A
Ellie, perché dice che il “mio”
Embry le manca sempre.
Perché i brutti momenti
passano, sempre.
Non ho mai detto che mi piaci
Seattle. Tre ore e mezza di
distanza da La Push, ma
quando hai diciannove anni quelle tre ore e mezza diventano una
distanza
enorme. In quelle tre ore e mezza c’è tutta la
distanza dalla tua vita da ragazzina
a quella d’adulta. La distanza dalla tua stanza al college
alla stanza con i
poster alle pareti e i peluche che devi dividere con tuo fratello. Ti
trovi
così ad inventare scuse su scuse, gli esami da preparare, il
lavoro part time e
poi le scuse finiscono, tua madre ti minaccia al telefono e non ti
resta che
tornare.
Più o meno erano questi i miei pensieri mentre
canticchiavo una stupida canzone che passava alla radio,
l’adoravo e alzai il
volume. Ma da quando mi piaceva quella
musica?
La strada era illuminata solo dai fari dell’auto, la
stessa strada che conoscevo così bene e che mi stava
riportando a casa.
Costeggiando la foresta mi persi in una marea d’immagini,
sensazioni e ricordi.
Mia madre mi costringeva ogni domenica a fare le escursioni con lo zio
e i miei
cugini. Ma io e le mie cugine andavamo d’accordo, andiamo
ancora d’accordo, in
realtà; con Rachel dividevo la stanza del college, il vero
problema era sempre
stato mio cugino Jacob e quei suoi due amici idioti che lo seguivano
ovunque.
Assecondando una curva della strada entrai nel territorio
della riserva. Non pioveva neanche. Poi all’improvviso
sgranai gli occhi, il
respiro spezzato e il cuore accelerato.
“Porca miseria.”
Sterzai e frenai bruscamente. Che diavolo era?
Mi portai una mano sul petto e scossi la testa.
C’era qualcosa o forse qualcuno sulla strada.
Quando l’auto si fermò sospirai di sollievo, ero
ancora
viva. Ma il sollievo durò poco.
I fari illuminarono la strada e quel qualcuno era ancora
lì.
Oddio, oddio, non
l’ho investito, vero?
Scesi dall’auto e feci qualche passo avanti.
Finire in galera per aver investito
qualcuno sulla strada per La Push. Ci poteva essere una fine peggiore
di
quella?
“Ma che cazzo, Alyssa. Ok, che ti sto sulle palle ma non
credevo arrivassi a tanto.”
Una voce roca e profonda. Decisamente non la voce di un
moribondo. Leggermente rincuorata feci ancora un passo avanti. Aveva
pronunciato il mio nome, mi conosceva?
“Io… io… cioè…
non ti avevo visto e che...” ancora un
altro passo. “Stai
cioè… Embry?” Sgranai
gli occhi arrivando di fronte al ragazzo. No, non era possibile. Non
poteva
essere… “Embry Call?”
“In carne e... ossa non so, forse mi hai rotto
qualcosa.”
Sbattei le palpebre. Non poteva essere davvero lui.
Quanti anni aveva? sedici? Due in più di mio fratello, non
poteva essere
così alto, non poteva essere…. e i
capelli erano lunghi e ora… e
perché
accidenti gli sto facendo la radiografia? Devo solo
accertarmi che sia vivo.
Respirai a fondo un paio di volte ed Embry si massaggiò
una spalla. Contro ogni volontà e logica i miei occhi si
soffermarono sulle sue
braccia. Ma quanta palestra aveva fatto
negli ultimi sei mesi o forse aveva iniziato a farsi di steroidi?
“Embry.” Fai qualcosa, vedi se sta bene, invece di
continuare a ripetere il suo nome. “Alyssa.”
Lo guardai rimettersi in
piedi. “Mi piacerebbe dire è un piacere rivederti,
ma mi hai appena investito.”
Deglutii. “Ma ti sei rimesso in piedi, io credo
che… non
ti ho preso.”
“Come fai a dirlo?”
“Perché sei vivo e non sanguini. Stavo andato a
ottoanta
all’ora saresti…”
“Ah, quindi ti stai prendendo la colpa. Eccesso di
velocità.”
“E tu che accidenti ci facevi in mezzo alla strada?”
“Mai sentito parlare di attraversamento pedonale?”
Mi passai le mani sul viso e mi tirai i capelli cercando
di recuperare un po’ di calma.
Calma e razionalità le mie caratteristiche principali. Le
alleate di una vita.
Respirai. “Ok, senti: andiamo al pronto soccorso, forse
ti serve una tac o
dei raggi o…”
“No.”
“Come no, Embry, non fare il bambino. Andiamo su!”
“Io non salgo in macchina con te, sei un pericolo.”
“Ma tu…” Cosa
ci
avevano insegnato al corso di primo soccorso? No, la respirazione bocca
a bocca
non c’entra. Piantala, ha sedici anni.
“Ti stavo prendendo in giro, Alyssa. Hai frenato e io mi
sono spostato. Riflessi allenati.”
“Riflessi allenati? Ma vai in giro a farti investire ogni
giorno?”
Sorrise e io sbattei le palpebre più forte.
“Torni a casa ogni sei mesi, quindi direi di no, non
capita spesso.”
“Tu… tu… sei sicuro di stare
bene?”
Sorrise ancora. E io d’improvviso mi chiesi che cosa ci
fosse di sbagliato in quel sorriso. Embry Call, il ragazzino che avevo
detestato con tutte le mie forze per i primi diciannove …
quindici anni della
mia vita, visto che era più
piccolo, sorrideva
in maniera sexy? Forse ero io ad avere preso un colpo. E anche bello
forte.
“Alyssa? Sicura di stare bene? Boccheggi. Dai, sali in
auto, ti accompagno.”
Lo seguii con lo sguardo, camminava sicuro e aprì la
portiera della macchina facendomi cenno con la testa. Mi stava
invitando a
salire nella mia auto?
Completamente frastornata dagli avvenimenti degli ultimi
cinque minuti lo lasciai fare seguendolo. E non avevo davvero idea che
quello
sarebbe stato solo l’inizio e se anche l’avessi
saputo sarebbe cambiato
qualcosa?
****
Premetti il
dito sul campanello, sistemando poi indietro i capelli. Dovevo solo
passare a
salutare zio Billy, decisamente bussare a questa porta non era
previsto. Ma
poteva essersi fatto male davvero, sapevo che sua madre in casa non
c’era quasi
mai e… ero solo preoccupata.
Spostai il
peso da un piede a l’altro e aspettai ancora
finché non vidi la porta aprirsi
lentamente. Sgranai gli occhi.
“Ma… ma… ti sembra questo il modo di
venire ad aprire?”
“Lo sai che è casa mia e saranno pure affari
miei?” Rise
e si appoggiò allo stipite della porta spostando via i
capelli dagli occhi e
aveva solo addosso un paio di boxer neri. Avevo sempre odiato i boxer
bianchi
e… “Che ci fai qua, Alyssa?”
“Stai bene?”
“Non ci credo che sei davvero preoccupata per…
me.”
“Non sono preoc…”
“Ricordo chiaramente quando mi hai urlato: vorrei
che scomparissi dalla faccia della
terra.”
“Bene, sei ancora vivo, niente trauma cranico, mi sembra
niente lividi. Ciao, Embry.”
“Vuoi entrare?”
Alzai gli occhi e lo guardai di nuovo. Non ero mai stata
un tipo impulsivo. Io ero quella che viveva di razionalità
ed azioni ben calcolate,
io ero quella che pensava dieci volte prima di aprire bocca, io ero
quella che
riduceva al minimo i rischi . Sempre, ma non quella volta.
Mi mordicchiai il labbro con i denti e oltrepassai
l’uscio di casa mentre lui richiudeva la porta. Ascoltai quel suono sordo cercando
di trovarci una
logica, come ero
abituata a fare. Il
problema era che in quella situazione non c’era niente di
abituale e lui era di
nuovo davanti a me. Era alto, molto più alto di me ma la
pelle era dello stesse
colore. I muscoli della schiena tesi mentre si chinava a raccogliere
qualche
cuscino caduto dal divano. Scossi la testa, sbattei le palpebre e lui
si voltò
a guardarmi; senza parlare mi indicò il piccolo divano, mi
ci sedetti e lui si
mise di fronte a me sul tavolino.
“Cosa?” Chiesi visto che lui continuava a fissarmi
in
silenzio.
“Quando ti sei fatta quel tatuaggio?” Sorrise
appena e
con il pollice mi sfiorò il collo fino a incontrare
l’orlo della maglietta.
“Continua anche sotto?”
Deglutii. “Sì, cioè no. Il mese
scorso.”
Annui continuando
ad accarezzarmi il collo. “Ne hai altri?”
“Decisamente nessuno come il tuo. Tiffany ti avrà
ucciso.”
Ignorò le mie parole e continuò a sorridere.
“Dove sono
gli altri?”
Le sue mani si spostarono sui miei fianchi. Dio, riuscivo
a sentirle attraverso la stoffa della maglietta.
Mi alzai in piedi d’improvviso e spostai i capelli di
lato a coprire il tatuaggio.
“Devo andare,” dissi. La mia voce non era credibile
nemmeno a me stessa.
“O potresti restare.” Si era alzato in piedi anche
lui.
“Hai sedici anni.”
“E tu diciannove, lo so.” Un passo avanti
“Ti conosco da quando ti mancavano i denti davanti.”
“E tu non avevi le tette.” Un altro passo.
Spostai le mani sul suo petto per allontanarlo e lui mi
afferrò i polsi.
“Voglio solo provare a fare una cosa,” disse
parlando ad
un soffio dal mio viso “Ma puoi sempre andare via se
non…” il resto della frase
si perse contro la mia bocca.
Le sue labbra erano morbide e si muoveva con dolcezza sulle
mie. E il mio cuore accelerò talmente tanto che sarebbe
potuto schizzare via
dal petto. Come accidenti era possibile? Non
mi avevano mai baciato in quel modo e… passai le mani fra i
suoi capelli e gli
tirai una ciocca. Lui si allontanò appena. Ancora il sorriso
sul viso.
“Resti o vai via?” chiese. Odiavo
quell’aria di vittoria
sul suo viso ed ero ancora in tempo per prendere la porta e andare via.
Sapevo
che sarebbe successo se fossi rimasta
ma
volevo solo baciarlo di nuovo.
“Non sarai mica vergine?” In fondo aveva sedici
anni e
decisamente non volevo che…
“Ti sembro uno che non sappia cosa fare?”
Le sue mani scivolarono sul mio sedere e mi spinsero di
più contro di lui.
No, non sembrava e io continuavo a pensare troppo.
Riprese a baciarmi, ma stavolta la dolcezza era sparita.
Il mio respiro si perse nel suo e il mio cervello si spense.
Mi ritrovai ad allacciare le gambe alla sua vita, sorrise
ancora e tornò a sedersi sul divano.
Non dovevo pensare, non dovevo pensare da quanti anni lo
conoscessi, non dovevo pensare che andava ancora al liceo. Non
dovevo…
Iniziò a spogliarmi, lento e si fermò a guardarmi
prima
di spostare le mani sui gancetti del reggiseno. Non gli avevo mai
guardato gli
occhi, non così: scuri, da adulto.
Mi morse la spalla e il reggiseno cadde per terrà . Le
sue mani si mossero su di me e in un attimo mi ritrovai sdraiata sul
divano. Ancora
i suoi occhi incollati ai miei, mentre i bottoni dei jeans si aprivano
uno dopo
l’altro. Non riuscivo a smettere di guardarlo. Mi
baciò la pancia, mi aggrappai
al bracciolo del divano e ansimai forte. Alla faccia dei sedici anni,
dove
accidenti aveva imparata a…
Mi morsi le labbra per mettere i tacere i gemiti, da
qualche parte del mio cervello doveva esistere ancora un grammo di
razionalità
e, se era solo un gioco, di certo quella soddisfazione non gliela avrei
data. Doveva
essere lui quello più inesperto fra i due.
Chiusi le gambe e mi rimisi a sedere cercando di calmare
il respiro. Lui mi guardò inarcando un sopracciglio.
“N…”
“Stai zitto.”
Con
la mano lo spinsi giù fino a farlo sdraiare, gli levai i
boxer e aspettai di
sentire i suoi gemiti per la stanza. Ancora le sue mani sulla mia
pelle, senza
alcuno sforzo mi portò sopra di lui e con un'unica spinta lo
sentii dentro di
me.
Sgranai gli occhi e lui riprese a baciarmi, le sue mani
addosso. I movimenti erano lenti e non riuscivo quasi più a
respirare o forse
non volevo farlo, quando spinse più forte mi aggrappai alle
sue spalle e cadì
sul suo petto con un’ultima spinta che fece raggiungere
l’orgasmo a entrambi
quasi nello stesso momento. Non era un ragazzino.
Gli baciai il petto sudato, era bollente e lui mi
accarezzò i capelli.
“Chi era quello vergine?” La voce divertita.
Scossi la testa e sorrisi. “Continua a stare zitto,
Embry.”
***
C’era
sempre la stessa canzone.
Quella canzone che non capivo perché mi piacesse tanto,
quella canzone che
passava alla radio quando frenai di colpo con la paura di averlo
investito,
quella canzone che anche adesso risuonava nell’abitacolo. Ma
poi la canzone
finì ed Embry sbatte la testa contro il tettuccio, lo sentii
imprecare.
Sbuffai e mi mossi appena.
“Ahi.”
“Cosa?” chiese lui
massaggiandosi la testa.
“Mi si è infilato il freno a
mano nella schiena.” Mi misi seduta rialzando il sedile e
cercai la mia
maglietta.
“Possiamo andare dietro.”
“No.”
“Alyssa.”
“Embry, sono piena di lividi.
Guarda.” Abbassai un po’ l’elastico degli
slip e sbuffai ancora. “Il cambio.
Davvero sexy.”
Lui mi baciò il naso e scoppiò
a ridere. “Ok, il sesso in macchina è stata
un’idea cretina.”
Lo guardai. Si stava rivestendo
e si passò una mano fra i capelli. Scossi la testa. Odiavo
quando mi fermavo a
pensare a quanto fosse bello e continuavo a non trovarci una logica in
quello che
stava succedendo.
“Già.”
“Domani torni a Seattle, volevo
solo passare del tempo con te.”
E odiavo anche
quando iniziavamo quei
discorsi. Lui aveva sedici anni, io andavo al college e negli ultimi
tempi ero
tornata a casa troppo spesso ed ero pericolosamente vicina ad ammettere
di
averlo fatto per lui.
“Embry, lo sai che puoi andare
a letto con chi vuoi.”
“E tu lo sai che una frase del
genere farebbe felice qualsiasi uomo?”
Presi la giacca dal sedile
posteriore e aprii lo sportello, non riuscivo più a stare
chiusa lì dentro. Mi
appoggiai al fianco dell’auto e cercai le sigarette nella
tasca dei jeans,
prima che lui me le togliesse di mano e ne accendesse una facendo
riscivolare
il pacchetto al suo posto. Con la mano ancora sul mio sedere si
fermò a guardarmi.
“Tu lo stai facendo?” chiese.
“Cosa?”
“Andare a letto con chi ti
pare. Al campus.”
“Sì, forse. Non ho nessun
vincolo.”
Sorrisi incerta e lui annuì
portandosi la sigaretta alla bocca. Lo guardai, la sigaretta consumata
quasi
fino al filtro fra le dita, nessuno dei due aveva altro da dire.
Gettò via il
mozzicone e sospirò.
“Ti accompagno a casa.”
“Colin.” Lo scossi leggermente
e lui aprì gli occhi. “Mamma e papà ti
uccidono se ti trovano addormentato alla
play.”
Sbattè le palpebre e si passò
una mano sul viso. “Però ho finito il livello, ho
battuto il record di Jake.”
“Certo, sei un campione.”
“E tu dov’eri?”
“A letto, Colin,” dissi con la
voce che usavo sempre quando era piccolo.
“Tanto lo so che ti vedi con
qualcuno, tranquilla non lo dico a mamma e papà.”
Rise e corse su per le scale
prima che io riuscissi a replicare. Sbuffai e imprecai contro me stessa
quando
il cellulare nella tasca vibrò.
Immaginavo già chi fosse.
Quando
dici le bugie ti trema sempre il labbro inferiore, te l’hanno
mai detto? Ci
vediamo fra due settimane.
Mi sedetti sul primo gradino e
digitai veloce una risposta, cercando d’ignorare il
nervosismo che mi aveva
preso lo stomaco.
Non
ho mai detto che torno .
Chissà se anche in qual momento
mi stava tremando il labbro. Un altro messaggio.
E
io non ho mai detto che mi piaci.
Stavo ancora pensando a cosa
accidenti avrei dovuto rispondere che il telefonino vibrò di
nuovo.
O
forse sì… Notte, Aly.
Lessi l’ultimo messaggio e
contro ogni logica, razionalità ,volontà sorrisi
e quella stupida canzone
riprese a suonare nella mia testa.
Volevo aspettare un po’ di più
a pubblicare, visto che l’altra storia si è appena
conclusa ma non sono molto
brava con le attese, così eccomi qua.
Più che una vera e propria long
sarà una raccolta di One –Shot, con momenti anche
distanti fra loro. Non
riuscivo a liberarmi di Embry Call e così ho lasciato vagare
la mia mente fino
a trovare un'altra storia.
Siamo più o meno a metà New Moon
ma con le altre shot dovrei coprire l’arco
dell’intera saga. In fondo mentre
Jake era innamorato di Bella anche gli altri lupi avevano i loro
“drammi”
personali.
Alyssa non esiste nella saga ma
visto che non è specificato se Colin abbia o no una sorella,
ho deciso di
inserirla nella famiglia.
Grazie mille a Sandra per il
bettaggio e la tirata di orecchie per una certa scena rossa.
Alle Embry’ Angels (perché se
continuo a scrivere di lui è merito loro) e
alla mia Tai che mi odierà per un'altra recensione
da lasciare .
Alla prossima Shot.
Con affetto