo illuminò all'improvviso la tromba delle scale, seguito subito dopo da un roboante tuono, che non fece presagire nulla di buono.

"Dai, rispondi diamine!" borbottò lei a quel punto, ansiosa di concludere in fretta la faccenda per evitare di beccarsi un'acquazzone in piena regola. Quando la voce di Mordred pronunciò un 'sul serio sei te che chiami me?', Morgana si limitò a dire "Era ora!"

Lo sentì ridere tutto allegro e gaio; lei arrivò in fondo alle scale, ritrovandosi nell'androne principale, che era una sorta di saletta dove tutte le ragazze della confraternita potevano riunirsi per fare due chiacchiere.

"A cosa devo tale onore Banshee?"

"Alla tua stupida maglietta pulita. Se la rivuoi, ci vediamo tra cinque minuti in biblioteca. In ogni modo, se non sarai puntuale te la lascerò lì, fai un po' te"

"Agli ordini generale! Quanto sei dolce, l'hai lavata sul serio!"

"Cos'è quel tono sorpreso? Sono educata, non dolce. Evita di utilizzare certi termini sminuenti con me, per piacere"

"Preferiresti Banshee o Fragolina?"

"Ma quanto ti piace rischiare la vita da uno a dieci?"

Questa volta i denti non fecero in tempo a bloccare le sue labbra, poiché si incurvarono irrimediabilmente verso l'alto. Scosse la testa raggiungendo la porta del dormitorio e nel momento in cui la aprì, i lunghi capelli scuri vennero mescolati dal vento. Mordred tornò a ridere allegramente e lei avvertì in sottofondo una porta che si chiudeva.

"Che dire, il brivido del rischio è un richiamo che non posso ignorare!"

"Prima o poi sarà anche la causa della tua rov-"

Morgana non fece neanche due metri.

L'ultima cosa che vide, fu un non so che di rosso scattare verso di lei, poi tutto si spense e il cellulare cadde a terra.


Mordred dall'altro lato, aveva udito un colpo secco nel momento stesso in cui la ragazza si era zittita e anche lui a quel punto era diventato silenzioso.

Duirvir si fermò nel bel mezzo del parco, venendo preso in pieno sul naso da una goccia grossa con un'unghia.

"Morgana?" la chiamò, con una certa titubanza. Uno strano senso di inquietudine accelerò i battiti del suo cuore; un'altra goccia d'acqua cadde dal cielo e si insinuò nello scollo della maglia, percorrendo la sua schiena. Mordred rabbrividì dal freddo e strinse il cellulare per cercare di sentire qualcosa. Cos'erano? Dei passi?

"Morgana!" esclamò nuovamente, stavolta con tono di voce più alto. Sentì come se qualcuno avesse appena preso il cellulare della ragazza.

La chiamata terminò all'improvviso.


*


Voleva piangere. Voleva piangere così forte e disperatamente che tutta la sua angoscia avrebbe sicuramente potuto cambiare il corso della sua inutile vita. Lancelot era sicuro, era certissimo di non essere nato così sfigato. Aveva avuto un'infanzia piuttosto normale, con genitori normali e amici normali. La sua vita era stata costellata da alti e bassi pari a quelli di qualsiasi altra persona sul pianeta e davvero, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a ricordare quand'è che la sua esistenza avesse iniziato a prendere una piega alla una serie di sfortunati eventi(2). Si sentiva il protagonista di un quiz televisivo dove l'obiettivo era riuscire ad arrivare vivo fino al finale.

Con un ringhio di frustrazione, iniziò a divincolarsi come un grosso verme galleggiante ma per quanto si sbracciasse, la corda alla quale era appeso oscillava pochissimo. Strizzò gli occhi scuri e cercò di guardare in alto ma l'unica cosa che riusciva a vedere, era il tetto danneggiato della serra, dal quale la pioggia si infiltrava che una meraviglia.

Bene. Non solo sono appeso in giù con la testa invasa dal sangue, adesso si è messo anche a piovere. Ma porco...


Attila, seduto poco distante da lui, lo guardava facendo penzolare allegramente la lingua rosa e bavosa dalla bocca, con il respiro pesante.

"Cos'è, ti faccio troppa pena? E' per questo che non hai ancora provato a staccarmi la faccia?" biascicò Lancelot, con un tono di voce sconfitto e rassegnato. Chissà se qualcuno l'avrebbe mai trovato prima che fosse morto per mancanza di sangue in tutte le parti del corpo tranne che la testa... da quanto era appeso così? Mezz'ora? Non aveva neanche lo straccio di un orologio e il cellulare gli era scivolato dalla tasca quando era caduto giù dal tetto.

Anzi quando ho avuto la brillante idea di legarmi ad una corda. A quest'ora sarei spalmato sul pavimento in mezzo ai detriti, probabilmente morto. Credo di aver raggiunto una sorta di record... l'uomo che ha rischiato la vita il maggior numero di volte nel minor tempo possibile. Che culo.


Sospirando pesantemente, dopo lunghi attimi di completa immobilità, iniziò a gridare come un ossesso e ricominciò a muovere le braccia su e giù in maniera piuttosto ridicola. Attila piegò il testone da un lato e lo guardò incuriosito, leccandosi amabilmente la punta umida del naso.

"Non mi arrenderò al mio destinoooooooo" gridò Lake, la faccia sempre più rossa e le vene degli occhi sature di sangue.

Attila alzò il sedere da terra ed abbaiò con forza, sovrastando i nomi di tutti i santi che il verme umano aveva iniziato a scomodare dal calendario cristiano. Lancelot lo guardò con un muto terrore negli occhi scuri, temendo che il momento in cui quella bestia avrebbe tentato di mangiarsi la sua faccia, fosse dunque arrivato. Si studiarono con una certa intensità animalesca, forse nel tentativo di stabilire chi veramente tra i due fosse il re della serra; dopo un'attenta analisi delle nulle capacità di quell'imbecille (penzolante come un grosso e succulento salame) quale era Lancelot, Attila girò su se stesso e trotterellò tra le macerie sul pavimento, guadagnando in breve l'uscita della serra. Lake non poté credere ai suoi occhi.

Sono così sfigato che pure i cani ora mi voltano le spalle! MA PERCHE'? PERCHE'?!


Abbandonato al suo misero destino, il ragazzo allungò spasmodicamente le braccia sino ad un tavolino vicino e con le dita cercò di sfiorare la penna che aveva usato per abbozzare i progetti di ripristino della serra. Dovette provare per un paio di minuti buoni prima di riuscire a concludere qualcosa; poco a poco, riuscì a far rotolare la penna sino ad avvicinarla abbastanza da poterla afferrare.

"E' arrivato il momento di guardare in faccia la realtà..." biascicò con una serietà inconfutabile, che avrebbe potuto far presagire il peggio. Tolse il tappo alla penna, si sfilò la maglietta lasciandola cadere per terra ed iniziò a scrivere le sue ultime volontà dalla pancia verso il petto. Tutti avrebbero saputo quali erano state sin dall'inizio le sue nobili intenzioni. Non poteva accettare di morire senza prima far sapere a Gwen quanto l'avesse amata.

Io, sottoscritto Lancelot Lake, approfittando dei miei ultimi attimi di vita, mi accingo qui di seguito, circumnavigando l'ombelico ed il pelo pubico, a rendere note le mie ultime volontà...


*


"Ti ha dato completamente di volta il cervello?"

Merlin non ce l'aveva proprio fatta a non sbottare. Il modo in cui Arthur l'aveva letteralmente arpionato in mezzo al corridoio per trascinarlo in un'aula vuota, non gli era affatto piaciuto.

Le persone civili parlano, non si riducono a sequestrare la gente!


A quel punto, fu inevitabile domandarsi quanto a fondo Pendragon Maschio potesse essere considerato un individuo dalle civili attitudini; vista la completa assenza di rimorso che il suddetto interessato aveva sulla faccia, Merlin avrebbe potuto classificarlo nella categoria degli scarsamente civili.

"Pendragon, questa storia deve finire. Non puoi continuare a pedinarmi come se-"

"Sì, per una volta sono d'accordo" lo interruppe l'altro, con cipiglio tutt'altro che cordiale, "Questa storia deve finire e c'è solo un modo per mettere il punto. Pretendo che me lo dici Emrys, pretendo di sapere perché tutto ad un tratto a stento sopporti di stare con me!"

Merlin assottigliò le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure.

"E se non te lo dico che cosa succede?" lo provocò, senza il minimo tentennamento. Se Arthur pensava di poter fare il prepotente con lui, aveva proprio sbagliato persona; Merlin era innamorato, non per questo era diventato un idiota (almeno, non completamente).

"Succede che peggiorerai soltanto la situazione, perché stamattina se non mi sbaglio sei stato tu quello ad invitarmi a colazione, nonostante ieri te la sia data a gambe levate! Invece di capire la situazione mi porti a farmi fare sempre più domande e non puoi, ti dico che non puoi pretendere che faccia finta di niente soltanto perché a te gira di voler fare il sostenuto!" nel parlare a poco a poco la sua voce si era alzata sempre di più, sino a far affiorare completamente tutto il nervosismo e la rabbia che durante quei giorni aveva accumulato. Merlin lo guardò in silenzio, con i sensi di colpa che di minuto in minuto aumentavano sempre più la loro presa sul suo stomaco.

Forse l'incivile tra loro due, era lui.

Arthur aveva ragione, aveva completamente cambiato atteggiamento nei suoi confronti da un giorno all'altro, senza nessuna motivazione apparente.

Fossi stato al posto suo probabilmente anche io avrei cercato di fare di tutto per scoprire qualcosa che potesse mettermi l'anima in pace.


Con un sospiro distolse lo sguardo, indirizzandolo verso una delle finestre. Pendragon Maschio non l'avrebbe lasciato uscire da lì dentro sino a quando non gli avesse dato una spiegazione decente e nonostante tutti i suoi buoni propositi, nonostante Merlin si sentisse soffocare dal modo irragionevole in cui egli stesso si stava comportando... quel senso di terrore su come avrebbe potuto reagire il biondo nello scoprire la verità, si rivelò essere più forte di qualsiasi cosa avesse mai provato. Era lui a comandare i suoi pensieri, le sue azioni e le sue parole, Merlin non poteva farci niente; aveva provato a contrastarla, a vincerla, ma quel genere di paura era difficile da controllare. Era sempre stato un ragazzo che aveva affrontato qualsiasi situazione con un coraggio fuori dal comune... finché non si trattava di doversi scoprire. Quando era lui ad essere messo in gioco, Merlin diventava un codardo.

Quella volta non fece nessuna differenza.


"Mi ha dato fastidio vederti baciare la ragazza che mi piace" se ne uscì ad un certo punto, sembrando completamente tranquillo di quell'ammissione. Arthur inarcò le sopracciglia con aria completamente basita e non rispose, perché non sapeva davvero che cosa dire. Merlin schioccò la lingua contro il palato e tornò a guardarlo, cercando di sembrare infastidito ed insieme dispiaciuto.

"Avrei voluto dirtelo prima ma penso che sia davvero da scemi prendersela per una cosa del genere. Non siamo più in quinta elementare, quindi ho preferito lasciar correre. Evidentemente ha avuto più importanza di quanta gliene ho attribuita..."

Quando Arthur iniziò a ridere, dopo averlo fissato a lungo, Merlin si sentì vagamente offeso.

Cioè, gli dico che ha baciato la ragazza che mi piace ed invece di chiedermi scusa... si mette a ridere? Lo ammazzo, giuro che lo ammazzo.


Il moro strinse i denti irrigidendo la mascella ed incrociò le braccia, lasciando che Pendragon Maschio continuasse a ridere di lui e del suo cervello contorto. Francamente non credeva di aver detto una cosa così divertente, ma Arthur sembrava essere di tutt'altro avviso, tant'è che Merlin dovette aspettare un bel po' prima di vederlo iniziare a darsi una calmata. Più il suo divertimento durava, più a Merlin le palle giravano ad elica. Ok, aveva detto una bugia, non c'era motivo di prenderla così sul personale, ma se fosse stato vero? Con quale coraggio quell'asino imbecille gli rideva in faccia senza avere nemmeno la decenza di fingere un minimo (una caccola proprio) di dispiacere?


"Beh Pendragon, adesso capisci perché non te l'ho detto e perché non voglio essere amico tuo. Sei un idiota!"

Scuotendo la testa con sarcasmo, l'interessato appoggiò le mani sui fianchi e lo guardò con l'aria di qualcuno che la sapeva molto lunga al riguardo; le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso, che si portava dietro lo strascico delle risa che l'avevano preceduto. L'occhiata che Merlin ricevette, oltre la frangia bionda e scomposta, provocò una fitta dritta dritta al basso ventre.

Maledetti ormoni che scavalcavano allegramente il suo altissimo grado di incazzatura!


"Merlin... sul serio?" domandò Arthur, con una faccia piuttosto eloquente.

"Certo che sono serio!" si sentì replicare, il che non fece altro che farlo annuire con una inspiegabile consapevolezza. Merlin credeva di aver perso il filo della discussione.

"Merlin, sul serio pensi che io me la beva?"

Quando Arthur lo vide aprire e chiudere la bocca più volte come un pesce fuor d'acqua, avvertì l'irrefrenabile bisogno di rimettersi a ridere. Aveva già detto di aver notato molte cose sul conto di Emrys? Tra quelle, c'era anche come capire quando diceva una bugia e quando invece no.

"E' la verità!" replicò quello, al momento completamente sprovvisto di argomentazioni valide più forti di continuare a negare, negare fino alla morte.

"Non lo è" Pendragon Maschio fu piuttosto deciso, "Mi stai mentendo di nuovo, sei incredibile!"

"Non credi che dovresti mostrare un po' più di riguardo per quello che ti ho detto?"

"Sì, se fosse stata una cosa vera l'avrei sicuramente fatto!"

"Ah, quindi se ti dico che sono offeso dal tuo atteggiamento starei dicendo un'altra bugia!"

"No, cosa c'entra?! Sono stato io il primo a chiederti se ti avessi offeso per qualcosa, ma di certo non è a causa di quello che mi hai appena detto!"

"Cosa te lo farebbe credere?!"

"Il fatto che capisco quando mi dici una balla Merlin, si vede lontano un chilometro!"

"Ah-ah, certo, infatti è per questo che hai capito che c'era qualcosa che non andava solo quando io ho deciso di fartelo capire!"

"Scusa?! Che cosa ti ho fatto notare quando ci siamo conosciuti? Che sembravi avercela con me per qualcosa! E sì, era abbastanza palese, ma pensavo che avessimo superato quella fase! Credevo ti comportassi così perché non mi conoscevi sul serio!"

"E' inutile che fai quella faccia da oh mio Dio non posso crederci! Per conto tuo credi un sacco di cose, ma il parere degli altri ogni tanto lo chiedi? Non sei stato tu a dirmi che ti dispiaceva avermi coinvolto ma non abbastanza da lasciarmene fuori?"

"Cos'è, è la giornata dei rinfacci? Vogliamo fare questo gioco? Va bene allora! Non eri tu quello che ha fatto sì che continuassi a cercare quella ragazza? Non sei mai stato felice di questa cosa, è ovvio, ma hai fatto più di quanto ti era stato chiesto! Questo non è strano?"

"Strano? Strano? La vera stranezza è andare in giro a baciare qualsiasi essere di sesso femminile sperando di essere colpito in piena fronte da un'illuminazione divina!"

"Eppure non mi sembrava lo considerassi tanto strano quando mi dicevi di fare quel che mi sentivo di fare! Quella era un'altra bugia?!"

"Cosa diavolo avrei dovuto dirti con tua sorella che mi ricatta?!"

"Ah, quindi ora la colpa è di mia sorella! Hai soltanto finto che ti importasse qualcosa! E tu vorresti che io mostrassi comprensione per i tuoi sentimenti? Ti ci hanno mai mandato a quel paese Merlin? E' bello sai, c'è un sacco di gente come te!"

"Si chiama vaffanculo e sono io a mandarci te, perché tutto questo non me lo merito, per la miseria, non me lo merito per niente! Non dopo ciò che ho fatto e sopportato!"

"Non mi puntare addosso quel tuo dito da stecchino Emrys e scusa tanto se ti ho costretto a stare in mia presenza elemosinando la tua preziosa amicizia! E' l'unica cosa che ti ho chiesto per davvero e mi sembra di aver dimostrato la sincerità delle mie intenzioni, dopo tutte le cose che ti ho detto in questi giorni! Mi hai fatto passare per un cretino!"

"Ti punto addosso quel che diavolo mi pare e tu sei un asino oltre che cretino, è differente! Avevo ragione quando ti ho detto che non avresti mai potuto capire!"

"Ancora con questa storia! Dimmelo tu allora cos'è che non capisco, invece di lamentarti e basta per il fatto che non ci arrivo! Sei una piaga! Sono stato sincero con te e guarda che cosa ricevo in cambio! E piantala di punzecchiarmi, è l'ultima volta che te lo dico!"

"No, sei tu a dovermi dire perché, perché ti devi accanire tanto! Ti importa più di quanto sia normale e sono io quello che inizia a farsi delle domande! C'è qualcosa che vorresti dirmi Pendragon? Hai cambiato sponda? Se non fossi certo e stracerto delle tue attitudini, penserei che ti sia preso una cotta per-"


Del resto, Arthur l'aveva avvisato di smetterla di punzecchiarlo con quel dito ossuto. Quel modo di fare così sprezzante ed irriverente l'aveva fatto talmente tanto innervosire che dopo aver afferrato l'indice incriminato, l'aveva strattonato in avanti.

Anche se il tutto avvenne piuttosto velocemente, a Merlin sembrò di assistere ad una scena che non lo riguardava, in modalità rallentatore: il dito stretto e dolorante nella mano di Arthur, i piedi che incespicarono presi alla sprovvista, il pugno chiuso che si appoggiò vicino la clavicola del biondo per riflesso incondizionato (evitare di spiaccicarglisi addosso nel bel mezzo di una lite era una necessità primaria)... Merlin avrebbe ricordato ogni cosa, in tutta sincerità.

Neanche il momento in cui aveva baciato Pendragon Maschio la sera della prima festa, gli risultava così nitido; non sarebbe mai stato chiaro come quando avvertì all'improvviso le dita di Arthur tra i capelli e la sua bocca sulla sua. Non sarebbe mai stato chiaro come quel sentimento di rabbia e inconsapevolezza che sentì fluire dal suo tocco prepotente, di chi voleva affrontare i problemi faccia a faccia, senza evitarli. Merlin era sempre fuggito dal problema, invece Pendragon aveva preferito aggredirlo.

Se gli avessero detto che un giorno sarebbe finito per essere baciato da Arthur Pendragon, probabilmente si sarebbe messo a ridere; era una di quelle cose su cui non avrebbe scommesso mai nemmeno quell'orribile cd di Gaius' & Sons che gli era stato regalato da Gwen per Natale.

Eppure Arthur lo stava baciando e non l'aveva allontanato, quando si era deciso a baciarlo a sua volta, dopo essersi svegliato come da una profonda trance.

Qualcosa di radicalmente maschile ruggì a gran voce dentro Merlin: un senso di soddisfazione, di gloria e conquista. Era un ragazzo ed aveva ottenuto ciò che aveva sempre voluto, a prescindere da cosa sarebbe successo dopo; si ritrovò senza sapere come con le mani libere e non ci pensò neanche due secondi, prima di far incastrare le dita nei capelli biondi di Arthur, con tutta la possessione che quel gesto avrebbe saputo esprimere. Pendragon si tese verso di lui facendolo quasi indietreggiare, difficile stabilire chi fosse a prevalere sull'altro.

Merlin aveva mani da uomo ed un corpo da uomo, ma ad Arthur questo non dispiaceva.

Merlin aveva anche le labbra morbide ed una bocca calda, che sembrava volerti dire baciami ancora.

Merlin era più forte di quanto potesse sembrare, ma il modo in cui gli teneva testa lo intrigava.

Merlin aveva lo stesso identico odore che aveva sentito su di lei la sera della prima festa e baciava nello stesso identico modo in cui lei lo aveva baciato.

Sotto un tremendo cappello verde a tesa larga, decorato da alcuni fiori dalla discutibile bellezza, Arthur vide apparire un paio di occhi, di un azzurro intenso.


Realizzò in quel momento di aver appena concluso la sua ricerca.


*


Aveva un mal di testa bestiale, come non ne aveva mai avuti. Cercò di aprire gli occhi, ma sentiva le palpebre pesanti, come fossero diventate due macigni.

Dove si trovava?

Beh, di qualsiasi posto dovesse trattarsi, faceva un freddo cane.

Dato che gli occhi non volevano saperne di obbedire, cercò di muovere le dita e solo in quel momento capì di essere sdraiata.

Sdraiata dove?

Un pavimento duro come il marmo fu tutto ciò che riuscì a scoprire. Mano a mano che la coscienza di sé tornava, iniziò a sentire dei rumori. C'era un brusio da qualche parte, ma non avrebbe saputo dire quanto distante fosse. Qualcuno parlava ad alta voce o forse gridava, ma perché?

Stavolta, lo stato catatonico regalatole dalla lunga incoscienza, fu scosso da una scarica di paura. In un velocissimo flash, ricordò vagamente di aver visto qualcosa di rosso, poi un dolore acuto. Impegnandosi maggiormente, tentò di nuovo di aprire gli occhi ma non appena le palpebre si schiusero, una lama di luce fortissima le ferì le pupille, costringendola a tornare in uno stato di oscurità forzata. Avrebbe dovuto aspettare un po', prima di poter riprovare a fare una cosa del genere e nel frattempo cercò di concentrarsi sul distinguere quel brusio che diventava più forte di minuto in minuto.

La mia testa... la mia testa sta per esplodere... qualcuno mi uccida!


"Non mi interessa!" gridò di nuovo quella voce e stavolta Morgana riuscì a capire cosa stesse dicendo, "Sono stato io a chiamare voi e i soccorsi! Non la sposterò di un centimetro ma dovete lasciarmi passare! Non avevate il diritto di allontanarmi da lei!"


Credeva di aver già sentito quella voce da qualche parte... anzi, ne era certa! Morgana focalizzò la sua attenzione sul ritmo del respiro, facendone di belli profondi in modo da rimanere calma e poter avere controllo almeno su se stessa. Sulle voci che le confondevano le idee, dopo un po' si sovrappose il suono di una sirena in avvicinamento; come le fosse stato tolto un tappo dalla testa, tutto intorno a lei si fece improvvisamente più chiaro. C'era una persona che si trovava vicino a lei, poteva avvertire la sua presenza e delle mani che le spostavano i capelli dal viso. Morgana sapeva che quella persona era sempre stata lì accanto, ma non se ne era accorta prima di quel momento, prima che la percezione del mondo circostante tornasse ad essere più o meno normale. Tentò ti aprire di nuovo gli occhi e stavolta la luce provocò meno dolore; strizzò le palpebre, mentre la voce di un uomo le giungeva ora forte e chiara, come provenisse soltanto da qualche metro di distanza.


"Si fermi, non può passare ho detto!"


Morgana cercò di spostare la testa per vedere cosa diavolo stesse succedendo, ma fu l'errore più grosso della sua vita. Non appena mosse il collo, una fitta acuta e penetrante le fece di nuovo notare di avere un mal di testa martellante, di quelli che ti costringevano a chiudere gli occhi a causa del dolore. Mugolò con sofferenza e la persona che le era vicino (una donna sulla quarantina, le parve di riconoscere) cercò subito di tranquillizzarla.

"Non si muova signorina, sta arrivando l'ambulanza. Cerchi di stare ferma" le disse con gentilezza, mettendole una mano sulla fronte; la sua divisa blu fu poco dopo oscurata da un'ombra.

Gli occhi di Morgana incontrarono il volto pallido e tirato di Mordred, talmente bianco che quella chiazza di sangue che aveva sulla faccia spiccava con un contrasto quasi violento; il ragazzo si era inginocchiato vicino a lei e con un po' di prepotenza, si era fatto spazio accanto alla poliziotta. Quando Duirvir notò che gli occhi di Morgana erano aperti, sembrò avere una sorta di crollo mentale e con l'angoscia che gli segnava ancora la faccia si piegò in avanti, appoggiando la fronte sullo stomaco della ragazza. Non la toccò, perché aveva giurato di non farlo, ma rimase in quella posizione molto a lungo, cercando di assimilare la notizia che Morgana era viva ed aveva aperto gli occhi.

Nonostante si sentisse la bocca asciutta e la gola secca, Morgana provò a dire qualcosa. Doveva sapere perché Mordred sembrasse così preoccupato... cos'era successo?


Poco più in là, l'ufficiale che aveva cercato di impedire a Duirvir di avvicinarlesi, si trovò impegnato a tentare di tenere lontani altri studenti che erano accorsi incuriositi, aiutato da un rigidissimo Agravaine, il quale doveva ancora capire bene qual era stata la dinamica della situazione.


Nel momento in cui Mordred sollevò la fronte dal suo stomaco per guardarla, Morgana capì di aver pensato a voce alta.; il ragazzo corrugò la fronte e con evidente titubanza si azzardò a sfiorarle una guancia con le nocche.

"Non ricordi niente?" domandò, lasciando intravedere una sorta di incertezza; la poliziotta lì accanto lo esortò a cercare di non sforzare la memoria della ragazza, ma Morgana la ignorò come neanche esistesse. Non avrebbe avuto pace finché qualcuno non le avesse spiegato perché si trovava sdraiata nella palestra (sì, quel soffitto mal stuccato e chiazzato di umido avrebbe saputo riconoscerlo ovunque), con un mal di testa record e con Mordred che aveva la faccia sporca di sangue.

"Dimmelo Mordred" biascicò e le parole le raschiarono fastidiosamente le corde vocali.

Ad un certo punto l'ufficiale che insieme al Rettore stava tentando di tenere a bada una folla sempre più numerosa di studenti, richiamò la donna che si stava occupando di Morgana, esortandola a raggiungerlo per dare man forte; a quel punto, lei e Mordred rimasero soli.

Lui le prese una mano con gentilezza e con il pollice ne sfiorò il dorso.

"E' stato Valiant, Morgana. Ti ha aspettata fuori dal dormitorio finché non sei uscita. Avremmo dovuto prendere più sul serio le sue minacce..."

"Perché sei sporco di sangue?"

La sirena che lei aveva sentito arrivare in lontananza, si era spenta. L'ambulanza aveva raggiunto la sua destinazione.

"Non è mio" biascicò lui, abbassando lo sguardo come a voler celare qualcosa. Morgana rimase tranquilla, era come se quel dolore lancinante alla testa riuscisse a darle una sorta di lucidità davvero incoerente con le sue condizioni fisiche.

"E' mio?" domandò e quando alzò la mano libera per toccare il punto in cui la testa le faceva male, si chiese perché mai non l'avesse fatto prima. Ritirò le dita, scoprendo senza sorpresa di trovarle sporche di sangue; eppure non era spaventata.

"No" le rispose il ragazzo, che si era improvvisamente irrigidito. Lei notò come Duirvir cercasse di mantenere una sorta di calma apparente, ma se avesse continuato a stringere ancora così i denti probabilmente avrebbe finito per spaccarsene qualcuno. Sentì Mordred stringerle di più la mano in un riflesso incondizionato, che trasmetteva rabbia; dopo brevi secondi di silenzio, Morgana esalò una risatina. Il ragazzo la guardò dapprima stupito, come non si aspettasse niente del genere... insomma, ridere dopo essere state aggredite, con un probabile trauma cranico in corso, non era proprio da tutti. Eppure Mordred cedette ed alla fine, si ritrovò a ridacchiare insieme a lei.

Dio li fa e poi li accoppia.

"L'hai pestato, non è vero?" domandò allora, nel momento in cui nel suo campo visivo entrarono alcuni uomini ed una portantina, "Quel sangue è il suo"

Prima di farsi da parte per permettere al personale medico di occuparsi di lei, l'espressione sul viso di Mordred si fece mortalmente seria. Strinse di nuovo la sua mano e annuì con determinazione.

"Sì Banshee. Ti assicuro che non ti darà più fastidio"


Quando la ragazza fu adagiata sulla portantina e sollevata da terra, Mordred fece per liberarle la mano ma lei artigliò le sue dita con una forza davvero sbalorditiva.

"Non mi lasciare" gli mormorò, causando ai battiti di Duirvir una specie di asincronia. Il ragazzo scambiò uno sguardo interrogativo con i medici, che sembrarono star valutando sommariamente la situazione.

"Va bene ragazzo" pronunciò uno di loro, in maniera piuttosto spiccia, "Puoi salire sull'ambulanza ed accompagnarla in ospedale con noi"

Mordred sentì un sollievo esagerato renderlo leggero come una piuma e restò incollato alla portantina e alla mano di Morgana come se il destino del mondo intero dipendesse solo da quello. Avrebbero dovuto sedarlo o picchiarlo, per riuscire ad allontanarlo da lei.


*


Attila si fece spazio tra i detriti, lasciando dietro di sé una scia di bava luccicante; con il respiro pesante che si condensava in nuvolette di vapore caldo, strizzò gli occhi e scosse tutto il pelo del corpo, sparando goccioline di pioggia in ogni dove. Quando fu abbastanza soddisfatto di se stesso, voltò il capoccione verso l'entrata ed abbaiò un paio di volte, leccando tutto il muso con la lingua ruvida e rosa; attese fermo come una statua, sino a quando la ragazza non entrò senza troppi problemi nell'edificio semi distrutto e poi ricominciò a trotterellare con sicurezza, dando a vedere di sapere esattamente dove stesse andando.


"Ehi, aspetta!" esclamò Gwen, che indossava una giacchetta e dei pantaloni dai lembi morsicati.

Attila starnutì all'improvviso e dalle sue fauci, volò fuori un pezzo di stoffa di jeans che era appartenuto a quelli che indossava la riccia in quel momento; il cane l'aveva colta in corridoio ed aveva iniziato letteralmente a trascinarla in giro sino a convincerla a seguirlo di sua spontanea volontà.

Ad un certo punto il simpatico animaletto si fermò nel bel mezzo di alcune piante e iniziò a girare su se stesso, cercando di acchiapparsi la coda. Gwen lo raggiunse e lo guardò con aria un po' interdetta, ma Attila non se ne curò: gli umani non avrebbero mai saputo cosa volesse dire essere seguito ventiquattro ore su ventiquattro da qualcosa che non potevi afferrare. Era un incubo, avevi sempre la sensazione di essere osservato, neanche i bisogni potevi mai fare in santa pace; uscendo sconfitto da quella ennesima battaglia (perché la guerra era ancora in corso), come niente fosse il cane ricominciò a zigzagare tra i detriti, abbaiando verso la ragazza per attirare la sua attenzione. Dopo un paio di svolte, la condusse nell'esatto punto in cui il bipede dall'odore succulento stava ancora appeso come un cretino. Attila tornò ad abbaiare, stavolta verso di lui, come per dire ehi amico, guarda un po' chi ti ho portato. Ti ho appena salvato il culo.


Quando il ragazzo mosse la testa per guardare entrambi, il cane zampettò un poco più in là e lasciò cadere pesantemente il sederone su una foglia bruciacchiata. I suoi occhioni scuri videro Gwen avvicinarsi velocemente al bipede con aria piuttosto preoccupata e poi piegò il testone di lato, sembrando incuriosito da tutti i segni strani che ricoprivano interamente la pancia, lo stomaco ed il petto di Lancelot: era piuttosto sicuro che prima non ci fossero! Lasciandoli discutere su come diavolo era potuto succedere che il ragazzo fosse finito a penzolare a testa in giù in quel modo, Attila andò a raccattare la maglia che Lancelot aveva tolto e portandosela in un posticino più sicuro, iniziò a mordicchiarla con un certo gusto... anche quella aveva lo stesso odore succulento che aveva il bipede dalle chiappe tenere.

Il passatempo che aveva appena trovato tuttavia non gli impedì di interessarsi alla scena con la stessa indiscrezione che avrebbe mostrato una pettegola (con l'unica differenza che la curiosità di un cane non avrebbe mai dato nell'occhio).


"Gwen devo dirti una cosa" se ne uscì ad un certo punto il wrustel umano, con una tale gravità nel tono di voce che Attila smise di masticare la maglietta, lasciando colare tutta la bava lungo la stoffa, dove una chiazza più scura aveva già fatto la sua comparsa. Doveva ammettere che quei due erano meglio delle telenovelas messicane che Gaius (suo padrone e guardiano della scuola), era solito guardare durante e dopo la cena. Ora che ci faceva caso, Lancelot assomigliava un po' ad uno dei protagonisti e solitamente tutti gli attori interpretavano dei medici (Gaius aveva sempre avuto una fissa per i medici in realtà).

Un lampo all'improvviso illuminò l'interno della serra, donando ai profili delle povere piante rovinate un'aria decisamente spettrale; Gwen sembrava in ansia ed aveva l'aria di qualcuno che stava aspettando di sentire un'orribile notizia. Ricominciando a masticare ciò che aveva nelle fauci, coinvolto nel pathos del momento, Attila non si sentì di biasimare quella povera bipede femmina: considerato il soggetto che aveva davanti, non è che ci fosse da essere ottimisti.


"Dopo oggi ho capito che è inutile stare a pianificare, a rimandare, a perfezionare... qualsiasi cosa farò andrà storta, c'è poco da fare. Morgana sa come avrei voluto dirtelo, ma sai una cosa? Perché non farlo adesso? Non so neanche se domani sarò ancora vivo!"

Gwen scosse i riccioli scuri e sembrò giustamente confusa. Sembrava una specie di dichiarazione suicida o una cosa del genere! E che c'entrava Morgana? Allungò le mani per accarezzare tutti gli scarabocchi che Lancelot si era fatto sulla pancia.

"Lance se stai cercando di spaventarmi ci stai riuscendo..." biascicò con delle rughe a solcarle la fronte naturalmente scura. Il ragazzo scosse la testa, sospirando pesantemente.

"Gwen... non sto cercando di spaventarti... sto cercando di chiederti se vuoi sposarmi...?"

Lake allargò le braccia penzolanti con eloquenza e le lasciò ricadere giù, oltre la sua testa. Il suo corpo oscillò dolcemente nel rumore della pioggia che cadeva anche dentro la serra e in quello del respiro pesante di Attila, che ora li fissava come una fangirl seriale avrebbe fatto durante la scena della sua otp(3) preferita.

Dopo un silenzio che parve lungo anni luce, Gwen emise un gridolino di euforia e dimenticando la precaria situazione in cui il suo ragazzo attualmente si trovava gli saltò addosso, aggrappandosi su di lui come un koala su di un albero. La corda che teneva appeso Lancelot emise un rumore tremendo, prima di cedere a tutto quel peso con un terribile strap di rottura. I due bipedi caddero rovinosamente al suolo in mezzo ai detriti, alzando un polverone che solo una mandria di cavalli nel deserto sarebbe riuscita a sollevare.

Attila alzò il sederone da terra e zampettò verso il groviglio lamentoso di gambe e braccia che stava spalmato sul pavimento. Ciondolò il testone da una parte all'altra, spargendo bava sui volti di entrambi gli interessati e poi, con la lingua ruvida e penzolante, iniziò a leccarli ovunque (in qualche modo doveva pur porre le sue felicitazioni!).


"Era un sì quello?" biascicò Lancelot, tutto dolorante, cercando di capire come liberare la gamba da non sapeva nemmeno cosa. Gwen mugugnò infastidita, strattonando il braccio per sgombrarlo dal peso del suo ragazzo e con fatica si mise a sedere.

"Certo che lo era, stupido! Devo ammettere che non avrei mai creduto di ricevere una proposta di matrimonio in un contesto del genere, ma con te tutto sembra avere un'eccezione..." rispose con il tremolio di un sorriso tra le parole, asciugandosi con la stoffa della giacca dalla bava di Attila. Il quadrupede abbaiò festoso, appestando l'aria di fiato canino (una cosa davvero micidiale).

Lancelot si alzò su di un gomito e la guardò come fosse terrorizzato da qualcosa; Attila avvicinò il muso verso di lui e iniziò a leccargli l'orecchio (anche quello sapeva di tacchino e francamente non avrebbe saputo dire quale Dio canino gli stava impedendo di morderlo e mangiarselo).

"Non è che poi ci ripensi?" sputò fuori con una certa angoscia, piegando la testa senza nemmeno accorgersene, come per aiutare Attila a leccare meglio l'orecchio.

Gwen lo guardò con aria stupita, cercando di capire se stesse facendo sul serio; trattandosi di Lake, ovviamente stava facendo sul serio. Roteò gli occhi scuri verso il soffitto e sbuffò sonoramente: l'unica cosa che restava da fare in quei casi, era togliere a quello scemo qualsiasi forma di facoltà verbale con una sana pomiciata ed è proprio quello che avrebbe fatto! Quando si chinò su di lui per baciarlo, lo porto alla resa nel giro di un paio di secondi.

Erano sempre le ragazze a comandare, c'era poco da fare.


*


Morgana riuscì a liberarsi dalle grinfie dei dottori che l'ora di cena era già passata. La notizia di Valiant che l'aveva aggredita si era sparsa per la scuola come una macchia d'olio e quando era stata portata al pronto soccorso per un controllo approfondito insieme a Mordred, nel giro di mezz'ora si era trovata sommersa da diverse persone, tra le quali vale la pena citare suo fratello e Merlin (con delle espressioni talmente allucinate da farli sembrare provenienti da un altro pianeta), Gwen e Lancelot cosparsi da varie inspiegabili e misteriose contusioni e suo padre, miracolosamente venuto in soccorso della sua pupilla nonostante fosse ancora orario di lavoro quando era giunto al suo capezzale.

Dopo una sequela di minacce rivolte nei confronti dell'aggressore (Uther aveva proposto di scrivere una lettera alla Regina di Inghilterra per richiedere il ripristino della gogna, Arthur aveva espresso il desiderio di recidergli gli attributi, Gwen si era battuta per deporre in tribunale a testimonianza del suo innegabile viscidume), i medici di comune accordo avevano ritenuto di poter lasciare che Morgana tornasse nei propri alloggi universitari, a patto che avesse osservato una settimana di completo riposo e che qualcuno l'avesse svegliata ogni ora (almeno per la prima notte) per tenere sotto controllo la bella botta che aveva ricevuto sulla testa; alla fine, tutto il sangue che le aveva macchiato il volto, era fuoriuscito da un graffio neanche troppo profondo, al quale erano stati applicati giusto un paio di punti.

Tutti insieme appassionatamente erano tornati al college e c'era stata un'ennesima guerra su chi avesse dovuto avere il diritto di stare in compagnia di Morgana per l'intera notte; secondo Uther la soluzione più logica era portarsela a casa per tenerla sotto stretto controllo, Arthur pretendeva di poter avere il permesso di stare con lei nel dormitorio delle ragazze, Merlin aveva cercato di farlo ragionare dicendogli chiaro e tondo che sarebbe stato più logico mandarci Gwen e quando il brusio di voci giunse ad un livello davvero insopportabile per la povera testa martoriata di Morgana, la ragazza attirò l'attenzione di tutti con un fischio da pastore di pecore e ristabilì sia l'ordine che il silenzio.


"Resterà Mordred con me, non voglio nessun altro"


Quando Arthur aprì la bocca per fare la parte del fratello geloso con le palle girate, Morgana lo gelò con uno sguardo agghiacciante.

Non mettetemi alla prova gente, non oggi, perché il mio umore è più nero del solito, ve lo posso assicurare.


"La mia non è una richiesta, le vostre opinioni non mi interessano. Mordred resterà con me. E' grazie al suo intervento se sono ancora viva e se Valiant ora si trova agli arresti, pretendo che mostriate un po' di gratitudine"

"Alla faccia della sincerità" biascicò Gwen.

"Morgana..." la richiamò Uther Pendragon.

"Papà, sto bene!"


Uther guardò la figlia con profonda preoccupazione dipinta sul volto e lei mantenne il suo sguardo con una certa determinazione, perché non voleva che si preoccupasse più del necessario.


"Hai sentito cosa mi hanno detto in ospedale. E' stata solo una botta, non c'è nient'altro. Basterà che Mordred mi svegli ogni ora e domani mattina ti chiamerò presto, d'accordo?"


Evidentemente Uther non è che fosse molto d'accordo, perché non disse niente, ma restò fermo lì a fissarla come fosse indeciso sul da farsi. Morgana sospirò in silenzio e accennando un debole sorriso, si avvicinò a lui per baciarlo sulla guancia. Appoggiò le mani sulle spalle di suo padre e lo guardò con quello che chiunque avrebbe potuto definire orgoglioso affetto.

"Fidati di me papà" mormorò con delicatezza, "Starò bene e insieme gliela faremo pagare a quel verme, te lo prometto"


Sentendo il bisogno fisico di controllare egli stesso che sua figlia fosse ancora tutta intera la abbracciò; nella sua visuale inquadrò anche Arthur poco distante, che li osservava con un sorriso mite sul volto oscurato dalla rabbia. Quando il biondo aveva saputo cosa era successo alla sorella, per i primi dieci minuti aveva visto tutto nero; imbestialito come un drago, si era diretto verso la centrale della polizia portando con sé l'arco e le frecce, pretendendo di farsi giustizia da solo. Se non ci fosse stato Merlin a corrergli dietro passo dopo passo, dandogli dell'asino imbecille pazzo esaltato, probabilmente in quel momento si sarebbe trovato a sua volta dietro delle sbarre; per l'ennesima volta aveva lasciato che il ragazzo influenzasse le sue decisioni (per fortuna) e dopo aver ripreso una certa lucidità, insieme si erano diretti in ospedale, fingendo di aver messo momentaneamente da parte ciò che era successo tra loro solo qualche minuto prima (questione di priorità). Quando fu sicuro di avere sua figlia accanto a lui, Uther la lasciò andare con un sospiro e un'espressione severa.


"Posso fare qualcosa per farti cambiare idea?"


A quella domanda Arthur si mise a ridere (rendendosi perfettamente conto della sua inutilità), infatti Morgana scosse il capo e si strinse nelle spalle. Rimasto ai margini del gruppo fino a quel momento, Mordred compì qualche passo in avanti e si affiancò alla ragazza, attirando così l'attenzione di Pendragon Padre.

"Non si preoccupi Signore, mi assumo tutte le responsabilità" esclamò il ragazzo sembrando davvero tranquillo; si lasciò esaminare dallo sguardo da falco con il quale Uther era solito sezionare qualsiasi essere umano e straordinariamente riuscì a non battere ciglio.

"Ci credo bene ragazzo" commentò ad un certo punto l'uomo in giacca e cravatta, alzando bandiera bianca; "Ricordati: so chi sei e so anche dove abiti. Questo vale nel male, ma anche nel bene. Quello che hai fatto per mia figlia non lo dimenticherò e in qualche modo, te ne accorgerai"

Mordred alzò il mento; "Non l'ho fatto per ricevere qualcosa in cambio" replicò immediatamente e avvertì quasi come fosse solido, lo sguardo di Morgana su di lui.

"Non importa" specificò a quel punto Uther, con un tono di chi stava per chiudere la questione, "La mia famiglia ha un debito nei tuoi confronti e un Pendragon paga sempre i suoi debiti"

A Duirvir fu decisamente chiaro di non dover ribattere oltre, se non voleva far incazzare quell'uomo (e qualcosa gli suggeriva che uno spettacolo del genere non gli sarebbe piaciuto... quello che aveva visto in ospedale probabilmente era solo un assaggio di quanto potesse diventare pericoloso Uther Pendragon se provocato).


Abbastanza vicino da poter sentire comodamente tutto quanto, Merlin corrugò la fronte con aria un po' interdetta.

Un Pendragon paga sempre i suoi debiti? Ma quelli non erano i Lannister(4)? Mi sa che Uther qui ha le idee un po' confuse...


Dopo gli ultimi accertamenti e l'ennesima (esasperata) rassicurazione, Morgana disse di essere stanca e afferrando Mordred per un braccio, se lo portò dietro verso di dormitori.


"Se solo oserai allungare le mani ti ammazzo" lo avvisò lei, dopo che entrambi furono al riparo da orecchie indiscrete. Il ragazzo si lasciò trascinare con aria piuttosto pacifica e le sorrise innocentemente.

"Ti sembro il tipo da poter fare una cosa del genere?"

"Devo risponderti?"

Mordred arcuò le sopracciglia, continuando a sorridere in quel suo modo abitualmente odioso.

"Sotto sotto ci speri Banshee, l'ho capito che ti piaccio, è solo questione di ammetterlo oramai"

Morgana si fermò in prossimità dei dormitori femminili e con aria battagliera, gli piantò un dito sul petto. Mordred aveva sempre avuto un'aria sicura di sé e quel momento non faceva eccezione; quello che lei non poteva sapere era che dietro la sicurezza, si celava una sorta di euforia irrazionale.

"Mettiamo in chiaro un paio di cose, Duirvir" esclamò determinata, nonostante la testa le fosse attraversata da fitte dolorose e indescrivibili, "Tra la supposizione e il dato di fatto ci passano dieci oceani. Non riuscirai mai a farmelo ammettere. E con mai, intendo mai"

Lui le afferrò il polso e si chinò su di lei, rubandole un bacio sul naso, guidato appunto da quell'improvvisa gioia selvaggia.

"Ah, però mi hai appena detto che qualcosa da ammettere ce l'avresti. Se non ti infastidisco ora che sei fatta di antidolorifici e di botte in testa, perderei un'occasione d'oro!"

Morgana restò imbambolata forse un po' troppo a lungo, perché ad un certo punto Mordred iniziò a ridere di lei; sfarfallò le ciglia con aria confusa, rendendosi conto di aver compromesso se stessa. E aveva fatto tutto da sola.

Sì ma non vale. Non sono in me! Voglio il time out da questa guerra, almeno sino a quando non riavrò il controllo completo dei miei pensieri e delle mie parole, dannazione!


"Questo va oltre le regole stabilite!" disse infatti, perché non poteva lasciargliela vinta così, non senza combattere!

"Ah, avevamo stabilito delle regole?"

"Adesso non fingere di non averle sempre conosciute!"

"Deve essere stato durante una sorta di comunicazione non verbale, una delle tante intendo... forse è per questo che qualche concetto fondamentale mi è sfuggito..."

"L'ho capito sai che ti piace prenderti gioco di me, ma se sei un uomo d'onore non prenderai in considerazione tutto ciò che dirò fino a quando non sarò guarita del tutto!"

"Uomo d'onore? Credo tu mi stia confondendo con qualcun altro... la botta deve essere stata bella forte... fa' un po' vedere!"

"Cos-? Sto bene, sto bene! Metti giù le mani! Stai approfittando spudoratamente di questa situazione!"

"Lo vedi? Sei abbastanza lucida da averlo capito da sola... io non lo chiamerei approfittare allora. Voglio dire, l'hai detto tu no? Stai benone!"

Ficcando le mani nelle tasche dei jeans, Mordred si avviò verso l'entrata del dormitorio.

"Che fai vieni?"

Meno indifferente di quanto avrebbe voluto apparire in realtà, Morgana ingoiò tutte le rispostacce che avrebbe voluto lanciargli dietro ed a passo di marcia, lo precedette verso la sua stanza.


*


Alla fine erano rimasti da soli.

Di nuovo.

Gwen e Lancelot, dopo aver dato loro la bella notizia, avevano deciso di andare a festeggiare in privata sede; a quel punto Merlin si era tappato le orecchie e aveva cominciato ad intonare l'intro delle tartarughe ninja pur di impedire all'amica di approfondire il discorso in quel senso (tanto lo sapeva che lei adorava contornare i suoi discorsetti con un sacco di dettagli irrilevanti). Pendragon Maschio l'aveva guardato come fosse improvvisamente impazzito ma Gwen l'aveva subito rassicurato, dicendo che era perfettamente nella norma (me lo aspettavo!, testuali parole). Dopo averli salutati in uno sventolio di mani, un silenzio imbarazzante e pesante come un macigno era calato su di loro. Anche i cricri notturni dei grilli avevano smesso di colorare l'aria. Spostando il peso del corpo da un piede all'altro, ad un certo punto Merlin decise che non ne poteva più.

"Senti-"

"Ascolta-"


Si guardarono con facce piuttosto babbee, avendo deciso di cominciare a parlare nello stesso esatto momento. Arthur passò una mano tra i capelli già incasinati e calciò via un sassolino dalle dimensioni ridicole. Quando aprì bocca, Merlin lo precedette di qualche secondo.

"Arthur, scordatelo"

Il tono di voce così perentorio costrinse Pendragon Maschio ad alzare gli occhi da terra e tornare a guardarlo. Dovette mostrare una faccia davvero disorientata, perché Merlin roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa come fosse quasi ferito.

"Non puoi baciare la gente e poi pretendere che questa faccia finta di niente, perché io non lo farò, mi capisci?"

No, evidentemente non capisce, pensò dopo qualche istante il moro, notando che nessun cambiamento era avvenuto nell'espressione da pesce lesso di Arthur, forse devo trovare parole più semplici.


"Magari sarai anche abituato al fatto che solitamente la gente fa quello che tu gli dici di fare, ma io-"

"Si può sapere di che diavolo stai parlando?!"

Merlin non si era aspettato di sentirlo arrabbiato, in verità; forse doveva ancora sbollire tutto il nervoso che aveva accumulato per colpa di quel verme di Valiant.

Restò in silenzio tuttavia, avvertendo la sensazione di aver detto qualcosa che forse non era necessario.

"Non lo so... tu di cosa vuoi che parli?"

Arthur finse egregiamente di pensarci su ed anzi, il suo atteggiamento passivo-aggressivo non prometteva nulla di buono.

"Non saprei, forse del perché tu non mi abbia detto sin da subito che sei tu la ragazza dal vestito verde?"


Mayday Mayday Houston, abbiamo un problema. Torre di controllo mi ricevete?

Il cervello di Merlin però, in quel momento non stava ricevendo proprio un accidente. Se qualcuno fosse penetrato nella sua mente, avrebbe sentito come sottofondo un simpatico jingle natalizio e nulla di più. Con lo stomaco che gli era arrivato all'altezza delle ginocchia, il moro provò ad articolare qualcosa, ma solo delle vocali strozzate fecero intendere ad Arthur quanto fosse riuscito a prenderlo contropiede; Pendragon Maschio puntò i pugni sui fianchi e lo fissò con l'aria di qualcuno che era proprio curioso di sentire cosa l'altro avesse da dire. Non provò nemmeno ad aiutarlo a dire qualcosa.

Stavolta te la cavi da solo Emrys e se non mi dirai qualcosa che mi soddisferà ti posso giurare che ti ritroverai a farmi da bersaglio al campo da tiro senza nemmeno che tu te ne accorga.


"Che... che ti salta in mente?"

Un tentativo di ripresa in calcio d'angolo Arthur se l'era aspettato e si impose di non mostrare il minimo barlume di dubbio. Lui era sicuro che si trattasse di Merlin, lo sapeva. E aveva bisogno che anche Merlin stesso sapesse che lui sapeva.

"No, la domanda giusta è cosa salta in mente a te!" replicò allora, risultando più duro di quanto si sentisse in realtà, "Come dovrei sentirmi?! Mi hai assecondato, mi hai guardato andare in giro a rincorrere le ragazze, mi sono fatto picchiare da loro e tu hai lasciato che accadesse! Voglio sapere per quale ragione Emrys e non ti aspettare che ti lasci andare via come hai sempre fatto, stavolta non te la caverai così!" nel parlare, il suo tono di voce si fece via via sempre più alto, "Ho cercato te dannazione, per tutto questo tempo ho sempre e solo cercato te e tu ti sei fatto beffe di me!"


Sinceramente non avrebbe mai voluto che andasse a finire così, ma la rabbia che provava era diventata improvvisamente più forte, come se una sorta di diga si fosse improvvisamente rotta dentro di lui e per quello, istintivamente centrò il volto di Merlin con un pugno ben assestato. A quel pugno si aggiunse una spinta, perché la rabbia e l'umiliazione che avvertiva erano una cosa davvero troppo intensa da sopportare in silenzio.

Emrys aveva incassato il colpo senza il minimo tentativo di difesa e dopo essere barcollato all'indietro, cadde col sedere a terra solamente sotto la spinta di Arthur; il biondo ansimava e aveva cominciato a camminare avanti e indietro, con le mani nei capelli, come volesse cercare nel solco che stava scavando a terra una calma misericordiosa.

Merlin doveva ancora capire bene cos'era successo esattamente e come in uno stato di trance appoggiò la mano sulla guancia già gonfia, senza spostare un attimo gli occhi da quello che ora sembrava un leone nella sua gabbia.


"Sai cos'è che mi fa più incazzare?" sputò ad un certo punto Arthur, fermandosi nel bel mezzo del parco e gesticolando come un ossesso, "Il fatto di essermi fidato di te, di averti offerto la mia amicizia e la mia onestà! Non mi hai mai ricambiato, né hai mai avuto intenzione di farlo! Hai mentito, sin dall'inizio mi hai sempre guardato in faccia con la presunzione di avere la coscienza pulita! Mi guardavi e mi mentivi Merlin!"

Espirò pesantemente, aprendo e chiudendo le dita più volte, come avesse voglia di picchiarlo ancora. Con la gola secca e il cuore che a mille gli rimbombava nelle orecchie, Merlin si alzò in piedi e cercò di ignorare il dolore pulsante che dalla guancia si protendeva per tutta la sua faccia. Non sapeva che cosa dire, era come se le sue labbra fossero incollate; osservava Pendragon con il rimorso dipinto sul viso, ma non spiccicava parola: era il silenzio del colpevole.

"Dì qualcosa!" sbraitò Arthur, che stavolta non avrebbe accettato un silenzio come risposta, neanche se l'avesse implorato.

Rimasero a guardarsi ad una certa distanza l'uno dall'altro: dopo la spinta ricevuta, Merlin non si era azzardato a compiere un passo di troppo.


"Secondo te perché l'ho fatto Pendragon? Perché posso aver scelto di non dirti niente?"

Il moro inghiottì il magone di angoscia che gli si era incastrato in mezzo alla gola, ma sapeva che Arthur non avrebbe risposto al posto suo; sapeva che era arrivato al punto di pretendere di sentirsi dire le cose dagli altri, non di supporle e basta. Merlin non poteva biasimarlo, ma non poteva biasimare nemmeno se stesso.

"Ti sei mai visto, Arthur? Hai visto le persone che frequenti, lo stile di vita che hai? Cosa posso aver mai pensato di strano? Che forse, dirti di essere stato baciato da un ragazzo ti avrebbe messo in difficoltà... Che ti avrebbe posto in una situazione scomoda, che avrebbe potuto disgustarti la sola idea, che avresti potuto non credermi... perché mai avrei dovuto dirtelo? Per sentirmi dire in faccia che non sono il tuo tipo? Appena avessi voltato le spalle ti saresti messo anche a ridere, magari. Dammi una sola buona ragione per la quale avrei dovuto espormi così"


La parte razionale di Arthur capiva i pensieri di Merlin. Infondo era vero... all'inizio aveva completamente rifiutato l'eventualità che si fosse trattato di un ragazzo; poi la curiosità aveva prevalso sui suoi pregiudizi e aveva continuato a cercare. La sua parte irrazionale invece, quella che più di tutte faceva di lui quel che era, pretese qualcosa che Merlin non gli aveva dato.


"Hai davvero una pessima considerazione di me Emrys, se pensi che ti avrei riso in faccia e poi voltato le spalle. Certo, avresti rischiato di sentirmi dire che non potevo ricambiare il tuo interesse, ma credi davvero che ti avrei tolto addirittura il saluto? Guardami in faccia e dimmi che è così"

Merlin in effetti lo guardò. Il coraggio di dire che era così però, all'ultimo venne meno. Se c'era qualcuno che conosceva il carattere di Arthur, quello era proprio lui. Per lunghissimo tempo l'aveva osservato, aveva imparato le sue abitudini e il suo modo di fare. Infondo sapeva che Arthur non sarebbe mai stato il tipo da ignorare una persona semplicemente per una cosa del genere. Eppure Merlin aveva avuto paura delle conseguenze e aveva lasciato che la paura vincesse su tutte le certezze che aveva sull'altro.


"Vuoi una buona ragione per la quale avresti dovuto esporti? Te ne do anche più di una: la prima sono io ed è la più importante perché da qui si diramano anche le altre buone ragioni. Io mi sono esposto per primo con te, ti ho reso partecipe dei miei pensieri e della mia vita. Ti ho detto cose che... che cazzo, Merlin, non vado a dire di certo a tutti! E tu lo sai, lo so che lo sai, mi conosci anche se al momento cerchi di fingere che non sia così perché ti fa comodo! E' così da pazzi sapere che sì, mi aspettavo da te lo stesso trattamento?"


La sua coscienza cominciava ad essere troppo pesante e quel peso trascinò il suo sguardo verso terra. Merlin si sentiva divorare dai sensi di colpa, ma non avrebbe lasciato che la situazione tra di loro si chiudesse così miseramente; aveva bisogno di sapere che Arthur capisse perché si era comportato così. Quando alzò nuovamente gli occhi su di lui, lo trovò più vicino di dove l'aveva lasciato qualche istante prima. Arthur non aveva mai smesso di guardarlo in realtà, e una sorta di delusione si era fatta strada sulla sua rabbia.


"Senti Arthur, che vuoi che ti dica? Hai ragione. Hai tutte le ragioni di questo mondo. Vuoi che sia sincero con te? L'unica cosa che posso fare è prometterti che lo sarò... da oggi in poi. Ma tornassi indietro, sai anche tu che farei di nuovo la stessa scelta, perché... perché sì. Perché io ragiono in modo diverso da te e anche se può essere difficile da accettare, devi capire che non ho mai voluto prendermi gioco di te o della tua amicizia. Se sono rimasto zitto è perché ho creduto fosse la cosa migliore da fare, non prenderla sul personale. E' stata una mia scelta e non è dipesa da te. Ci... ci tengo alla tua amicizia e mi dispiacerebbe buttare tutto all'aria solo perché sono uno stupido. Però me lo meriterei, quindi qualsiasi cosa tu voglia fare, ti giuro che la accetterò"

Davvero, più di quello non poteva fare. Merlin allargò le braccia con eloquenza, prima di lasciarle ricadere contro i fianchi; sentiva la guancia pulsare ad intervalli regolari e la pelle gonfia lo costrinse a socchiudere l'occhio.

Arthur sembrò valutare attentamente le sue parole, per un tempo piuttosto lungo; ad un certo punto dovette arrivare ad una conclusione davvero divertente, perché di punto in bianco si mise a ridere dapprima con discrezione, poi sempre più apertamente. Merlin lo guardò interdetto ed arcuò un sopracciglio scuro.

Cosa c'è di così divertente adesso? E' la seconda volta oggi che scoppia a ridermi in faccia. Alla terza gli mollo un destro su quella stupida faccia da asino.


"La tua faccia" esalò Arthur, quasi avesse sentito la sua domanda, "Dovresti vedere la tua faccia! Sembri avere una pallina da golf nascosta dentro la bocca ahaha!"


Merlin puntò le mani sui fianchi e Arthur si piegò sulle ginocchia, incapace di fermarsi.

Come ci erano arrivati a quel punto?

Quel pomeriggio era stato baciato dall'imbecille, il suo segreto era stato scoperto, si era lasciato picchiare ed ora veniva anche deriso (di nuovo)!

Nella mia vita precedente devo essere stata davvero una cattiva persona se sto ancora pagando per dei mali che in questa vita non ho mai compiuto.


"No ma tranquillo. Fai con calma. Prenditi tutto il tempo che vuoi..." biascicò senza troppa convinzione e scoprì così di avere una certa difficoltà nell'articolare bene le parole. Se possibile, quell'accento strano che gli era uscito, aumentò ancora di più le risate di Arthur che tra un respiro e l'altro continuava a ripetere di non potercela fare. Merlin dovette aspettare un po' prima di ritornare ad avere la sua completa attenzione (e grazie tante).


"Hai finito?" la stizza fu vagamente percepibile.

Arthur schiarì la gola, ma le labbra non volevano saperne di far sparire quel sorriso di chi era fiero di ciò che aveva causato (ed Emrys se l'era meritato, non si sarebbe mai sentito in colpa per quello).

"Per il momento sì" lo graziò il biondo, piegando la testa da un lato. Continuava a guardarlo come se nella sua testa stessero passando un sacco di pensieri strani e pericolosi.

"Hai detto che accetterai qualsiasi cosa vorrò fare, giusto?"

Merlin non seppe il perché, ma intravedendo uno strano luccichio in fondo agli occhi azzurri di Arthur, d'istinto arretrò di un passo.

"Beh... sì ma non intendevo che-"

"Hai detto qualsiasi, sì o no?"

"E' una cosa che metterà a rischio la mia vita?"

"Forse non hai capito come funziona, te lo rispiego. Io faccio le domande, tu rispondi. Sì o no?"

Il moro strinse le labbra in un'unica linea sottile e titubò talmente tanto che Arthur fu costretto a raggrumare le labbra per non mettersi a ridere di nuovo; arcuò le sopracciglia e lo guardò come per dire quindi?

"Sì l'ho detto" fu costretto a sputare alla fine, arricciando la punta del naso controvoglia.

Pendragon Maschio schioccò con soddisfazione la lingua contro il palato e lo guardò in un modo che lo fece sentire fregato.

"Bene Emrys, ti ci è voluto! Quello che voglio è che tu esca con me"

Merlin aprì e richiuse la bocca più di una volta, prima di rispondere.

"Ma usciamo già... insieme. Nel senso-"

"Nel senso sbagliato. Intendo una serie di appuntamenti. Sai, di quelli dove due persone si vedono per stare insieme in un interesse reciproco. Pensi di potercela fare? Te lo sto chiedendo solo per cortesia, non perché mi interessi davvero la risposta. Perché, come tu hai già detto, accetterai qualsiasi cosa vorrò fare. Dopo tutte le cazzate che mi hai raccontato, direi che me lo devi, non credi?"


Oh Dio, è appena diventato Morgana la vendetta!

Il moro non poté fare a meno di notare l'incredibile somiglianza despota che caratterizzava entrambi i fratelli Pendragon, chi più chi meno. Corrugò la fronte, piuttosto confuso su come l'asino Pendragon fosse riuscito a rigirarlo come un calzino e l'unica cosa che poté fare, fu biascicare un misero.

Non è che non fosse felice, intendiamoci.

Il fatto era che non era abituato ad essere il protagonista di palesi botte di fortuna.

Quella era una botta di fortuna ed era capitata a lui.

Quando Arthur gli passò un braccio intorno alle spalle con sorprendente agio e condusse entrambi verso i loro dormitori maschili, Merlin pensò che forse, forse i telefilm melensi come Once Upon a Time che Gwen era solita vedere ogni sacrosanta settimana, non raccontassero storie così prive di senso.

La fantasia da qualche parte doveva pur prendere spunto dalla realtà, no?













NOTE DELL'AUTORE: Pensate di aver aspettato tanto per questo capitolo? Io vi consiglierei di NON pensarlo perché credo che per il tredicesimo attenderete anche di più XD spero abbiate notato la lunghezza bestiale del dodicesimo... voglio dire, posso anche essere perdonata insomma ù_ù Grazie a Ryta Holmes che beta la storia, grazie a tutte voi che recensite, grazie a chi legge solamente ed a chi fa queste cose fantastiche (una Mimiwitch) a caso:


Poooi, volevo approfittare per chiedervi in qualità di fan merliniane di partecipare a questo progetto: http://www.moremerlin.com/

Si tratta di un gruppo di persone che stanno cercando di far riprendere la serie di Merlin o per lo meno farne un film che giustifichi l'orribile ultima puntata. Più saremo, meglio sarà!

Oggi mi sento di buon umore perché ho partecipato ad un fantasmagorico rito wiccan, quindi non vi ammorberò con le mie solite chiacchiere e passo direttamente alle note:


(1) http://www.youtube.com/watch?v=faQSs6UBDok&feature=related

(2) Una serie di sfortunati eventi è un film bellissimo che tutti dovreste vedere u.u

(3) OTP: "One True Pairing" ovvero L'unica vera coppia, è un'espressione che viene usata da alcuni gruppi di persone per sottolineare la convinzione che l'amore/amicizia tra due personaggi (di un telefilm o di un fumetto o di qualcosa di simile) sia l'unico accoppiamento possibile ed allo stesso tempo veritiero

(4) Famiglia appartenente al fandom del Trono di Spade, il cui motto è 'Un Lannister paga sempre i propri debiti'.



Namaste! )O(

   
 
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