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Autore: Shali    24/06/2013    2 recensioni
"Ritornerò, e vi ricorderò che ogni inizio ha la sua fine, ma la fine non è che un nuovo inizio, come la fenice che rinasce dalle sue ceneri, con un corpo nuovo e rinvigorito."
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Louis/Harry, angst, introspettivo, tematiche delicate.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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It's not really over.


Harry cammina senza sosta e senza meta in una Londra polverosa e oltremodo tiepida alla quale non appartiene; Harry appartiene al freddo gelido, alla pioggia che scroscia potente sull’asfalto, alle coltri di nebbia che avvolgono ogni cosa ed al vento che ti scompiglia i capelli, ti taglia il viso e ti intorpidisce i muscoli. Harry appartiene a tutto ciò che la gente detesta, evita, respinge o crede che esista per far del male. Il caldo non fa per lui, le maglie dalle maniche troppo corte, il sole che cuoce, l’abbronzatura, i costumi da bagno, sono tutte cose che gli fanno quasi ribrezzo. Secondo il riccio non c’è nulla di più comodo dell’inverno: può indossare le maniche lunghe senza morire di caldo e senza destare sospetti, se ne può andare spesso in giro come un folle senza rischiare di essere internato, poiché le strade sono notevolmente più vuote. L’inverno è la stagione in cui la natura muore e lui vive, la stagione in cui la fauna va in letargo e lui si sveglia, la stagione in cui copre il sole con le sue tenebre senza dar troppo nell’occhio. Semplicemente, l’inverno gli calza a pennello e lo lascia beare del privilegio di essere accarezzato dal freddo con una delicatezza insolita e sconvolgente.
Ora però non è inverno, e gli tocca andare in giro per le strade di Londra con una maglietta di cotone (rigorosamente a maniche lunghe, perché nulla e nessuno lo convincerà mai a girare con le ferite scoperte), un paio di bermuda mezzi strappati e la sua solita tracolla fin troppo messa bene per avere gli anni che ha.
È passato solo un mese da quando il suo mondo è crollato, e lui è già a pezzi, bruciato, distrutto. Un nodo gli serra trachea ed esofago, facendo in modo che l’aria ed il cibo passino a fatica, lasciandolo continuamente con la sensazione di doversi vomitare anche l’anima. È da un mese ormai che non fa altro che ubriacarsi, girare Londra senza una meta, lasciare per la strada pezzi di cuore per poi non recuperarli più. È da un mese che non dà un bacio di quelli in cui tira fuori anche l’anima, non fa l’amore, non fa nulla di tutto quello che faceva con Louis. La sua vita ormai è fatta di giornate passate in giro per Londra, serate nei locali e messaggi su WhatsApp con la comitiva, notti insonni, lacrime, sangue, alcol, sigarette ed altre risorse per l’autodistruzione. Proprio in quell’istante, il suo cellulare vibra nella tasca destra dei suoi bermuda.
“Whatsapp: 2 messages from 2 conversations”, Harry sa perfettamente di chi si tratta, e ne ha la conferma quando legge i messaggi.
“OrangeSheeran: stasera al solito locale. Non fare il bastardo, riccioli d’oro. “
“El: coglione, stasera ti pretendo. incolla sul tuo bel faccino un sorriso, mi avete rotto te e la tua faccia da stronzo, ti voglio bene :)”.
E, come al solito, Harry non può dire di no alla sua migliore amica, perché l’ultima volta che s’è azzardato a non obbedirle ha visto tutta la sua comitiva entrare nella sua stanza dalla finestra ed iniziare a saltargli addosso fin quando, stremato, non si è infilato il portafoglio nella tasca ed è uscito con loro. E poi c’è da considerare il fatto che, visto lo stato attuale delle cose, il riccio non dice mai di no ad una sbronza di quelle così forti che ti vien solo voglia di saltare, ballare, cantare, urlare, correre e chiudere gli occhi davanti a ciò che non vuole vedere. Quindi, per non rischiare, risponde subito.
“OrangeSheeran: ci sto, a stasera”sintetico come al solito, freddo come ghiaccio, ma almeno ha risposto. Anche se in modo molto vago, ha fatto un passo verso l’umanità. Poi però, dato che ormai ha l’Iphone in mano, entra su Facebook e legge il solito, scontato, ‘Ciao Harry, come va?’ e gli viene voglia di spaccare tutto, di accoltellare tutti, di buttarsi da un burrone.
Perché alla domanda ‘come va?’, il riccio non può che rispondere ‘tutto sta andando in pezzi, io non resisto più’.

***

Harry sta ancora calcando violentemente le strade di Londra quando, inspiegabilmente, una lacrima inizia a scendere sul suo viso. Poi un’altra e tante altre ancora la seguono, senza che lui se ne accorga. Continua a camminare a passo veloce, continua a sudare sotto la stoffa leggera, continua a sbuffare ogni volta che sente un clacson, ma non si accorge di quelle bastarde che gli sfigurano il viso. È una ragazza a farglielo notare, una di quelle sedicenni già distrutte più di lui, una di quelle che si portano il dolore congelato sotto gli occhi e lo nascondono maledettamente bene.
“Hey, va tutto bene?” gli chiede, pur sapendo già la risposta. Ed è allora che, con un orrendo e gutturale gemito che gli sgorga nella fessura tra le labbra, si accorge di star piangendo e, il viso sconvolto, “No, crolla tutto” borbotta a fatica per poi ritrovarsi stretto tra le braccia di chi conosce il dolore meglio di lui. “Non sei solo”, gli dice allora la ragazza, e va via come vanno via tutte le persone che sembrano più angeli che umani. Le sue spalle esili sono curve sotto un peso invisibile, il capo chino nasconde il suo cuore distrutto che le si riflette negli occhi. La ragazza fa per allontanarsi, ma Harry la ferma e “Grazie… io sono Harry, comunque” dice, per ricevere come risposta soltanto un “Di nulla, ti capisco. Louise” detto con gli occhi colmi di lacrime di chi vuole solo allontanarsi per disperarsi da solo. Allora Harry la lascia andare, perché capisce perfettamente chi vuole solo chiudersi a chiave in una stanza buia e piangere anche le lacrime che non ha. Per questo la luce lo acceca; in questi momenti ha bisogno di vedere solo ciò che è dentro di lui, e il buio è la sola ed unica cosa che fa chiarezza. Ma quel nome, il riccio se lo sente, è un segno; è come se quel bastardo del destino gli stia dando uno schiaffo in pieno viso per farlo rinsavire.

***

La vita di Harry è fatta di attimi, spezzati colmi di consapevolezze, amarezza e cose simili. Ogni tanto si rende conto di qualcosa che gli resterà nella mente fino alla fine dei suoi giorni, tutti gli altri avvenimenti fanno da cornice a tutti quei pensieri macabri, prima di venire esaminati, catalogati e poi archiviati nella memoria. La mente del riccio è ordinatamente disordinata, si crea ogni giorno una nuova maschera, ogni giorno cambia le sue fattezze e la sua parvenza. È un continuo cambiamento, una continua ricerca di qualcosa che non verrà mai trovata, un’infinita rincorsa verso il nulla. Il riccio si sente microscopico, davanti alla disarmante grandezza della verità, la quale lo schiaccia come fosse una formica. Si sente come se fosse una minuscola, impercettibile crepa in un enorme vetro. Nessuno la nota, poiché lo sguardo di tutti è fagocitato dalla grandezza esagerata del vetro, ma fa la differenza.
Una parte – di grandezza più che considerevole – della mente di Harry è dedicata ai pensieri filosofici, e quella forse lo rovina un po’. Sì, perché si sa che chi  convive con questo tipo di cose vive peggio; se non sai le cose, non hai motivo per star male. A volte il riccio vorrebbe essere stupido, o almeno incapace di arrivare a crearsi certe teorie; non riuscirà mai a dimenticare il momento (terribile) in cui, all’età di quattro anni o poco più, si è reso conto che ogni secondo che passa, è un secondo in meno che ci separa dalla morte; viviamo per morire, ci spacchiamo il culo per circa ottant’anni per finire chiusi dentro un paio di pezzi di legno inchiodati tra loro, essere sotterrati, diventare cenere e venire dimenticati. Poi, ovviamente, neanche abbiamo il diritto di rimanere in pace dentro quei pezzi di legno, no. Dopo qualche anno ci dissotterrano anche, levano il nostro nome dalla lapide e ci sostituiscono. È un meccanismo logico e spietato, che spaventa a morte Harry; l’unica cosa rincuorante, è che è una delle poche cose che hanno senso: se hai talento, cervello o furbizia, quindi vali qualcosa, vai avanti e il tuo nome viene ricordato, se sei un povero disgraziato che può solo adattarsi, vivi per nulla. A pensarci, Harry sospira, perché lui non sa ancora quale delle due facce della medaglia lo rappresenta. A volte vorrebbe che tutti ricordassero il suo nome, ma poi si rende conto che se tutti ricordano te, ricordano soprattutto i tuoi errori. E allora vorrebbe sparire ed essere dimenticato definitivamente, bruciare tutti i suoi resti, lavare con l’acido le sue impronte e uccidere chiunque conosce il suo nome. Però, alla fine dei conti, vale la pena di fare una tale strage per un povero depresso? No.

***

Trenta minuti dopo, il ragazzo è seduto sopra uno sgabello di Starbucks con due enormi bibite piazzate davanti e la sua migliore amica che gli sciorina concitatamente e senza sosta dei presunti modi per uscire dal baratro.
“Vedi, Harry, devi trovare un modo per andare avanti, trovare un appiglio al quale aggrapparti per tenerti a galla. Non puoi rovinarti la vita, non per un ragazzo. In fondo tu e Louis non stavate insieme da poi moltissimo tempo, dovresti semplicemente trovare qualcun altro che ti guarisca, in un modo o nell’altro. Haz, la vita va avanti, le cose hanno una fine come un inizio, non puoi ibernarti in un punto e non andare più avanti!” esclama Eleanor quasi senza prendere fiato. Si ferma un secondo sotto gli occhi sconvolti di Harry, beve un sorso del suo Starbucks e ricomincia, più fervida di prima. “Andiamo, la troverai un’altra persona che ti ama! E poi hai sempre gli amici, insomma, noi non ti abbandoneremo mai” squittisce, per accorgersi in una frazione di secondo del fatto che gli occhi dell’amico sono altrove, e la sua mente pure. “Harold,– sì, proprio Harold, non Harry, perché quando El si arrabbia arriva anche a chiamarlo con il suo nome intero - dannazione!, guardami negli occhi e prestami attenzione. Io lo dico per te, non ce la faccio più a vederti così. Haz, la vita continua!” urla, il viso rosso e la bocca quasi secca. E, davvero, Harry l’ha ascoltata, anche se probabilmente non è proprio credibile. E proprio perché l’ha ascoltata ora beve un sorso di Starbucks e afferma con sicurezza “El, non c’hai capito un cazzo”.
Questa è la tipica risposta che Harold Edward Styles dà ai suoi amici quando gli propinano i loro interminabili sermoni, che poi sembrano fatti con lo stampo per dolci, in serie e tutti rigorosamente identici.
Il problema è che, sebbene questi abbiano la sua stessa età, i suoi amici non possono capire come lui possa stare; ci sono cose che, se non le vivi te stesso, se non ti arrivano vicino al midollo e te lo solleticano, sono impossibili da capire. Neppure Eleanor, che è tra le persone più mature in quella comitiva, ha mai provato quel sentimento logorante. Quell’amore che ti avvolge, ti scaglia a terra senza farti sentire il dolore dell’urto, ti strappa la carne a morsi facendoti dire grazie di tutto senza fare neanche un lamento, ti rende schiavo di te stesso perché, in fondo, l’amore è egoismo. Ti lanceresti da un precipizio per qualcuno che fa star bene te, fai di tutto per qualcuno che fa star bene te. È come un mutuo senza interessi, dai di più per avere di più, e se non ti riprendi nulla è perché in fondo speri che ti venga restituito tutto in modo equo. Ma raramente succede.
“E allora spiegami, Harry! Ok, hai ragione, non ho capito un cazzo, ma a questo punto fammi capire tu quello che c’è da capire, almeno posso aiutarti. Haz, io ci tengo a te. Ci tengo talmente tanto che non ci riesco a lasciarti fare, non ci riesco a guardarti mentre ti lasci andare così” sbotta allora El, stanca delle fughe del suo amico “Non puoi continuare a scappare dalla realtà, Harry, perché prima o poi ti prende per i capelli e ti fa scontare ogni singolo millimetro che hai corso lontano da lei”. E, sebbene sembri impossibile, Harry apprezza infinitamente i tentativi di Eleanor. Però scappa. Volta le spalle alla sua migliore amica ed esce da quel locale, anche se gli dispiace lasciarla così; ma proprio non ce la fa a reggere la visuale di qualcosa che è talmente enorme che lo schiaccia anche solo coprendolo con la sua ombra. Gli dispiace e glielo dice, a El, perché non vuole che ci rimanga male.
“Eleanor: mi spiace cucciola, ma non ce l’ho fatta. ci vediamo stasera, giuro che non manco xx”.

***

Le serate al pub con la comitiva sono frequenti, ma ogni volta organizzate da una persona diversa. Il locale sta a cinque minuti da casa di Harry, ed è tutto meno che un’attività commerciale. Originariamente apparteneva a Charles e Bonnie, il padrino e la madrina di Greg, il fratello di Niall. A quei tempi, era tutt’altro che un locale rispettabile. Charles vendeva superalcolici a chiunque gli lasciasse denaro, teneva un jukebox rotto in un angolo ed alzava esageratamente il volume della radio, perennemente sintonizzata su un canale di musica alquanto scadente. Bonnie, intratteneva i clienti con esibizioni sui tavolini, imitando le grandi icone della televisione. Alla morte dei due coniugi, il locale era passato in eredità a Greg, il quale l’aveva tenuto solo per le feste della comitiva.
Colui che organizza le serata, o meglio, il povero martire che organizza la serata, si preoccupa di ordinare alcol, un abbondante rifornimento di CD e di contattare una ditta di pulizie, perché il locale, dopo una serata delle loro, è l’equivalente di un porcile. La giornata prima della festa, è completamente dedicata alla promozione della serata; usualmente, a quello ci pensa Danielle, che è l’unica del gruppo a saper trattare la gente senza uscire mai dal suo status di calma piatta. Il motto per la promozione della festa è sempre il solito: “più siamo, più ci ubriachiamo, meglio è!”. Danielle, oltre alla calma, ha in dote anche un’enorme metodicità; per spargere la voce, invia a tutti gli amici della comitiva un messaggio dove chiede – o meglio, ordina – di invitare amici, amici di amici e via di seguito al locale. Questi, girano il messaggio ad un buon novantacinque percento della loro rubrica, che poi ripete il procedimento invariato. Nel giro di poche ore, un numero di persone sufficiente a divertirsi è informato.
Questa serata, è organizzata da Sheeran, e nella mente di Harry ciò equivale a litri di birra e sbronze apocalittiche. La cosa comica, è che Louis non voleva che il suo ragazzo si ubriacasse; ogni volta che eccedeva un po’, si arrabbiava. Adesso Harry ha tolto tutti i freni, e sebbene sia ancora fortissimamente legato a Louis, non riesce più a stare a quelle che erano le sue condizioni, a vivere come viveva con lui. Forse, in un recondito angolo del suo inconscio, spera di rivedere la figura di Louis venirgli incontro, il viso corrucciato e le labbra strette a fessura, per rimproverarlo come se fosse il padre che, purtroppo, non ha mai avuto. Forse spera di vederlo di nuovo tenere il muso, ma sciogliersi quando poi ha oltrepassato il livello di nervosismo che Harry può sopportare da ubriaco. Sotto l’effetto dell’alcol, Harry sente il quadruplo della felicità ed il quadruplo della tristezza; ride incessantemente, come fosse isterico, fino a farsi venire il mal di pancia. Ma ogni volta che Louis palesava il suo disappunto, il riccio scoppiava in un pianto altrettanto isterico. Sragionava, blaterava cose che da sobrio si guarda bene dal dire. Ora, tutto questo è scomparso in una grigiastra, densa nube di fumo tossico, insieme alla figura di Louis nella sua vita. Louis era per Harry una colonna portante, l’ancora che si aggancia allo scoglio per fermare la barca e l’onda che ne accarezza il fianco, il raggio di luce che colpisce il petto, la quiete durante la tempesta, l’isola deserta dove rifugiarsi quando la realtà, per qualsiasi motivo, diventa opprimente. La vita di Harry è come una catena, la cui sopravvivenza è determinata dalla presenza di ogni singola maglia. La relazione con Lou è una delle maglie della catena, una maglia ormai deteriorata. Ciò significa che la vita del riccio, va irrimediabilmente in frantumi.

***

Harry entra nel locale. È tornato a casa per venti minuti scarsi, giusto il tempo di lavarsi via di dosso il sudore ed infilarsi qualcosa di pulito. Si è infilato una maglia di Louis, le ha ancora tutte. Nessuno si è premurato di prendere gli effetti personali del ragazzo, inspiegabilmente, e ad Harry non è certamente dispiaciuto tenere tutto. Ogni tanto, tira fuori le maglie di Louis solo per abbracciarle, sentire il suo odore e poi rimetterle a posto nell’armadio. Solo per sentirlo più vicino.
Sheeran gli viene incontro, lo abbraccia e gli porge una birra. Il pub non è ancora abbastanza pieno, ma si riempie progressivamente. Quando il locale è pieno, Harry è quasi ubriaco. Inizia a perdere il controllo, a ridere, piangere e quasi vomitare contemporaneamente. Urla le prime parole che gli vengono in mente, piange e ride contemporaneamente. Ha totalmente perso il controllo, e non ha intenzione di riprenderlo presto; più la realtà diventa sfocata, più la razionalità viene messa a tacere, meglio si sente il riccio. Questa sera, però, le forze sembrano venirgli meno più del solito; barcolla, cade di tanto in tanto e poi si rialza più instabile di prima. Il suo organismo pare urlargli di fermarsi, di smettere di imbottirsi di alcol, ma lui non intende dargli ascolto. Ad un tratto, la stanza inizia a girargli intorno, a divenire sfocata. El gli corre incontro, sul viso ha stampata un’espressione di paura allo stato puro. “Harry!” la sente urlare, poi le gambe deboli cedono sotto il suo peso e tutto diventa buio.

***

Il riccio si risveglia a casa sua, con la testa affondata nel cuscino. Come sempre, è solo.  Si alza dal letto, le gambe ancora molli lo sostengono a stento. I suoi capelli sono più scompigliati del solito, le occhiaie più pronunciate che mai. Sebbene porti ancora addosso i segni della micidiale sbronza presa il giorno precedente, si prepara ed esce.
La tube è il posto preferito di Harry; va lì per pensare, viaggiare e rilassarsi. Spesso, sale sul primo mezzo che passa, e va dovunque questo lo porti. In qualche modo, arriva ad Hyde Park. Si ricorda di quando sua madre, quand’era bambino, lo portava lì e lo faceva passeggiare nella natura, lontano dalla vita reale, inglobato in quel mondo dove c’erano solo il prato e gli alberi e sua madre che gli teneva la mano. Gli mancano quei tempi, i momenti in cui nulla importava davvero, e l’unica persona che contava davvero era sua madre; fin quando gli teneva la mano e camminavano insieme, la vita gli sembrava una fantastica, strabiliante avventura senza ostacoli e senza fine.
Ora si ritrova lì, da solo con il suo dolore, e non sa che farsene di quella sensazione, di quell’amara nostalgia che gli si annida sul fondo del cuore, solidificandosi, creando una spessa barriera che cozza con i suoi sogni. Non sa che farsene, dell’amaro che gli lascia in gola e che non va più via, e della nausea che gli provoca. Accarezza le foglie degli alberi, che brillano sotto il sole di giugno; accarezza i rami e i tronchi rugosi ormai vivi e non più secchi. E sa che anche quello, anche la bellezza semplice e incontrastabile, avrà una fine. I rami si seccheranno, le foglie cadranno e si sgretoleranno sotto i passi di tante altre persone, di tutti coloro che cercano la bellezza per trovare se stessi. Harry getta la tracolla sulle radici dell’albero e si siede sull’erba fresca e asciutta. Il vento gli scompiglia i capelli, e gli sembra di sentire le dita di Louis accarezzargli i ricci. In fondo, è vero che coloro che ci lasciano, non se ne vanno mai veramente. È come se Louis avesse lasciato un marchio indelebile sul riccio, qualcosa che va oltre i limiti e le conoscenze umane.
Harry passa un paio d’ore così, steso sull’erba ad osservare il cielo, e a pensare a qualsiasi cosa gli venga in mente guardandola da un punto di vista diverso, magari più ottimista. Eppure l’ottimismo non è una sua caratteristica, non fa parte di lui, non è nel suo DNA. È sempre stato abituato a guardare il lato peggiore in ogni situazione, forse per una sorta di autodifesa. Il suo ragionamento è sempre stato strano ma, a suo modo, sensato; ha sempre pensato che, aspettandosi il peggio, se le sue aspettative si fossero realizzate, sarebbe stato preparato, pronto ad affrontare la realtà con più tenacia. Dopo una vita, ancora deve capire se questo suo comportamento lo danneggi o in qualche modo gli porti giovamento, ma sa che seppure lo sapesse, continuerebbe ad agire con questa sua caratteristica diffidenza nei confronti del destino.
Louis, lo rimproverava sempre per questo. Lo incitava a vedere la vita da un punto di vista migliore, dando più importanza alla luce che alle tenebre. Ogni tanto, ci riusciva anche, ed insieme erano le persone più felici del mondo. Al ricordo, il riccio deve trattenere le lacrime che vorrebbero scorrere come fiumi impetuosi sul suo viso. A quel punto, una strana consapevolezza s’insinua nella mente di Harry, gli striscia nel profondo delle viscere, lasciandosi dietro una scia che pare d’inchiostro mischiato a sangue. Non può perdere Louis, non così, non così presto.
A quel punto si alza in uno scatto, recupera tutto e corre a prendere la metro.

***

Ha provato a scrivere la sua lettera d’addio a mano, ma gli arti gli tremano e non riesce a stringere la penna come si deve. Per questo, adesso, sta davanti allo schermo del suo portatile, alla disperata ricerca delle parole giuste da dire in certe circostanze. Le parole che sgorgano dalle sue dita, sono amare e disperate, ma sa che non c’è altra soluzione. Ha bisogno di ricominciare tutto daccapo, e sa che può iniziare solo finendo.

***

«Ciao, chiunque tu sia. Non so chi sarà il primo a leggere questa lettera, né cosa ne farà, ma io ci tengo a scriverla. Nell’ultimo mese ho vissuto una vita a metà, una vita confusa, senza trama né contenuto. Non so come ho fatto a sopravvivere, chi o cosa mi ha impedito di reagire, e forse non voglio neanche saperlo. Alcune cose, sono fatte per non essere comprese, ma per rimanere nel mistero che le rende interessanti. Non ho mai provato un dolore intenso, profondo e logorante come quello che mi sono trovato a vivere in questo periodo, e auguro a chiunque non l’abbia vissuto di non trovarsi mai in una situazione simile o, peggio, uguale. Sebbene non sia passato tanto tempo dal giorno che uso chiamare Il Peggiore, quel poco è bastato a farmi assaggiare cosa significa voler smettere d’esistere.
In questo mese, ho girato Londra in qualsiasi suo angolo mi capitasse di scorgere, ho cercato di assaporare la vera essenza di una città dove ho passato tutta la mia vita, ma che non ho mai capito fino i fondo, che non ho mai sentito mia veramente. In questo mese ho imparato tante cose, forse più di quante ne ho imparate in una vita intera, o comunque, più importanti; vitali, direi. La cosa più importante che ho appreso è che nessun urlo, neanche il più potente, può eguagliare il rumore del silenzio, ed il silenzio nasconde più parole ed emozioni del discorso più lungo. Se solo avessi la certezza che tutti voi siate capaci di ascoltare il silenzio di assaporarlo, di coglierne le sfumature e tutto ciò che cela, allora non scriverei tutto questo. Starei zitto, e lascerei che voi capiate tutto, perché sono più che certo che capireste di più di ciò che intenderete da quello che sto scrivendo. Spesso, le parole possono essere ambigue e trarre in inganno.
Molti mi hanno suggerito di ritrovare la felicità, magari tra le braccia di un altro, di qualcuno che possa capirmi e rincuorarmi. Eppure, nel profondo degli abissi più scuri del mio cuore, ho sempre conosciuto la soluzione, non ho mai ignorato quali sono le braccia che possono donarmi la Felicità. Lo scrivo con la maiuscola, anche se non serve, perché ci tengo a chiarire il concetto. La Felicità è quella che ti toglie il respiro, quella che ti fa sentire sempre come se ogni giorno sia un giorno nuovo, che inizia nel migliore dei modi. Ed è proprio tra quelle braccia che devo andare, a qualsiasi costo ed in qualsiasi modo. L’unica cosa che lascerò qui sarà questa lettera, che intendo firmare col mio stesso sangue, perché l’inchiostro si può cancellare, ma il sangue lascia il segno. Tutti i miei effetti che possono in qualche modo ricondurre alla mia vita passata (come il mio telefono, computer, diario e simili), verranno bruciati. Voglio che voi non mi trattiate come si trattano tutti gli altri, sciorinando asfissianti lagne su quanto io vi manchi e su quanto la mia presenza faceva la differenza nelle vostre vite. Continuate a vivere, andate avanti, ridete, festeggiate anche quando non è festa, ubriacatevi e conservate il ricordo di me nel vostro cuore. Mi ritroverete poi, da qualche parte, come io ho ritrovato Louis – il mio Louis – in un soffio di vento. Io non vi abbandono, anche se vado via, lontano da qui. Tornerò sempre, quando ormai non ve l’aspettate più; tornerò nel raggio di sole che al mattino vi accarezza il viso e vi fa stare bene, nella farfalla che vi sfiora inavvertitamente con le sue ali durante il suo volo libero e spensierato, nell’onda che vi bagna i piedi quando, sulla spiaggia, contemplate il tramonto con la persona che vi rende veramente felici. Ritornerò, e vi ricorderò che ogni inizio ha la sua fine, ma la fine non è che un nuovo inizio, come la fenice che rinasce dalle sue ceneri, con un corpo nuovo e rinvigorito.  Mentre vi scrivo piango, perché so che probabilmente lo farete anche voi, e vi dico le ultime cose, perché ho fretta di raggiungere il mio Lou.
Nel caso in cui non legga questa lettera, ringraziate Eleanor da parte mia, e ditele che le voglio tanto bene. Veramente, anche se a volte lo dimostro in modo strano. A tutti i ragazzi della comitiva, dite che sono stati i protagonisti fantastici della storia della mia vita, e che ne hanno preso parte in modo molto più che egregio.
Adesso vado via, e cerco un nuovo inizio, un inizio migliore. Un inizio che veda vicino a me la persona per me più importante del mondo.
Adesso raggiungo Louis, e lo abbraccio un po’ anche per voi, che non avete potuto abbracciare lui come non avete potuto abbracciare me.
Arrivederci.»
Stampa la lettera, la firma e poi la posa sul tavolo della cucina. Esce, brucia tutto ciò che deve rimuovere dal mondo, e poi parte.

***

È di nuovo lì, dov’era Louis nel Giorno Peggiore. Si avvicina al ciglio del precipizio e guarda giù. Apre le braccia, lasciando che il vento gli accarezzi le membra; prende un respiro profondo, riempiendo polmoni e diaframma fino all’inverosimile. Poi urla “Louis, sto arrivando”.
E salta giù. 

Spazio autrice

Buongiorno! Questa one-shot è stata per ben tre mesi ed undici giorni in una cartella del mio computer, e forse non mi aspettavo più di riuscire a concluderla. Eppure, mi ci sono messa d'impegno e ce l'ho fatta. Per chi non avesse capito: Louis è morto in un incidente d'auto, nel posto in cui anche Harry muore. 
Dato che ha letto questa one shot in anteprima quando era ancora un ammasso di pagine di Word ancora da concludere e che mi supporta (e sopporta, soprattutto) sempre e comunque, credo che sia il caso di ringraziare pubblicamente Aurora (che deve trovarsi un soprannome decente, ew). Se non fosse per lei, non sarei mai riuscita a portare a termine questa storia. 
Per ultimo, spero che qualcuno mi lasci una recensione, anche piccola, per farmi sapere cosa ne pensa di questa os.
A presto (si spera),
Shali. 
   
 
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