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Autore: postergirl84    24/06/2013    7 recensioni
Per Alyssa Littlesea andare al college era stata anche l’opportunità per scappare da La Push e da una vita che decisamente le andava stretta ma se un giorno, proprio sulla strada della riserva, facesse un incontro che da lì non riuscisse più a tenerla lontana?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Embry Call, Nuovo personaggio, Quileute
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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A Ellie, perché dice che il “mio” Embry le manca sempre.
Perché i brutti momenti passano, sempre.

Non ho mai detto che mi piaci

 

Seattle. Tre ore e mezza di distanza da La Push, ma quando hai diciannove anni quelle tre ore e mezza diventano una distanza enorme. In quelle tre ore e mezza c’è tutta la distanza dalla tua vita da ragazzina a quella d’adulta. La distanza dalla tua stanza al college alla stanza con i poster alle pareti e i peluche che devi dividere con tuo fratello. Ti trovi così ad inventare scuse su scuse, gli esami da preparare, il lavoro part time e poi le scuse finiscono, tua madre ti minaccia al telefono e non ti resta che tornare.
Più o meno erano questi i miei pensieri mentre canticchiavo una stupida canzone che passava alla radio, l’adoravo e alzai il volume. Ma da quando mi piaceva quella musica?
La strada era illuminata solo dai fari dell’auto, la stessa strada che conoscevo così bene e che mi stava riportando a casa. Costeggiando la foresta mi persi in una marea d’immagini, sensazioni e ricordi. Mia madre mi costringeva ogni domenica a fare le escursioni con lo zio e i miei cugini. Ma io e le mie cugine andavamo d’accordo, andiamo ancora d’accordo, in realtà; con Rachel dividevo la stanza del college, il vero problema era sempre stato mio cugino Jacob e quei suoi due amici idioti che lo seguivano ovunque.
Assecondando una curva della strada entrai nel territorio della riserva. Non pioveva neanche. Poi all’improvviso sgranai gli occhi, il respiro spezzato e il cuore accelerato.
“Porca miseria.”
Sterzai e frenai bruscamente. Che diavolo era? Mi portai una mano sul petto e scossi la testa. C’era qualcosa o forse qualcuno sulla strada.
Quando l’auto si fermò sospirai di sollievo, ero ancora viva. Ma il sollievo durò poco.
I fari illuminarono la strada e quel qualcuno era ancora lì.
Oddio, oddio, non l’ho investito, vero?

Scesi dall’auto e feci qualche passo avanti. Finire in galera per aver investito qualcuno sulla strada per La Push. Ci poteva essere una fine peggiore di quella?
“Ma che cazzo, Alyssa. Ok, che ti sto sulle palle ma non credevo arrivassi a tanto.”
Una voce roca e profonda. Decisamente non la voce di un moribondo. Leggermente rincuorata feci ancora un passo avanti. Aveva pronunciato il mio nome, mi conosceva?
“Io… io… cioè… non ti avevo visto e che...” ancora un altro passo.  “Stai cioè… Embry?” Sgranai gli occhi arrivando di fronte al ragazzo. No, non era possibile. Non poteva essere… “Embry Call?”
“In carne e... ossa non so, forse mi hai rotto qualcosa.”
Sbattei le palpebre. Non poteva essere davvero lui. Quanti anni aveva? sedici? Due in più di mio fratello, non poteva  essere così alto, non poteva essere…. e i capelli erano lunghi e ora… e perché accidenti gli sto facendo la radiografia? Devo solo  accertarmi che sia vivo.
Respirai a fondo un paio di volte ed Embry si massaggiò una spalla. Contro ogni volontà e logica i miei occhi si soffermarono sulle sue braccia. Ma quanta palestra aveva fatto negli ultimi sei mesi o forse aveva iniziato a farsi di steroidi?
“Embry.”  Fai qualcosa, vedi se sta bene, invece di continuare a ripetere il suo nome. “Alyssa.” Lo guardai rimettersi in piedi. “Mi piacerebbe dire è un piacere rivederti, ma mi hai appena investito.”
Deglutii. “Ma ti sei rimesso in piedi, io credo che… non ti ho preso.”
“Come fai a dirlo?”
“Perché sei vivo e non sanguini. Stavo andato a ottoanta all’ora saresti…”
“Ah, quindi ti stai prendendo la colpa. Eccesso di velocità.”
“E tu che accidenti ci facevi in mezzo alla strada?”
“Mai sentito parlare di attraversamento pedonale?”
Mi passai le mani sul viso e mi tirai i capelli cercando di recuperare un po’ di calma.
Calma e razionalità le mie caratteristiche principali. Le alleate di una vita.
Respirai. “Ok, senti: andiamo al pronto soccorso, forse ti serve una tac  o dei raggi o…”
“No.”
“Come no, Embry, non fare il bambino. Andiamo su!”
“Io non salgo in macchina con te, sei un pericolo.”
“Ma tu…” Cosa ci avevano insegnato al corso di primo soccorso? No, la respirazione bocca a bocca non c’entra. Piantala, ha sedici anni.
“Ti stavo prendendo in giro, Alyssa. Hai frenato e io mi sono spostato. Riflessi allenati.”
“Riflessi allenati? Ma vai in giro a farti investire ogni giorno?”
Sorrise e io sbattei le palpebre più forte.
“Torni a casa ogni sei mesi, quindi direi di no, non capita spesso.”
“Tu… tu… sei sicuro di stare bene?”
Sorrise ancora. E io d’improvviso mi chiesi che cosa ci fosse di sbagliato in quel sorriso. Embry Call, il ragazzino che avevo detestato con tutte le mie forze per i primi diciannove … quindici anni della mia vita, visto che era più  piccolo, sorrideva in maniera sexy? Forse ero io ad avere preso un colpo. E anche bello forte.
“Alyssa? Sicura di stare bene? Boccheggi. Dai, sali in auto, ti accompagno.”
Lo seguii con lo sguardo, camminava sicuro e aprì la portiera della macchina facendomi cenno con la testa. Mi stava invitando a salire nella mia auto?
Completamente frastornata dagli avvenimenti degli ultimi cinque minuti lo lasciai fare seguendolo. E non avevo davvero idea che quello sarebbe stato solo l’inizio e se anche l’avessi saputo sarebbe cambiato qualcosa?

 

**** 

 

Premetti il dito sul campanello, sistemando poi indietro i capelli. Dovevo solo passare a salutare zio Billy, decisamente bussare a questa porta non era previsto. Ma poteva essersi fatto male davvero, sapevo che sua madre in casa non c’era quasi mai e… ero solo  preoccupata. Spostai il peso da un piede a l’altro e aspettai ancora finché non vidi la porta aprirsi lentamente. Sgranai gli occhi.
“Ma… ma… ti sembra questo il modo di venire ad aprire?”
“Lo sai che è casa mia e saranno pure affari miei?” Rise e si appoggiò allo stipite della porta spostando via i capelli dagli occhi e aveva solo addosso un paio di boxer neri. Avevo sempre odiato i boxer bianchi e… “Che ci fai qua, Alyssa?”
“Stai bene?”
“Non ci credo che sei davvero preoccupata per… me.”
“Non sono preoc…”
“Ricordo chiaramente quando mi hai urlato: vorrei che scomparissi dalla faccia della terra.
“Bene, sei ancora vivo, niente trauma cranico, mi sembra niente lividi. Ciao, Embry.”
“Vuoi entrare?”
Alzai gli occhi e lo guardai di nuovo. Non ero mai stata un tipo impulsivo. Io ero quella che viveva di razionalità ed azioni ben calcolate, io ero quella che pensava dieci volte prima di aprire bocca, io ero quella che riduceva al minimo i rischi . Sempre, ma non quella volta.
Mi mordicchiai il labbro con i denti e oltrepassai l’uscio di casa mentre lui richiudeva la porta. Ascoltai  quel suono sordo cercando di trovarci una logica,  come ero abituata a fare. Il problema era che in quella situazione non c’era niente di abituale e lui era di nuovo davanti a me. Era alto, molto più alto di me ma la pelle era dello stesse colore. I muscoli della schiena tesi mentre si chinava a raccogliere qualche cuscino caduto dal divano. Scossi la testa, sbattei le palpebre e lui si voltò a guardarmi; senza parlare mi indicò il piccolo divano, mi ci sedetti e lui si mise di fronte a me sul tavolino.
“Cosa?” Chiesi visto che lui continuava a fissarmi in silenzio.
“Quando ti sei fatta quel tatuaggio?” Sorrise appena e con il pollice mi sfiorò il collo fino a incontrare l’orlo della maglietta. “Continua anche sotto?”
Deglutii. “Sì, cioè no. Il mese scorso.”
Annui  continuando ad accarezzarmi il collo. “Ne hai altri?”
“Decisamente nessuno come il tuo. Tiffany ti avrà ucciso.”
Ignorò le mie parole e continuò a sorridere. “Dove sono gli altri?”
Le sue mani si spostarono sui miei fianchi. Dio, riuscivo a sentirle attraverso la stoffa della maglietta.
Mi alzai in piedi d’improvviso e spostai i capelli di lato a coprire il tatuaggio.
“Devo andare,” dissi. La mia voce non era credibile nemmeno a me stessa.
“O potresti restare.” Si era alzato in piedi anche lui.
“Hai sedici anni.”
“E tu diciannove, lo so.” Un passo avanti
“Ti conosco da quando ti mancavano i denti davanti.”
“E tu non avevi le tette.” Un altro passo.
Spostai le mani sul suo petto per allontanarlo e lui mi afferrò i polsi.
“Voglio solo provare a fare una cosa,” disse parlando ad un soffio dal mio viso “Ma puoi sempre andare via se non…” il resto della frase si perse contro la mia bocca.
Le sue labbra erano morbide e si muoveva con dolcezza sulle mie. E il mio cuore accelerò talmente tanto che sarebbe potuto schizzare via dal petto. Come accidenti era possibile? Non mi avevano mai baciato in quel modo e… passai le mani fra i suoi capelli e gli tirai una ciocca. Lui si allontanò appena. Ancora il sorriso sul viso.
“Resti o vai via?” chiese. Odiavo quell’aria di vittoria sul suo viso ed ero ancora in tempo per prendere la porta e andare via. Sapevo che sarebbe successo se fossi  rimasta ma volevo solo baciarlo di nuovo.
“Non sarai mica vergine?” In fondo aveva sedici anni e decisamente non volevo che…
“Ti sembro uno che non sappia cosa fare?”
Le sue mani scivolarono sul mio sedere e mi spinsero di più contro di lui.
No, non sembrava e io continuavo a pensare troppo.
Riprese a baciarmi, ma stavolta la dolcezza era sparita. Il mio respiro si perse nel suo e il mio cervello si spense.
Mi ritrovai ad allacciare le gambe alla sua vita, sorrise ancora e tornò a sedersi sul divano.
Non dovevo pensare, non dovevo pensare da quanti anni lo conoscessi, non dovevo pensare che andava ancora al liceo. Non dovevo…
Iniziò a spogliarmi, lento e si fermò a guardarmi prima di spostare le mani sui gancetti del reggiseno. Non gli avevo mai guardato gli occhi, non così: scuri, da adulto.
Mi morse la spalla e il reggiseno cadde per terrà . Le sue mani si mossero su di me e in un attimo mi ritrovai sdraiata sul divano. Ancora i suoi occhi incollati ai miei, mentre i bottoni dei jeans si aprivano uno dopo l’altro. Non riuscivo a smettere di guardarlo. Mi baciò la pancia, mi aggrappai al bracciolo del divano e ansimai forte. Alla faccia dei sedici anni, dove accidenti aveva imparata a…
Mi morsi le labbra per mettere i tacere i gemiti, da qualche parte del mio cervello doveva esistere ancora un grammo di razionalità e, se era solo un gioco, di certo quella soddisfazione non gliela avrei data. Doveva essere lui quello più inesperto fra i due.
Chiusi le gambe e mi rimisi a sedere cercando di calmare il respiro. Lui mi guardò inarcando un sopracciglio. “N…”
“Stai zitto.”  Con la mano lo spinsi giù fino a farlo sdraiare, gli levai i boxer e aspettai di sentire i suoi gemiti per la stanza. Ancora le sue mani sulla mia pelle, senza alcuno sforzo mi portò sopra di lui e con un'unica spinta lo sentii dentro di me.
Sgranai gli occhi e lui riprese a baciarmi, le sue mani addosso. I movimenti erano lenti e non riuscivo quasi più a respirare o forse non volevo farlo, quando spinse più forte mi aggrappai alle sue spalle e cadì sul suo petto con un’ultima spinta che fece raggiungere l’orgasmo a entrambi quasi nello stesso momento. Non era un ragazzino.
Gli baciai il petto sudato, era bollente e lui mi accarezzò i capelli.
“Chi era quello vergine?” La voce divertita.
Scossi la testa e sorrisi. “Continua a stare zitto, Embry.”
 

***

C’era sempre la stessa canzone. Quella canzone che non capivo perché mi piacesse tanto, quella canzone che passava alla radio quando frenai di colpo con la paura di averlo investito, quella canzone che anche adesso risuonava nell’abitacolo. Ma poi la canzone finì ed Embry sbatte la testa contro il tettuccio, lo sentii imprecare.
Sbuffai e mi mossi appena. “Ahi.”
“Cosa?” chiese lui massaggiandosi la testa.
“Mi si è infilato il freno a mano nella schiena.” Mi misi seduta rialzando il sedile e cercai la mia maglietta.
“Possiamo andare dietro.”
“No.”
“Alyssa.”
“Embry, sono piena di lividi. Guarda.” Abbassai un po’ l’elastico degli slip e sbuffai ancora. “Il cambio. Davvero sexy.”
Lui mi baciò il naso e scoppiò a ridere. “Ok, il sesso in macchina è stata un’idea cretina.”
Lo guardai. Si stava rivestendo e si passò una mano fra i capelli. Scossi la testa. Odiavo quando mi fermavo a pensare a quanto fosse bello e continuavo a non trovarci una logica in quello che stava succedendo.
“Già.”
“Domani torni a Seattle, volevo solo passare del tempo con te.”
 E odiavo anche quando iniziavamo quei discorsi. Lui aveva sedici anni, io andavo al college e negli ultimi tempi ero tornata a casa troppo spesso ed ero pericolosamente vicina ad ammettere di averlo fatto per lui.
“Embry, lo sai che puoi andare a letto con chi vuoi.”
“E tu lo sai che una frase del genere farebbe felice qualsiasi uomo?”
Presi la giacca dal sedile posteriore e aprii lo sportello, non riuscivo più a stare chiusa lì dentro. Mi appoggiai al fianco dell’auto e cercai le sigarette nella tasca dei jeans, prima che lui me le togliesse di mano e ne accendesse una facendo riscivolare il pacchetto al suo posto. Con la mano ancora sul mio sedere si fermò a guardarmi.
“Tu lo stai facendo?” chiese.
“Cosa?”
“Andare a letto con chi ti pare. Al campus.”
“Sì, forse. Non ho nessun vincolo.”
Sorrisi incerta e lui annuì portandosi la sigaretta alla bocca. Lo guardai, la sigaretta consumata quasi fino al filtro fra le dita, nessuno dei due aveva altro da dire. Gettò via il mozzicone e sospirò.
“Ti accompagno a casa.”

 La macchina dei miei genitori non c’era nel cortile di casa, entrai in salotto e mi accorsi di mio fratello addormentato sul divano con il controller in mano. Alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai. Diventava sempre più alto, tanto che i piedi penzolavano dal braccialo: quasi un metro e ottanta  e aveva a malapena tredici anni.
“Colin.” Lo scossi leggermente e lui aprì gli occhi. “Mamma e papà ti uccidono se ti trovano addormentato alla play.”
Sbattè le palpebre e si passò una mano sul viso. “Però ho finito il livello, ho battuto il record di Jake.”
“Certo, sei un campione.”
“E tu dov’eri?”
“A letto, Colin,” dissi con la voce che usavo sempre quando era piccolo.
“Tanto lo so che ti vedi con qualcuno, tranquilla non lo dico a mamma e papà.” Rise e corse su per le scale prima che io riuscissi a replicare. Sbuffai e imprecai contro me stessa quando il cellulare nella tasca vibrò.
Immaginavo già chi fosse.
Quando dici le bugie ti trema sempre il labbro inferiore, te l’hanno mai detto? Ci vediamo fra due settimane.
Mi sedetti sul primo gradino e digitai veloce una risposta, cercando d’ignorare il nervosismo che mi aveva preso lo stomaco.
Non ho mai detto che torno .
Chissà se anche in qual momento mi stava tremando il labbro. Un altro messaggio.
E io non ho mai detto che mi piaci.
Stavo ancora pensando a cosa accidenti avrei dovuto rispondere che il telefonino vibrò di nuovo.
O forse sì… Notte, Aly.

Lessi l’ultimo messaggio e contro ogni logica, razionalità ,volontà sorrisi e quella stupida canzone riprese a suonare nella mia testa.
 

 Angolo autrice.

 
Volevo aspettare un po’ di più a pubblicare, visto che l’altra storia si è appena conclusa ma non sono molto brava con le attese, così eccomi qua.
Più che una vera e propria long sarà una raccolta di One –Shot, con momenti anche distanti fra loro. Non riuscivo a liberarmi di Embry Call e così ho lasciato vagare la mia mente fino a trovare un'altra  storia.
Siamo più o meno a metà New Moon ma con le altre shot dovrei coprire l’arco dell’intera saga. In fondo mentre Jake era innamorato di Bella anche gli altri lupi avevano i loro “drammi” personali.
Alyssa non esiste nella saga ma visto che non è specificato se Colin abbia o no una sorella, ho deciso di inserirla nella  famiglia.
Grazie mille a Sandra per il bettaggio e la tirata di orecchie per una certa scena rossa.
Alle Embry’ Angels (perché se continuo a scrivere di lui è merito loro)  e alla mia Tai che mi odierà per un'altra recensione da lasciare .
Alla prossima Shot.
Con affetto

   
 
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