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Autore: Vampiresroads    23/06/2013    4 recensioni
Nel buio spesso saltano fuori pensieri e accorgimenti che durante il giorno sono nascosti, e, indagando, troppo spesso puoi scoprire, -o cercare di farlo- cose assurde, che non avresti mai voluto sentire.
Altre volte, invece, sono semplicissime accortezze, che fanno più male di quanto dovrebbero.
‘E a volte le persone che ami cambiano, così inizi a odiarle, perché hai paura.
Paura che tutti se ne vadano, lasciando solo un’ombra consumata, e, forse, quella piccola parte di loro che odiavi dall’inizio, ma che non hai mai voluto ammettere esistesse.’
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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‘E a volte le persone che ami cambiano, così inizi a odiarle, perché hai paura.
Paura che tutti se ne vadano, lasciando solo un’ombra consumata, e, forse, quella piccola parte di loro che odiavi dall’inizio, ma che non hai mai voluto ammettere esistesse.’

 

–È veramente triste, – commentò Juliet, –che ti succede?
–Nulla. È solo un tema.
–Ci sarà un motivo per il quale hai scritto così.
–Un motivo. Sì, un motivo c’è.
–E…–replicò ancora la ragazza  –Vuoi che…– Allie la interruppe immediatamente: –no, va bene così.
–Okay, come vuoi. – sospirò, –ma non aspettarti di evitare domande, portando una cosa del genere.
–Meraviglioso, mi piacciono le domande!
–Allie, non me ne hai fatta finire mezza, che dici? Ti piacciono le domande? Mi sembra il contrario.
–Mi piacciono veramente le domande, però non mi piace rispondere.
–Mh, sì, capisco. E se per esempio provassi a rispondere sinceramente? Inizierebbero a piacerti forse. E magari, nella migliore delle ipotesi, potresti anche diventare una tipa socievole. E chissà, chi dice che non comincerebbero a piacerti i dialoghi? E…– si concesse una pausa incalzante, –le persone, forse.
–Non ha senso. È come consigliarmi di dipingere la camera di rosso. Io odio il rosso, standoci immersa tutto il tempo mi porterebbe solo a odiarlo di più.
–Come puoi stabilire di odiare qualcosa che non conosci?
–Che non conosco? Non c’è molto da conoscere in un colore.
–Nelle persone sì, però.– così dicendo, Juliet accarezzò i capelli dell’amica e si alzò in piedi; come se muoversi l’aiutasse a sfogare l’ansia del dialogo.
Che ci fanno due sedicenni assonnate, alle tre della notte, con la luce accesa, la radio a palla e la casa che dorme a discutere di questo, dopotutto?
Allie si grattò freneticamente la parte della testa dove Juliet l’aveva accarezzata, come se quella fosse una stretta di mano nemica, un patto del quale non si sarebbe mai potuta fidare, né liberare.
–No. Non serve a un cazzo. Volete tutti sembrare molto più complessi e rari di quanto siate in realtà. È sempre una corsa all’alternativo dell’anno e alla storia strappalacrime più penosa del decennio. Invece è tutto così vuoto. La gente è facile da conoscere, se individui cosa sono e cosa fingono. Ed è questo che me li fa odiare, capisci? Fingono.
–E tu sai perché ti fai odiare? Generalizzi.
–Vaffanculo.
–Allie, che cazzo ti prende ultimamente? Non ti abbattere, andiamo! Qual è il problema? Siamo stati tutti stronzi?
–Tu hai rotto i coglioni di fare la finta perbenista.
–Okay, okay, ho capito, chi ti ha fatto tanto male?
Allie la fissò, muta, finché non scoppiò a piangere.
–Va tutto bene, okay? Tutto alla grande, calmati, che succede?
Ma troppo succedeva, nella sua testa. E si sentiva morire, ogni volta.
Pensava velocemente al vero problema, senza trovare una propria risposta, così correva in mezzo alla confusione e cercava un ramoscello a cui appendersi, cosicché potesse liberarsi di quello che tanto la tormentava.
Ma era così inutile, c’era troppa nebbia, e troppa paura di ammettere quello che tanto la spaventava.
E succedeva che mentre ragionava il pianto cessasse, perché l’arcano stava per essere svelato, ma all’ennesima caduta nel vuoto, le lacrime si sprecavano.
Così, Allie pensava e Allie piangeva, mentre Juliet parlava, o forse stava solo sorridendo, o forse faceva finta di singhiozzare, per farla sentire meno sola, chissà. Quando Allie apriva gli occhi era tutto troppo pallido e sfocato per definirlo, e non poteva affidarsi all’udito, perché l’imbarazzo e i pensieri soffocavano qualsiasi rumore.
Nel frattempo, come in una bolla, Juliet viaggiava innocentemente, cercando di calmare il pianto, ignara di tutto quello che l’amica stava affrontando. Si dondolava, accompagnata dai lunghissimi capelli lisci e neri, come gli occhi, così contrastanti con la pelle bianca, quasi cadaverica, che si impegnava a mantenere tale.
Aveva uno sguardo assente, perso, direzionato allo specchio dietro ad Allie, ma senza un sentimento vero e proprio. Avrebbe volentieri accolto lo sfogo della ragazzina, così da riempire quegli occhi, che continuava a stringere, quasi volesse nascondere che aveva chiuso la porta ai sentimenti, nemmeno volutamente.
Probabilmente questa ‘liberazione’ sarebbe servita anche a lei, perché vedere Allie così la faceva star male, ma anche perché, altrimenti, non avrebbe avuto occasione di ricordarsi cosa significa avere un casino in testa, e non riuscire a liberarsene. Può sembrare stupido, ma a volte serve.
­­–Dai, respira, ora, calmati,– questa volta trovò il momento giusto e il pianto sembrava esser cessato davvero, –non era solo un tema?
–No.
–Guardami. –inarcò la fronte e il suo sguardo iniziava pian piano ad acquistare forma, e a muoversi, e a cercare quello dell’amica, ancora gonfio e bagnato. –Chi è cambiato così tanto?
Stavolta lo sguardo a perdersi è quello di Allie, e girandosi non riuscì a evitare di ridere, alla vista della sua immagine riflessa nello specchio: il taglio corto andava a spettinarsi nelle forme più assurde e sfidando la legge della gravità, la tinta scura fatta il giorno prima era mischiata al nero del trucco che era andato ovunque, mentre la sclera infiammata degli occhi contrastava col blu acceso dell’iride.
–Sono ridotta bene. – Commentò, sorridendo.
–Meravigliosamente, ma non mi hai risposto.
–Hai ragione.
–Lo so, ma puoi parlarmene.
–Ascolta, non preoccuparti, okay? Non avremmo dovuto parlarne e basta, che poi ci sto solo peggio, e ti assicuro che non ne vale la pena e, –si voltò di nuovo verso Juliet –niente, mi conosci, ogni tanto ho i miei momenti, non ha senso ingigantirli, non credi? Riscriverò il tema, hai ragione, sì, ma va bene così.
Allie non trovava pace, continuava a girarsi e rigirarsi per il letto, si alzava in piedi, si sedeva per terra, si rialzava e si mordeva il labbro, ma finiva sempre per girarsi verso lo specchio, così da evitare lo sguardo dell’amica.
Juliet afferrò l’altra per le spalle, come per tenerla fissa sul letto, e iniziò a parlare sempre più piano, piano, piano, fino a sussurrare: –sono le quattro, ormai, stai ferma, o svegli tutti.
A quel punto Allie si pietrificò, umiliata, prendendosi il viso fra le mani, per poi sbatterle violentemente sul letto e dire, stavolta, a basso volume: –Hai ragione, dormiamo, allora.
–Puoi scordartelo.
–Sei una sega umana, Ju. Che vuoi che ti dica?– Così dicendo, la ragazza si sdraiò sulla sua parte del letto e finse uno sbadiglio, cercando di convincere l’altra a mollare, inutilmente.
–Chi è ad esser cambiato così tanto, ecco cosa voglio tu mi dica.
–Nessuno è cambiato. Solo si è stufata di impegnarsi quando finge.
–Stufata? Stai parlando di una ragazza, quindi?
–No, di un ragazzo con una vagina. Buonanotte.
–Cosa?
–Scherzavo. Eddaje, certo che stavo parlando di una ragazza. Buonanotte, ancora.
Così dicendo si tolse i calzini, si infilò sotto le coperte e spense la luce, ignorando tutte le restanti domande della ragazza.

Il giorno dopo, Domenica mattina.
La prima a svegliarsi fu Juliet, anche se svegliarsi è una parola grossa, perché non chiuse occhio per nemmeno mezz’ora. Cercò di andare a esclusione e di trovare la soluzione all’enigma che la compagna di giochi le aveva involontariamente proposto la sera prima.
Caroline? Si conoscono troppo poco, non ci starebbe mai male.
Judith? Nemmeno per sogno, non la sopporta.
Susan? Non è affatto il tipo, poi ultimamente vanno così d’accordo.
–E se invece mi ha mentito? – Pensava Juliet, –se ha fatto apposta a farmi credere che sia una ragazza? – ma sapeva perfettamente di non poter rispondersi né scavare più a fondo, così cercava di pensare ad altro, ma ormai era troppo fissata per permetterselo.
Tornando dalla doccia, svegliò l’altra, sperando che, dopo una bella dormita, sarebbe stata pronta a parlarne definitivamente.
–Buongiorno, troia –esclamò saltellando e lanciandole un cuscino, –sono le dieci e mezza, muoviti! –
–Ancora rompi il cazzo, tu.
–Non ci si può parlare con te! Ma che ti prende?
–Che ti prende a te? Inizi a cagarmi solo quando mi scazzo? Com’è che mi rivolgi la parola? Miracolo!
–Allie?
Quest’ultima rispose girandosi e accennando un ‘che vuoi?’ distante, così facendo si chiuse in bagno per fare la sua doccia.
–Okay! –iniziò a urlare Juliet per superare il rumore dell’acqua della doccia, –Ora mi spieghi che intendevi! Hai capito? Non puoi lasciarmi a metà così, Allie!
Uscì dal bagno già vestita e truccata, dopo un’abbondante cinquantina di minuti: –Ma che ti importa?
–Mi piacerebbe sapere perché la mia migliore amica mi tratta così, sai com’è.
–Adesso ti importa anche cosa penso? Hai sempre così tante cose da pensare che ho perso il conto, immagino l’abbia fatto anche tu. Le poche volte che mi dedichi del tempo mi parli a malapena, e pare che fai un favore a me, non lo so io.
–Certo che mi interessa, –rispose sconsolata, –sai come la penso.
–No, non lo so. Dici una cosa e ne fai un’altra. Ma ti decidi? Un tempo non era così. Se proprio vuoi saperlo, sei tu la roccia che mi è caduta, Juliet. E vaffanculo, contenta?
Allie impiantò gli occhi in quelli dell’amica, che evidentemente non aveva ancora realizzato mezza parola del discorso dell’altra, e la sua mente vagava tra unicorni e stelle di mare, perché aveva perso il senso dell’orientamento tra i millemila pensieri e nomi.
–Non può essersela davvero presa così, cos’ho fatto? Che succede? – pensava lei. Ma alla fine, che importava? Era davvero incazzata nera per così poco?
–Non t’importa, per l’appunto. Mi dispiace di… –fece una smorfia antipatica e l’accompagnò da una vocina appositamente fastidiosa, –averti rovinato la sorpresa, davvero.
Juliet continuava a non trovare un’espressione adatta da metter su, perché effettivamente avrebbe voluto aver mollato il discorso la sera prima, e non esser costretta ad affrontar il suo sguardo, ora così nemico.
–Ma perché non me ne avevi mai parlato? Avrei fatto qualcosa per sistemare il tutto, nel limite del possibile. –Concluse così, fu l’unica cosa che riuscì a spiccicare. Ora si ricordava com’era esser negativamente confusi.
–Cambiare cosa? – Allie assunse un tono pacatissimo e strinse i pugni, tornando a essere dolce come sempre, per poi continuare, con aria arresa: –Non te n’è mai importato, e non è qualcosa che si cambia parlandone. –
Tornò in camera e riprese a piangere. Juliet avrebbe voluto far qualcosa, ma ancora non capiva come poteva starci così male.
C’era forse qualcos’altro che non le aveva detto?


N.d.A.
Non so come mi sia venuto in mente, sinceramente parlando,
infatti ero tipo molto "okay, buttiamo giù qualcosa, che all'inizio era totalmente diverso, quindi...
chiedo scusa per gli sfondoni e per la tematica noiosa, grazie di aver letto! (amo tutti)

V'sR 

  
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