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Autore: Herm735    23/06/2013    9 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia...e Trixie che sapendo quanto questa storia è importante per me ha fatto il banner più bello mai visto...grazie di cuore <3

Avvertimenti: -







La nostra prima vacanza in famiglia


Mi ritrovavo davanti a quella porta per la prima volta da anni. L'ultima volta che ero stata lì le cose non erano andate molto bene. Eufemismo del secolo.

Ero in bagno, mi stavo truccando mentre mia madre selezionava i panni per il bucato.
“Che c'è, tesoro? Mi sembri preoccupata.”
“Niente di importante” sminuii, tornando a muovermi.
Per un attimo mi ero fermata a guardare il mio riflesso attraverso lo specchio.
“Stavo pensando a quello che ha detto papà durante la cena.”
Si bloccò per un momento, ma poi riprese a muoversi, praticamente facendo finta di non avermi sentito, selezionando i panni per la lavatrice.
“Non importa, comunque. Ancora meno di un mese e poi me ne andrò da qui e non mi guarderò mai più indietro.”
Si voltò verso di me, incrociando il mio sguardo attraverso lo specchio.
“Come?”
Osservai la sua espressione sorpresa, mentre rimettevo apposto il trucco che avevo usato.
“Che c'è? Credevo avessi capito” fu il mio turno di guardarla con aria perplessa.
“Capito cosa?”
Scossi la testa, voltandomi verso di lei.
“Che non sarei più tornata. Credevo fosse il nostro tacito accordo” le dissi, incredula. “Che non ne avremmo mai parlato, ma che io avrei lentamente tagliato i ponti.”
Appoggiò a terra i panni che aveva sollevato.
“Dici sul serio?” domandò, sedendosi sul bordo della vasca da bagno.
“Mamma” attirai la sua attenzione. “Io te l'ho detto mesi fa. E tu lo hai ignorato. Neanche una parola, per mesi. E hai sentito come la pensa papà stasera a cena. Non tornerò indietro” le dissi, come se fosse ovvio.
Mi guardò negli occhi. I suoi erano vuoti. Non riusciva a capire.
Un paio di mesi dopo partii per il college. All'inizio tornavo una volta ogni due settimane, dopo una volta al mese. Poi una volta all'anno. Poi qualche telefonata. Ma, perlopiù, non ci sentivamo più.
Ero sparita.

“Sembri nervosa.”
“No, non sono nervosa” sminuii. “Non sono nervosa” sussurrai a me stessa.
“Davvero? Perché sei diventata all'improvviso preoccupantemente bianca.”
Deglutii.
“Nessun motivo per essere nervosa” scossi appena la testa, sentendo la bile che mi saliva dallo stomaco alla velocità della luce.
“Esattamente quello che cercavo di spiegarti anche io.”
Fissai la porta davanti a noi.
“Oh mio Dio, non apre nessuno perché hanno percepito la pessima vibrazione che emano fin da dentro la casa, probabilmente a quest'ora già mi odiano” le dissi a denti stretti.
“Sorridi e basta, ok?”
“Mi sono dimenticata come si fa” la informai. “Come sorridere ed apparire affascinante, l'ho del tutto dimenticato. Posso sorridere e apparire inquietante, però. Sì, quella dote c'è ancora.”
“Impossibile, Calliope. Hai un talento naturale per sorridere e apparire affascinante.”
Ed ecco che la nausea si era calmata, proprio nell'istante in cui avevo incontrato il suo sguardo.
Prese la mia mano lentamente nella sua, intrecciando le nostre dita e sorridendomi con quelle sue fossette che non so come riuscirono a farmi sentire calma pur facendo aumentare il mio battito fino all'impossibile.
“Sono solo un paio di giorni, ok?” cercò di consolarmi. “E nessuno di loro morde.”
“Io sono...”
Fui interrotta dalla porta che, finalmente, si apriva.
“Tim” lo salutò con un sorriso.
“Arizona, sei arrivata finalmente. Entrate, dentro c'è già il caos. Tu devi essere Callie. Piacere di conoscerti.”
“Il piacere è tutto mio. Arizona parla molto spesso di te.”
“Sì, beh, non parla di nessuno quanto parla di te. Credimi. Io ne so qualcosa.”
Gli rivolsi un sorriso imbarazzato, la mano di Arizona strinse la mia con più decisione.
“Lasciala in pace, Timothy. Ora, passiamo alle cose importanti. Dove sono i miei nipoti?”
“Di sopra. Venite, sono sicuro che mamma e papà vorranno vedervi, come prima cosa. Poi potete passare agli altri parenti sparsi per la casa.”
Assomigliava molto ad Arizona. Occhi azzurri e le fossette caratteristiche dei Robbins, ma con i capelli più sul castano che sul biondo.
“Sembri spaventata” osservò, sembrando divertito.
“Terrorizzata è più appropriato” lo corressi.
“Non dovresti. Dovevi vedere Jenny quando l'ho portata qui per la prima volta. Sembrava un agnellino in una tana di lupi. È pur sempre vero, però, che per quanto riguarda Arizona non hanno termini di paragone.”
“Tim!” lo riprese la sorella.
“Che vuoi dire?”
“Beh, sei la prima ragazza che Arizona porta a casa. Non lo sapevi?” domandò, sorpreso.
Dallo sguardo preoccupato della mia ragazza ero probabilmente appena scesa di altre due tonalità di bianco.
“Grazie mille, Tim. Adesso non è agitata per niente” lo colpì, piano, su un braccio. “Non preoccuparti, Calliope. Andrà alla grande.”
“Ehi, ti ripeterò quello che ho detto a mia moglie. Non è una sottospecie di test, quindi stai tranquilla, perché nessuno è qui per giudicarti” mi spiegò Tim.
“E lei se l'è bevuta?” domandai, alzando un sopracciglio.
“Neanche per un momento” rispose una donna che stava in quel momento scendendo le scale, diretta verso di noi. “Jenny” si presentò tendendomi la mano.
Io gliela strinsi con un sorriso.
“Callie. È un piacere conoscerti.”
“Anche per me. Sei l'argomento di conversazione principale da parecchi mesi a questa parte” mi fece sapere.
Vidi Tim cercare di farle sottilmente capire di non continuare su quella linea, scuotendo la testa.
Lei ed Arizona si scambiarono un abbraccio veloce.
“Come stai?” chiese educatamente.
“Posso onestamente dire di non essere mai stata meglio. Voi?”
“Tutto bene” rispose con un sorriso.
“Allora” intervenne Tim. “I nostri genitori sono in cucina.”
Sentii una mano di Arizona appoggiarsi sulla mia schiena in modo allo stesso tempo protettivo e rassicurante.
“Prossima fermata: la cucina” mi fece sapere con un sorriso.
“Fai strada” la incoraggiai con un gesto della mano.
“Torniamo dai bambini” propose Tim, trascinando Jenny al piano superiore.
“Ok, amore. Respira. Davvero, non c'è motivo per essere così nervosa” sussurrò quando i due furono spariti.
“Facile dirlo per te. Ma sono io che ho” cercai la parola giusta “corrotto” quella era l'unica che avevo trovato che ci si avvicinava abbastanza “la loro bambina.”
Lei rise, cercando di smettere quando la fulminai con lo sguardo.
“Casomai il contrario, Calliope.”
“Sì, ma questo loro non lo sanno” sussurrai.
Lei cercò di non scoppiare di nuovo a ridere.
“Vieni” mi trascinò verso quella che presumevo essere la cucina, aprendo la porta e trascinandomi all'interno.
Sua madre era ai fornelli, mentre il padre stava sfogliando un giornale, seduto al tavolo dall'altra parte della cucina.
Quando sentirono la porta aprirsi entrambi si voltarono nella nostra direzione.
“Arizona” la madre si allontanò immediatamente dai fornelli, avvicinandosi ad Arizona per abbracciarla. “Sei arrivata, finalmente. Di sopra stanno impazzendo con i bambini” la informò, allontanandosi.
“Mamma, lei è...”
“...Callie” terminò al posto suo.
Le rivolsi un sorriso impacciato e timido, alzando la mano destra verso di lei.
“È un piacere fare la sua conoscenza, signora Robbins.”
“Anche per me, cara. Arizona non fa altro che parlare di te, da un paio d'anni a questa parte” mi disse, sorridendo e abbracciandomi.
Anche se sorpresa, ricambiai il suo abbraccio.
Quando mi allontanai da lei mi ritrovai davanti a colui che era stato per giorni il mio più grande incubo.
“Colonnello Deniel Robbins” si presentò, stringendomi la mano in modo ferreo.
Come suggerito dalla figlia, ricambiai con una stretta decisa ma non arrogante.
“Callie Torres.”
“Allora, come è andato il volo?” chiese, sempre sorridendo, la signora Robbins, tornando verso i fornelli.
Il marito si diresse di nuovo verso il tavolo, sedendosi e riaprendo il giornale.
“Tutto bene. Per quanto un volo possa andare bene per me” rispose Arizona, avvicinandosi per cercare di sbirciare cosa stava preparando sua madre.
“Signora Robbins, vuole una mano?” offrii.
“Chiamami Barbara, cara. E non ce n'è bisogno, è quasi tutto pronto. Dimmi, ti piace cucinare?”
“Oh, mamma, dovresti assaggiare le sue lasagne” Arizona chiuse gli occhi per un momento. “Sono uniche.”
“Mia nonna mi ha insegnato qualche ricetta” minimizzai con un sorriso.
“Anche mia madre ha provato ad insegnarmi” raccontò la bionda al mio fianco. “Ti ricordi, mamma?”
“Sì, sì” confermò. “Ho ancora gli incubi, qualche volta” trattenne a stento un sorriso.
“Il forno non ha mai ripreso a funzionare come prima” intervenne il padre.
“Adesso non esagerate” protestò.
Entrambi si scambiarono uno sguardo, ridendo.
“Sapete, in realtà Arizona sa cucinare” spiegai. “Tuttavia preferisce astenersi dal farlo senza dare una spiegazione plausibile a riguardo.”
“Grazie, Calliope. Finalmente qualcuno che riconosce la mia versione dei fatti” mi prese in giro, sorridendo in modo disarmante. “Non vorrei doverti rinfrescare la memoria sul fatto che, quando ho voluto farlo, sono riuscita a cucinare.”
“Non mi viene in mente niente” arricciai il naso, ma mi tradii ricambiando il sorriso.
“Ho cucinato per te il giorno del tuo compleanno” mi ricordò.
“Giusto. Una cena che aveva un sapore quasi identico a quello del ristorante all'angolo tra l'ospedale e l'appartamento.”
“E per San Valentino.”
“Accendere il forno in cui hai messo il take away non conta come cucinare.”
“E la volta che ti ho preparato la colazione.”
“Oh, sì. Le omelette erano decisamente preparate da te. Uova e zucchero di prima mattina mi avevano fatto svegliare di pessimo umore.”
“Non sapevo dove fosse il sale. Ho visto della roba bianca, non pensavo certo fosse zucchero.”
“Allora sono stata fortunata che non fosse farina?” chiesi, cercando di non ridere.
Lei mi guardò fingendo indignazione.
“È colpa tua. Mi hai viziato.”
“Allora, Callie” intervenne Barbara. “Arizona parla di te come il chirurgo ortopedico migliore che abbia mai incontrato.”
“Beh, potrebbe aver esagerato un tantino.”
“No, invece. Calliope ha creato cartilagine a partire dalla gelatina” raccontò “e ricostruito una gamba ad un uomo. È incredibile nel suo campo, e non lo dico soltanto io.”
“Parla il primario di reparto più giovane del Seattle Grace.”
“Ricostruire una gamba dal niente sembra impegnativo” osservò il Colonnello, gli occhi ancora fissi sul giornale.
“Ho usato un sacco di titanio” confermai. “Sfortunatamente, il paziente è morto mentre stavo sostituendo la struttura metallica con le ossa danneggiate. Aveva un problema agli organi interni e non sono riusciti a tenerlo in vita abbastanza a lungo perché io potessi finire.”
“Titanio?” alzò gli occhi dal giornale. “Interessante. E avrebbe acquisito di nuovo la mobilità originaria?”
“Avrebbe dovuto, almeno. L'avevo progettata in modo che...”
“L'avevi progettata tu?” chiuse il giornale, piegandolo. “Impressionante. Ma ti ho interrotto, continua pure.”
Così spiegai come era costruita, incoraggiata dal sorriso di Arizona e dalla sua mano che teneva la mia.
Parlammo del più e del meno per qualche minuto, finché Arizona disse che voleva farmi conoscere il resto della famiglia, che in quel momento si trovava al piano superiore.
“Sembri meno preoccupata, adesso” disse mentre salivamo le scale.
“Da che lo capisci?”
Mi rivolse un sorriso che non capii subito. Un sorriso che in sé racchiudeva un segreto, una luce nei suoi occhi mi scosse qualcosa dentro lo stomaco.
“Perché io ti conosco.”
Ed io per un attimo rimasi in silenzio a contemplare quella scintilla, la piccola scarica elettrica che mi aveva attraversato il cuore.
“Sai, prima di incontrarti” iniziai, avvicinandomi impercettibilmente “ogni sera chiudevo gli occhi e speravo che il giorno dopo sarebbe stato un giorno decente.”
“E ora?” chiese, salendo uno scalino per potermi guardare leggermente dall'alto in basso.
“Ora chiudo gli occhi ogni sera e so con certezza che il giorno dopo sarà ancora meglio di quello prima.”
Mi baciò velocemente, poi continuò a salire le scale, una mano nella mia ed un sorriso felice sulle labbra.
Arizona aveva un fratello, due cugini e tre cugine. Il fratello di suo padre aveva avuto due maschi ed una femmina, mentre il fratello della madre due femmine. Fortunatamente, ero riuscita ad imparare i nomi prima ancora di arrivare a casa loro, perché, altrimenti, non ce l'avrei mai fatta a ricordare tutto. Tre dei cinque cugini erano sposati, due di loro avevano figli. Anche Jenny e Tim avevano un bambino.
“Se hai qualche dubbio su qualcuno dei nomi, questo è un buon momento per chiedere” sussurrò Tim, avvicinandosi mentre guardavo Arizona giocare con Kyle, il figlio di Tim e Jenny.
“Penso di essere preparata, ma ti ringrazio infinitamente” risposi, anche io sussurrando.
Ridemmo entrambi, mentre guardavamo sua sorella insieme ai quattro bambini.
“Un ripasso veloce” propose. “Arizona mi ucciderebbe se ti lasciassi sbagliare qualcosa.”
“Vediamo, il fratello del Colonnello si chiama Charlie, è sposato con Anne, i figli sono John, Amanda e Trevis. Amanda è sposata con George, ed hanno due bambini, Lily e Jimmy. Poi ci sono Frank e Kate, lui è il fratello di vostra madre. Le figlie, Rebecca e Judie, sono sposate rispettivamente con Hank e Freddy. E Judie e Freddy hanno un bambino, Ted.”
“Impressionante. Hai dimenticato qualcuno, però.”
Gli sorrisi, voltandomi verso di lui e distogliendo lo sguardo dall'oggetto delle mie attenzioni.
“Non mi dimenticherei certo di te, Jenny e Kyle.”
“Io mi riferivo alla sua affascinante fidanzata.”
Risi, fingendo un'espressione stupita.
“Credo che Arizona non mi abbia presentato nessuno con questo titolo.”
“Strano. Sai, non fa che parlare d'altro da anni.”
“Sì, sai Timothy, lo faresti anche tu” ci voltammo in avanti, vedendola sorridere “se avessi lei.”
“Ancora origli le conversazioni dei più grandi, Arizona? Non sei cambiata per niente da quando avevi dieci anni” la rimproverò Tim, ridendo.
“Non stavo affatto origliando. E, tecnicamente, Calliope è più piccola di me. Io e Kyle avevamo qualcosa da chiedere, in realtà.”
Guardammo in basso, verso il bambino che stava tenendo per mano.
“Papà, possiamo guardare un cartone animato?”
“Dopo cena, d'accordo? Adesso andiamo a tavola, altrimenti faremo arrabbiare la nonna” disse, prendendo in braccio il bambino di circa quattro anni.
Ci sedemmo a tavola. Non mi spiegavo dove avessero trovato un mobile così grande, a dirla tutta, ma non mi azzardai a dar voce ai miei pensieri. Solo noi adulti eravamo diciotto, mentre ai bambini era stato dato – per mancanza di spazio – un tavolo a parte, più alla loro altezza.
“Oh mio Dio” sussurrò Arizona “guarda quanto sono carini” mi disse, facendomi voltare in direzione dei suoi nipoti. “Piccoli umani seduti ad un piccolo tavolo.”
Io mi voltai, meravigliata dallo sguardo che aveva lei e dalle sue emozioni, più che dalla scena in sé per sé.
“Che c'è?” chiese, vedendo che la stavo fissando.
Scrollai le spalle, distogliendo lo sguardo.
“Niente” sminuii. “Stavo solo pensando.”
La cena trascorse, tra discorsi di ogni sorta a cui partecipai solo se veniva richiesto direttamente il mio intervento.
“Allora, è stato così terribile?” domandò a bassa voce, mentre ci alzavamo da tavola.
Io risi, alzando gli occhi al cielo in un'espressione di esagerata esasperazione.
“Vuoi sentirmi dire che avevi ragione, vero?”
“Sarebbe carino da parte tua, sì.”
Sorrise, mentre entrambe aiutavamo Barbara a sparecchiare la tavola. Suo fratello la chiamò ed io rimasi in cucina con la signora Robbins.
“Vuole una mano per lavare i piatti, signora Robbins?”
“La lavastoviglie farà tutto il lavoro. Ti ringrazio, cara” mi rivolse un sorriso gentile. “E ti ho già detto di chiamarmi Barbara.”
“Mi scusi. Cercherò di ricordarlo. Allora continuo a sparecchiare” mi offrii.
“Credo sia stato già portato tutto qui. Ma se vuoi puoi sederti con me, mentre aspetto che il primo carico di piatti finisca” propose, indicandomi il tavolino.
Seppur nervosa, accettai con un sorriso imbarazzato.
“Sai, pensavo ci sarebbe voluto più tempo” sospirò, sedendosi.
“Più tempo? Per sparecchiare la tavola?” chiesi stupidamente.
Rise, scuotendo la testa.
“No. Perché Arizona si sistemasse” chiarì, sempre ridendo.
Io le rivolsi un sorriso impacciato, non sapendo se prendere il commento come una critica o come un complimento.
“A meno che tu non sia ancora sicura che questo è quello che vuoi” aggiunse subito, senza lasciar vacillare il proprio sorriso. “So che la nostra famiglia può essere difficile da gestire. Abbiamo fatto scappare parecchie delle fidanzate di Tim e Arizona non ha mai considerato nessuna tanto speciale da decidere di farcela conoscere.”
“In confidenza” replicai “io e Arizona ne abbiamo passate tante, ma io non ho intenzione di andarmene proprio da nessuna parte. E spero neanche lei. Ma so che non la renderebbe felice se la sua famiglia non mi ritenesse all'altezza, al contrario. E potrebbe addirittura spingerla a chiedersi se in fondo lo sono davvero. E, metterò le carte in tavola, non lo sono.”
Mi guardò con sorpresa, entrambe le sopracciglia alzate in un'espressione che ricordava moltissimo quella della figlia, ma il sorriso rimase fermo in posto.
“Nessuno lo è” continuai. “Arizona meriterebbe” scrollai le spalle “meriterebbe qualsiasi cosa fosse mai in grado di desiderare. Ai miei occhi, nessuno è abbastanza per lei. Ma io ci provo e proverei a darle la luna, se la volesse.”
“Ed è proprio da questo che si riesce a vedere” appoggiò una mano sulla mia, sopra il tavolo “che sei più che abbastanza, per lei. Ma che ti fa pensare di non esserlo?”
Distolsi lo sguardo. Lanciai un'occhiata di sfuggita verso la porta, poi di nuovo incontrai i suoi occhi.
“La mia famiglia non è così. Non sono gentili come lo siete voi. Io non parlo spesso di loro ad Arizona e quando lo faccio finiamo sempre entrambe per piangere. Ho una stipendio da specializzanda, però so che a lei non importa proprio niente dei soldi, almeno questo sono riuscita a capirlo. La mia vita prima di lei è stata un disastro. Lei è arrivata quando stavo arrancando nel buio ed è stata come un lampo di luce. Letteralmente.”
Le sorrisi, cercando di spiegarle come meglio potevo cose che neanche io riuscivo a capire fino in fondo.
“All'inizio mi ha quasi accecata, perché non ero abituata alla luce. Quando ero immersa nell'oscurità, pensavo che non riuscire a vedere fosse meglio, perché così i mostri che avevo attorno non potevano spaventarmi. Così ho chiuso gli occhi e per un sacco di tempo ho fatto finta che fosse ancora tutto immerso nelle tenebre. Ma poi, quando finalmente ho aperto gli occhi, non c'erano mostri. Lei li aveva già sconfitti tutti.”
“Tesoro, sono sicura che anche tu hai sconfitto i suoi. Arizona raramente riesce ad aprirsi con altre persone. Ma lo ha fatto con te, perché ha visto qualcosa in te di così speciale da farle abbassare le difese che ha passato una vita a costruirsi. E il rischio ne valeva la pena, perché posso assicurarti di non averla mai vista così felice. Dici che lei ha fatto luce attorno a te. Beh, io credo che tu abbia fatto luce dentro di lei.”
“Calliope, vieni a vedere cosa...” aprì la porta, ma si bloccò vedendoci lì sedute, entrambe con espressione seria e le lacrime agli occhi. “Ho interrotto qualcosa?”
“No” rispose Barbara alzandosi. “Io e Callie avevamo giusto finito. Le ho chiesto di tenermi compagnia mentre il primo carico di piatti finiva di essere lavato.”
Passando accanto alla figlia, posò una mano sul suo braccio e le sussurrò qualcosa che non capii molto bene.
“Perché non mi aspettate in soggiorno? Cambio i piatti che sono dentro e vi raggiungo.”
Io annuii, alzandomi e tenendo aperta la porta per Arizona mentre usciva. Feci altrettanto, bloccandomi immediatamente a causa del fatto che si era fermata a neanche due passi dalla cucina, andando quasi a sbattere contro di lei perché stavo tornando a testa bassa verso il soggiorno.
“Che c'è?” domandai ingenuamente.
Lei si alzò in punta di piedi e mi baciò sulle labbra.
“Non so che hai detto a mia madre per farle avere quel sorriso mentre mi diceva che sei quella giusta, ma ripeterò ancora per una volta che io avevo ragione quando dicevo che ti avrebbero adorato.”
Io annuii distrattamente, abbassandomi per baciarla di nuovo.
“Non mi stai più ascoltando, non è vero?”
“Sai che diventa difficile concentrarmi se mi baci” riuscii a farla ridere. “Aspetta. Che ha detto esattamente tua madre?” domandai, tornando improvvisamente seria.
“Le parole esatte? 'Lei è quella giusta'. Non che non lo sapessi già, ovviamente” mi disse con fare sicuro, quasi compiaciuto.
“Lo spero bene” le rivolsi un finto sguardo minaccioso, tradito però dal sorriso che avevo sulle labbra.
Lei mi baciò un'ultima volta, prendendomi per mano e portandomi verso il soggiorno.
“Allora, cos'era che volevi farmi vedere?” chiesi mentre entravamo.
“Guarda” con un cenno della testa indicò il divano, dove i bambini si erano addormentati guardando un cartone animato, Lily aveva la testa appoggiata sulla spalla del fratello, Jimmy, più grande di un paio d'anni, mentre Ted aveva la testa appoggiata sulle gambe di Lily e Kyle era seduto affianco a Jimmy, con le ginocchia al petto e un'espressione angelica sul viso.
Mentre li stavamo ancora guardando, Tim si affrettò a scattare una foto, sparendo subito dopo per mostrarla alla madre, in cucina.
“Che c'è?” chiesi qualche momento dopo essermi accorta che Arizona mi stava fissando.
“Credo che dovremmo comprare tavolini più bassi della media e videocassette dei Pokémon.”
Io risi, preparandomi a una battuta sulla sua infantilità, ma quando voltai la testa di lato la voglia di ridere mi passò all'improvviso.
“Dici sul serio?” sussurrai.
“Mai stata più seria in vita mia.”
Cercai dentro i suoi occhi per diversi momenti, ma non trovai traccia di dubbio. Presi una sua mano con la mia e ne accarezzai il dorso con il pollice.
“Sai che andrei in capo al mondo, al tuo fianco.”
“Beh, ho detto dieci” mi fece notare “quindi dovremmo iniziare presto.”
Io sorrisi.
“Abbiamo tempo. Tu hai ventinove anni, io ne ho ventisette. C'è un sacco di tempo.”
“Le persone che dicono così non iniziano mai abbastanza presto e si ritrovano a fare le cose all'ultimo minuto. Non sto dicendo che voglio avere un bambino domani. Sto solo dicendo che credo che dovremmo iniziare a parlarne.”
“Va bene” acconsentii. “Sono felice di sentirti dire qualcosa del genere, lo sai? Avevo paura che non avresti mai più toccato l'argomento. Ed io non l'avrei fatto. Voglio dire, io sono felice. Lo sono davvero. Tu mi rendi felice.”
Stava per rispondere quando sua madre e suo fratello ci si affiancarono.
“Non potevo perdermi l'immagine dal vivo” spiegò Barbara.
“Di che stavate parlando?” chiese invece Tim.
“Bambini” rispose brevemente Arizona.
Sia lui che la madre si voltarono verso di lei. Finse di non accorgersene, continuando a guardare i quattro sul divano.
“Si è fatto tardi, uh? Andiamo in albergo, così domani mattina possiamo essere di nuovo qui per aiutare con il pranzo” mi propose dopo qualche minuto.
“Certo. E non accetterò un no sull'aiutarla in cucina, domani, signora Robbins.”
“Barbara” ripeté per la terza volta, sorridendomi e guardandomi come aveva fatto in cucina qualche minuto prima.
“Barbara” concessi, ricambiando il sorriso.
Salutammo tutti, uscendo e salendo in macchina, non facendo neanche caso al freddo del Maryland, abituate come eravamo a Seattle.

Mi sdraiai, avvicinandomi a lei e avvolgendola tra le braccia. Immediatamente, si voltò nella mia direzione, aprendo gli occhi per cercare i miei. Le nostre gambe si intrecciarono senza che neanche lo notassimo, mi passò le braccia attorno al collo, immergendo le mani tra i miei capelli. Io le accarezzai la schiena mentre la baciavo sulle labbra.
“Sono innamorata di te.”
“Sono innamorata di te anche io” rispose con il sorriso chiaro nella voce, ma senza allontanarsi neanche di un centimetro.
“Ti ricordi quando ci siamo conosciute?” chiesi, tra un bacio e l'altro. “Sono passati, quanti, quattro anni?”
“Quasi cinque” rispose, troppo distratta dal fatto che ci stavamo baciando per chiedersi dove quel discorso sarebbe andato a finire. “Tu eri a Seattle per fare domanda per iniziare la specializzazione di lì a poco.”
“Quasi cinque” concessi. “E i primi due anni sono stati, lo sai...”
“Turbolenti?” offrì.
“A intermittenza” proposi io. “Per la storia dei bambini, o prima ancora perché ero inesperta. E poi la borsa di studio e l'Africa.”
“Già” sospirò. “Sai, non te l'ho mai detto, ma sono felice che ci abbiano rispedito a casa dopo tre mesi per evitare un problema a livello internazionale.”
“Se avessero lapidato due donne americane in Malawi gli Stati Uniti probabilmente non avrebbero reagito positivamente” concordai.
“Tutto quanto per un bacio a stampo, poi.”
“Mi dispiace, sai? So che era il tuo sogno.”
“Non devi scusarti. Sono io che ho baciato te. Io che potevo benissimo scegliere se stare con te o rimanere lì.”
“Spero che tu sia ancora convinta di aver fatto la scelta giusta.”
Sentii la sua risata cristallina.
“Ti prego, Calliope. Non era una scelta, era uno scherzo. Non avrei mai scelto l'Africa piuttosto che te.”
“Comunque” ripresi il discorso. “Da più di due anni viviamo insieme. E” ricominciai a parlare, ma fui interrotta.
“Solo perché era stupido riaffittare il mio vecchio appartamento quando siamo tornate.”
“No, sta zitta” la rimproverai, fingendo un broncio. “Ci ho messo una settimana per raccogliere il coraggio di chiedertelo, non rovinarmi quel momento, ok?”
“Ci hai messo una settimana?” domandò, ridendo. “Per chiedermi di trasferirmi in un appartamento in cui praticamente già vivevo prima che andassimo laggiù, quando siamo tornate dopo tre mesi in cui avevamo vissuto insieme, ti è servita una settimana per riuscire a chiedermi di trasferirmi da te?”
“Ok, smetti di ridere. Ti ho chiesto di non rovinarmi quel momento” protestai. “E poi, senti, tu mi avevi reso insicura.”
“Io?” chiese, con stupore, ma rafforzando la presa sui miei capelli per ricominciare a baciarmi.
“Tu” la accusai, baciandola sulla punta del naso. “Con la storia della neonata e il ristorante francese e non parliamo neanche della pound cake.”
Mi fece tacere nell'unico modo efficace. E nel mio modo preferito.
Poi si allontanò, aprendo gli occhi.
“Sei la persona più fantastica che io abbia mai conosciuto. O incontrato. O visto di sfuggita. O neanche mai visto, in realtà. Sono abbastanza sicura che non ci sia nessuno al mondo tanto fantastico quanto te, Calliope. Quindi non dovresti mai essere insicura. Sei l'ultima persona sulla Terra che dovrebbe essere insicura.”
Io risi, baciandola ancora una volta, mentre mi spostavo sopra di lei, guardandola negli occhi dall'alto e sorridendole.
“Ti dimostro subito quanto sono fantastica” risposi. “In modo da toglierti ogni dubbio che potresti avere a riguardo.”
“Non sembri più molto insicura” sussurrò al mio orecchio con voce roca, una sua mano tra i miei capelli, mentre l'altra scivolava sulla mia guancia, lungo il mio collo e si soffermava sulla mia spalla.
“Non lo sono più da un pezzo. Non da almeno due anni e mezzo a questa parte. Non da quando sono sicura dell'unica cosa che conta. Di avere te.”
Inspirando lentamente lasciò che la sorpresa svanisse prima di baciarmi in un modo che mi fece capire indubitabilmente che, almeno per quella sera, la conversazione non sarebbe proseguita ulteriormente.

Ad aprire la porta fu di nuovo Tim.
“Ragazze” salutò entrambe con un bacio sulla guancia. “Mamma e papà in cucina, i bambini sono di sopra, gli adulti sono in soggiorno.”
“Vado di sopra.”
“Io vado in cucina.”
“Ok. Vengo a salvarti tra qualche minuto” mi disse sorridendomi. “Porto il regalo a Kyle.”
“D'accordo, io cerco tua madre. Avevo promesso di aiutarla con il pranzo.”
Le porsi il pacco che avevo in mano. Mi baciò a stampo sulle labbra, dirigendosi verso le scale prima che avessi modo di dirle che la bottiglia di vino che aveva in mano, intanto, potevo almeno portarla in cucina.
“Davvero carina mia sorella a piantarti in asso.”
“Tranquillo. Vai pure a goderti un po' di tempo tra gli adulti, visto che ieri hai fatto l'intrattenitore ufficiale dei bambini e lascia che Arizona gestisca le cose, per un po'. Vado a salutare i tuoi genitori, ok?” lo rassicurai, sparendo poi in direzione della cucina.
Quando entrai, di Barbara non c'era traccia. Suo marito era però seduto al tavolo, il giornale tra le mani. Alzò gli occhi, accennando un sorriso.
“Callie.”
“Signor Robbins, buongiorno. Volevo sentire se sua moglie aveva bisogno di aiuto.”
“È andata in bagno. Puoi sederti con me, mentre la aspetti.”
Io annuii, sentendo le mani che iniziavano a sudarmi. Mi sedetti difronte a lui, deglutendo quando richiuse il giornale, togliendosi gli occhiali da lettura e fissando gli occhi azzurri identici a quelli dei figli su di me.
Deglutii, raccogliendo il coraggio per dire quello che sapevo di dover dire.
“So che non le piaccio. L'ho capito. E lo rispetto.”
Lui non si mosse, nemmeno di un millimetro.
“E, sinceramente, posso capire perché. Sono sicura che anche io odierò chiunque mia figlia porti a casa, indipendentemente dalla persona che potrei avere davanti. E di certo non saprei spiegarle perché Arizona ha scelto me. Lo capisco a malapena io, la maggior parte dei giorni.”
Continuò a guardarmi con aria imperturbabile.
“Io non sono perfetta. Ed io e Arizona eravamo molto diverse. Volevamo cose diverse. I nostri sogni non solo non erano uguali, ma si intralciavano l'un l'altro. Le nostre non erano vite compatibili. Non all'inizio. E quindi abbiamo distrutto tutto. Tutto quanto. Le nostre vite, i nostri sogni, perfino alcune delle nostre più profonde idee, abbiamo raso tutto al suolo. E poi, iniziato a ricostruire tutto. Perfino quelle cose che volevamo tenere fin dal primo momento, le abbiamo rifatte da capo insieme. So che suona complicato. E lo è stato davvero. Ma ci siamo piegate. Perché un compromesso era meglio di niente. Perché ci amiamo così tanto che l'espressione 'non potrei mai vivere o respirare senza di lei' da modo di dire è passata ad essere letterale quasi senza che ce ne accorgessimo. Mi sono piegata per lei, riguardo cose su cui non pensavo di potermi piegare. Ma anche se lei domani decidesse che ne ha avuto abbastanza e decidesse di andare via, io non rimpiangerei mai niente. E continuerei a pensare che ne valeva la pena. Anche nei momenti peggiori, ne è sempre valsa la pena. Perché io la amo con tutto il mio cuore e voglio stare con lei.”
Mi guardò, l'espressione seria, ma non sembrava preoccupato o arrabbiato. Sembrava che a malapena mi avesse sentito.
“È una frase impegnativa, sai?” chiese, rimettendosi gli occhiali e riprendendo in mano il giornale che stava leggendo qualche minuto prima. “Le persone che si amano si lasciano tutto il tempo. E si mentono, si tradiscono, si sfuggono. Se vuoi stare con lei, rimanere insieme a lei, significa che non farai errori del genere. Non sarai incostante. E quindi la amerai ogni giorno esattamente come la ami oggi.”
“Sissignore” risposi stupidamente.
“È una promessa importante” mi fece notare, il giornale aperto tra le mani, ma gli occhi fissi dentro i miei. “La vita insieme a una persona è difficile. Per questo tutti si promettono amore ma non dicono mai quello che tu hai avuto il coraggio di ammettere. Che vuoi stare con lei. Perché ci saranno giorni in cui vorrai fuggire. ”
“Ma rimarrò. E la amerò lo stesso.”
“E ci saranno giorni in cui vorrai arrenderti.”
“Continuerò a lottare, come ho promesso a lei che avrei fatto. Finché lei me lo permetterà io non vorrò mai altro, non combatterò mai per altro che non sia lei.”
“Come ho detto, è una promessa impegnativa. Dove sta andando questo discorso?” domandò, osservandomi con attenzione.
Inspirai affondo.
Il discorso che mi ero preparata era andato, sparito nel nulla. Quindi l'unica possibilità che avevo era improvvisare.
“Ci sono stati giorni in cui sua figlia era insopportabile.”
“Credevo che volessi piacermi” scherzò, l'ombra di un sorriso passò sul suo volto per la prima volta.
“Dico davvero. Ci sono stati giorni in cui era irragionevole, quando era nervosa cercava di litigare con me perché sapeva che io le avrei perdonato qualsiasi cosa e le persone con cui era davvero arrabbiata invece no, quindi si sfogava con me. E giorni in cui si chiudeva in se stessa, ed io ero lì a tenerla per mano cercando disperatamente di non chiederle cosa non andasse, perché sapevo che mi avrebbe allontanato ancora di più. Giorni in cui non riusciva a parlarmi di quelle paure che la attanagliavano e che ho dovuto scoprire una alla volta. Ed ognuno di questi giorni, ognuno, io la guardavo e pensavo che anche se non ci fosse stato mai più neanche un solo giorno in cui riusciva a sorridere, andava bene lo stesso. Finché lei era lì, ed io ero lì, finché eravamo insieme, io non avrei potuto chiedere di meglio. È un pensiero egoista, me ne rendo conto. Ma, sa che le dico? Con il passare del tempo, Arizona ha iniziato a raccontarmi dei suoi problemi invece di cercare di litigare, a parlarmi invece di chiudersi in sé, a dirmi cosa dovevo fare per scacciare via le sue insicurezze. E lei ha fatto questo, e ancora di più, per me. Sua figlia è l'amore della mia vita. E so che lei è molto importante per Arizona.”
Continuò a guardarmi attentamente, cercando di capire dove sarei andata a finire, senza però muoversi neanche di un millimetro, non lasciando trasparire neanche l'ombra di un'emozione dal suo volto.
“Per questo avevo programmato di chiederle” frugai velocemente in entrambe le tasche del giacchetto che avevo ancora addosso. “Di chiederle la mano di Arizona” terminai appoggiando una piccola scatola rivestita in raso sul tavolino.
Abbassò gli occhi, guardando verso il piccolo oggetto quadrato, ma altrimenti non muovendosi minimamente. Poi riportò lo sguardo dentro il mio.
“Non hai mai avuto bisogno della mia approvazione” mi spiegò. “E non avevi di certo bisogno di chiedermela, ma l'avevi comunque già da prima che ti incontrassi di persona” aprì il giornale, riportando gli occhi sulle pagine che poco prima stava leggendo. “E non ho mai detto che non mi piaci.”
Quando la porta si aprì fui velocissima a far sparire l'anello. Arizona e Barbara entrarono ridendo per qualcosa che si erano dette. La bionda aveva ancora in mano il vino.
“Papà, Calliope ha portato una bottiglia del tuo vino preferito. Ne ha trovata una qualche giorno fa su internet, ma ieri ce la siamo dimenticata in albergo. Quindi eccola qui” gliela porse con un sorriso.
Suo padre, la cui espressione per me era indecifrabile, prese la bottiglia incrociando lo sguardo della figlia il minor tempo possibile.
“Grazie tesoro. E grazie mille anche a te” mi sorrise, alzando lo sguardo nella mia direzione. Io annuii, ancora perplessa.
“Papà” Arizona aveva un'espressione confusa. “Hai gli occhi lucidi. È successo qualcosa?”
“No. No, soltanto” si alzò in piedi. “Tua madre avrà di nuovo usato troppo basilico, sai che l'odore mi disturba. E oggi non sembra proprio che riuscirò a finire di leggere il mio giornale” si diresse verso la porta.
Arizona mi guardò con aria interrogativa, io mi strinsi nelle spalle, onestamente confusa da quello che era successo.
“Callie” pronunciò il mio nome per la prima volta, facendo voltare entrambe. Tenne lo sguardo basso per qualche istante, guardandomi poi mentre annuiva per farmi capire l'autenticità delle parole che stava per pronunciare. “Sei un brav'uomo nella tempesta.”
Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza.
Arizona mi stava guardando con meraviglia, perfino Barbara si era voltata nella mia direzione. “Qualsiasi cosa tu gli abbia detto, ha funzionato, cara” mi sorrise Barbara.
“Ah, sì?”
“Sì. Era quasi commosso.”
“E poi mio padre non usa quasi mai quel complimento. Lo ha detto a me solo un paio di volte, Tim se ne è beccato qualcuno quando è partito per l'Iraq, ma persone che non sono sangue del suo sangue, non ottengono queste parole.”
“Hai fatto davvero colpo tesoro” concluse Barbara con un occhiolino verso di me e avvicinandosi poi ai fornelli.
Io guardai il sorriso di Arizona.
Certo. Certo che ne era valsa la pena. Anche solo per poterla vedere tutti i giorni avrei dato qualsiasi cosa. E lei voleva stare insieme a me. Quindi sì, ne valeva la pena.

“Ieri hai detto che non avresti più sollevato l'argomento” iniziò dal niente, mentre sistemavamo il letto per andare a dormire.
“Cosa?” domandai distrattamente.
“Quando parlavamo di bambini” chiarì, facendomi alzare lo sguardo. “Hai detto che non ne avresti più parlato.”
Scrollai le spalle.
“Come ho detto, mi rendi felice. Sono felice. Soltanto con te posso esserlo, e non mi serve nient'altro. Sono riuscita a capirlo, adesso.”
“Ma vuoi ancora un bambino.”
Non era una domanda.
Scrollai le spalle per la seconda volta, prendendo la maglietta che usavo per dormire da sotto il cuscino e togliendomi quella che avevo indossato quel giorno.
“Non puoi biasimarmi per quello. Non posso controllarlo.”
“Nemmeno io.”
“Lo so” risposi immediatamente, un po' sulla difensiva. “Lo so. Ed è per questo che non pretendo che tu voglia un bambino o meno.”
“Ti ho detto...”
“So quello che hai detto. Ma io mi ero appena messa tra te e un tizio con una pistola carica in mano, quello che hai detto allora per non perdermi non conta.”
“Certo che conta” protestò, corrugando la fronte mentre si toglieva jeans e maglietta e li rimpiazzava con una felpa della Hopkins.
“No, invece. Ma se lo dici adesso...”
“Lo sto dicendo.”
“...che l'adrenalina è passata, io non posso far finta di non sentire. Quindi meglio per te che tu dica sul serio.”
Fece il giro del letto mentre io indossavo una maglietta ed un paio di pantaloncini che usavo di solito per dormire.
Mi prese delicatamente le mani con le sue e mi guardò negli occhi.
“Voglio un figlio insieme a te. Non perché è quello che vuoi anche tu e così è più semplice. Non perché sono in quel periodo del mese in cui sono emotiva. Ci ho pensato parecchio negli ultimi due anni, e credo davvero che ora siamo pronte. Non domani, ma presto. Molto presto. Potremmo prendere un appuntamento quando torniamo per gli esami preliminari, scegliere la tecnica che vogliamo usare, fare le cose con calma. Niente pressioni se non sei pronta. Ti sto solo facendo sapere che io lo sono.”
“Dici sul serio?”
Annuì.
La abbracciai, piegando le ginocchia per essere all'altezza giusta per baciarla e sollevarla da terra allo stesso tempo, sentendola ridere mentre la abbracciavo ed inspiravo il suo profumo.
“Quanto ti amo” sussurrai.
“Quanto mi ami?”
“No, no, non si può misurare.”
Rise mentre le facevo di nuovo appoggiare i piedi sul tappeto.
“Perché non ci provi?” sussurrò, allontanandosi solo per rivolgermi un'occhiata eloquente mentre si sedeva sul letto.
“Più del numero delle stelle” mi abbassai, baciandola sulle labbra. Mi sfuggì, indietreggiando per mettersi comoda con la testa sul cuscino. “Più della luce del sole” mi affrettai a seguirla. “Più delle gocce d'acqua in tutti gli oceani” sussurrai al suo orecchio, baciandola sul collo. “Più dei granelli di sabbia di tutto il mondo.”
Sentii le sue mani afferrarmi i fianchi sotto la maglietta. Quando mi sollevai per guardarla aveva gli occhi chiusi. Una mano si spostò tra i miei capelli.
“Più dei millimetri di distanza da qui alla luna” terminai.
“La somma di tutte le cifre che mi hai dato?” domandò aprendo gli occhi, con un sorrisetto soddisfatto in viso.
Io scossi la testa, vedendola avere un attimo di confusione.
“La moltiplicazione.”
Lei mi fece rotolare sulla schiena, prendendo il controllo della situazione.
“Ti ho reso così sdolcinata e melensa.”
“Mi hai reso dolce e romantica” protestai.
“Sei sempre stata dolce e romantica.”
“No, non è vero.”
“Lo eri” rimarcò con convinzione. “Solo che nessuno lo sapeva. Neanche tu” spiegò, sorridendo ancora una volta e poi baciandomi di nuovo.
“Me lo hai chiesto tu” le feci notare.
“Un 'davvero, davvero molto' sarebbe bastato.”
“No, invece. Io ti amo parecchio di più che davvero, davvero molto.”
“Anche io ti amo di più che davvero, davvero molto” rispose, mentre il suo sorriso diventava dolce e il discorso che doveva essere spiritoso trovava conferma della sua profonda verità dentro i miei occhi. Sapeva che avevo detto sul serio ogni singola parola. “Calliope, anche io ti amo in tutti quei modi.”
“Sì?” domandai.
“Sì” confermò senza la più piccola esitazione.
“E quali sono tutti questi modi? Mi ami tanto da avere un bambino con me?” con un movimento deciso tornai sopra di lei.
“Sì” mi sorrise.
“E tanto da comprare una casa dal mutuo trentennale insieme a me?”
“Certo” rise, pensando forse più alla parte economica che al fatto che trent'anni di mutuo significavano altri trent'anni insieme.
“Tanto da farmi scegliere la nostra prossima macchina?”
“Tutto quello che vuoi” promise in un secondo, baciandomi sul collo.
La sentii accarezzarmi i capelli con una mano, l'altra appoggiata sul mio fianco.
“Tanto da volerti svegliare al mio fianco tutte le mattine per il resto della tua vita?”
“Lo spero. Ma è improbabile che nessuna delle due abbia mai più un turno di notte” rise, tornando a guardarmi negli occhi.
“Tanto da promettere di amarmi anche quando non mi sopporti?”
“Io ti amo sempre. Ti amavo anche quando odiarti sarebbe stato più facile. Ti amo, Calliope” mi rassicurò, anche se non capiva il perché di tutte quelle domande ed iniziava un po' a preoccuparsi di dove sarei andata a parare.
“Mi ami abbastanza” sussurrai contro il suo orecchio, poi la baciai sullo zigomo, sulla guancia, sul mento e infine sulle labbra “da volermi sposare?” domandai, fissandola negli occhi e cercando di registrare la sua reazione.
Le sue labbra erano dischiuse in un'espressione di stupore. Lentamente si richiusero, mentre i suoi occhi scrutavano i miei in cerca di una conferma.
“Sì” rispose senza mancare un battito. “Lo farei.”
“Non ti sto chiedendo se lo faresti” le spiegai. “Ti sto chiedendo di farlo. Adesso. Cioè, non di farlo adesso, ma te lo sto chiedendo adesso” blaterai nervosamente. “Aspetta. Sto sbagliando tutto. Non era così che avrei voluto farlo” chiusi gli occhi per un istante. “Mi sto rendendo ridicola, non è vero?” aprii un solo occhio, osservando la sua reazione.
Lei mi stava guardando, gli occhi leggermente sgranati.
“Cos'è che mi stai chiedendo adesso?” chiese molto lentamente.
Deglutii. Non stava andando bene.
“Vuoi sposarmi?” ormai non potevo rimangiarmelo. “Ok, non fa niente. Fai finta che non lo abbia mai detto, ok? Torniamo invece al discorso romantico sui millimetri di distanza da qui alla luna e continuiamo da lì.”
“No, non puoi rimangiartelo” mi fece sapere. “Troppo tardi. Avresti dovuto pensarci prima, Calliope. Ormai me lo hai chiesto. E quindi dovrai accettare il fatto che sto per darti una risposta. Sì, voglio sposarti. Sì, ti sposo stasera, domani, tra un mese, un anno. Ti sposo il minuto esatto in cui mettiamo di nuovo piede a Seattle. E non puoi rimangiartelo.”
“Non voglio farlo” risposi, ancora paralizzata dal fatto che la domanda mi era più o meno uscita dalla bocca senza che me ne accorgessi o avessi il tempo di fermarla. Ma, con il senno di poi, andava bene così.
Mi afferrò il viso con entrambe le mani e mi baciò.
“Aspetta” protestai, ma lei non mi lasciò allontanare.
“Qualsiasi cosa sia” la sentii tentare di togliermi la maglietta “può aspettare.”
Non trovai la forza di protestare.

Mi ero sdraiata di nuovo solo da un paio di minuti.
Iniziò a stirarsi mentre la guardavo. Rafforzai la stretta sulla sua mano e la baciai sulla spalla un paio di volte.
“Buongiorno” sussurrai.
Sorrise ancora prima di aprire gli occhi.
“Ho fatto un sogno” disse come se mi stesse confidando un segreto. “E spero più di qualunque cosa che non fosse un sogno.”
“Dipende” sospirai scherzosamente. “Hai di nuovo sognato un mondo dove tutti vanno in giro con le scarpe con le rotelle?”
“No” aprì finalmente gli occhi, senza lasciar vacillare il sorriso. Voltò la testa verso di me, baciandomi immediatamente. “Ho sognato che mi chiedevi di sposarti.”
“Questo significa che vuoi che faccia finta che tu lo abbia sognato davvero e che in realtà non sia mai successo?” chiesi cercando di nascondere un sorriso.
Mi colpì scherzosamente sul braccio.
“Non ti azzardare nemmeno. Non c'è tempo per i ripensamenti” mi informò. “Dobbiamo pensare a un sacco di cose. La cerimonia, i vestiti, gli invitati. E dobbiamo farlo prima che mia madre venga a saperlo, perché altrimenti finiremo per sposarci nella più grande cappella degli Stati Uniti e avremo una torta a dodici piani.”
“Mh. Sebbene la torta mi faccia gola dovrò mettere il veto su una cerimonia con più di cinquanta invitati. Sai come divento se devo parlare con più di un certo numero di persone attorno.”
“Lo so, amore” mi rassicurò con un sorriso. “E non vogliamo quel genere di crisi il giorno del nostro matrimonio” scosse la testa.
Imitai il gesto, sorridendole e baciandola ancora una volta.
“Però penso che la parte del nasconderlo a tua madre sia possibile fin tanto che oggi non indossi il tuo anello.”
“Non ho un anello” mi ricordò.
“No, non ancora. Perché sono lievemente ritardata e ieri sera una proposta di matrimonio mi è decollata dalla faccia rovinando il mio piano perfetto che comprendeva una cena romantica nel tuo ristorante preferito, candele e champagne e petali di rosa, un vestito elegante e mettermi in ginocchio davanti a te. Avevo anche un discorso pronto. Ma” aggiunsi, voltandomi per prendere la scatoletta che avevo appoggiato sul comodino. “Almeno ho avuto la decenza di portarmi dietro l'anello.”
Mi guardò con stupore e fissò l'involucro con curiosità, allungando la mano.
“Aspetta” sussurrai. “Non ho un vestito elegante né petali di rosa, ma fammi almeno mettere in ginocchio.”
La scavalcai, scendendo dal materasso ed appoggiando un ginocchio a terra, mentre lei si metteva seduta sul letto, coprendosi con il piumino, visto che io mi ero avvolta addosso il lenzuolo mentre scendevo.
“Perché ci stiamo coprendo?” sussurrò.
“Sshh, sto cercando di essere seria per un momento, ok?” sussurrai a mia volta. Poi mi schiarii la voce. “Arizona, io ti amo. Così tanto e in così tanti modi diversi che è impossibile da spiegare, perché lo comprendo a malapena io stessa. Ma so benissimo di essere la persona più fortunata del mondo. Anche se dovessi dirmi di no e da domani a malapena ci salutassimo a disagio incontrandoci a lavoro, sono la persona più fortunata del mondo perché ti ho conosciuta. La mia vita e la tua vita si sono toccate in modo così profondo che sembra ridicolo immaginare qualcosa di diverso, adesso. Ti amerò per tutto il resto della mia vita. E voglio che tu abbia questo anello in modo che se mai dovessi dubitarne potresti anche solo guardare in basso per spazzare via ogni dubbio.”
Aprii la scatoletta che avevo in mano. Aveva le lacrime agli occhi. E anche io.
“Vuoi sposarmi?”
“Sì. Certo che lo voglio, Calliope” la voce le tremava.
A me, invece, tremavano le mani mentre prendevo l'anello e lo sistemavo sul suo anulare sinistro. Mi tirò verso di sé per baciarmi, lasciando il piumino cadere di lato.
Poco male, pensai lasciando andare il lenzuolo. Non c'era più bisogno di essere formali.

“Sei sicura di non volerlo togliere?”
“No” si strinse la mano sinistra al petto come se avesse avuto paura che avrei provato a strapparglielo via. “È il nostro ultimo giorno qui e voglio dirlo loro di persona.”
Le valigie erano già in macchina, avremmo fatto pranzo e nel primo pomeriggio saremmo andate in aeroporto, pronte a tornare a Seattle.
“Dico solo, forse è meglio aspettare. Non essere qui mentre ricevono la notizia, ma dall'altra parte degli Stati Uniti aiuterebbe.”
“Io vorrei dirglielo di persona, in realtà.”
“Lo so. Intendevo me” sospirai, guardando la porta aprirsi inesorabilmente.
“Tim.”
“Arizona, Callie. Papà e mamma in cucina, noi siamo in soggiorno, i bambini di sopra. Sapete come funziona, ormai. Che hai da sorridere?” chiese perplesso, quando notò l'espressione che aveva sua sorella.
“Vieni” mi disse. “Andiamo prima in cucina.”
Deglutii, seguendola. Tim scrollò le spalle quando guardai verso di lui. Almeno non aveva notato l'anello. Forse c'era una speranza che nessuno lo notasse, in fondo.
“Arizona, aspetta” sussurrai, tentando di fermarla. “Tuo padre già...”
Troppo tardi. Eravamo entrate in cucina. Mi morsi la lingua, scuotendo la testa quando mi guardò, facendole sapere che non avrei mai terminato quella frase.
“Siete arrivate” Barbara sorrise, avvicinandosi a noi ed abbracciando velocemente entrambe. “Avete già fatto il check out?”
“Sì” rispose Arizona, il sorriso radioso che non era più andato via dalla sera prima ancora saldamente sulle labbra.
Rafforzai la presa sulla sua mano sinistra, impedendole di gesticolare e far notare a sua madre il piccolo accessorio che aveva addosso.
Non ero ancora sicura della reazione del Colonnello e ci tenevo alla vita.
Daniel si alzò, venendoci incontro e abbracciando velocemente Arizona prima di stringere la mia mano destra. Fui costretta a lasciar andare la mano di Arizona.
“Mamma, papà, c'è una cosa che vorrei dirvi.”
Mentre, come avevo previsto, iniziò a gesticolare con le mani appena se le trovò libere dalla mia presa – come faceva ogni volta che era nervosa – Barbara prese al volo la sua mano sinistra, notando immediatamente qualcosa che il giorno prima non c'era.
“Oh, mio Dio, è un anello di fidanzamento questo?” domandò mentre lo osservava da vicino, immobilizzando la mano della figlia in entrambe le sue.
“Lo è” confermò, non sapendo davvero cos'altro dire.
Sua madre abbracciò entrambe contemporaneamente, dicendoci quanto fosse felice e parlando più velocemente di quanto l'avevo mai sentita fare prima.
Il Colonnello non disse niente.
Sua moglie si allontanò, prendendo di nuovo la mano della figlia e avvicinandola al suo viso.
“Guarda qui, Daniel? Non è l'anello più bello che tu abbia mai visto?”
“Decisamente” confermò.
“Papà, non sembri molto sorpreso.”
“Oh, io lo sapevo già” sminuì l'affermazione con un gesto della mano.
Arizona corrugò la fronte.
“Come sarebbe a dire che lo sapevi già?”
“Ma sì, Callie mi ha chiesto il permesso di chiederti di sposarla, ieri.”
Un piccolo sorriso si fece strada sul viso della donna al mio fianco mentre si voltava per guardarmi negli occhi.
“Hai chiesto la mia mano a mio padre?”
Ero completamente rossa, potevo percepirlo, e talmente in imbarazzo che per la prima volta rimpiansi di aver accettato di fare quella vacanza.
“Sì” sussurrai molto, molto piano, distogliendo lo sguardo per qualche momento prima di trovare il coraggio di guardarla di nuovo.
“È stata una cosa che ho apprezzato molto, personalmente” intervenne il Colonnello per alleviare almeno un po' il mio imbarazzo.
“Sono così felice, ragazze” intervenne Barbara, che a quel punto stava a malapena contenendo il suo entusiasmo.
Lanciai uno sguardo di sottecchi ad Arizona, ancora completamente imbarazzata.
“Benvenuta in famiglia, Callie” mi disse il Colonnello, facendo un passo verso di me ed abbracciandomi per la prima volta.
Guardai Arizona. Era sorpresa quasi quanto me.

Era stata distratta per tutto il viaggio in aereo e perfino in automobile. Stavo guidando io, ma lei aveva detto a malapena qualche parola, tenendomi però la mano per tutto il tempo. Ogni tanto la sentivo stringere e le lanciavo un'occhiata vendendole quel sorriso meraviglioso addosso. Mi aveva fissato per tutto il tempo.
Varcammo la soglia della porta dell'appartamento e posò le valigie, sorridendomi. Mi baciò sulle labbra, prima di sparire dentro la nostra camera da letto.
Mi tolsi il giacchetto e sistemai i gradi che volevo sul termostato, lasciandomi cadere seduta sul divano.
“Amore, vieni qua” parlai ad alta voce perché mi sentisse dall'altra stanza. “Voglio almeno un bacio prima di dover disfare le valigie.”
Lei rientrò in soggiorno, sempre sorridendo.
“Sono distrutta. Vieni qui” sussurrai.
Lei continuò a sorridere, ma non si mosse da dove si trovava.
“Che c'è?”
“Tu sei l'unica donna con cui ho mai preso in considerazione di sistemarmi. Lo sai, vero?” chiese, avvicinandosi di un passo. “Sei l'unica donna con cui ho mai progettato un futuro oltre il domani, con cui ho mai voluto un bambino, sei l'unica donna che ho mai voluto sposare. Con nessun'altra avrei mai preso in considerazione di passare il resto della mia vita, se non con te” mi fece sapere, sedendosi accanto a me sul divano.
Aveva tenuto entrambe le mani dietro la schiena.
“Cos'hai lì?” chiesi sospettosamente.
Lei ignorò la domanda.
“Quando ero piccola, intendo parecchio piccola, ogni tanto giocavo al principe che deve salvare la principessa con alcuni miei amici. Io facevo sempre il principe.”
“Ah, questa è nuova” trattenni a stento un sorriso, avvicinandomi di più a lei.
“Ma ogni volta che arrivavo alla principessa, ogni volta che la salvavo, non era mai come mi ero immaginata che dovesse essere. Forse perché erano sempre bambine che conoscevo, mentre io mi aspettavo una principessa come quelle delle favole. Crescendo, mi sono abituata all'idea che non ci fossero principesse. Ho iniziato a pensare più in piccolo, a cercare qualcosa di più realistico che un amore eterno che andasse oltre lo spazio, il tempo e tutte le avversità” storse il naso. “Non è servito, però.”
“Non è servito?” domandai dolcemente, accarezzandole i capelli.
“No. Alla fine, ho trovato la principessa che ho sempre cercato. La donna più bella, più dolce, più gentile e perfetta. L'ho trovata e voglio fare in modo che rimanga al mio fianco per tutto il resto della mia vita.”
“Deve essere molto fortunata” risposi sorridendo.
Alzò scherzosamente gli occhi al cielo.
“Sai che sto parlando di te” mi disse. “Sposami, Calliope.”
Sentii il cuore in gola quando mi mostrò quello che aveva in mano.
La guardai negli occhi e le sorrisi.
“Non lo so. Dovrò pensarci, credo” sospirai.
Mi guardò con aria scandalizzata.
Risi, tirandola per la maglietta finché fu abbastanza vicina perché potessi baciarla.
“Sì. Un milione di volte sì.”
“Bene” rispose. “Sarebbe stato imbarazzante, il nostro matrimonio, se io fossi stata l'unica delle due consenziente.”
Io risi di nuovo, porgendole la mano sinistra perché mi facesse indossare l'anello che, a quanto sembrava, aveva comprato prima che io le chiedessi di sposarmi quando eravamo ancora in Maryland.
Dopo diversi minuti sul divano decise di alzarsi, dicendomi che doveva andare in bagno e che potevamo iniziare a mettere a posto le valigie appena fosse uscita.
Rimasi sola con i miei pensieri e la mia mente toccò l'unico argomento che sembrava capace di raggiungere in quei giorni.
Passare così tanto tempo con la famiglia di Arizona mi aveva fatto riflettere molto. Erano davvero fantastici, i legami che li univano erano sinceri. Era bello vederla interagire con la sua famiglia, forse perché era qualcosa che io non avevo mai avuto.
Avevo passato un sacco di tempo con Kyle, che quando mi aveva salutato, visto che i genitori gli avevano spiegato che io e Arizona ci saremmo sposate, mi chiamava zia. Tim mi trattava come se già fossi parte della famiglia, Barbara aveva insistito perché la chiamassi Barbara ed il Colonnello si era dimostrato stranamente contento del fatto che sua figlia volesse passare il resto della sua vita con me.
Era andata meglio di qualsiasi previsione avessi avuto in mente, ma il fatto che fosse andata così bene mi aveva anche reso un po' triste.
Presi il telefono, componendo il numero a memoria.
Come avevo previsto, di domenica sera nessuno rispose alla chiamata. Sentii il suono della segreteria avvertirmi che potevo lasciare un messaggio.
“Ciao, sono io” iniziai. “Callie” precisai poi. “Mi dispiace essere sparita in questo modo. Mamma vi avrà di sicuro spiegato perché, ormai” inspirai ed espirai lentamente. “Niente, volevo solo sapere se state tutti bene. Io sono davvero felice.”
Rimasi qualche momento in silenzio, sapendo che probabilmente una volta che avevano riconosciuto la mia voce era calato il silenzio sulla cena di famiglia e che tutti stavano ascoltando mentre parlavo.
“Mi mancate” ammisi. “Mi mancano i nonni, mi manca perfino Aria. Chissà se zio Berto si è sistemato o se viene ancora ogni domenica mattina accompagnato da Juan” che era il suo minuscolo chiwawa. “Siete tutti lì?” chiesi, sapendo che non ci sarebbe stata risposta. Mi passai una mano sugli occhi, sospirando pesantemente. “Ma con chi cavolo sto parlando?” sussurrai al cordless, chiudendo la conversazione.
“Calliope.”
Mi voltai verso la porta della camera da letto. Aveva una spalla appoggiata allo stipite della porta. “Mi dispiace, non volevo origliare.”
“Non importa” sussurrai, alzandomi in piedi e sorridendole debolmente.
“Vuoi parlarne?” si avvicinò, appoggiando le mani sulle mie spalle, nel tentativo di confortarmi. “Non c'è niente di cui parlare. Li chiamo dopo un anno e mezzo che non li sentivo più e nessuno di loro risponde. Mia madre avrà spiegato la cosa, presumo. Quindi non vorranno nemmeno sentire la mia versione.”
“Mi dispiace, tesoro” sussurrò, abbracciandomi.
“Non è colpa tua. Possiamo andare a letto? Le valigie saranno ancora qui, domani mattina.”
“D'accordo” si allontanò per baciarmi velocemente.
Il telefono squillò proprio mentre si stava voltando per andare verso camera nostra. Lo presi velocemente dal tavolino, sperando di potermi liberare in pochi secondi di Addison, che probabilmente stava chiamando per chiederci se eravamo ancora vive dopo il volo in aereo.
“Pronto?”
“Tu, ragazzina ingrata, sei sparita per anni senza lasciare neanche un numero di telefono.”
“Nana?” domandai, paralizzandomi.
“E tua madre si rifiuta di parlare, qualsiasi cosa fosse che doveva spiegarci. Quindi prenditi qualche giorno di ferie a lavoro e vieni a trovarci prima che io riesca a trovare te. E lo farò, adesso che ho un numero telefonico.”
“Nana, mi dispiace.”
“Non voglio sentirtelo nemmeno. Se non sei qui tra una settimana assumo uno di quei tizi in impermeabile che seguono i mariti adulteri.”
“Dici un investigatore privato?”
“Quello. Ci vediamo presto. Ora devo andare a controllare Maria. Sai come diventa tua nonna quando ha questo tipo di notizie.”
“Ciao, Nana.”
Riattaccai la conversazione, alzando gli occhi verso Arizona.
“Mia nonna manderà un investigatore privato a cercarmi se non torno a casa il prima possibile” le comunicai, ancora perplessa.
“Beh, sarà meglio chiamare Webber, allora.”

“Ti sto dicendo, Calliope, dammelo immediatamente o giuro che non ti lascerò scendere dalla macchina.”
“Ah! Come se avessi scelta.”
Provai ad aprire lo sportello, ma sentii uno scatto prima di riuscire a farlo.
“Hai messo la sicura per i bambini? Sul serio, Arizona?”
“Sì. Ti stai comportando da bambina, quindi io agisco di conseguenza.”
“Bene” incrociai le braccia al petto. “Allora rimarremo qui, perché non ho intenzione di restituirtelo, né ora né mai.”
“Andiamo, si tratta solo di un'ora. Forse di meno. Metti via l'anello” tese la mano destra nella mia direzione, il palmo verso l'alto, in attesa che vi appoggiassi sopra quello che mi aveva appena richiesto.
“Tu non te lo sei tolto, perché io devo farlo?”
“I miei genitori sapevano che stavo vedendo qualcuno” mi fece notare. “E che quel qualcuno era una donna. E che ci siamo frequentate per anni. Non è stata una gran sorpresa per loro sapere che ci sposavamo. Ma tua nonna potrebbe avere un infarto se ti vede con un anello di fidanzamento al dito.”
“Arizona, ti prego” sussurrai, guardandola finalmente negli occhi con la mia migliore espressione da cane bastonato. “Tu sei l'unica cosa che mi dà la forza di farlo. Voglio una parte di te insieme a me, lì dentro. E, certo, continuerò a pensare a te, ma ho bisogno di guardare in basso e poter respirare perché so che tu sei qui con me. Ci sarà un momento in cui non riuscirò più neanche a pensare, e in quel momento voglio qualcosa che mi faccia sentire al sicuro. Tu mi fai sentire al sicuro.”
Per qualche istante mi guardò negli occhi senza dire niente.
“Ok. Torno a prenderti in macchina tra un'ora, d'accordo? Se qualcosa va storto fammi uno squillo e sono qui in cinque minuti.”
Annuii, grata che avesse capito.
“Chiamami quando arrivi.”
La baciai a stampo sulle labbra prima che potesse protestare e poi scesi, percorrendo il vialetto che mi separava dalla casa in cui vivevano i miei nonni.
La madre di mia madre, Maria, era rimasta vedova quando era ancora giovane. I genitori di mio padre, Nana e Yayo – era così che li chiamavo da piccola e come avevo continuato a chiamarli anche quando ero cresciuta – dopo che i miei si erano sposati avevano deciso di accoglierla nella loro casa in modo da potersi aiutare a vicenda. Io ed Aria eravamo praticamente state cresciute da loro, perché i miei genitori erano sempre a lavoro. Per questo motivo la mia prima fermata non era stata da loro e mia sorella, ma dai miei tre nonni.
Prendendo un respiro profondo, mi decisi a bussare alla porta.
Ad aprire fu Nana, guardandomi per un momento con aria scettica. Poi i suoi lineamenti si rilassarono quando ogni dubbio su chi io fossi sparì.
“Se tomó un mes para volver a casa.”
“Lo siento, Nana. Non sono riuscita a prendere altre ferie prima di adesso.”
“Vieni dentro” mi prese per una manica, forzandomi oltre la porta. “Tuo abuelo è stato agitato tutto il giorno. Mira quién está aquí” urlò per farsi sentire anche dai miei nonni in cucina.
Entrammo, trovando mio nonno seduto al tavolo della cucina in silenzio. Era un uomo di pochissime parole, ma il tempo non lo aveva cambiato quasi per niente. Era esattamente come me lo ricordavo.
Anche mia nonna Maria non era cambiata di una virgola, eccetto qualche ruga in più, mentre Nana aveva forse perso un paio di chili – o preso un paio di chili, era difficile da dire, era troppo tempo che non la vedevo.
Abbracciai Nana, baciandola sulle guance. Poi mi abbassai per abbracciare anche Maria, che era più bassa e molto più minuta di corporatura. Infine mio nonno si alzò, baciandomi su entrambe le guance.
“Bentornata a casa” mi disse, tornando a sedersi.
“Allora?” chiese Maria. “Voglio sapere tutti i dettagli. Non lasciare niente. Come era la scuola di medicina? E com'è ora essere un dottore?”
“Prima le cose importanti” mi incoraggiò Nana, sedendosi a tavola. “C'è già una persona speciale nella tua vita?” domandò con un sorriso che aveva qualcosa di malizioso e consapevole al tempo stesso.
“C'è, in realtà” iniziai, mettendomi a sedere come mia nonna mi stava indicando di fare. “C'è qualcosa che devo dirvi” li informai, inspirando. “Volevo farlo da molto tempo, ma non avevo mai trovato il coraggio.”
Percependo che il discorso stava diventando serio, mia nonna si alzò, iniziando a mettere cose da mangiare sulla tavola.
“Vuoi un dolce? O meglio qualcosa di salato? E da bere cosa prendi?”
“Nonna Maria, mettiti a sedere, per favore. È davvero una cosa seria.”
Lei, con un sospiro, fece come le avevo chiesto.
“C'è una persona molto, molto speciale nella mia vita. La persona migliore che abbia mai incontrato e l'unica persona per cui ho mai anche solo preso in considerazione fare” feci un gesto con la mano destra attorno al tavolo a cui eravamo seduti tutti e quattro “questa cosa.”
“D'accordo” mi incoraggiò a proseguire Nana.
Lei e mio nonno si scambiarono un'occhiata. C'era qualcosa di strano nel modo in cui si stavano comportando tutti e tre.
“Questa persona si chiama Arizona.”
Ci fu qualche istante di silenzio. Nana e Yayo si scambiarono un'altra occhiata. Sospirai pesantemente.
“Arizona è un nome da donna” mi fece notare Nana.
“Lo so” confermai.
Continuarono a guardarmi, mio nonno era immobile, Nana era confusa e Maria sembrava leggermente preoccupata.
“Quello che sto cercando di dirvi è che sono innamorata di una donna.”
Gli attimi di assoluto silenzio che seguirono furono i più interminabili della mia vita. Era come se tutto si fosse congelato.
Niente si muoveva più, neanche il tempo.
Finii per chiedere a me stessa come mi era venuto in mente di andarmi a cacciare in quella situazione. Avrei dovuto lasciare che le cose rimanessero come erano.
“Dite qualcosa” li implorai.
“Onestamente, pensavo che, se non te ne eri ancora resa conto a questo punto, non te ne saresti resa conto mai più” mi informò Nana.
Corrugai la fronte.
“Tu lo sapevi?”
“Tesoro, io ti ho cresciuta. Era difficile non notare che a sedici anni ti sei innamorata della tua compagna di banco. Com'è che si chiamava?”
“Cosa? No, io no” arrossii leggermente mentre negavo.
“Il lato positivo è che almeno non sei talmente stupida da non accorgerti di qualcosa del genere” mi disse, versando un bicchiere d'acqua a mia nonna Maria.
Mio nonno era un uomo molto all'antica. Sapevo bene che probabilmente non mi avrebbe più rivolto la parola. Ma gli volevo talmente bene che mi si spezzava il cuore se pensavo ad un futuro in cui lui non c'era, nonostante tutti gli anni in cui non ci eravamo parlati.
“Non mi sento per niente bene” disse mia nonna in modo secco, interrompendo la mia linea di pensieri e portandosi una mano sul petto. “Devo stendermi, stendermi subito” ci informò, alzandosi e andando in direzione del divano.
“Nonna Maria, che c'è?” chiesi, alzandomi e lasciando che il medico in me prendesse per un attimo il sopravvento.
“Sto morendo” ci informò con semplicità. “Chiamate Padre Patrick.”
Incrociò le mani all'altezza del cuore e chiuse gli occhi.
Nana scosse la testa, alzando gli occhi al cielo mentre sospirava e prendeva in mano il telefono, componendo il numero.
Quando arrivò io e mia nonna eravamo in piedi accanto al divano mentre lui si sedeva accanto a lei, facendosi il segno della croce e recitando una preghiera.
“C'è ancora battito regolare” lo informai. “Ma non apre gli occhi da qualche minuto, anche se il respiro sembra apposto. Non capisco se è svenuta o sta dormendo o cos'altro.”
Annuì, tornando a concentrarsi su mia nonna mentre pregava ancora e si preparava al Sacramento dell'estrema unzione.
Vidi mia nonna aprire appena un occhio per sbirciare.
“Oh, mio Dio, stai facendo finta” esclamai ad alta voce, notevolmente stupita dal suo atteggiamento. “La perdoni, Padre Partick. Ci scusi se l'abbiamo disturbata, ma penso che possa andare.”
“No, invece” protestò mia nonna dal divano, gli occhi chiusi. “Sto morendo. Anzi, sono praticamente già morta. Tu mi hai ucciso.”
“Ah, io ti ho ucciso” sospirai, appoggiandomi le mani sui fianchi nella mia migliore posa di incredulità.
“Sì, proprio tu. Dopo anni ti presenti in questa casa e dici queste cose. È un peccato agli occhi di Dio.”
“Davvero? E fingere la morte e ricevere un Sacramento mentendo invece cosa è agli occhi di Dio, nonna Maria?”
“Non parlare a me di peccati, Callie” mi riprese, aprendo finalmente gli occhi. “Scommetto che tu e lei avete anche convissuto, non è vero? Aggiungiamo alla lista anche il concubinato e il sesso prematrimoniale.”
“Oddio” mi passai una mano sugli occhi. “Ci scusi, Padre. Davvero, non l'avrei fatta venire se avessi immaginato che stava solo fingendo” gli dissi, accompagnandolo alla porta dopo che si fu rialzato in piedi.
Lui annuì, rassicurandomi sul fatto che non gli era pesato e augurandomi una buona giornata prima di andar via.
“Sei contenta adesso, nonna? Hai fatto venire qui un prete che probabilmente aveva altre persone da aiutare” le dissi, tornando in soggiorno.
“Lasciatela stare. Le passerà” fu l'unico consiglio che mio nonno ci lanciò dalla cucina con un pezzo di dolce in mano.
“Non credo proprio che mi passerà. Io e lei stiamo insieme da anni. Non è qualcosa che passerà dall'oggi al domani” li informai.
“Credo che intendesse di lasciar stare tua nonna Maria, tesoro” mi disse Nana appoggiandomi una mano sul braccio.
“Tutta la tua vita è un susseguirsi di peccati, Callie.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Per questo hai chiamato un prete?”
“Anche per quello” mi informò, mettendosi a sedere quando capì che la messa in scena non avrebbe funzionato.
“Ok, sai che ti dico? Tra un po' il sesso prematrimoniale non sarà più un problema” le comunicai con esasperazione. “Io e lei ci sposiamo.”
Quello la fece finalmente star zitta. Ero sicura che anche mio nonno dalla cucina mi avesse sentito, ma non disse niente.
“Ma qui in Florida non potete farlo” protestò mia nonna.
“Lo faremo a casa. A Seattle” specificai, quando mi guardò ancora confusa. “Nello Stato di Washington il matrimonio è stato legalizzato.”
Mi guardò, senza parlare, per qualche momento.
“Io ho paura di volare.”
“Me lo ricordo” corrugai la fronte. “E allora?”
“Come ti aspetti che arrivi a Seattle per il tuo matrimonio?” chiese come se fossi ritardata.
“Vuoi venire al mio matrimonio?”
“Tesoro, questa è la domanda più stupida che tu mi abbia mai fatto.”
“Tu accetti questa cosa?” le chiese mia nonna. “Senza nemmeno lottare?”
“Maria, sai che non si può lottare con niente del genere. In queste situazioni, una delle due parti si deve piegare. E nostra nipote non è nella situazione per farlo, perché questa è la persona che è e la persona che ama, quindi o ci pieghiamo noi o qualcuno si spezzerà.”
“Mi dispiace, nonna” mi sedetti accanto a lei sul divano, prendendole una mano. “Mi dispiace davvero non poter essere la persona che tu volevi che fossi, spero che tu lo sappia. Ma, come ha detto Nana, questa è la persona che sono e l'unica cosa che posso essere è me stessa.”
“Non ho mai detto che non sei la persona che volevo” mi disse. “Sei un medico. Io e tua nonna ci vantiamo in continuazione di te, giù in paese. Ma una donna non è la persona con cui avrei voluto vederti passare il resto della tua vita, Callie. Non è la persona che avrei voluto vederti sposare e non è come mi ero immaginata di vederti essere felice. Ma, suppongo che se questo è l'unico modo che hai per essere felice, noi possiamo fare ben poco per farti cambiare. Nana ha ragione. O accettiamo la cosa e cerchiamo di farci i conti, oppure non ti parliamo mai più e torniamo alla triste solitudine di questi anni. O ci pieghiamo o ci spezziamo.”
Posai lo sguardo su entrambe per qualche istante.
“Quale delle due?” chiesi in un sussurro.
Loro si scambiarono un'occhiata.
“Onestamente, non lo so ancora, mija” rispose Nana. “È tanto con cui fare i conti. Dacci almeno un po' di tempo per pensarci, ok?”
Io annuii, un po' rattristata da quella risposta, nonostante mi fossi aspettata molto di peggio quando ero tornata in Florida.
Il cellulare che avevo in tasca suonò brevemente.
“È lei. Devo andare.”
Mi alzai, cercando di evitare di incrociare i loro sguardi, mentre mi allontanavo dal divano.
“Aspetta, Callie” mi disse Nana. “Perché, invece, non la fai almeno venire alla porta?” mi sorrise in modo esitante.
“Ok” sussurrai, richiamandola.
“Vuoi che torni più tardi?”
“No. In realtà, potresti venire alla porta?”
Ci fu qualche istante di silenzio dall'altro capo della linea.
“Certo” rispose infine, chiudendo la conversazione.
“Sta arrivando” informai le due donne.
Mi voltai in direzione della porta, ma mia nonna mi prese il braccio, fermandomi.
“Sei assolutamente sicura che lei sia quello che vuoi? Che questo è il tipo di vita che vuoi? Non sarà mai semplice. Lo sai sicuramente meglio di me.”
La guardai negli occhi.
“Io la amo. Questo non cambierà mai. E farei qualsiasi cosa, per lei.”
Entrai nell'ingresso, aprendo la porta con un sospiro.
Lei sembrava terrorizzata.
“Credi davvero che sia una buona idea?” sussurrò, lanciandosi un'occhiata alle spalle come se fosse pronta per darsela a gambe da un momento all'altro nel caso in cui io avessi mostrato anche solo il minimo dubbio.
“No. Ma è un'idea di mia nonna e a lei non si può dire di no.”
Mi scostai dalla porta, facendole segno di entrare, richiudendola alle sue spalle. Si paralizzò immediatamente. Voltandomi, capii perché.
“Tu sei la donna che mia nipote vuole sposare?”
Le avevo raccontato molte volte di come mio nonno fosse un uomo di pochissime parole. Di come spesso ignorava le persone che non conosceva e del fatto che aveva a malapena rivolto due parole in totale a tutti i fidanzati che Aria aveva portato a casa nel corso degli anni.
“Sì, signore.”
Lui annuì.
“Non l'ho mai vista così felice. Nemmeno quando era una bambina. E i bambini sono quasi sempre felici. Ma non così tanto.”
“La ringrazio, signore. Anche lei mi rende più felice di quanto io sia mai stata.”
Lui fece un passo nella nostra direzione.
“Pensavo che non avrei mai conosciuto la persona che mia nipote avrebbe sposato perché sarebbe stata troppo spaventata dalla nostra reazione per portare mai qualcuno a casa. Ho sempre sperato che cambiasse idea, però.”
“Mi fa piacere, signore.”
“Quando avrai sposato Calliope sarai mia nipote anche tu. Chiamami Yayo.”
La vidi aprire la bocca più volte senza che ne uscisse assolutamente niente di niente.
“D'accordo” fu l'unica cosa che riuscì a far uscire, lanciando un'occhiata molto confusa nella mia direzione.
“Venite a sedervi. Mangiamo qualcosa.”
Per un attimo mi chiesi in che razza di universo parallelo fossi finita. Poi decisi che neanche mi importava.
Ci sedemmo, prendendo entrambe un pezzetto del dolce che ci offrì. Io lo feci prevalentemente con l'intento di avere una buona scusa per starmene zitta ed evitare di parlare.
“Tu devi essere la peccatrice.”
Mi voltai verso la porta che dava sul soggiorno. Roteai gli occhi, sospirando.
“Nonna, ancora con questa storia? Ti sarei grata se potessi evitare di prendertela con lei, questa situazione non è colpa sua. Quindi arrabbiati con me.”
“Non posso far finta di niente, Callie. Non me ne starò in silenzio. Preferirei che ne parlassimo fino a trovare una soluzione, invece di ignorarci a vicenda.”
“Una soluzione?” chiesi, scuotendo appena la testa. “Ne parli come se ci fosse un problema da risolvere.”
“Non sto dicendo questo. Dico solo che c'è molto di cui parlare.”
“Pensi che non ci abbia provato?” chiesi a mia nonna Maria, ma incrociando anche lo sguardo di Nana. “Pensate che non abbia provato a mandarlo via, quando avevo diciotto anni ed ero spaventata a morte e pensavo che nessuno della mia famiglia avrebbe mai capito, pensate che non abbia provato a chiudere gli occhi e far finta che tutto andasse bene e non ci fosse niente di cui preoccuparsi?”
“Calliope” sentii la voce ferma e dolce al tempo stesso di Arizona e la sua mano che si posava sul mio braccio.
“No” la bloccai, continuando. “Credete che per me sia stato facile? Che un giorno me ne sia accorta, l'abbia accettato e fine della storia? Non è facile, invece. È difficile” cercai di spiegare loro. “Perché anche quando capisci che è normale, anche quando capisci che non c'è niente di sbagliato in te, hai la consapevolezza che altre persone al mondo non la penseranno così. Persone della tua famiglia, o amici, colleghi, perfino persone che non conosci ti giudicheranno a causa della persona di cui sei innamorata. E non c'è niente di facile, in questo.”
Mi guardarono senza dire niente, aspettando che continuassi.
“Ma, come vi ho detto anche prima, non posso essere nessun altro se non me stessa.”
Maria annuì, non perché fosse d'accordo ma perché aveva almeno capito il mio punto di vista, mentre Nana si sedette a tavola con un sospiro.
“Ti piace la torta, Arizona?” domandò mio nonno, ignorando tutta la conversazione che aveva appena avuto luogo. “L'ha fatta Nana. Ci sono dentro mandorle e pinoli.”
“È davvero molto buona, la ringrazio.”
Lui le sorrise, finendo il pezzetto che aveva in mano.
“Voglio avere almeno un ballo con mia nipote, al vostro matrimonio.”

Mi ritrovavo davanti a quella porta per la prima volta da anni. L'ultima volta che ero stata lì le cose non erano andate molto bene.
Eufemismo del secolo.
Ero nervosa ancora più del giorno in cui avevo incontrato i genitori di Arizona. Non sapevo cosa aspettarmi, perché avrebbero anche potuto decidere di tagliare ogni contatto.
Fu mia madre ad aprire, vedendomi stare lì come un idiota davanti alla porta di quella che sarebbe dovuta essere anche casa mia.
“Vengo adesso da casa dei nonni” la informai nervosamente. “Ho pensato di passare prima di tornare in albergo.”
Lei mi abbracciò, senza probabilmente aver neanche ascoltato una parola di quello che le avevo appena detto.
“Entra. Tuo padre e tua sorella sono in soggiorno. Ti stavamo aspettando.”
Sospirando annuii, richiudendomi la porta alle spalle e seguendola lungo l'ingresso. Prima di entrare nella stanza, però, le presi un braccio, facendola fermare e obbligandola a voltarsi verso di me per guardarla negli occhi.
“Lo sai perché sono qui, non è vero?” domandai con tutta la freddezza che riuscii a mettere insieme in quel momento. “Quindi facciamo questa cosa, ma non venirmi a dire che non lo sapevi o non sapevi a cosa andavi incontro. Non ne abbiamo mai parlato davvero, ma dubito che te ne sia dimenticata.”
Lei spostò lo sguardo verso il pavimento, con lo scopo di evitare il mio. Si districò gentilmente dalla mia presa, aprendo la porta che dava sul soggiorno.
“Certo che so perché sei qui” sussurrò impercettibilmente, mentre entravamo nella stanza. Mio padre e Aria mi abbracciarono entrambi, come ci si sarebbe aspettati dopo anni che non ci vedevamo più di persona.
Poi ci sedemmo, li guardai, cercando di capire da dove iniziare, cosa dire e cosa tralasciare, come spiegare loro cosa stava succedendo.
“C'è qualcosa che devo dirvi” iniziai prendendo un respiro profondo.
“Oh mio Dio, non posso crederci” esclamò Aria, sgranando gli occhi. “Quello è un anello di fidanzamento?” notai che i suoi occhi puntavano dritti sul mio anello. “Non posso credere che ti sposerai prima di me.”
“Ah, ecco, io...”
Non avevo ancora realizzato di essermi mossa quando mi ritrovai abbracciata a mia sorella, poi a mio padre. Mia madre seguì ma in modo più esitante.
“Parlaci di lui. Com'è? Fa il medico anche lui?” chiese subito mia sorella. “Scommetto che è più grande.”
“A dire la verità sì” confermai con esitazione. “Due anni più grande.”
“Non sembri molto felice” osservò mio padre.
“No, lo sono. Sono molto felice. Ma c'è qualcosa che devo dirvi. Ed è una cosa importante e vorrei che vi concentraste per qualche minuto e che mi lasciaste parlare, ok?”
“Che può esserci di più grande del fatto che ti stai sposando?” chiese Aria, incredula.
“La persona che sto sposando” iniziai, guardandoli negli occhi a turno, cercando di non farmi prendere dal panico “è una donna” terminai con un sospiro pesante.
Era come se mi fossi tolta un peso insopportabile dallo stomaco, ma allo stesso tempo come se fossi stata completamente priva di difese.
Non mi sentivo al sicuro.
Ci furono dei lunghissimi minuti di silenzio.
Guardai in basso, verso il mio anulare sinistro.
Ed ecco che all'improvviso mi sentii nuovamente al sicuro.
“Torni a vivere a casa.”
Guardai mio padre, convinta di non aver sentito bene quello che aveva appena detto.
“Cosa?”
“Mi hai sentito. Torni qui a casa, dove possiamo tenere d'occhio quello che fai e riportarti nella direzione giusta.”
Stavo per rispondere bruscamente, ma presi un respiro profondo e ricordai che urlare contro mio padre non era mai stato di nessuna utilità.
“Ricordo bene quello che ne pensi, papà, e non ti sto chiedendo di capirlo, né tanto meno di accettarlo. Ho pensato solo che fosse giusto farvi sapere che sto per sposarmi e che” scrollai le spalle “sono felice.”
Si alzò in piedi, iniziando a percorrere ritmicamente la stanza mentre si metteva ad urlarmi contro in spagnolo, accuse e richieste assurde al tempo stesso.
Ben presto stavamo urlando entrambi, con mia madre caduta in una specie di shock che le impediva di fare altro che fissare il pavimento con aria contrita.
Quasi un'ora dopo le nostre urla avevano raggiunto un livello pressoché assordante, quando il mio cellulare iniziò a squillare.
“Pronto” risposi bruscamente.
“Calliope, è tutto ok? Sento delle urla in spagnolo, sembrano provenire da dentro la casa in cui ti ho visto entrare prima, ma non potrei giurarci.”
“Tutto bene. Sto uscendo.”
“Oh, no che non stai uscendo, ragazzina” tuonò mio padre, facendo seguire alla frase altre urla in una lingua mista tra spagnolo e inglese.
“Posso aspettare” mi informo in poco più che un sussurro.
“No. Sto uscendo” ripetei con decisione, ponendo fine alla conversazione con Arizona solo per superare mio padre in direzione della porta.
“Esci da quella porta, Calliope, torna da quella donna” minacciò “e non vedrai mai più neanche un centesimo dalla tua famiglia.”
Mi voltai di scatto verso di lui.
“Soldi. Scontato quasi quanto squallido, papà. Non li voglio i tuoi soldi. Bloccami pure il fondo fiduciario, chi se ne frega, tanto non lo uso più da anni.”
Marciai in direzione della porta di ingresso, seguita da mia sorella, che fino a quel momento aveva cercato di far calmare entrambi, da mia madre, che a malapena aveva aperto bocca, e da mio padre che si stava preparando a ricominciare con le urla.
Prima che qualcuno di loro avesse occasione di dire niente decisi di parlare e finire il discorso che avevo iniziato, pensando di dovere a me stessa almeno quello.
“Ho sempre cercato di diventare una brava persona” dissi con decisione, guardando Carlos dritto negli occhi. “Una persona che poteste essere fieri di aver cresciuto. Un bravo medico.”
Inspirai, preparandomi a rivivere un momento che ancora mi feriva.
“Ho vissuto per tre mesi in Africa. In Malawi. Aiutavo bambini che senza chirurghi non sarebbero sopravvissuti alla notte. Dovevo rimanere lì per tre anni, ma dopo tre mesi un uomo del posto, una sorta di infermiere, che sapeva perfettamente quanto stavamo aiutando, mi ha visto dare un bacio alla mia fidanzata. Si è rivolto immediatamente al direttore della clinica, che ci ha spiegato molto brevemente che avevamo due scelte: rimanere lì ed essere lapidate, oppure tornare a casa ed essere rimpiazzate. Adesso due chirurghi meno bravi di noi stanno vivendo il sogno dell'amore della mia vita al posto suo. Non è facile. Non è mai facile. E mamma sa, forse meglio di chiunque altro al mondo” sussurrai, spostando gli occhi su di lei “che se avessi potuto cambiarlo l'avrei fatto. Ma non è una cosa che si può decidere. Quindi abbiamo dovuto rinunciare a quei sogni che non sono compatibili con le persone che siamo. Arizona ha rinunciato all'Africa. Io ho rinunciato alla mia famiglia.”
Sospirai, scrollando le spalle e tornando a guardare mio padre, la cui voglia di urlare in spagnolo le mie colpe sembrava essersi calmata.
“Ho fatto quello che mi avete insegnato e ho seguito le regole che mi avete dato. Non ho rubato, non ho ucciso, non ho tradito. Ma mai, mai, mi avete detto che amare è sbagliato. Che l'amore è sbagliato. Suppongo ci sia una prima volta per tutto, giusto?” domandai a bassa voce, aprendo la porta e uscendo prima che avessero modo di replicare.
Percorsi il vialetto sperando che non stessero sbirciando dalla finestra, perché appena salii in macchina le prime lacrime iniziarono a scendere.
Due mani mi presero gentilmente il viso, mentre premevo la fronte sulla sua familiare spalla. “Non piangere, amore” mi pregò con la voce che le tremava.
Non piangevo spesso. E forse proprio per questo, quando piangevo finiva sempre per farlo anche lei.
“Non mi sentivo così impotente da quella sera” sussurrai tra le lacrime.
Mi fece alzare il viso, cercando di asciugare le mie guance con i pollici e di tanto in tanto baciando via qualche lacrima.
“Andrà tutto bene.”
Le avevo raccontato, una volta, della sera in cui mio padre mi aveva detto che l'omosessualità era una malattia. Un peccato mortale. Uno sbaglio.
Non ne avevamo mai parlato, io e lei, del fatto che per anni avevo ignorato la mia famiglia. Lei sapeva che io avevo le mie ragioni ed io preferivo fingere di aver dimenticato. Ma lo sapevamo entrambe che era per quello. Non per la frase, il gesto in sé, ma per quello che c'era dietro. Era perché non avrebbero mai potuto capire. Era per la paura che succedesse esattamente quello che era appena successo.
Ma anche allora, guardandola negli occhi, sapevo che andava bene così. Che io avevo lei. E non avrei potuto chiedere di meglio.

Come quando eravamo andate a trovare la sua famiglia, anche quando andammo a trovare la mia non prendemmo giorni veri e propri di ferie, ma ci limitammo a scambiare turni con i nostri colleghi e partire il giovedì sera per star via tre giorni, in modo da mancare da Seattle solo per un giorno lavorativo. In fondo io ero ancora in piena specializzazione.
Così, quando venerdì sera tornammo in albergo, dopo la tremenda giornata che avevo avuto, tutto quello che volevo era tornare a casa e rannicchiarmi sul letto fino al momento in cui avessi potuto prendere in mano un bisturi ed aprire qualcuno.
Invece la mia fidanzata mi obbligò ad alzarmi dal letto e mostrarle il paese in cui ero cresciuta. All'inizio lasciai che praticamente mi trascinasse in giro, tenendo il broncio e sospirando continuamente per farle sapere che non volevo in alcun modo dovermi trovare lì. Dopo un po', però, iniziai a ricordarmi di questo e quel posto in cui andavo sempre da piccola o l'altro posto in cui avevo trascorso una buona parte della mia adolescenza.
“Guarda, quella era la mia vecchia scuola” la trascinai con entusiasmo verso l'enorme parcheggio che la precedeva, facendole salire la scalinata che conduceva all'ingresso. Dalle porte a vetri riconobbi l'atrio, nonostante fosse sera e tutto fosse già immerso nell'oscurità. “Non è cambiato niente” sussurrai, un sorriso enorme. “Vieni. Voglio farti vedere la via più grande” le dissi, cambiando direzione per l'ennesima volta, curiosa di vedere quanto e cosa era cambiato mentre io ero via.
Passeggiammo nella via principale, grande più o meno quanto un vicolo di Seattle, fino ad arrivare davanti ad un locale che mi era particolarmente noto.
“Qui è dove venivamo sempre quando avevo sedici anni” le dissi, guardando dentro attraverso la porta aperta. “Entriamo” proposi. “Prendiamo qualcosa da bere.”
“Perché no” mi seguì, nascondendo un sorriso.
Arrivai al bancone del bar praticamente senza dovermi mai neanche guardare attorno. Era tutto come lo avevo lasciato. Lì, in quel piccolo paesino della Florida, il tempo sembrava essersi fermato per anni.
“Ciao. Cosa posso portarvi?” ci chiese il ragazzo dietro il bancone.
“Eddie?” domandai, guardandolo meglio. “Sono Callie. Callie Torres. Eravamo al liceo insieme.”
“Callie, come stai? È da un po' che non ti si vede più da queste parti” mi sorrise. “Sei cresciuta. E cambiata parecchio” osservò poi, squadrandomi velocemente.
“Non è quello che succede a tutti?” chiesi con un sorriso.
“Perché non vi sedete ad uno dei tavoli? Porto lì i vostri drink.”
Gli dicemmo cosa volevamo e poi condussi Arizona verso la zona dove sapevo che avrei trovato i tavolini. Si sedette in una delle due panche e, con sua grande sorpresa, invece di sedermi dall'altra parte mi sistemai al suo fianco.
Mi osservò per qualche istante, incuriosita dal mio comportamento.
“Ma guardati” mi disse, il sorriso sulle labbra. “Questo posto ti ha illuminato. Intendo tutto quanto, il paese, la tua vecchia scuola.”
Scrollai le spalle.
“Sono solo ricordi. Bei ricordi. Pensavo di non averne” sminuii, prendendole la mano ed avvicinandomi.
Voltò la testa di lato, così finii per baciarla sulla guancia. Mi allontanai, guardandola con aria perplessa.
“I tuoi genitori già mi odiano” mi fece notare. “Se iniziano a spargersi anche voci per tutto il paese sulla donna con cui sei tornata a casa...” sussurrò, senza terminare la frase. “Non voglio che mi odino ancora di più. Tutto qui” concluse sommessamente.
“Ok. Vuoi che litighiamo adesso oppure preferisci quando torniamo in albergo?” domandai gentilmente. “Perché sai che litigheremo per quello che hai appena detto, non è vero?” appoggiai un braccio sullo schienale della panca su cui eravamo sedute, voltandomi nella sua direzione e accarezzandole delicatamente il braccio più lontano da me. “Mi ci sono voluti anni, Arizona. Anni, perché ti passasse la paura che sarei scappata all'improvviso senza mai guardarmi indietro. E se non ne sei ancora sicura, onestamente, non so più cosa fare per farti capire che io non ho paura. Non mi importa di quello che pensano o dicono gli altri.”
“Si tratta dei tuoi genitori” protestò debolmente. “Non voglio che pensino che sono una persona orribile, semplicemente perché non voglio che pensino che stai con una persona orribile, che ti rende infelice, che ti convince a sbagliare o qualcosa del genere. Voglio che pensino almeno che, ovunque tu sia, qualunque cosa succeda, sei con qualcuno che ami e sei felice.”
“Io sono con qualcuno che amo” le ricordai. “E sono felice.”
Ricambiò finalmente il sorriso che le stavo offrendo.
Eddie appoggiò proprio in quel momento i nostri drink sul tavolo, offrendomi un sorriso prima di tornare a lavoro.
“Callie? Callie Torres?” una voce mi fece voltare alla mia destra.
Il sorriso che avevo un attimo prima si trasformò in uno appena accennato mentre riconoscevo la donna che mi stava davanti.
“Erica Hahn. È passato un sacco di tempo” osservai.
“Dall'ultimo anno di liceo” mi ricordò con un sorriso di cortesia che aveva ben poco in comune con quello che mi ricordavo.
“Come” scossi la testa, rendendomi conto di quanto era banale quello che stavo per chiederle, ma finendo per chiederglielo comunque. “Come stai?”
“Bene. Tutto bene.”
“Erica, se non hai...Callie?”
“Mark.”
“Non pensavo che ti avremmo più rivisto da queste parti” osservò con un sorriso, tirandomi finché mi alzai in piedi e abbracciandomi prima che me ne rendessi anche solo conto. “Allora, come te la passi?”
“Bene. Molto bene. Tu?”
“Alla grande” mi sorrise di nuovo. “Sto per sposarmi.”
“Davvero?” domandai con aria scettica, tornando a sedermi. “Tu?” feci cenno ad entrambi di sedersi nella panca dalla parte opposta del tavolo a cui eravamo.
“Noi” mi corresse Erica. “Io e lui” specificò ulteriormente. “Io e Mark ci stiamo per sposare.”
Ci fu un secondo in cui rimasi immobile ed il mio cervello si rifiutò di pensare altro se non: “Il tuo migliore amico del liceo si sposa con la tua cotta del liceo. Ah ah. Non è divertente.”
E a giudicare dal fatto che Arizona si stava mordendo il labbro superiore per trattenere un sorriso, si era ricordata i nomi che le avevo accennato un paio di volte di sfuggita e stava pensando più o meno la stessa cosa. Eccetto che, per lei, era divertente eccome.
Prese un sorso del suo drink per non ridere. Presi un sorso del mio per non sembrare un'idiota più di quanto già ero sembrata.
“Fantastico” dissi loro una volta che il mio cervello si riaccese. “Certo, mentirei se dicessi che me lo aspettavo, ma sono davvero felice per voi ragazzi” continuai con onestà. “Mark, ho sempre saputo che in fondo eri un bravo ragazzo. Vi meritate di essere felici.”
Anche loro stavano sorseggiando i propri drink.
“Sono un'idiota” ricordai improvvisamente. “Voi non vi conoscete, lei è Arizona” presentai loro la donna al mio fianco. “Loro sono Mark e Erica” le dissi “sono sicura di averti parlato di loro un paio di volte.”
Dal sorrisetto che aveva addosso, sì, lo avevo fatto. Ripresi la posizione di prima, con un braccio appoggiato allo schienale della panca, praticamente attorno alle sue spalle.
“Allora, tu eri il migliore amico di Calliope al liceo, vero?” chiese, rivolgendo le sue adorabili fossette in direzione di Mark.
“Calliope?” rise ad alta voce. “Sì, ero il migliore amico di Calliope al liceo.”
“Che c'è di divertente? Trovo che sia un nome meraviglioso.”
“Non farci caso, Mark è acculturato più o meno quanto un pacchetto di fazzoletti. Non sa apprezzare la mitologia” scherzai, rivolgendo un ghigno nella sua direzione.
“La musa dalla bella voce” osservò Erica, lo sguardo su di me.
Non dando peso alla cosa, allungai la mano sinistra, togliendo il braccio dalle spalle di Arizona, e presi un sorso dal mio bicchiere.
“Quello è un anello di fidanzamento? Ti sposi anche tu?” domandò Mark, un sorriso enorme sul volto.
Sorrisi, passando di nuovo il braccio sulle spalle della bionda al mio fianco.
“Già. Ancora non abbiamo una data, ma ci stiamo lavorando” incrociai lo sguardo di Arizona. “Un doppio matrimonio?” chiese. “Fantastico. Adoro i doppi matrimoni. Posso venire?”
Io risi, colpendo scherzosamente il suo avambraccio che era più vicino a me sul tavolo.
“Sto sposando lei, idiota” lo informai.
Per qualche istante rimase impietrito.
“Andiamo, non guardarmi con quella faccia” gli dissi, sempre sorridendo, ma in maniera un po' più forzata. “Pensavo che almeno tu avresti capito.”
“Oh, io capisco anche troppo bene” il sorrisetto che aveva la diceva lunga su quello che stava pensando.
“Ehi, smetti di immaginartela nuda, pervertito. È la mia fidanzata” lo rimproverai.
“È tutto ok” mi rassicurò. “Ci sei anche tu lì.”
“Mark!” risposi con voce indignata, circondandole il busto anche con l'altro braccio come se potessi coprirla alla sua vista.
Lei rise, scuotendo la testa.
“Sei esattamente come Calliope ti aveva descritto.”
“Ti ha parlato anche di me?” fu invece la domanda di Erica. “Perché, sai, io e lei non eravamo poi così vicine al liceo. Siamo uscite con la stessa gente, per un po' di tempo, ma non siamo mai state particolarmente amiche.”
“Il tuo nome è venuto fuori in una conversazione sull'adolescenza, mi pare” mentì, le fossette bene in vista.
“Allora” intervenni, nel tentativo di cambiare discorso “come è successo che voi due vi metteste insieme?”
Non volevo che Erica scoprisse che al liceo avevo avuto una cotta per lei. In fondo non eravamo mai state molto intime, come lei stessa aveva detto. Era strano che avessi parlato di lei ad Arizona, ma una volta la mia adorabile metà mi aveva chiesto quale fosse stata la prima ragazza da cui mi ero sentita attratta ed io avevo pensato di non doverle mentire su qualcosa di così stupido. In quel momento, però, per poco non mi pentii di non averlo fatto.
“E voi, come vi siete incontrate?”
“Uh?” mormorai, tornando a seguire la conversazione che avevo provvisoriamente abbandonato in favore di un mio filone di pensieri.
“Ci siamo conosciute quando Calliope è venuta a Seattle per visitare l'ospedale. Doveva scegliere dove fare la specializzazione in chirurgia ed io ho mostrato l'ospedale a lei ed altri cinque ragazzi quel giorno. Il suo era l'unico nome che ero riuscita a memorizzare” mi lanciò un sorriso.
Continuai ad osservare il suo profilo anche quando fu il mio turno di proseguire nel racconto di quella storia.
“Io ero terrorizzata dal far sapere alla gente che mi piacevano le ragazze. Quindi quando Arizona mi invitò a bere qualcosa insieme a lei io ho pensato che fosse un'idea geniale declinare il suo invito e trasferirmi dall'altra parte degli Stati Uniti per vederla tutti i giorni. Finché un giorno ho capito che o mi facevo passare quella paura ridicola o avrei potuto dire addio all'occasione che pensavo di poter continuare a rimandare.”
“E così mi ha chiesto di uscire” terminò al posto mio, voltata verso gli altri ma del tutto consapevole dei miei occhi su di lei.
“E non ho mai avuto occhi per nessun altro da allora” aggiunsi in un sussurro.
“E neanche io” rispose, lanciando un'occhiata di sottecchi nella mia direzione con un sorriso che aveva qualcosa di timido.
Non riuscii a trattenermi dal posare un bacio sulla sua tempia.
“Andiamo. È tardi e domani mattina dovremo svegliarci presto per affrontare di nuovo la mia famiglia.”
Mi alzai, lasciando qualche dollaro sul tavolo e poi tesi una mano verso Arizona, aiutandola a fare lo stesso.
Mark e Erica ci imitarono subito dopo.
“Affrontare i Torres? Non mi suona convincente. I tuoi ti adorano” mi fece notare lui, abbracciandomi per salutarmi.
“Diciamo solo che non hanno preso bene il fatto che sto per sposare una donna” spiegai con una scrollata di spalle. “Me lo aspettavo, in realtà.”
Lui mi guardò, il suo sorriso sparì lentamente, lasciando il posto ad un cipiglio serio.
“Quando hai detto che vi sposate?” cambiai argomento velocemente. “Voglio mandarvi una cartolina, come minimo.”
“Sabato.”
“Co- Questo sabato?” domandai, sgranando gli occhi. “Domani?”
“Sì. Ho anticipato l'addio al celibato in modo da non avere i postumi” mi sorrise come se quella fosse stata l'idea del secolo.
“Beh, allora niente cartolina. Vi faccio le congratulazioni in persona” abbracciai Mark, stritolandolo tra le mie braccia. “Mi sei mancato Mark. Perfino le tue battute a sfondo sessuale. Beh, non tanto uno sfondo quanto un primo piano in realtà” scherzai.
“Mi conosci, Callie. È il modo in cui sono sempre stato.”
Mi allontanai, sorridendogli un'ultima volta.
“Prometti di essere felice” mi ordinò.
“Lo sono già” rimarcai con un sorrisetto compiaciuto. Spostai lo sguardo sulla donna al suo fianco, il sorriso divenne di cortesia. “Congratulazioni, Erica.”
“Ti ringrazio” ricambiò il sorriso. “E saremmo felici se decideste di venire al nostro matrimonio, domani” propose. “Entrambe” aggiunse guardando Arizona con lo spettro di un sorriso. “Alle dieci di mattina.”
“Ricordi dov'è la chiesa, Torres?”
“Ci puoi scommettere, Sloan. Ci hanno obbligato ad andarci ogni domenica, per anni. Insieme.”
“Già, perché i nostri genitori pensavano che ci saremmo sposati” mi ricordò. “Ma allora avevamo meno di dieci anni, come potevano saperlo?”
“Eppure ci hanno sempre sperato” gli feci notare. “Fino al giorno esatto in cui me ne sono andata da qui” sussurrai, ancora una volta distratta dai ricordi. “Ci vediamo domani, allora. Buonanotte, ragazzi” li salutai, incamminandomi fuori dal locale con un braccio sistemato in modo protettivo attorno alle spalle di Arizona.
“Allora, che effetto ti ha fatto rivedere il tizio che avresti dovuto sposare?” domandò dopo qualche minuto di passeggiata.
Io risi, voltando la testa di lato per baciarla sulla tempia.
“Mi ha confermato, per l'ennesima volta, quando sono stata fortunata per essere riuscita a trovare te.”
Si unì alla mia risata, premendo brevemente il naso contro la mia guancia prima di tornare a guardare in avanti.
“E rivedere lei, che effetto ti ha fatto?”
Io sospirai, fingendo di pensarci attentamente per qualche istante, con una falsa espressione pensierosa.
“Mh. Forse sono innamorata di lei. Aspetta, vado ad implorarla di non sposarsi.”
Feci finta di volermi voltare indietro, ma lei, ridendo, mi circondò il busto con entrambe le braccia, facendomi tornare a camminare in avanti.
“Scordatelo. Sei mia.”
Io continuai a ridere, osservando i suoi occhi che mi guardavano.
“Lo sono, non è vero?” chiesi retoricamente. “Sono così tua” sussurrai, abbassandomi per rubarle un bacio. “E innamorata di te” conclusi, allontanandomi il minimo indispensabile per guardarla negli occhi.
“Sono innamorata di te anche io” rispose, nascondendo il viso contro il mio collo, fidandosi ciecamente di dove io l'avrei condotta camminando. “E indiscutibilmente tua.”
“No, ma sul serio. Rivederla è stato come vedere un'estranea dai lineamenti familiari. Non la conoscevo al tempo, anche se fingevo di conoscerla. E di certo non la conosco adesso. Ti dirò, non credo mi abbia fatto nessun effetto.”
“Sono egoista se ti dico di essere felice?”
Io risi, cercando di avvicinarla ancora di più, nonostante sapevo benissimo che fosse impossibile. “No” la rassicurai. “Sono un pochino gelosa. Ma pochissimo.”
Tornammo in albergo abbracciate, dormimmo abbracciate e il giorno dopo andammo in chiesa tenendoci per mano. Aveva capito finalmente che non volevo nascondere niente.
Fuori dalla piccola chiesa incontrammo Mark, leggermente nervoso, che continuava a spostare il proprio peso da un piede all'altro.
“Che ci fai qui fuori? Non dovresti essere all'altare o qualcosa del genere?”
“Sto aspettando Derek. Ha le fedi e senza di lui non ho intenzione di entrare.”
“Capito” mi guardai attorno, cercando di riconoscere qualcuno degli invitati.
“Se cerchi i tuoi non sono ancora arrivati.”
Mi voltai di scatto verso di lui.
“I miei sono qui?”
“Dovrebbero. Le nostre famiglie sono parecchio vicine.”
“Già” borbottai. “Come dimenticare?”
“Eccomi, stavo giusto per...Callie?”
“Derek” gli sorrisi, abbracciandolo.
“Che ci fai qui?” chiese sorridendomi a trentadue denti.
“Sono qui al matrimonio di Mark” risposi con tono ovvio, eludendo la vera domanda.
“Che coincidenza, anche io.”
Stava sorridendo come un'idiota ed anche io. Mark era il mio amico di sbronze, ma Derek era stato il mio confidente.
“Derek, voglio presentarti Arizona. Arizona, lui è Derek.”
“McDreamy” gli disse, stringendogli la mano. “Sapevi che ti chiamavano così, non è vero?” chiese poi, ottenendo un cenno affermativo della testa in risposta ed un sorriso ancora più grande. “Non lo capivo, ma lo capisco adesso” confermò lei con un sorriso completo di fossette. “I capelli e tutto il resto” fece un gesto in direzione dei capelli perfetti dell'uomo davanti a noi. “Sono impegnata” aggiunse vedendo la sua faccia divertita. “Non ci sto provando con te, se è quello che stai pensando.”
Lui rise, voltandosi verso di me.
“Mi piace.”
“Meglio che non ti piaccia troppo” lo avvertì Mark in un sussurro. “Torres non vuole che qualcuno se la immagini nuda.”
Lo colpii su un braccio. Forte.
“Io e Arizona stiamo per sposarci” informai Derek con un sorriso, prendendo la mano della donna al mio fianco.
Per un istante lo vidi spiazzato. La guardò per una seconda volta e poi guardò di nuovo me.
“Se ti rende felice, mi piace ancora di più. Posso venire al matrimonio?”
Sorrisi del suo entusiasmo.
“Assolutamente. Per adesso, tra i miei invitati ci siete tu e mio nonno. Ma sono sicura che, se gioco bene le mie carte, riuscirò a convincere Nana a prendere un aereo.”
“Callie” sussurrò Mark, l'espressione improvvisamente seria. “Io e Derek andiamo in chiesa, adesso. Ci vediamo dentro. Buona fortuna.”
“Buona fortuna?”
“Callie” una voce incerta mi fece voltare.
I due uomini accanto a noi si allontanarono in silenzio. Rafforzai la presa sulla mano di Arizona quando la sentii provare a farla scivolare via.
“Mamma. Se sapevo che foste stati qui anche voi non sarei mai venuta.”
“Tu devi essere Arizona” incrociò lo sguardo della donna al mio fianco, accennando un sorriso ed ignorando le mie parole.
“Sì, signora Torres. È un piacere fare la sua conoscenza.”
“Mi è stato detto che sei un chirurgo anche tu.”
“Chirurgia pediatrica” confermò.
Si creò uno di quei silenzi tesi che non vedi l'ora che finiscano. Né io né mia madre avevamo intenzione di dire niente. Arizona osservò il profilo del mio viso per diversi secondi, prima di decidersi a parlare.
“Senta, mi dispiace.”
Mia madre fu colta di sorpresa, la guardò con aria perplessa, aspettando che continuasse. Io, invece, la guardai come se fosse assolutamente impazzita.
“Mi dispiace di non essere la persona che aveva sperato di vedere al fianco di sua figlia. Mi dispiace davvero, perché non so cosa fare per cambiare quello che ne pensa. Sono stata cresciuta per essere una brava persona nella tempesta. Per amare il mio Paese e la mia famiglia, per proteggere le cose che amo. Quando mio padre, Colonnello Daniel Robbins del corpo dei Marines, ha saputo che ero lesbica, ha detto che aveva una sola domanda da farmi. Mi chiese se ero ancora la persona che aveva cresciuto. Mio padre non è un uomo che si piega, ma si è piegato per me perché sono sua figlia. Io sono una brava persona nella tempesta. Amo sua figlia e proteggo le cose che amo. Non che serva, lei non ne ha bisogno. È forte, generosa, una persona per bene. Ed è la persona che lei ha cresciuto.”
Non avevo parole. Ma anche se le avessi avute, le lacrime nei miei occhi mi avrebbero impedito di dirle ad alta voce. Solo quando vidi mio padre avvicinarsi decisi di allontanarmi da mia madre, conducendo Arizona verso l'entrata della chiesa.

“Sai come hanno fatto i tuoi nonni ad annullare il pranzo della domenica?”
“Onestamente, no. Ma non mi interessa, mi fa solo piacere poter passare un giorno in più insieme a loro prima di ripartire tra qualche ora.”
Lei mi sorrise.
“Mi piace vederti così felice.”
“Di che stai parlando? Sono sempre felice quando ci sei tu.”
“Beh, sì, ma di solito non si vede così bene. È da un po' di tempo che sembri brillare.”
“Tesoro, è da quando mi hai detto che mi sposerai che ho iniziato a brillare. Chiedi a tua madre, o a Addison quando torniamo a Seattle. Sono così felice a causa tua. Se vuoi qualcuno da incolpare, sei tu.”
Bussai alla porta, baciandola sulla guancia mentre le prendevo la mano con la mia.
“Siete arrivate, entrate” ci incoraggiò Nana con un sorriso.
Le seguii, sospettosamente. Perché quella faccenda improvvisamente mi puzzava di trappola?
“Cosa stavate facendo?”
La risposta arrivò con una disarmante innocenza.
“Guardando vecchie fotografie.”
Mi si gelò il sangue nelle vene.
“Oh, no, Nana. Avevi promesso” protestai, fermandomi immediatamente ed impedendo ad Arizona di entrare in soggiorno.
“Non ricordo che sia mai successo niente del genere” replicò sempre con la stessa innocenza, prendendo l'altra mano di Arizona mentre la conduceva verso il soggiorno. “Vieni, cara. Sei arrivata al momento perfetto.”
Lei si gettò un'occhiata alle spalle, rivolgendomi uno sguardo divertito e allo stesso tempo scrollando le spalle, facendomi capire la sua presunta impotenza sulla situazione, mentre mia nonna la trascinava sul divano, accanto a sé. Mio nonno si avvicinò lentamente, sedendosi dall'altro lato di Arizona, mentre mia nonna Maria si sedette al tavolo del soggiorno. Io rimasi testardamente in piedi.
“Vediamo un po', dove sono le foto di quando Callie era piccola?”
“Nonna, ti sto implorando di non fare niente di cui potresti pentirti” la avvertii, incrociando le braccia al petto.
“Ah, eccoci qui” mi coprii gli occhi con una mano, quando riconobbi la pagina su cui mia nonna si era fermata. “Questa è la prima foto in assoluto che le abbiamo scattato.”
“Perché trovi così enormemente soddisfacente mostrare immagini di me completamente nuda a perfetti estranei?” le chiesi, scuotendo la testa.
“Zitta, Calliope, lei non è un'estranea” mi corresse Nana. “È la tua fidanzata.”
Quello mi mise un sorriso in faccia e mi fece zittire.
“Eri davvero carina da piccola” osservò Arizona con una risata, analizzando le varie pose in cui mi ero esibita quando avevo da pochi mesi ad un anno di vita.
Il sorriso sparì e mi coprii di nuovo la faccia con una mano, facendo una smorfia.
“Avevi un costume di Halloween da coniglietto?” sentii la sua risata cristallina e non mi servì nemmeno sbirciare per ricordarmi di quella foto. Faceva ogni volta impazzire tutti quanti e le persone che la vedevano iniziavano a fare strani 'Aw' e 'Ow'. Era inquietante.
Mia nonna Maria, cedendo finalmente alla presenza di Arizona, si andò a sedere accanto a Nana appena quella foto venne menzionata.
“Calliope, devo dirtelo, io lavoro con i bambini tutto il giorno, ma non ne ho mai visto neanche uno lontanamente carino quanto te” mi lanciò un sorriso completo di fossette mentre Nana continuava a sfogliare il libro.
“Questo era il suo terzo compleanno. Qui invece eravamo al mare. Qui era nel bel mezzo del suo bagnetto.”
“Per l'amor del cielo, Nana, smettila con le fotografie in cui sono nuda” esclamai, sull'orlo della disperazione.
“Como si nunca te vio desnuda” sussurrò in risposta.
“Oh mio Dio, Nana” chiusi gli occhi e feci una smorfia.
“Me refería a ella” spiegò.
“So benissimo cosa intendevi, grazie” perseverai nella mia smorfia. “Ma non è il genere di argomenti che qualcuno vorrebbe discutere con sua nonna. E ti sarei grata se non parlassi spagnolo quando c'è anche Arizona, non è carino visto che lei non può capirlo.”
Arizona ci osservava in modo curioso, visto che non sapeva neanche una parola di spagnolo.
“Questa è la mia preferita” intervenne Yayo, indicando una fotografia in cui mi teneva in braccio quando avevo più o meno cinque anni e gli sorridevo senza due dei miei denti.
“I tuoi capelli erano molto più corti” osservò la bionda, guardando la foto da vicino “ma il sorriso era sempre quello affascinante di adesso.”
“Telefonerò a Barbara quando torniamo” la informai. “Le chiederò di portare un album di tue foto di quando eri piccola. Più imbarazzante è, meglio è. E ne terrò delle copie. In modo da ricattarti se mai nominerai di nuovo il costume da coniglietto o la mia nudità.”
“Nessuna foto di quando ero piccola” storse il naso “sono tutte misteriosamente sparite quando avevo diciannove anni.”
“Tua madre, ormai, ha sicuramente scoperto dove le avevi nascoste” le rivolsi un sorriso rassicurante.
Nana aveva continuato a sfogliare le pagine del piccolo libro.
“Eccola qui” ci informò. “La mia preferita è questa. Te la ricordi, Callie? Avevi dodici anni ed era la prima volta che ti facevano tenere in braccio tuo cugino. Ricordo che allora ero quasi riuscita a vedere la donna che saresti diventata.”
Mi avvicinai, osservando la foto in cui avevo un vestitino celeste e tenevo in braccio un neonato avvolto in una coperta bianca. Quella foto, tra tutte, riuscì a farmi sorridere. Ero stata così felice di poterlo tenere in braccio, al tempo.
“Te ne sei andata in giro tutto il giorno dicendo che avresti avuto almeno tre bambini prima dei trent'anni.”
“Già. E poi ho deciso che sarei diventata un chirurgo, invece” le feci notare con tono sarcastico. “Una delle due cose non deve per forza escludere l'altra” intervenne Arizona distrattamente, continuando a guardare quella foto. “La Bailey ha avuto un bambino.”
“La Bailey può anche operare qualcuno in punti diversi, mentre parla di tutt'altro e ascolta della musica. La Bailey può fare qualsiasi cosa” protestai con un sorrisetto.
Lei portò lo sguardo su di me. Tornai improvvisamente seria vedendo la sua espressione.
“Ma avremo sicuramente anche noi il primo bambino mentre io sto ancora finendo la specializzazione” mi affrettai a rassicurarla che non avrebbe dovuto aspettare come minimo un altro anno.
Tre sguardi si spostarono simultaneamente su di me.
“Che c'è?”
“Avrete dei bambini?” domandò Nana.
“Sì” risposi come se fosse abbastanza scontato. “Che vi fa pensare il contrario?”
“Calliope ha sempre voluto avere bambini” intervenne Arizona.
“Sapete, sono la stessa persona che sono sempre stata. Questa cosa, non cambia niente. Almeno, non per me.”
Rimasero in silenzio per diverso tempo, incontrai a turno i loro sguardi.
Sentimmo qualcuno bussare alla porta.
Nana si alzò per andare ad aprire. La sentii parlare con qualcuno in spagnolo, dicendo che era tutto apposto e che non era successo niente di grave, che non c'era un motivo in particolare per cui avevano annullato il tradizionale pranzo della domenica se non esattamente quello che avevano dato. Che erano stanchi.
Poi ci furono dei rumori e alla fine due persone si affacciarono alla porta del soggiorno, mentre Nana chiudeva la porta e ci raggiungeva.
“Sapevo che saresti stata qui” le parole di mio padre, seppure fossero una semplice constatazione, suonarono più come un'accusa. “Come quando eri piccola, se le cose non vanno come vorresti tu vieni a nasconderti dai nonni.”
“No, sono venuta dai nonni perché loro ancora mi parlano senza dovermi urlare in faccia” gli risposi con semplicità, cercando di controllare il tono della mia voce. Sforzo che lui non aveva fatto.
“Calliope, soy decepcionado de ti.”
“No, sono io che sono delusa da te” risposi senza pensarci.
Quello, finalmente, dopo due giorni di urla, provocò silenzio.
“E la tua?” chiese Yayo con tranquillità, quasi come se non ci avesse nemmeno sentito. “Quale è la tua preferita, Arizona?”
“Rimane quella con il costume da coniglietto” rispose con un sorriso spontaneo.
“Piace molto anche a me” confermò lui con un sorriso. “Hai mai visto la cameretta in cui dormiva Calliope quando rimaneva da noi per la notte? Lì c'è un ingrandimento di questa foto.”
“No, non l'ho vista” rispose scuotendo la testa.
“Vieni” le disse, alzandosi in piedi e facendole cenno di seguirlo.
“Che stai facendo, papà?” domandò Carlos con un'espressione incredula in viso.
“Mostro la casa ad Arizona” spiegò lui con un'ovvietà che non ammetteva repliche. “La prossima volta che verranno a trovarci dormiranno qui, non certo in un albergo, visto che tu non hai posto per loro.”
Vidi lo sguardo di mio padre posarsi su Arizona e qualcosa dentro di me scattò. Dovevo andarmene di lì prima che dicesse qualcosa che mi avrebbe fatto venire voglia di colpirlo.
“Ti ringrazio Yayo, ma dobbiamo scappare. Il nostro aereo parte tra poco e dobbiamo davvero andare in aeroporto.”
Lui annuì.
“Aspetto il mio invito” mi fece sapere, mentre si muoveva in direzione dell'ingresso per accompagnarci.
Gli sorrisi, abbracciandolo. Il sorriso divenne parecchio più grande quando, dopo di me, abbracciò anche Arizona.
“Fate buon viaggio” ci augurò Nana.
“Chiama presto” aggiunse Maria, quando eravamo quasi alla fine del vialetto.
Annuii, salutandoli con la mano, mentre con l'altra afferravo quella di Arizona e aprivo lo sportello per lei. Andammo a riconsegnare la macchina che avevamo preso a noleggio e poi in aeroporto.

“Sembri calma.”
“Lo sono, sono molto calma.”
“Non l'avrei mai detto. La prima volta che ti ho conosciuta mi sei sembrata una persona che tende ad innervosirsi.”
Io gli sorrisi, arruffando i capelli di Kyle che stava giocando al mio fianco.
“E perché dovrei essere nervosa? Tra poche ore sarò sposata all'amore della mia vita. Sto alla grande.”
“E i tuoi nonni che dicono?”
“Eh” scrollai le spalle. “Nana dice che la casa è troppo piccola, che ci sono solo quattro camere da letto. Non ho mai visto Yayo sorridere così spesso. Nonna Maria, invece, fa ancora finta di non essere felice. Ma, sotto sotto, si vede che lo è.”
“E i tuoi?”
Scrollai le spalle.
“Hanno avuto l'invito. Ma non penso che verranno.”
“E come ti senti a riguardo?”
Quella frase fece finalmente accendere qualcosa.
“Ah, adesso ho capito. Tua sorella è preoccupata che possa dare di matto e ti ha mandato a psicoanalizzarmi.”
“No” negò lui, distogliendo lo sguardo destandomi ancora più sospetti. “Diciamo più che altro che mi ha mandato in perlustrazione.”
Io risi, alzandomi in piedi e sospirando.
“Com'è lei? Come è vestita?”
“Mi ha fatto promettere di non rivelare neanche il minimo dettaglio” sollevò le mani in segno di impotenza.
Risi, entrando nella stanza in cui avrei dovuto trovarmi anche in quel momento e dove Addison si stava occupando del proprio trucco prima di passare al mio. Presi il telefono, premendo il tasto di chiamata veloce.
“Pronto?”
“Che stai indossando?” chiesi in un sussurro.
Sono sicura che riconobbe la voce, perché rise subito e la sentii muoversi, probabilmente per avere un po' di privacy ed entrare in bagno.
“Lo vedrai stasera.”
“No, lo vedrò tra poco.”
“No, quello che ho indosso adesso, lo vedrai stasera.”
“Oh” fu l'unica cosa che riuscii a rispondere quando capii di cosa stava parlando. “Scherzi vero? Sei lì con tua madre, no?”
“Certo che scherzo” mi rassicurò con una risata cristallina. “Mia madre è entrata quando avevo già indossato l'abito.”
“Bene. Come va con Teddy?”
“Non le piace il colore che abbiamo scelto.”
“Neanche ad Addison. Parlando di anime gemelle.”
“Guarda che ti sento” mi fece presente la rossa. “Ho finito. Ora è il tuo turno.”
“Devo andare, amore. Ci vediamo tra un paio d'ore.”
“Non essere sciocca. Ti chiamo tra una mezz'oretta.”
“Voi due siete nauseanti” urlò Addison dentro il cellulare.
La allontanai con una piccola spinta.
“Ci sentiamo tra poco. Ti amo.”
“Ti amo anche io.”

Il resto del mondo era sparito. Non riuscivo a vedere altro che lei, mentre stavamo ballando. Ma anche quando ci sedemmo, non riuscivo a vedere comunque altro.
“Siamo sposate.”
“Siamo sposate” confermai.
“Tra cinquanta, sessant'anni, ci terremo per mano e ripenseremo a questo momento in cui non sapevamo ancora tutte le cose che ci sarebbero successe. Non eravamo ancora sicure, ma abbiamo fatto un salto nel vuoto.”
“E ti amerò ancora come oggi” sussurrai, immaginando cosa avrebbero fatto alle nostre vite sessant'anni, ma era un tempo troppo lungo da immaginare.
“Ragazze” alzammo la testa. “So che probabilmente state per andare a casa, ma c'è qualcosa che vorrei darvi, prima” ci informò Yayo. “Questo forse non lo userete ancora per un po' di tempo, ma ho il sospetto che potrebbe farvi comodo, un giorno” mi porse una scatola chiusa.
Sollevai il coperchio, vedendo all'interno quello che, molti anni prima, era stato il mio primo pigiamino. Ne sfiorai il tessuto con le dita.
“E per te, Arizona, visto che non penso che tornerete molto presto a trovarci, ho portato questa” si frugò nella tasca interna della giacca, estraendone una fotografia che le porse.
Il sorriso della donna al mio fianco non tardò ad arrivare.
“È Calliope vestita da coniglietto.”
Yayo annuì. “Puoi tenerla. Noi abbiamo la copia più grande.”
“Non hai idea di quanto significhi per me che tu sia qui, Yayo.”
Lui mi tese una mano.
“Mi era stato promesso un ballo con mia nipote, se non ricordo male.”
Presi la sua mano, alzandomi ed abbracciandolo, prima di seguirlo sulla pista da ballo.

Stavo guardando delle magliette. Quelle con le scritte stampate sul davanti. Ce n'erano alcune davvero divertenti.
“Calliope.”
Alzai gli occhi distrattamente ed il sorriso che avevo sparì, trasformandosi in uno appena accennato.
“Mamma, papà. Che ci fate in Maryland?”
“Dovevo sbrigare degli affari” rispose mio padre. “E tu che ci fai qui?”
Scrollai le spalle. “Guardo delle magliette.”
“Intendevo...”
“So cosa intendevi. La famiglia di Arizona vive qui vicino” risposi pacatamente, vedendo una maglietta che mi colpì particolarmente.
“Ah. Siete venute a trovarli?” domandò mia madre, corrugando la fronte.
“Sì” risposi con estrema calma. “Di solito vengono loro, ma stavolta abbiamo deciso di cambiare” finsi un sorriso, guardandoli di nuovo.
Ci fu un lungo silenzio, che nessuno di noi riuscì a riempire.
“È passato molto tempo” osservò mia madre.
“Molto davvero” rimarcai distrattamente.
Presi la maglietta che avevo notato sollevandola per la stampella, pronta a svignarmela via.
“Beh, allora io...”
“Mamma!”
Mi voltai, vedendo un piccolo tornado correre nella mia direzione. La sollevai al volo, prendendola in braccio.
“Che è successo, Sofia?”
“Nonna dice che è pronta per andare nel prossimo negozio.”
“Guarda che ho trovato” le mostrai la maglietta che avevo in mano. “Ti piace?” le chiesi, vedendola leggere la scritta e sorridere. “Possiamo regalarla a mamma, che ne dici?”
Annuì, felice. Poi spostò lo sguardo verso le due persone difronte a noi che guardavano la mia copia in miniatura con espressione attonita. Mi passò le braccia attorno al collo, improvvisamente colta da un'ondata di timidezza.
“Calliope. Non sono riuscita a fermarla prima che...” si bloccò quando vide le due persone in piedi davanti a noi. “Signori Torres.”
“Mamma, abbiamo trovato un regalo per te” la informò Sofia immediatamente.
Io risi. “Mija, i regali dovrebbero essere una sorpresa.”
“Beh, mamma sembra sorpresa” constatò. “Ma non per il regalo” aggiunse. Era troppo intelligente per il suo stesso bene, la maggior parte delle volte.
Lo sguardo di mio padre si spostò sul bambino che Arizona stava tenendo per mano.
“Quanti anni hai, Sofia?” chiese mia madre con esitazione.
“Quasi sei. Tu?”
“Un po' di più” rispose con un sorriso tirato.
“Vi abbiamo ritrovato, finalmente. Andy non smette più di piangere” Barbara si avvicinò, in modo che Arizona potesse prendere in braccio il piccoletto mentre Jamie lasciava andare la sua mano.
“Dov'è Elizabeth?” chiesi, corrugando la fronte.
“Con Daniel. Erano nel reparto delle scarpe. Salve” sorrise ai miei genitori, anche se non aveva la minima idea di chi fossero. “Barbara Robbins” si presentò, tendendo una mano a mio padre.
“Carlos Torres.”
“Lucia Torres.”
Strinse le loro mani ma il suo sorriso vacillò quando capì a chi si trovava davanti.
“Mamma” mi chiamò Jamie “cosa hai in mano?”
“È un regalo per mamma” rispose Sofia al posto mio. “Puoi farglielo insieme a noi, se vuoi.”
Lui si avvicinò, prendendo la maglietta dalle mie mani e leggendo la scritta per poi guardare verso l'alto e sorridermi mostrandomi le fossette perfette che aveva preso in eredità dai Robbins.
“Mi piace. Ma dovresti averne una uguale anche tu.”
“Perché non andiamo a chiamare il nonno, ragazzi?” disse loro Arizona, cercando di lasciarmi di nuovo sola con i miei genitori.
“Non importa. Avevamo finito” rivolsi un sorriso tirato ai miei genitori.
Lasciai scendere Sofia, mentre Jamie mi restituiva la maglietta e ne sceglieva una uguale, ma con il colore di sfondo nero invece che celeste.
“Ecco. Questa è per te” disse mostrando la maglietta con la scritta 'Best Mom'.
“Hai rovinato la sorpresa, Jamie. Ora mamma sa cosa c'è scritto sopra” lo rimproverò Sofia, guardando verso Arizona, che però aveva sorriso loro.
“Non importa ragazzi” li rassicurò mentre si allontanavano in direzione della cassa, dopo aver sorriso ai miei genitori in segno di saluto. “Mi piace moltissimo in ogni caso.”
Barbara li seguì, mentre io lanciai un'ultima occhiata alle due persone davanti a me. Entrambi sembravano confusi di non aver saputo niente di quello che era successo.
“Vi siete persi sette anni della mia vita” dissi loro semplicemente, senza sentire il bisogno di giustificarmi. “Pensavate davvero che non fosse cambiato niente? Credevo che ve lo aspettaste.”
“Callie.”
Mi voltai verso il Colonnello.
“Mamma, abbiamo perso gli altri.”
“Sono alla cassa, tesoro” sorrisi a Elizabeth, prendendo la mano che mi stava porgendo. “Andiamo a cercarli, ok?”
“Ok. Con chi stavi parlando?” chiese mentre ci allontanavamo da loro, il Colonnello accanto a noi.
“Con nessuno” la rassicurai. “Persone che facevano parte della mia vita tanto tempo fa.”




Grazie mille per la pazienza, scusate il ritardo...A presto!




  
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