Yuk yuk (?) guardatemi, son
tornata alla carica con le mie cavolate. Perdonatemi infinitamente per il
ritardo e per questo capitolo (ugh, ma perché niente
di quel che faccio mi va bene ultimamente…) ma sono sommersa da studio, esami,
blocchi di scrittore, artista e varie ed eventuali. Buona lettura ma in verità
anche no (??)
XIII: In cui va
tutto all’Inferno
Suppongo
Che questa sia stata la peggiore
delle cose che tu abbia mai fatto
Vecchio amico mio.
*
In
millenni di vita ed esperienza, Calmoniglio aveva imparato a credere ciecamente
in una cosa soltanto: il suo istinto.
Non che
non si fidasse dei propri compagni, ma aveva sempre preferito dare la priorità
a quella vocina nella sua testa che gli consigliava sempre quella che era
sempre sembrata la soluzione migliore.
Quella
mattina Calmoniglio si era risvegliato con un orribile presentimento.
Sentiva
fin nelle viscere che stava per succedere –o forse era già successo- qualcosa di terribile. Voleva controllare, assicurarsi
che gli altri stessero bene, ma il suo orgoglio e la ragione l’avevano tenuto a
freno. In fondo, quella giornata si era svolta come tutte le altre: noiosa,
piena di impegni –da quando era diventato uno di loro, Jack Frost aveva preso
l’abitudine di fargli qualche improvvisata e aiutarlo con la pittura delle
uova. Per quanto le sue opere finissero sempre inevitabilmente con l’assomigliare
con qualche orribile dipinto di qualche artista post moderno, Calmoniglio aveva
sempre apprezzato le sue visite, la sua compagnia e il suo aiuto-, con nessuna
visita da parte di nessun collega Guardiano e soprattutto non era arrivato
alcun tipo di comunicazione alla Tana che richiedesse la sua presenza, e
l’ultima cosa che il Pooka voleva era fare la figura dell’ansioso o dello
stupido.
Solo
alla fine della giornata aveva finalmente deciso di dare ascolto ai suoi presentimenti,
anche se aveva continuato a trattenersi. Aveva scelto il Guardiano che meno di
tutti si sarebbe accorto della sua preoccupazione, questo in parte a causa del
suo carattere troppo distratto ed entusiasta, e in parte a causa del suo
lavoro, che richiedeva troppa attenzione per notare altro, e quindi gli avrebbe
permesso di controllare che tutto fosse a posto senza fare domande
potenzialmente imbarazzanti: Dentolina.
Il
palazzo della regina delle fate era buio e silenzioso, e sembrava ancora più grande
del solito. Calmoniglio attraversò a passi lenti e felpati una delle grandi
sale, boomerang in una zampa e uova esplosive nell’altra, entrambi pronti ad
essere lanciati contro potenziali aggressori nascosti nell’oscurità, troppo
fitta per convincere l’istinto del Pooka che fosse tutto a posto. Ma
Calmoniglio sapeva che in quel buio non c’era nulla.
I nemici se n’erano andati da un
bel pezzo.
Aveva
capito tutto nell’istante in cui, ancora dentro le sue gallerie, si stava
avvicinando al palazzo, in cui aveva dato una prima annusata all’aria e aveva
percepito l’oscurità accarezzare le sue vibrisse, in cui il suo fine udito
aveva sondato per la prima volta l’avvolgente, anomalo silenzio di quel luogo,
che era sempre stato immerso nella luce del sole e nel musicale brusio di
migliaia di piccole, indaffarate fatine. Lo sapeva, anche quando si era
precipitato a chiamare la Guardiana a gran voce, a cercare lei o almeno una
delle sue aiutanti in giro per il palazzo, solo per scoprire scrigni di dentini
mancanti, alcuni spezzati e dal contenuto sparso per terra, pochissimi ancora a
posto, e i segni di battaglia, al cui
tocco aveva sentito tutti i peli della nuca rizzarsi in modo fastidioso.
Lo
sapeva.
L’hanno presa. Hanno preso tutto.
Questo luogo puzza di oscurità fin nei ripostigli.
Perché
non aveva ascoltato prima il suo istinto?
Oh Dentolina, ti prego, dimmi che
sei ancora viva, dimmi che stai bene ti prego ti prego ti prego. Ma era ovvio che non era così. Gli
Incubi avevano preso lei, le sue fate, i dentini, e nessuno si era accorto di nulla.
Sapeva
di dover correre più veloce di quanto le sue stesse zampe erano in grado di
andare, avvertire i suoi compagni, perché non poteva lasciar correre.
Così
fece.
Digrignò
i denti, aumentò la presa sui boomerang e batté due volte la zampa per terra.
Il suo
istinto gridava ancora al pericolo, e fu solo quando una delle sue gallerie si
aprì al suo comando che comprese il perché: dal tunnel provenivano dei guaiti
lontani, parzialmente distorti dall’eco. E l’odore di terra era mescolato a
qualcos’altro, un odore che il Guardiano della Speranza detestava.
Odore di
Incubi. Odore di pericolo.
Erano
lì, nelle sue gallerie, ed erano in molti, li percepiva chiaramente dispersi a
macchia di leopardo per i tunnel, pronti a ricevere il segnale per attaccare.
Aspettavano lui.
Quando sono arrivati? Avrei
dovuto percepirli. Sono troppi per poter passare inosservati…
Niente
poteva entrare o uscire dalle gallerie senza che Calmoniglio se ne accorgesse.
Ma allora come…?
Ma
quella domanda era destinata a rimanere senza risposta. Calmoniglio si sporse
ad osservare oltre il buio del tunnel, sentendo gli ululati e la sua stessa
adrenalina salire di pari passo. I suoi tunnel, suo unico mezzo di trasporto,
sono stati invasi.
Era in
trappola.
Ma
doveva avvertire i suoi compagni, farlo subito,
si disse, e apparentemente Dentolina non sembrava avere altri metodi di
comunicazione a parte lei stessa e le sue fatine. Realizzò di non avere altra
scelta.
Fece un
piccolo passo indietro, un respiro profondo, e con un movimento fluido saltò
dentro.
Non
importava quanto e quanto forti fossero i nemici. Avrebbe combattuto, li
avrebbe sbaragliati tutti.
I suoi
compagni Guardiani erano in pericolo, e non poteva abbandonarli.
*
Sandy si
poté godere soltanto qualche minuto di viaggio sul suo mini ufo, prima che il
silenzio –interrotto soltanto da qualche bip della consolle dei comandi- dell’abitacolo
venisse interrotto da un tonfo sordo.
Il
Custode dei Sogni sobbalzò e si voltò, solo per ritrovarsi a fissare
un’agitatissima June che, schiacciata contro il vetro giallastro del mezzo,
gesticolava freneticamente.
Accelera. AcceleraacceleraACCELERA!
Guidato
da uno strano sospetto, Sandy lanciò un rapido sguardo oltre lo Spirito sdraiato
a mo’ di mosca spiaccicata sul parabrezza e comprese subito la ragione del suo
panico.
Incubi.
Erano
piuttosto lontani, ma si stavano avvicinando rapidamente, estendendosi sulla
linea dell’orizzonte e formando una fila compatta. Puntavano tutti al piccolo
ufo dorato.
Sandy non
avrebbe saputo dire quanti fossero esattamente, ma sembrava essere un gruppo
abbastanza nutrito da dargli del filo da torcere: forse un centinaio, forse un
po’ di più. Premette un pulsante sulla consolle e aprì il portellone dell’ufo,
e June saltò dentro.
Ti avevo detto di tornare a casa! Fu la prima cosa che le disse.
Sapeva che era inutile rimproverarla, visto che la ragazzina non ascoltava mai
nessuno, spesso nemmeno il suo istinto di autoconservazione. June, comunque,
sembrava troppo agitata per prendere il suo rimprovero sul serio.
Perché non sei scappata?
- Sono
nei guai, vero? Oh si, si lo sono. – esclamò June, con voce acuta
dall’agitazione: – Oh e non mi guardare così, è esattamente quello che stavo
cercando. Guai. Guai grossi, eeeesattamente quello, si. –
A quella
frase Sandy le lanciò un’occhiata stranita. - …Ora. Dimmi che hai dei cannoni al laser o qualcosa del genere su
questo ufo, perché io ho già sprecato metà faretra e dubito seriamente di
averne beccato almeno uno. –
Sandy
non perse tempo ad accertarsi della veridicità delle parole della giovane:
guidata dalla sua volontà, una manciata di sabbia magica si distaccò dal
pavimento del mini ufo e assunse una forma affusolata, trasformandosi un fascio
di frecce che volarono fra le mani di June: - Grazie! – esclamò lei,
affrettandosi ad incoccarne una.
Sandy le
aprì un piccolo varco nel vetro del veicolo e usò la sua sabbia per alterare la
conformazione dello stesso, in modo da creare un’ideale piattaforma di tiro per
il giovane Spirito e permettendole così di scoccare le sue frecce, e poter intanto
continuare a guidare il suo ufo senza fastidiose incursioni di aria gelida
proveniente dall’esterno, e dalla consolle dei comandi sbloccò i cannoni laser
che agganciarono automaticamente i loro bersagli sull’orda che li inseguiva.
Sandy
non aveva davvero tempo per fermarsi e combattere i nemici, doveva arrangiarsi
e continuare a fuggire, e sperare che questi fossero abbastanza stupidi da
continuare ad inseguirlo finché, nella sua corsa, non li avesse abbattuti
tutti. Proiettili ed energie per combattere erano due cose che non gli
mancavano.
Tuttavia,
il Custode dei Sogni non aveva calcolato una possibilità.
Che quello che sembrava una
banale aggressione ad opera di un gruppo di Incubi dalla testa calda, in realtà
non fosse altro che un’imboscata.
Un
pensiero vagamente simile a tale idea attraversò la sua mente in un lampo
quando, senza nemmeno avere un istante per poter comprendere cosa stesse
succedendo, si sentì improvvisamente sbalzato
in aria, ed un boato assordante gli perforò i timpani.
Quello
che avvenne nel paio di istanti che seguì fu un miscuglio incomprensibile di
confusione, luce, dolore e panico.
Sentì June, da qualche parte vicino a lui, strillare terrorizzata, e la sabbia magica,
guidata probabilmente più dell’inconscio che dalla diretta volontà di Sandman
avvolse sia lei che il Guardiano in un rigido guscio protettivo, e il suo senso
dell’equilibrio registrò la fastidiosa sensazione di mancanza di gravità data
dalla caduta libera.
Sandy
sentì l’impatto violento col suolo e un altro grido della ragazzina. La sabbia si
sciolse quasi immediatamente, lasciando i due liberi di muoversi. Sandy balzò
al fianco di June e, vedendola raccolta a riccio su sé stessa, immobile, la
scosse debolmente temendo il peggio.
…Stai bene?!
June
reagì immediatamente, scattando a sedere come attivata da una molla: – Si! – gridò quasi in faccia a Sandy,
pallida, e con un’espressione di puro panico dipinta sul viso. Aveva i capelli
scompigliati e quasi ritti, un buon orlo dell’abito era bruciacchiato e un
piccolo taglietto sulla tempia sinistra dal quale erano prontamente uscite alcune
goccioline di sangue. Sandy intuì di non essere in condizioni molto diverse, a
giudicare dal dolore sordo che aveva cominciato a martoriargli la schiena dopo
la caduta: - Cos’è successo?! – esclamò lei, senza fiato.
Non lo-
Sandy si
bloccò e si voltò. Il suo sguardo non percorse il nutrito gruppo di Incubi che
ora stava scendendo a terra, senza fretta alcuna, i respiri pesanti subito
condensati in nuvolette nella gelida aria novembrina. Non si soffermò sul loro
numero, sul fatto che avanzassero a passo tranquillo e li stessero circondando,
sui loro denti digrignati e gli occhi famelici puntati su June, perché
percepivano chiaramente la paura e la confusione della ragazzina, ancora
sconvolta, dolorante e senza fiato dopo la caduta.
…so.
Lo
sguardo di Sandy era corso sulla sua sabbia magica, che si agitava
violentemente di fronte alle creature nemiche che avanzavano, alle fiamme che bruciavano in alcuni punti
isolati sull’asfalto della strada su cui erano atterrati, alle lamiere di
sabbia -resti del suo ufo- sparse qui e là e al buio troppo fitto, quasi
soffocante, che li circondava. Ed infine era corso in alto sui tetti, alla
ricerca di un bagliore di luce, un segno.
Qualcuno ha abbattuto il suo ufo.
E Sandy,
che aveva una vaga idea di chi fosse l’autore di quel gesto, desiderò che
uscisse allo scoperto.
Senza
ordine alcuno, sabbia dorata accarezzò dolcemente i palmi delle sue mani,
tramutandosi nelle sue fidate e letali fruste.
E con un
fluido movimento delle braccia e un secco crack,
Sandy spedì le propaggini di sabbia contro i primi due incubi che si ritrovò
davanti.
Le
creature non ebbero nemmeno il tempo di reagire al colpo che il colore del loro
manto sbiadì, ed i loro corpi mutarono, perdendo consistenza e dissolvendosi,
lasciando uno spazio vuoto nel cerchio che li circondava.
June,
ancora parzialmente sotto shock dopo la caduta, sussultò nel notare
l’espressione quasi feroce che si dipinse sul volto di Sandman.
C’era
una ragione precisa per cui, chiunque conoscesse anche solo vagamente il
Custode dei Sogni, stava sempre bene attento a non rovinare il suo lavoro, far
male a suoi amici, ai bambini e con tutto questo a non farlo arrabbiare.
Perché
quando Sandy era infuriato, nessuno
poteva dirsi al sicuro.
-
S-Sandy…? – al sentire la voce leggermente tremante di June, Sandy si voltò.
June, giusto. La ragazzina doveva andarsene,
allontanarsi dallo scontro. Ma la cosa
che li aveva abbattuti era ancora là fuori, probabilmente aspettava nelle
tenebre fitte il momento buono per attaccare. June doveva rimanere sotto la sua
protezione fino a cessato allarme. La sua espressione si ammorbidì, e le lanciò
uno scherzoso occhiolino per rassicurarla.
Oh, non ti preoccupare. Dammi il
tempo di prenderli a calci, e goditi lo spettacolo.
June annuì
debolmente, e si strinse l’arco, miracolosamente rimasto intatto dopo la botta
presa contro l’asfalto, al petto.
La
maggior parte degli Incubi si avventò su Sandy in gruppo, circondandolo. Il
Custode dei Sogni sfoderò un piccolo ghigno combattivo, prima di rispondere alla
violenza con la violenza.
June dal
canto suo non era intenzionata a lasciar correre. Dopo un primo spavento preso
a causa di un secondo gruppo di Incubi –notevolmente più piccolo di quello che
aveva attaccato Sandy- che aveva cercato di aggredire anche lei, e l’aver così
scoperto che la sabbia che pochi istanti prima le aveva impedito di morire schiantandosi
al suolo ora la stava proteggendo dalle feroci zampate degli esseri come una
specie di scudo, decise di andare a dar manforte.
Si alzò
in aria leggera come una foglia, e caricò il suo arco.
Sandy si
ritrovò ad aver problemi tenere a bada le creature. Erano relativamente deboli,
ma il loro numero compensava la loro forza, e lo velocità con cui si muovevano
e colpivano era notevole. Erano troppo rapidi.
Aveva
evocato la sua sabbia fin da subito, trasformandola in pesci, falchi ed altri
animali sia acquatici che aerei capaci di grandi velocità, un autentico
esercito in miniatura di creature del Sogno con le stesse capacità degli Incubi
freccia. Sandy spedì i nuovi rinforzi contro il nutrito gruppo che si accaniva
da ogni parte, ottenendo l’effetto di disperderli.
Ma non
durò a lungo.
Dopo il
primo momento di panico, nel quale gli Incubi si erano separati come un branco
di pesci di fronte ad un predatore, il gruppo nero e grigio si era riformato e,
nonostante l’impietoso assalto dei piccoli Sogni, aveva ripreso l’aggressione
con ferocia duplicata.
Ci
sapevano fare, concesse Sandy.
Meglio andarci pesante subito,
altrimenti qua si fa mattina. E
non gli piaceva perdere tempo.
In quel
uno degli Incubi prese coraggio e approfittò della distrazione del Custode dei
Sogni.
Sandy
ebbe appena il tempo di voltarsi.
Non
riuscì nemmeno ad alzare le sue fruste per proteggersi che l’essere gli esplose
davanti, spargendo scintillante sabbia nera ovunque.
Sandy
strabuzzò gli occhi, poi alzò lo sguardo.
- Hah. Non crederai
davvero di potermi lasciare lì a fare da tappezzeria, vero? – ghignò June
abbassando l’arco ed estraendo un’altra freccia. Sandy alzò gli occhi al cielo
e scosse la testa, poi sorrise.
Tu non ascolti mai quello che i
grandi ti dicono di fare, vero?
June
fece finta di pensarci su: - Hmm.. no, non credo. Non
puoi dare ordini agli spiriti liberi come la sottoscritta! – ghignò.
‘Alle teste di legno come la
sottoscritta’ volevi dire.
June,
che aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per scoccare altre due
frecce, non vide la battuta di Sandy: - Eh? –
Lascia perdere.
Gli
Incubi ripartirono alla carica. Anche Sandy aveva approfittato dei pochi
secondi di pausa per evocare altre creature dei Sogni, che avevano prontamente
formato un’efficace linea di difesa.
Il
pensiero di Sandy tornò per un istante alla cosa che aveva abbattuto il suo
ufo.
E se…
Non ebbe
il tempo di pensarci, che sentì June gridare. Di nuovo.
E, prima
ancora di voltarsi, sentì un dolore lancinante penetrargli la spalla destra. Un
dolore che si insinuò in profondità nella carne. Colse con la coda dell’occhio
il riflesso di una fredda lama nera, e percepì il fruscio di un pesante
mantello blu notte bordato d’oro, il lampo di due file di denti scoperti in un
sorriso decisamente sadico.
Gli
bastò una sola occhiata dietro di sé, per comprendere che era nei guai.
E che,
forse, non ne sarebbe uscito vivo.
*
‘Signori, questo non è un
allarme. Non è nulla di terribile, nessuna minaccia così imminente da aver
bisogno di un pronto intervento. Diciamo piuttosto che è una chiamata a
raccolta. Ho bisogno del vostro consiglio e sostegno, amici Guardiani. Dobbiamo
organizzarci, non lo stiamo facendo bene come dovremmo. Abbiamo nuove alleanze,
ora, dobbiamo saperle sfruttare, pensare ad un piano migliore… ‘
Questo era
quel che North avrebbe voluto dire per accogliere i suoi colleghi di lavoro a
palazzo. Avrebbe voluto sorbirsi i borbottii e le lamentele dei suoi cari
amici, rassicurarli con fare bonario, mostrarsi comprensivo e leggermente
pentito di fronte al fatto che in realtà quel che faceva, richiamandoli con
l’Aurora Boreale, non era altro che disturbare e ritardare il loro fin troppo
impegnativo lavoro e irritare i già fragili nervi di tutti.
Avrebbe
preferito tutto ciò, ma quello non era il caso.
Stavolta
l’Aurora Boreale significava allarme
nel vero senso della parola.
Gli Incubi avevano attaccato il
suo palazzo.
Un autentico
esercito nero e grigio era emerso dalle ombre improvvisamente dense e
serpeggianti, vive, del Laboratorio del
palazzo, ed era atterrato su ogni superficie libera riuscisse a raggiungere con
le sue miriadi di zampe multiformi ed artigliate, silenzioso, ordinato e in
attesa di ordini come un esercito di freddi automi.
Erano
atterrati con eleganza tra lo sgomento e le urla degli yeti e lo scampanellio
terrorizzato degli elfi in fuga, passeggiando tra i tavoli ingombri di colori,
attrezzi e giocattoli in costruzione. Pochi, non trovando dove posarsi, erano
rimasti in aria, galleggiando pigramente assieme ai piccoli Incubi freccia che
saettavano nervosamente da una parte all’altra della del Laboratorio, incapaci
di rimanere fermi. Alcuni, meglio distinguibili dal resto del chimerico,
multiforme esercito a causa delle loro sembianze vagamente rettili e delle
curiose mandibole che sembravano fatte di lucido metallo nero, avevano avuto
l’audacia di salire sul grande globo al centro del Laboratorio, calpestando le lucine
con le grandi, lucide zampe artigliate, le fauci nervose che emettevano suoni
ticchettanti simili a ingranaggi di un orologio.
North
era rimasto senza parole.
Aveva
posto delle speciali barriere anti-Incubo attorno al palazzo e molte altre in
camere e zone particolarmente sensibili della sua dimora, tra cui il
Laboratorio stesso.
Era
impossibile per quelle creature penetrare quelle protezioni magiche, si era
detto. Era impossibile, perché aveva studiato quei speciali scudi per secoli,
li aveva perfezionati, li aveva testati, e sapeva
che funzionavano quando venivano posti a protezione di qualcosa. Erano impenetrabili.
Ma Pitch
gli aveva assicurato che quegli
Incubi erano molto diversi da quelli che conosceva.
Peccato che
North non aveva avuto il tempo di chiedergli delucidazioni.
La
battaglia nel Laboratorio e scoppiata come un’esplosione.
Letteralmente.
Come ubbidendo
ad un ordine silenzioso, gli Incubi dalle mandibole ticchettanti avevano
spalancato le fauci in contemporanea, puntandole in direzioni diverse, sputando
una serie di piccole sfere di fuoco ceruleo, che al contatto con le superfici
erano esplose con violenza, spargendo detriti, schegge di legno e pezzi di
giocattoli ed attrezzi che si erano disintegrati nell’esplosione e coinvolgendo
qualche sfortunato yeti nella detonazione.
I
sottoposti di North reagirono con rapidità non minore.
North
sfoderò entrambe le spade e fermò il primo yeti che gli capitò a tiro: -
Mettete in salvo elfi e attrezzature. Usate le palle di neve. – ordinò a voce
alta per sovrastare il caos e le urla dei mostri partiti alla carica, cupo in
volto: - Dobbiamo spostare il combattimento all’esterno, o qua ci distruggono
tutto. Diffondi gli ordini. –
Lo yeti
gridò qualcosa in assenso nella sua lingua, e si affrettò a correre all’armeria
del palazzo, spargendo la voce a tutti coloro che incrociava strada facendo. Pitch,
che si trovava a pochi passi dietro North, si fece da parte, allontanandosi
dallo yeti che gli rivolse una mera occhiata astiosa, troppo preoccupato per
dedicargli più di un briciolo della sua attenzione. L’Uomo Nero si mordicchiò
il labbro inferiore e il suo sguardo percorse rapidamente il soffitto, i vari
piani di cui era composto il Laboratorio, il globo su cui gli Incubi sputafuoco
si erano tranquillamente seduti, osservando il caos scatenato come degli
spettatori annoiati, la nuvola di mostri che si era improvvisamente alzata in
aria ed era partita all’attacco e l’altrettanto rapido ed organizzato contrattacco
mosso dagli yeti che oltre a frecce, balestre, lance, daghe, spade tirate
improvvisamente fuori da chissà dove e qualche catapulta di dimensioni ridotte
di ignota origine stavano facendo un ampio uso di incantesimi sia di attacco
che di protezione, rispondendo al fuoco con tutto il loro impegno e coprendo i
compagni intenti a mettere in salvo elfi e attrezzature oppure far scomparire alcuni
Incubi attraverso i luminosi portali creati dalle sfere di neve.
Evocò la
sua falce, pronto più a difendersi che ad attaccare, la mente momentaneamente
occupata da un solo pensiero: data la situazione, era decisamente il caso di
svignarsela, con buona pace degli accordi stretti solo poche ore prima con il
padrone di casa.
*
Nonostante
il caos più totale, gli Incubi sapevano esattamente a chi dare la priorità.
Molti
infatti avevano individuato e attaccato North senza troppi preamboli,
coinvolgendo anche Pitch nella battaglia.
E l’Uomo
Nero si ritrovò così a dover parare fendenti di artigli provenienti da
dovunque, e schivare fauci zannute che nel giro di pochi secondi avevano
provato ad assaggiarlo almeno tre volte. Quando si ritrovò a sbattere con la
schiena contro una superficie dura per un istante temette di essere già stato
messo al muro.
- Hoi, Pitch! Sono felice che tu abbia deciso di tenere fede all’accordo!
– esclamò il muro con accento russo. Pitch impiegò un solo istante per guardare
dietro di sé –il che gli costò una zampata da parte dell’Incubo aggressore, due
conseguenti tagli sull’avambraccio e un imprecazione a denti stretti- e
scoprire che quello che credeva essere un muro era in realtà soltanto la
schiena di North.
- Non vedevo l’ora. – ringhiò, riuscendo
finalmente ad abbattere l’avversario con un pesante fendente dall’alto che l’Incubo
non vide arrivare. Ne vide un altro raggiungerli: non sembrava puntare verso di
lui, ma volava rasente al suolo, rappresentando così un bersaglio perfetto per la
sua arma.
Facendo
perno con il polso della destra ruotò nuovamente la falce, facendola passare
dietro di sé e guadagnandosi un grido spaventato di North, e lasciò che le sua
arma mutasse, assumendo una forma più sottile e allungata, con una lama più
affilata che tagliò l’essere a metà, i cui pezzi precipitarono diversi metri
dietro di lui per poi ritrasformarsi in scintillante sabbia nera sul pavimento
danneggiato dai colpi e dal fuoco.
- …Volevi
tagliare anche me?! – esclamò la voce di North dietro di lui. Pitch si voltò,
un sopracciglio alzato: - Si. – disse secco, senza scomporsi. – Non mi stare
tra i piedi. –
- Non ci contare troppo. – ghignò l’altro, per
poi alzare una delle sciabole e compiere con essa un perfetto semicerchio in
aria e lasciare che la lama si abbattesse sul fianco dell’avversario che aveva
tentato di colpirlo alle spalle. – Shurik! – gridò poi
a uno yeti poco distante, non meno impegnato dei suoi compagni e del suo capo
nella difesa del palazzo:
- …Quanto ci vuole a mettere tutti al sicuro?!
–
Lo yeti
rispose a gesti, ma il messaggio fu chiaro lo stesso.
Avevano
dei problemi.
*
Quando
Calmoniglio tirò fuori il muso dalle sue gallerie per poter finalmente annusare
la gelida aria aperta del Polo Nord, era già malconcio. Come aveva intuito, gli
Incubi lo stavano aspettando giù per le gallerie, e lui si era ritrovato
costretto a sigillarne molte, aprirne altre e compiere un giro lunghissimo per
evitare l’ululante orda nera che lo inseguiva. E si era ritrovato a combattere
in spazi ristretti, troppo per i suoi gusti, al punto che in molti punti aveva
temuto di rimanere ucciso, o catturato, o che la galleria crollasse addosso a
lui e ai suoi nemici a causa delle vibrazioni della battaglia. Ma le gallerie,
forti della magia di Calmoniglio, avevano resistito, e il Pooka, grazie alle
sue doti combattive, il fatto che i suoi nemici raggiungevano al massimo la
taglia media e parecchia fortuna, era sempre riuscito a sfuggire.
E quando
era finalmente riuscito a sfuggire a quell’inferno sotterraneo, il passaggio si
era chiuso dietro di lui senza lasciar uscire nessuno, e le sue zampe avevano
finalmente percepito il morbido, pungente gelo della neve, Calmoniglio aveva
sperato che i suoi guai fossero finiti lì.
Non era
così.
L’illusione
di essere finalmente al sicuro era durata appena qualche secondo.
Poi al
suo fine udito erano giunti gli echi della vicina battaglia, e il suo pelo si
era rizzato al percepire lo spostamento d’aria causato dagli enormi mostri neri
che volavano alti e rapidi sopra di lui, diretti nella sua stessa identica
direzione.
Calmoniglio
alzò lo sguardo.
Il cielo
azzurro era solcato dalle spettrali onde cangianti dell’Aurora Boreale e
punteggiato da centinaia, migliaia di grossi Incubi che volavano in cerchio
intorno al palazzo, sempre più bassi, simili a condor che circondavano una
carcassa abbandonata.
- Oh, ma
voi state scherzando! – ringhiò
ancora senza fiato, estraendo di nuovo i suoi boomerang e preparandosi ad
andare a dare manforte.
*
Appena fuori
dal palazzo, il già stanco Pooka aveva avuto la fortuna di trovare un valido
compagno di rissa: Jack Frost. Pur non mostrandolo apertamente, Calmoniglio non
si era mai sentito più felice di vedere lo Spirito del Gelo.
- Quanto
tempo, Coda di cotone! Mi sei mancato! – rise Jack, continuando a parare la
schiena del compagno a suon di raggi congelanti. Dovevano entrare nel palazzo e
raggiungere gli altri, ma gli Incubi li avevano inchiodati sul posto, e li stavano
costringendo a rimanere sulla difesa.
- Beh,
tu nemmeno un po’, peste. – gridò Calmoniglio in risposta. Frost rise - Oh, certo. Lo sai che le bugie hanno le
gambe corte, Puffoniglio?
E comunque... – Calmoniglio percepì le gelide dita del suo compare intrecciarsi
sul pelo della sua schiena e tirare con forza il porta-boomerang di pelle, il
tutto seguito da un violento strattone e un sottile e gelido braccio che gli
cinse la vita, sollevandolo da terra.
- …Vedi
quei grossi bestioni laggiù che corrono a darci il benvenuto? Ci useranno come
stuzzicadenti se restiamo qua a perdere tempo. -
Calmoniglio
si trattenne all’ultimo secondo dall’emettere un grido molto poco virile e
afferrò con forza il polso del braccio che lo teneva stretto, lasciandolo a
penzolare a un paio di metri da terra. Jack ghignò, e si lanciò a rotta di
collo in volo all’interno del palazzo.
La cavalleria sta arrivando, ragazzi!
*
Il caos
presente all’esterno del palazzo sembrava raddoppiare all’interno agli occhi di
Jack e Calmoniglio. Ovunque si andasse, non sembrava mai esserci abbastanza
spazio anche solo per riuscire ad abbattere gli Incubi che li inseguivano
spuntando da ogni dove, e i due si ritrovarono a cercare di scansare e sfuggire
alla meno peggio i nemici che li tallonavano.
Incrociarono
North per puro caso in una delle sale secondarie al Laboratorio: gli Incubi
sputafuoco, dopo aver passato un gran quantità di tempo ad osservare lo
spettacolo che si svolgeva sotto i loro occhi, erano finalmente entrati in
azione appiccando il fuoco al Globo e scatenando numerosi incendi ed esplosioni
nel Laboratorio, facendo crollare un paio di piani dello stesso, per poi
alzarsi in volo e dividersi, diretti verso gli edifici secondari del palazzo.
Gli yeti avevano cercato di limitare i danni con scudi ed incantesimi di
assorbimento delle fiamme, ma erano stati respinti dai nemici in altre zone, ed
infine messi alle strette.
Era ora
di ritirarsi.
Dovevano
fuggire tutti, perché quel luogo si era trasformato in una trappola, con fiamme
cerulee e fumo nero che si alzava da ogni dove, rendendo l’aria calda e
irrespirabile ed indebolendo parecchie travi.
Fu
allora che Jack si accorse che qualcosa non andava.
- Dove
sono Dentolina e Sandy? – gridò all’improvviso a North, il primo a portata d’orecchio.
Ma la sua voce, sommersa dal frastuono e dalle grida, non raggiunse l’uomo.
- NORTH! – gridò il giovane, ottenendo
stavolta l’effetto desiderato.
- …COSA?
–
- DOVE
SONO DENTOLINA E SANDY?! – North si bloccò, colpito dalla domanda. Jack lo
guardò con fare interrogativo.
Dentolina e Sandy.
Ora che
l’omone ci pensava, finora non aveva colto il rassicurante scintillio dorato
della sabbia di Sandman e delle sue creature oniriche, né le grida di battaglia
e il bagliore rosato dei colpi magici scagliati dalla fata dei dentini. Né gli
yeti avevano accennato ad alcuna forma di rinforzo da parte degli altri Guardiani,
prima dell’arrivo di Jack e Calmoniglio.
E gli
era sembrato che ci fosse qualcosa di strano. Che mancasse qualcosa.
Che mancasse qualcuno
all’appello.
North
abbassò uno sguardo sconvolto su Jack, forzando la bocca a muoversi. Come aveva
fatto a non accorgersene?
- Non li
ho visti… - disse. Jack notò lo sgomento dell’uomo e, preoccupato dalla
risposta, volò a porre la stessa domanda a Calmoniglio e gli yeti.
Poi,
approfittando del momento di pausa dato dagli sforzi congiunti di Calmoniglio,
di Jack e degli yeti, impegnati a mantenere un momentaneo scudo con la parvenza
della capacità di tenere lontani gli aggressori mentre North era rimasto
impegnato ad abbattere chi era rimasto intrappolato all’interno e stava ancora
tentando di attaccarli, l’omone venne colpito da un altro pensiero, e si guardò
rapidamente attorno, corrugando la fronte:
…e dove accidenti è finito Pitch?
*
Filerà tutto liscio. Certo. È un
piano perfetto. Certo. Niente può andare storto. Oh, c’è da scommetterci.
Pitch
digrignò i denti, furioso, maledicendo per l’ennesima volta l’Uomo sulla Luna,
i Guardiani e tutto ciò che rappresentavano.
Aveva
tentato di fuggire.
Gli era
sembrato un obiettivo tutt’altro che difficile da raggiungere, la libertà,
considerando il fatto che sia il suo aguzzino, North, che i suoi scagnozzi yeti
erano tutti occupati da faccende ben più pressanti quali il salvataggio del
palazzo e delle proprie pellicce, impegnati nel sempre più disperato tentativo
di respingere un nemico che non accennava a cedere di un passo. Non era stato
affatto difficile tramutarsi in ombra e sgusciare via attraverso una delle
crepe createsi nei muri dei corridoi, approfittando del momento di confusione
causato dal parziale crollo del Laboratorio, quando gli Incubi, ampiamente
soddisfatti del danno fatto, erano nuovamente partiti alla carica alla ricerca
di qualcos’altro da demolire, travolgendo tutto quello che incontravano nella loro
corsa, avversari in fuga compresi.
Pitch
era scivolato nelle fitte ombre presenti tra le sottili fessure delle crepe
senza che nessuno se ne fosse accorto, per poi emergere e ritornare in forma
solida in uno degli stretti corridoi laterali, non troppo lontano da dove si
trovavano North e gli altri.
Quel
corridoio era deserto, e presentava una quantità preoccupante di crepe.
Probabilmente una palla di fuoco o due sparate dagli Incubi sputafuoco
avrebbero causato abbastanza vibrazioni da far crollare quella parte di
palazzo, pensò l’uomo. Ma non se ne curò più di molto, aveva altro di cui
preoccuparsi: stava per andarsene da quel girone infernale.
O almeno
così aveva sperato.
Sebbene
quello dell’Oscurità fosse un territorio al momento popolato di nemici, aveva
deciso di correre il rischio e tentare di smaterializzarsi dal palazzo attraverso
il suo elemento.
Non ci era riuscito.
Appena
scivolato nel limbo nero che era il regno delle Ombre e che gli permetteva di
raggiungere ogni luogo in cui vi fosse oscurità, aveva trovato qualcosa che
aveva ostacolato il suo cammino.
Una
barriera. Un muro.
La
scoperta gli aveva causato un brivido freddo lungo la schiena.
Che cos’è? Si era chiesto l’Uomo Nero, tirando
un pugno rabbioso alla barriera misteriosa, sentendo un’indesiderata scintilla
di paura accenderglisi dentro.
Chi
aveva bloccato le sue ombre? E come aveva fatto?
Non ebbe
il tempo di provare a sbloccare il passaggio con qualche contro incantesimo o
la sua falce che il filo dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da
lontane grida strozzate, probabilmente appartenenti ad Incubi che si stavano
spostando da un punto all’altro del mondo. Barriera o non barriera, Incubi o
non Incubi, non era una saggia idea rimanere lì, perciò Pitch decise di girare
sui tacchi e riemergere.
Almeno
ora non era più tra le grinfie di North, pensò quando alle sue orecchie giunse
nuovamente il frastuono dei combattimenti che ancora infuriavano, reso ovattato
dallo strano silenzio che aleggiava nel corridoio deserto, e alle sue narici
arrivò l’acre odore di fumo e legno bruciato, mescolato al vaghissimo sentore
di spezie e sangue, e i suoi occhi registrarono nuovamente la fastidiosa luce
serale che filtrava ancora dalle finestre del palazzo, rimbalzando tra le
pareti e illuminando il corridoio. E sebbene fosse ancora bloccato nella dimora
di North, adesso poteva cercare di risparmiarsi ulteriori combattimenti e
ferite evitando i nemici…
Poi
Pitch si bloccò, corrugando la fronte. Gli era tornata in mente un cosa che
North stesso gli aveva detto, nemmeno molto tempo fa:
Lo scudo anti-Incubi. Black storse il naso in
espressione disgustata, ricordando le parole dell’uomo, una per una.
‘Non è possibile! Quello scudo
l’ho creato apposta! I tuoi Incubi non lo possono attraversare!’ ecco cos’aveva detto. Pitch si
sentì bruciare dentro dalla rabbia.
…Quel babbeo si era stupito del
perché gli Incubi sono riusciti ad entrare nonostante la sua barriera… ecco chi ha bloccato l’uscita da qui! North, questa me la paghi con
gli interessi!
Doveva
tornare dal Guardiano della Meraviglia e costringerlo a spezzare l’incantesimo,
e poi spaccargli il cranio come ringraziamento.
Tuttavia,
si ritrovò costretto a mettere tutti i suoi pensieri di gratitudine da parte
quando sentì un tonfo sospetto fuori da corridoio, seguito da una strana serie
di gorgoglii rochi di quattro Incubi piuttosto grossi che fecero capolino nel
corridoio, prima di decidersi ad entrare. Apparentemente il destino ha deciso recidere
definitivamente il già sottile filo della sua pazienza, si disse Pitch. Digrignò
i denti ed evocò la sua sabbia nera, pronto a ritramutarsi in ombra e tornare
da dove era venuto.
O, pensò
evocando anche la falce, se le cose si fossero messe proprio male, a massacrare
chiunque avrebbe osato intralciare il suo cammino.
Poi,
qualcosa di piccolo e freddo gli pungolò la schiena, costringendolo a voltarsi
di scatto.
Qualunque
espressione Pitch Black stesse indossando in quel momento, venne lavata via,
sostituita da un espressione leggermente basita. Davanti a lui, una Crysis
dall’espressione vagamente sorpresa gli stava puntando contro la sua spada di
cristallo nero.
- Sei vivo… - mormorò a mezza voce.
Pitch a
malapena vide il labiale delle parole pronunciate dalla donna, così come a
malapena vide il fluido movimento della stoccata che lo seguì.
Diritto
al cuore.
*
La
sabbia nera, guidata più dall’istino di autoconservazione che dalla coscienza
vera e propria, reagì prima di tutti gli altri sensi di Pitch. Rapida come un
lampo si portò al suo petto, interponendosi tra la lama e la pelle scoperta
dello sterno, come uno scudo. Pitch non riuscì a comprendere cosa stesse
succedendo quando sentì il colpo affondare, la sua mente non aveva il tempo di
processare le informazioni che riceveva. Quando, a causa del colpo incassato
finì a terra come una bambola di pezza, si aspettò soltanto di percepire un
dolore lancinante, e le forze che rapidamente venivano meno.
E
infatti sentì dolore. Ma era il dolore dei polmoni schiacciati dalla pressione
del colpo e della schiena che batteva violentemente contro il pavimento di
legno scheggiato, non della lama che affondava nella cassa toracica.
La falce
gli sfuggì di mano, atterrò poco lontano. Pitch rimase a terra, senza fiato e
senza riuscire a capire, ma il suo cervello riprese a lavorare a scatti quando
sentì il piede dell’avversaria schiacciargli la cassa toracica, e i suoi occhi
colsero lo scintillio della lama nera puntata alla sua gola.
La sua
mente si permise di rimanere vuota per un altro istante soltanto, il necessario
a rendersi conto si essere stato mandato a terra da Crysis. Rendersi conto del
fatto che in quello stesso attimo la donna stava nuovamente alzando la spada,
stavolta per staccagli la testa dal resto del corpo.
Poi, la
rabbia esplose incontrollabile.
- …Io ti
ammazzo! – ringhiò, evocando fulmineo
una lunga lama nera che usò per deviare quella che stava per abbattersi sulla
sua gola. In un lampo, altra sabbia nera comparse in un flusso magico attorno a
lui, buttandosi sull’avversaria, ma Pitch non ebbe il tempo di ordinarle di
avvolgere e bloccare Crysis che quest’ultima di dissolse, lasciando solo un
leggero fumo ad aleggiare nell’aria.
Pitch
saltò in piedi, ed evocò altra sabbia a coprirlo, fluttuandogli intorno in
continue volute multiformi, simile ad un’armatura mobile. Si guardò rapidamente
intorno alla ricerca dell’avversaria, richiamando la falce. Fece appena in tempo
a ricomporre l’arma che percepì un leggero movimento dietro di sé e, voltandosi
di scatto, parò il fendente che quasi si abbatté sulla sua testa.
-
Ammetto che ti credevo più forte, re…
- sibilò Crysis; - Il fatto che tu sia vivo e sia qui significa che ti sei
alleato con i tuoi nemici giurati, o sbaglio?… credevo che avessi ancora un po’
di onore. – ruotò la spada, in modo che la punta ricurva dell’arma si
incastrasse sull’asta della falce e tirò, ma Pitch, che aveva riconosciuto la
sua stessa mossa, lasciò dissolvere la parte incastrata in modo da non perdere
la presa.
La mossa
non prese minimamente Crysis di sorpresa. Approfittando della forza cinetica
accumulata dalla pesante spada di cristallo, Crysis tentò un’altra stoccata, ma
questa venne nuovamente evitata.
Pitch
saltò spasmodicamente all’indietro, evitando i continui e sempre più rapidi
fendenti. Sapeva che era stupido combatterla, soprattutto ora che era
circondata dai suoi Incubi. E doveva
ucciderla, ma il problema era riuscirci senza venire a sua volta ucciso nel
tentativo.
Doveva
lavorare di testa. Approfittò del buio per cercare di guadagnare un po’ di
terreno sull’avversaria, allontanarsi ulteriormente da lei.
Ma
dissolversi in ombra e tentare la semplice fuga non sarebbe servito, perché
anche Crysis aveva l’abilità di smaterializzarsi, e non era ostacolata né da
luce, né da ombra, né da scudi magici.
E aveva Incubi che si sarebbero prontamente gettati all’inseguimento di Pitch,
se avesse provato a scappare.
Era
meglio tentare di confonderla, decise, continuando ad indietreggiare, senza
tentare un contrattacco vero e proprio.
A
corridoio finito, con la coda nell’occhio colse l’ambiente che lo circondava.
Alla fine era tornato nel Laboratorio, solo per trovarlo ridotto ad un campo di
battaglia più devastato di come lo aveva lasciato. L’enorme ringhiera che
circondava quel piano era stata buttata giù, e buona parte del piano stesso era
crollata, causando danni ai piani sottostanti. Giocattoli, detriti e qualche
daga spezzata giacevano a terra, il fuoco bruciava un po’ dappertutto, allargandosi,
rendendo l’aria calda e irrespirabile, e le grida degli Incubi –ormai lontani
da quel luogo, dispersi in altre zone del grande palazzo- echeggiavano ovunque
in una cacofonia assordante, dandogli la soffocante sensazione di essere
circondato, cosa non molto lontana dalla realtà.
Crysis
avanzò di nuovo. Si smaterializzò, riapparendo al suo fianco e tirò un altro
fendente dal basso con il piatto della spada.
Pitch,
preso in contropiede, poté fare ben poco a parte incassare il colpo, piegandosi
in due dal dolore. Ma era ancora all’erta, e riuscì ad evitare il secondo fendente
che andò a segno esattamente dove meno di una frazione di secondo prima c’era
la sua testa.
Inciampò
quasi nei suoi stessi piedi nel tentativo di allontanarsi dalla donna, una mano
stretta sull’addome dolorante, imprecando a denti stretti. Almeno aveva avuto
la prontezza di riflessi per schivare.
Sarebbe
stato difficile pensare ad un efficace piano di fuga con il cranio fracassato, altrimenti.
Osò
guardarsi rapidamente intorno e, nel notare il cerchio di nulla che accoglieva
la struttura di ferro e legno che componeva la base del Globo, ormai crollato e
ridotto ad una carcassa semidemolita, gli venne in mente un’idea che a mente
più lucida avrebbe escluso a priori.
Ma la
sua mente non era affatto lucida in quel momento, e non aveva né forza per
combattere come avrebbe voluto, né Incubi a sostenerlo nella sua battaglia, e
nemmeno altre possibilità.
Perciò,
in quel momento il pensiero gli parve quasi logico.
È ora di tornare all’elemento, ora
di fare scempiaggini come ai bei vecchi tempi. Disse una vocina sarcastica
nella sua testa.
…Cioè come sempre.
Pitch
digrignò i denti, evitando l’ennesimo fendente, continuando ad indietreggiare
ad ampi passi. Il suo piccolo piano doveva
funzionare.
Quando,
poco prima, si era immerso nelle Ombre, non aveva controllato le limitazioni
imposte dal muro creato da North. Non sapeva se quello scudo gli impediva
semplicemente di uscire dal palazzo, permettendogli però di trasportarsi da un
parte all’altra dello stesso, oppure gli precludeva persino quest’ultima possibilità.
E, mentre
contava mentalmente i metri rimanenti al baratro oltre la ringhiera crollata,
schivando alla meno peggio e parando i restanti fendenti, si ritrovò segretamente
a pregare nella prima delle due.
Crysis
sorrideva in maniera quasi maniacale, notò. Aveva anche una gran quantità di
graffi sul volto e, per quanto gli dispiacesse, non era stato Pitch a
procurarglieli. C’era anche qualche taglio e strappo sul pesante mantello e
sull’abito blu notte, di cui uno sottile ma evidenziato da un’ampia macchia di
sangue scuro. Chissà chi aveva avuto il piacere di ferirla, si chiese
vagamente.
Sembrava
quasi che si stesse divertendo. Che tutto quello fosse una sorta di gioco. Non l’aveva mai notata, quella
strana luce nei suoi occhi.
Persino
gli Incubi che avevano bloccato la sua strada si erano fatti indietro, come a
lasciare tutto il divertimento alla loro regina. E li circondavano e li
seguivano come ad osservare lo spettacolo, silenziosi.
Un altro
passo, e Pitch sentì un freddo vento proveniente dal basso accarezzargli la
schiena sudata e solleticargli il tallone teso, come se stesse sfiorando una sorta
di limite.
Crysis sorrise,
fermandosi. Quel riflesso sanguinario fece nuovamente capolino sulle sue iridi
nere.
Anche
Pitch sorrise, e fece forza sul piede teso.
La
corrente ghiacciata che lo accolse nella caduta libera gli sferzò la spina
dorsale in maniera quasi dolorosa, ma a Pitch dette una gioia immensa.
Era
quasi fatta. Doveva solo sciogliersi nelle ombre, ed era finita…
Concentrato
com’era nel suo piano di fuga, l’Uomo Nero non notò Crysis dissolversi
nuovamente in nebbia, né badò agli Incubi che si erano buttati in caduta libera
al suo inseguimento. Questo finché la mano pallida della donna non gli afferrò
il polso sinistro fasciato di tessuto nero, strattonandolo con violenza, e un
dolore orribile gli penetrò nella spalla sinistra, in fondo, troppo in fondo, tra il muscolo trapezio
e l’ascella, accompagnato da un sinistro crack
in corrispondenza della clavicola.
Pitch
urlò, e Crysis diede un altro strattone al polso intrappolato, piantando la
larga lama della pesante spada ancora più in profondità.
Ma
apparentemente non riuscì a fare altro, perché il sottile posto tra le sue dita
perse rapidamente consistenza, tramutandosi in ombra, così come fece il suo
proprietario. L’ultima cosa che le rimase impressa prima di vedere l’oscurità quasi
totale della base del Globo fu l’espressione di Pitch, contratta dalla
sofferenza.
E le
piaceva.
*
Pitch
batté violentemente la spalla destra contro la barriera magica, e cercò di
rialzarsi più in fretta possibile reggendosi ad essa, disorientato. Il muro, notò distrattamente, era
stranamente inclinato in quel punto.
Il
movimento improvviso gli causò un leggero capogiro, ma non vi badò. Un dolore
intenso irradiava dalla spalla sinistra, e non sentiva più il braccio. Ma non
aveva tempo per pensarci.
Gli
Incubi erano già dietro di lui, troppo vicini per permettergli di perdere
tempo.
Doveva
tornare da North.
Concentrati…
Evocati
dalla sua stessa volontà, tentacoli di sabbia nera si arrampicarono lungo le
sue caviglie, prima di trascinarlo in basso, diretto verso il corridoio da cui
era inizialmente fuggito.
Funzionava, gioì l’Uomo Nero. Ma non era
finita, non era quella la sua destinazione.
In nel
regno delle Ombre Pitch non era in grado di vedere, nessuna creatura né della
Luce né delle Ombre poteva, ma poteva percepire ogni cosa l’Oscurità fosse in
grado di toccare.
Individuare
quella voce rimbombante e quell’accento russo fu questione di un attimo.
…Non fate gli stupidi e
andatevene! Io sistemerò tutto in fretta e vi raggiungerò subito!
Te lo scordi, North, non possiamo
lasciarti da solo, non dopo questo! Si
era aggiunta la voce di Jack, e un frammento di panico raggiunse i sensi di
Pitch. Il Guardiano era spaventato, e molto. Lo erano tutti in quel punto del
palazzo.
Riemerse,
seguito a ruota dagli Incubi, appena un passo dietro di lui.
Non fu la
più teatrale delle sue apparizioni: non riuscì nemmeno ad atterrare in piedi,
finendo malamente faccia a terra, mente i suoi inseguitori, nello slancio della
corsa, erano letteralmente saltati fuori dalle ombre, causando più di un grido spaventato.
- …Pitch!
– lo raggiunse il grido di North. L’interessato non si preoccupò nemmeno di
alzare la testa per rispondere.
Sentì le
grida e i colpi di Jack, Calmoniglio e forse qualche yeti poco lontano che
stavano abbattendo i nemici, poi un’ombra oscurò la luce sopra di lui,
accompagnata da un ringhio. Rialzò di poco la testa, e il ringhio venne
sostituito da un breve guaito e un tonfo sordo che fece vibrare il pavimento di
legno, e la voce di North parlò di nuovo: - Pitch! –
La
grossa mano dall’omone si strinse attorno al suo braccio destro, tirandolo su a
sedere contro una fredda parete e strappandogli un gemito.
- Stai
bene?! –
Pitch fu
costretto a sbattere le palpebre parecchie volte prima che la sua vista
riuscisse a mettere a fuoco il volto -peraltro troppo vicino per i suoi gusti-
barbuto di North che lo fissava, sudaticcio, pallido e tirato in una smorfia
preoccupata. Aveva qualche macchietta si sangue sulla barba candida
- …A
meraviglia. – disse l’altro in tono sarcastico. Da quando parlare era diventato
così difficile, si chiese. – Me la sono cavata soltanto con due fratture
scomposte, credo, non ti preoccupare. –
- Che ti
è successo? Dov’eri finito? – continuò l’altro, notando la ferita alla spalla e
posizione anomala del braccio sinistro.
Pitch
scosse debolmente la testa, prima di tirarsi via dalla stretta dell’omone con
un piccolo strattone.
- Togli
lo scudo. – disse soltanto, senza fiato. North lo guardò confuso.
- …Che? –
A quella
risposta, Pitch rialzò lentamente lo sguardo e lo puntò sul Guardiano, sentendo
la rabbia salire di nuovo, rapida come la marea.
- Lo
scudo magico. Quello che hai posto a protezione del palazzo. – ripeté a scatti
– Toglilo. –
North
corrugò le sopracciglia, confuso, mentre Jack e Calmoniglio, dietro di lui, si
scambiarono un’occhiata. Poi capì, e scosse la testa: - Non adesso. Tu te ne
vai con noi. –
-
Perché?! – l’altro lo ricambiò con una strana occhiata, il che mise al limite
estremo la già sottile pazienza di Pitch, e poi gli puntò un dito sulla spalla
ferita.
- Tu
vuoi scappare adesso. – disse, serio
- Ma se lo fai, voglio sapere come riuscirai a mettere a posto quella. Aspetta un attimo, dobbiamo
recuperare alcuni dei miei ragazzi che sono rimasti bloccati, e ce ne andremo
tutti insiem-
– ma le sue parole vennero interrotte da una mano cinerea che gli
agguatò il bavero del cappotto, strattonandolo con sorprendente forza.
- TUTTO
QUESTO È COLPA TUA! – gli urlò in faccia
Pitch, sentendosi esplodere. Non sapeva nemmeno per cosa esattamente. Se era
per la rabbia, per il panico, per le forze che lo stavano abbandonando, per
l’ossigeno che sembrava essere improvvisamente troppo poco indifferentemente da
quanto profondi fossero i respiri che tirava, per il fatto che Crysis fosse là
fuori e che in questione di minuti avrebbe trovato sia lui che North che Jack e
tutti gli altri e li avrebbe massacrati
a colpi di spada, o semplicemente per quello stupido, zuccheroso altruismo
tipico dei Guardiani che conosceva fin troppo bene e che aveva sempre odiato con l’anima.
Non lo
sapeva, ma sicuramente era molto efficace sui suoi nervi.
- …TUTTO.
Da questo stupido attacco al fatto che la tua casa ora stia bruciando e che probabilmente avrai
perso metà dei tuoi compagni. – ringhiò, il viso a pochi centimetri dal volto
dell’altro – Ora. Togli quel dannato
scudo prima che decida di fare quello che hanno cercato di fare tutti quegli
Incubi là fuori nelle due ore precedenti: strapparti
a morsi la giugulare. –
North
sbarrò gli occhi a quella minaccia, tirandosi leggermente indietro. Qualcosa,
probabilmente l’espressione quasi animalesca dell’Uomo Nero, gli diceva che
quella non era una minaccia a vuoto. Poi, dietro di lui, intervenne la voce di
Calmoniglio.
- Fa’
come dice. – disse il Pooka avanzando di due passi zoppicanti, i lineamenti
induriti in un’espressione di disgusto, lo sguardo puntato su Pitch: – Lascialo
andare, il codardo. – disse sprezzante. North esitò, il suo sguardo corse tra
il Guardiano e l’Uomo Nero, ma decise di fare come detto. Ormai c’era poco da
fare.
Jack lo
vide alzarsi lentamente, poi allontanarsi di qualche passo e avvicinarsi ad un
muro verso il quale tese una mano e mormorare qualcosa sottovoce. Sulla parete
percorsa da qualche crepa, evocate dalla formula, comparve un gran numero di
cerchi magici verdi e dorati, dagli intricati, ondulati disegni mobili, che si
espansero rapidamente e spedirono sottilissimi fili bicromici lungo il muro ed
oltre, estendendosi per tutto il palazzo e in una porzione dello spazio aereo
circostante. Al contrario di Jack, Calmoniglio non si lasciò distrarre
dall’opera di North.
- Ti
direi di tornartene a casa, Black… – disse all’improvviso il Pooka, una nota
pericolosa nella voce. Jack, intuendo la tempesta imminente, si avvicinò al compagno
e gli posò una mano sulla spalla, stringendola in segno d’avvertimento. Aveva
visto davvero troppa violenza per quel giorno per dover assistere anche alle
esplosioni di rabbia di Calmoniglio.
-
Calmoniglio… stai. Tranquillo. – disse
in tono d’avvertimento, sbarrandogli il passo in modo che l’altro fosse
costretto a fissare lo Spirito del Gelo dritto negli occhi. E Calmoniglio fissò
quelle iridi color ghiaccio con rabbia, senza realmente vedere, poi posò una
zampa sul petto del ragazzo e lo spinse rudemente di lato.
– …Ma
non ce l’hai più. – continuò, come se non fosse stato interrotto. - Quindi scappa
più in fretta che puoi e scegliti un letto comodo sotto il quale crepare.
Magari uno col tappeto sotto, per stare più comodi. – sputò, rabbioso. Per un
terribile istante Jack temette che l’altro stesse per buttarlo a terra e andare
a suonarle all’avversario già al tappeto, ma i suoi timori si rivelarono
infondati. Calmoniglio si limitò a ghignare con disprezzo, poi alzò le zampe e
si fece indietro, lo sguardo puntato dritto sul giovane. – È tutto quel che avevo
da dire. Tranquillo, Jack. –
-
Grazie, sacco di pulci. – disse Pitch, incolore – Belle parole, sono toccato. –
- Prego,
ti voglio bene anch’io. Oh, non sai quanto.
– rispose il Pooka in tono sarcastico. Notò North voltarsi e tornare verso i
tre con espressione cupa. Lo scudo era stato disattivato.
- Ora,
visto che avevi tutta questa fretta, facci un favore: sparisci. –
Pitch
ghignò, poi scosse la testa e chiuse gli occhi, allungò lentamente una mano
verso le ombre, sentendosi sprofondare lentamente in esse come in sabbie
mobili, e cercò.
Cercò
lampi di paura, il panico e l’adrenalina del combattimento, e poi cercò i loro
proprietari. Alcuni combattevano, altri erano intenti a mantenere scudi magici,
altri ancora erano a terra, feriti, protetti fino all’ultimo respiro dai loro
compagni esausti. La quasi totalità era composta da yeti, ma c’era anche
qualche elfo disperso, nascosto sotto un vaso rovesciato o blindato in qualche
piccolo ripostiglio polveroso. Sentì una nuova ondata di terrore attraversare
tutti, causata dall’irruzione di altri Incubi che avevano approfittato del
crollo dello scudo.
Ne
approfittò.
La sua
sabbia strisciò infida attorno alle caviglie di tutti coloro che aveva
rintracciato e strinse in una morsa ferrea, trascinando in basso.
Gli
arrivarono anche le grida dei Guardiani e i due yeti che si trovavano con lui.
- PITCH,
TU, VERME! – urlò Calmoniglio. Ma Pitch si limitò a riaprire gli occhi e
ghignare, sentendo il panico del Pooka aumentare più di quello di tutti gli
altri.
-
Reggetevi. Quando c’è traffico le ombre sono sempre turbolente. –
Si sentì
sprofondare del tutto, accompagnato dalle urla di sorpresa e spavento degli
altri.
*
Andati.
Quando
Crysis ricevette la notizia del fatto che i Guardiani, e gli yeti, e qualunque
altra forma di vita se n’era improvvisamente andata dal palazzo, risucchiata in un misterioso vortice di sabbia
nera, Crysis si era limitata a fare un mezzo sorriso.
Aveva
scatenato tutto quel putiferio per niente.
Era
arrivata fino al Polo Nord per niente. Aveva scatenato quella guerra per
uccidere North e schiacciare i suoi sottoposti e il suo palazzo, e aveva fallito.
O no.
In
fondo, pensò vagamente, si era divertita, e aveva scoperto che Pitch è vivo, il
che era qualcosa di decisamente controproducente: probabilmente i Guardiani ora
sapevano delle Creature Senza Nome.
Ovviamente gliel’ha detto. Si disse, pensierosa.
Ma,
aggiunse, nonostante questo aveva comunque da festeggiare.
Aveva
catturato due Guardiani quel giorno, aveva trovato le sue memorie, e aveva
conquistato il palazzo di North, anche se non i suoi abitanti.
Alzò lo
sguardo, e venne accolta dalla visione della grande, luminosa Luna, che con la
sua luce sembrava quasi sfidarla. Le sorrise.
- Mi
hanno detto che ti chiami Manny, è così? – le chiese, senza ricevere risposta -
Non ti crucciare. Arriverò anche da loro. E arriverò anche a te, tranquillo. -
Poi riabbassò
lo sguardo: – Rubate armi, libri, e qualunque oggetto utile o prezioso
riusciate a trovare. – ordinò all’Incubo che le aveva portato la notizia.
- …Poi
bruciate tutto. Voglio vedere questo luogo ridotto in cenere. –
-+-
Sarò onesta: non so
voi, ma francamente io, quando Pitch usa le sue ombre per spostarsi, immagino
che abbia una specie di quarta dimensione tutta per sé. Una dimensione in cui
il nostro omino nero non può vivere ma solo usare come specie di taxi, ed
eventualmente buttarci qualche oggetto caro a qualcuno che poi non viene mai
ritrovato. Cioè, sapete le borsette di noi fanciulle, che se vogliamo ci
ficchiamo l’impossibile? Ecco, la teoria di base è (forse) la stessa. O almeno
credo.
Tornado al capitolo,
ammetto di non essere soddisfatta. Il blocco dello scrittore ha fatto un ottimo
lavoro, cioè mi ha fatto scrivere un pessimo capitolo.
Ugh.
Okai, la pianto con le lamentele, so di essere noiosa.
Ho un sacco di storie/capitoli/one shots che aspettano di essere recensite. All’incirca
45673920346539[…]098776. Spero che siano tutte.
*Silver out, dandosi
all’ippica come raccomandato da tutti*
(Tra parentesi, si,
Crysis è una piromane.)