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Autore: Jenny18    23/06/2013    1 recensioni
Dante. Eva. Elena.
Nomi d'altri tempi. Persone d'altri tempi. Ragazzi d'altri tempi. Italiani. Lontani dalla patria. Lontani tra loro.
New York. Parigi. Atene. Tre città. Tre modi di essere. Diversi. Lontani. Unici. Tre ragazzi. Tre storie. Un unico destino.
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E' la mia prima storia. Gradirei qualche recensione in modo da capire dove e in cosa migliorarmi. Spero che la storia sia di vostro gradimento. Non lasciatevi ingannare dal genere Romantico. Non sarò sdolcinata/patetica. Il tutto avrà il giusto equilibrio. Tremendi segreti vi aspettano ;)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo XVI – Rosso

                                       
Mai Elena avrebbe considerato possibile trovarsi in una situazione come quella. Si trovava da quasi mezz’ora in un fioraio con un ragazzo che prima l’aveva spaventata a morte rincorrendola per strada e poi una volta raggiunta l’aveva pregata di convincere Eva, la sua amica Eva, a concedergli un appuntamento. Ridacchiò al ricordo.
 
“Ehy, ehy tu.. signorina, fermati. Aspetta un attimo. Io ti conosco”.
Elena vide un ragazzo bruno, occhi neri e fisico statuario rincorrerla attraversando una trafficata strada di New York, rischiando di morire investito, per raggiungerla sul marciapiedi su cui si trovava. Spaventata aveva fatto qualche passo indietro fin quando non aveva urtato un passante alle sue spalle. Mentre si scusava il ragazzo l’aveva raggiunta.
 
“Ehm…ciao, piacere Kevin.”, disse questo porgendole la mano destra, che lei guardò senza nessuna intenzione di stringerla. “Oh, ehm..scusami, non volevo spaventarti. Io ti conosco, forse tu non conosci me, ma ti ho visto con Eva. Sono un suo amico, cioè oddio..non propriamente un amico, un conoscente. Oh, beh..il punto è che vorrei uscire con lei, mi ha praticamente stregato, ma lei rifiuta e ecco, quando ti ho vista, ho pensato che magari avresti potuto aiutarmi. Non sono un folle, lo giuro. Non agisco così di solito, ma lei è.. davvero splendida.”
 
Lo sconosciuto davanti a lei snocciolò quelle parole quasi senza riprendere fiato. Doveva tenerci davvero ad un appuntamento con Eva e lei dopo la spiegazione lo riconobbe come il bel ragazzo con cui l’aveva vista parlare una volta. Sapeva perché Eva non uscisse mai con nessuno, ma quel ragazzo meritava un’opportunità.
 
“Okey, straniero: respira”, disse Elena con un sorriso. “Quello che ti serve sono fiori, tanti fiori.”
 
 
 
“Allora Kevin, hai scelto?” , chiese Elena guardandolo divertita. Era indeciso, quasi più indeciso di una donna. Aveva cambiato idea circa dieci volte passando da tulipani a girasoli a peonie. Ora alternava lo sguardo da una margherita a un’orchidea con la frequenza di un battito cardiaco. Non rispose neppure alla domanda di Elena che si allontanò guardandosi intorno. Uno sprazzo di colore catturò la sua attenzione.
 
Rosso.
Una rosa.
 
Sorrise pensando ad Alexander, non l’aveva cercato, ma il suo gesto l’aveva colpita. Ne prese una e tornò da Kevin.
 
“Riempi casa nostra di queste e sarà tua. Personalmente ti sposerei se lo facessi”
Gli occhi scuri di lui si illuminarono : “Hai ragione.”
 
*
 
Dopo una lunga giornata di lavoro finalmente Eva riusciva a rivedere la porta dell’attico che divideva con Elena. Il lavoro presso Vogue NY la distruggeva, la impegnava quasi per più di dodici ore spedendola in ogni recesso della città alla ricerca delle novità del momento. Si chiedeva se Elena fosse o meno in casa, infilò la chiave nella toppa e incontrò la resistenza di più mandate, ovviamente non c’era e aveva chiuso per bene. Riuscì ad aprire la porta, la casa era immersa nel buio. Tastò con la mano il muro e incontrò l’interruttore.
 
Rosso.
Rosso ovunque.
Rose rosse.
Rose rosse ovunque.
 
Per poco non le venne un infarto quando vide una figura immobile al centro della stanza.
 
Kevin.
Kevin con una rosa fra le mani.
Kevin con una rosa rossa fra le mani.
 
“So che non esci con gli uomini, e devi averne conosciuti di davvero pessimi se ci temi tutti così tanto. Ma la vita non è vita se non si rischia, non credi? Dammi una possibilità di farti cambiare idea sul genere maschile.”
 
“Forse.”, risposta fredda ma con un barlume di speranza ad illuminarla.
 
Troppo Rosso.
L’aveva confusa.
 
*
 
Dante stava gioendo come mai nella vita di fronte alla scena che aveva desiderato per tanti, troppi anni. Sua madre, la donna che gli aveva rovinato la vita, che gli aveva sbattuto in faccia la dura realtà così diversa da quella delle favole, che lo aveva privato di un fratello, di un amico, di un confidente, di una spalla solo per denaro, quella stessa donna per cui aveva alimentato un odio bruciante era in manette davanti a lui e ad un altro centinaio di studenti. Completamente umiliata davanti a tutto la sua scuola, i suoi colleghi, le sue amiche.
 
Le prove che Dante aveva portato in commissariato si erano rivelate sufficienti a incriminarla per molestie e suicidio indotto. Era chiaro, ormai, che quel ragazzo non si era suicidato perché psicologicamente instabile, ma perché lei lo aveva reso tale. E adesso sarebbe stata punita.
 
Guance rosse.
Occhi iniettati di sangue.
 
Le parole dell’agente un balsamo per le orecchie di Dante.
 
“Lei è in arresto per molestie. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà sarà usato contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato. Se non può permetterselo, gliene sarà assegnato uno d'ufficio. Ha compreso i suoi diritti?”
 
Dante fece un passo avanti, guardando sua madre dritta negli occhi.
 
Occhi che imploravano.
Occhi iniettati di sangue.
Falsi.
Che imploravano pietà.
Che avrebbero ottenuto vendetta.
 
“Questa donna non ha diritti. E non può permettersi un avvocato, non possiede i fondi necessari. Sono tutti miei. Assegnatele uno d’ufficio. Possibilmente il peggiore. Che marcisca all’inferno per il resto dei suoi giorni.”
Con un ultimo sguardo si allontanò.
 
Appena voltato l’angolo una mano gli afferrò il polso, voltandolo con forza. Si aspettava Elena o Eva. Si aspettava che una delle due lo avesse raggiunto senza essere stata notata. Si voltò con un sorriso, che scivolò in fretta dal suo volto.
 
Carlotta.
 
“Dante, cosa è successo?”.
 
Tono gentile.
Premuroso.
Non gli aveva mai parlato così.
Non l’aveva mai chiamato per nome.
 
“Carlotta”, disse enfatizzando con la voce il suo nome, “cosa ti spinge a pensare che io voglia raccontartelo? E soprattutto, cara, cosa ti spinge a chiamarmi per nome? A essere gentile con me? Sono sempre il solito Hartford pezzente. L’abito non fa il monaco, tesoro.”
 
Non gli faceva piacere parlarle così, ma era quasi sicuro che Carlotta lo avesse raggiunto solo perché aveva sentito di fondi interamente suoi, solo perché ora Dante indossava una giacca e una cravatta. Solo perché ora Dante sembrava uno dei damerini dell’elitè. E a lui non andava bene.
 
Carlotta non rispose, lasciò andare la sua mano.
 
Uno sguardo ferito.
Un abito rosso che si allontanava.
 
*
 
Elena aveva lasciato via libera a Kevin dopo averlo aiutato a riempire la casa di rose rosse. Sperava proprio che Eva avrebbe accettato l’invito. Non sapeva bene dove impiegare la sua serata, così decise di tornare al ristorante dello strano chèf dagli occhi azzurri. Avrebbe mangiato qualcosa lì e poi sarebbe tornata a casa. Entrò e si sedette ad un tavolo lontano dalla cucina, non avrebbe mai ammesso, neppure a se stessa, di essere tornata lì per lui. Si diceva che avrebbe mangiato qualcosa passando inosservata e sarebbe andata via. Ordinò un piatto di pesce e del vino bianco. L’ordinazione arrivò in fretta e lei cominciò a mangiare lentamente sorseggiando il vino. Dava le spalle alla cucina, perciò non vide il ragazzo che le andava incontro, ma vide solo una rosa entrare nel suo campo visivo.
 
Una rosa rossa.
Un’altra.
 
Un'altra?
Avrebbe dovuto variare.
 
Si voltò verso il ragazzo che le stava alle spalle, poggiò un braccio sullo schienale della sedia e lo guardò dritto negli occhi.
 
“Poca fantasia, chèf?”
“Oh no, ho visto che ti piacciono le rose. Stamattina ne trasportavi un ingente numero con un ragazzo. Ho pensato che sicuramente ti avrebbe conquistato prima lui con tutte quelle rose. Ma non mi arrendo facilmente.”
Elena sorrise, quel ragazzo riusciva quasi ad intenerirla.
“Si da il caso che Kevin, il ragazzo delle rose, volesse convincere la mia amica ad uscire con lui e io gli ho consigliato di riempire casa nostra di rose.”
“Quindi è questo quello che devo fare per farti uscire con me?”
“O no chèf, a me piacciono le sorprese.”
“Finisci di mangiare allora. Ti aspetto fuori.”
 
Si allontanò ed Elena rimase per un secondo a fissare le sue spalle, non pensava davvero che l’avrebbe aspettata fuori così terminò la sua cena con calma e uscì dal locale dopo un bel po’ di tempo.
 
“Sembra che la cena sia stata di tuo gradimento”
 
Una voce la accolse appena uscita dal ristorante. Si voltò verso il roseto e incontrò lo sguardo divertito di Alexander.
 
“O più semplicemente ti diverti a far attendere un povero giovane rapito dai tuoi occhi?”
“Adoro essere necessaria, mettiamola così chèf.”
“Perché continui a chiamarmi chèf?”, un sorriso. Lo sguardo sicuro.
“Mi piace anche mantenere le distanze.”
Quando si dice una vera stronza.
 
Uno sguardo divertito.
Un invito ad essere preso a braccetto.
 
“Vuole mantenere le distanze più da vicino, madame?”
“Vediamo cosa sa fare, chèf”
 
Un sorriso complice nonostante la distanza.
Sguardi divertiti.
Sguardi vicini.
Un paio di occhi verdi ad osservare la scena.
 
*
 
Un bussare frenetico, adirato, violento.
Un urlo a lacerare il silenzio della notte.
 
“Apri questa porta Elena. Adesso.”
 
Elena si alzò dal letto, Eva non era ancora tornata e si diresse all’ingresso. Controllò lo spioncino e vide Vilco fuori dalla porta che continuava a percuoterla. Aprì con la faccia assonnata e scandalizzata.
 
“Ma cosa sta succedendo?”, chiese stranita.
 
Uno schiaffo.
Si toccò la guancia diventata bollente dopo l’impatto e guardo Vilco che aveva il volto trasfigurato dalla rabbia.
 
“Cosa vuoi?”, urlò anche lei.
 
Un altro schiaffo.
Lacrime
Guance in fiamme.             
 
“Nessuno deve toccarti, Elena. Tu sei roba mia.”
 
Parole folli.
Sguardo folle.
 
“Fuori di qui, sei solo uno stronzo. Tu non mi toccherai mai più”, Elena era fuori di sé, si toccava la guancia, bagnata dalle sue stesse lacrime. Vilco adesso aveva davvero esagerato. Lui però non sembrava intenzionato ad andarsene, iniziò ad incedere verso di lei che indietreggiò andando a sbattere con la gamba contro il divano. Davanti Vilco, dietro il divano, al lato il muro.
 
Bloccata.
Incatenata.
Braccata.
 
Vilco la spinse sul divano, lei ci cadde quasi come una bambola, privata di ogni volontà.
La bloccò con una gamba sul suo corpo.
Si slacciò i pantaloni.
 
“Se io non potrò più toccarti, amore mio, non desidererai mai che altri lo facciano.”
 
Elena chiuse gli occhi.
Non avrebbe vissuto quello che stava vivendo.
 
*
 
Eva si era davvero divertita con Kevin e aveva fatto tardi, ma non le importava. Tornando a casa aveva incontrato Dante, sembrava avesse bisogno di conforto e così lo aveva invitato da loro, avrebbero svegliato Elena e passato la notte a ridere insieme. Girò la chiave nella toppa, la porta era aperta, quindi sicuramente Elena era in casa che dormiva. Aprirono ridendo, già pregustando la loro nottata goliardica. La luce nel salotto era accesa.
Eva si bloccò.
Elena era rannicchiata sul divano bianco, gli occhi cerchiati.
Fissava la porta.
Lo sguardo spento.
 
Il divano rosso.
Troppo rosso. 
  
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