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Autore: lulubellula    25/06/2013    2 recensioni
Storia scritta a quattro mani con 2calzona3
"A volte si desidera qualcosa a tal punto da fingere che sia vero anche con se stessi, e all'interno della propria realtà si finisce per renderlo vero. Ma ciò non significa che sia reale. Il vero e il reale sono due cose diverse".
Dall'ultimo capitolo (Giallo/Lexie): "Eri semplicemente euforica e sentivi una scossa di adrenalina pervadere il tuo corpo e correre sino al cervello.
Rubare era per te persino più soddisfacente di una tavoletta di cioccolato.
E ti rendeva felice almeno il doppio.
Finchè il senso di colpa non si sarebbe ripresentato di nuovo".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Cristina Yang, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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Welcome to my mind
 

Le parti in corsivo sono state scritte da 2calzona3, quelle in stampatello da lulubellula.
Buona lettura!


 

La vita vera non è poi così diversa da un campo di battaglia.
Ci sono amici, nemici, alleati, strategie da portare avanti, una missione e qualcuno o qualcosa da proteggere a tutti i costi, persone che staranno al tuo fianco e lotteranno per la vita, persone che la perderanno al primo istante, esseri umani mutilati nel corpo e nell’anima che non saranno più quelli di prima.
Ci sono vincitori e vinti, prigionieri di guerra e soldati arricchiti, vedove, orfani, profughi, senzatetto, bambini che non diventeranno mai grandi, bambini che non avranno infanzia e diventeranno adulti senza nemmeno aver goduto della loro fanciullezza.
Saranno tutti sullo stesso disastroso piano a dividersi un brandello di vittoria, a saltare sul carro dei vincenti al momento giusto, perché nella vita, nel gioco e in guerra, non contano le carte che hai in mano, conta solo come te le giochi.
 
 
La battaglia, questo mi lasciavo alle spalle.
Questo credevo.
In effetti ero lontana dalla guerra in Iraq, lontanissima.
Questo però non mi impediva di affrontare un conflitto tutto nuovo dentro di me, qualcosa che mi procurasse sensazioni contrastanti: dovrei scappare ma voglio restare. Questo è il pensiero che occupa la mente di un chirurgo d'urgenza sul campo, questo è il pensiero di una qualsiasi banalissima persona innamorata.
Dovrei scappare ma voglio restare. Perché non c'è nulla di banale nel pensarlo, perché stai sacrificando te stessa per qualcun altro. 

Ero sdraiata su quel letto da quattro settimane, da quattro settimane giravo la testa verso lui, da quattro settimane sorridevo al suo sorriso.
Sembravamo entrambi la metafora di noi stessi: lui un malato di cuore, perché amava e lo faceva fino a rompersi. Io una reduce di guerra, perché amavo, combattevo e non riuscivo ad andarmene.

Eravamo due persone con il cuore malato, non metaforicamente, stavamo davvero male.
Forse questo aspetto fisico ci ha uniti, forse il fatto che i nostri due cuori non potessero funzionare da soli li ha portati a spingersi l'uno verso l'altro. Insieme funzionavano come un unico, perfetto, cuore.



 
Quanto può essere difficile dire “Ti amo” a qualcuno?
Quanto ti costa? Perché lo guardi e gli sorridi?
Perché parli con lui? Perché ridi?
Non puoi essere così codarda, un medico in prima linea, una donna dell’esercito che si spaventa di fronte al più semplice, puro, immediato dei sentimenti, l’amore.
Perché non gliene parli? Perché non gli dici tutto quanto?
Non gli dici di quanto i suoi occhi brillino, nonostante il pallore del suo volto malato, non gli dici che la sua risata rende il cibo della mensa dell’ospedale un po’ meno disgustoso.
Perché non gli dici che ti fa male il solo pensiero di allontanarti da lui, che ti fa morire l’idea che la sua malattia o la tua possano separarvi per sempre?
Sono solo tre parole: “Ti amo Henry”, sono tre dannatissime parole che ti separano dallo svelare le tue carte sino all’ultima, dallo scoprire se hai la vittoria in pugno oppure hai perso tutto.
Non gliele dirai, vero, Teddy?
Preferisci che non sappia piuttosto che perderlo del tutto.
Eppure in qualche modo lui si sta allontanando da te, anche se non vuole, anche se non vuoi.
Il suo cuore batte troppo forte e questa volta non a causa del tuoi occhi troppo belli e troppo stanchi.

 
Ma da soli i nostri cuori non riuscivano a sopravvivere. Era seduto sul mio letto, come un qualsiasi amico, come un qualsiasi amante che non sa di esserlo.
Avrei voluto dirglielo, avrei dovuto farlo.
È diritto di una persona poter dire “ti amo”, in qualsiasi momento, in qualsiasi dove, non importa se stravolgerai delle vite nel farlo. Quel “ti amo” non detto, sono le parole che avevo sulle labbra mentre Henry diventava tachicardico in parte a me, proprio vicino alla mia spalla.
Sentivo il suo petto muoversi irregolarmente, i suoi polmoni respirare il vuoto dell'aria, il suo cuore pulsare troppo veloce sotto la sua pelle, lo sentivo. Sono nata per sentirlo, ho studiato per sentirlo. Non era il battito dell'amore. Era un dannato infarto del miocardio.

Me ne accorsi prima di lui, me ne accorsi praticamente prima del suo cuore.
Chiamai subito aiuto, sentendo che il mio cuore stava percorrendo esattamente la sua stessa strada, pulsava sangue con una velocità inaudita, era il suo dovere. Solo in quel momento mi accorsi di come funziona, avevo visto quell'organo da ogni angolazione: dall'esterno, dall'interno, nella mia mente, nei libri e nelle mie mani.
Mai l'avevo potuto sentire dentro di me in quel modo, non era il cuore di una persona malata.
Era il cuore di una persona innamorata che era a conoscenza della triste sorte del proprio amore. Sarebbe morto con lui il mio amore, non l'avrebbe mai saputo? Perché sono stata vigliacca.
Perse conoscenza ancora prima che io finissi di urlare aiuto, e mi arrabbiai.
Non mi aveva aspettato.

 
 
Dicono che quando sei vicino alla fine te lo senti, un presentimento, un campanello d’allarme, uno straccio di qualunque cosa che ti faccia capire che la tua vita è giunta agli sgoccioli.
Prima che lui si sentisse male, tu non hai provato nulla, né hai avuto sensazioni particolari, lo stavi semplicemente guardando con occhi innamorati e parlando con lui.
Andava tutto bene prima che cominciasse ad andare letteralmente a rotoli.
Hai chiamato aiuto, hai cercato medici, infermiere, azionato l’allarme, ti sei persino alzata dal letto, nonostante il tuo stato di salute precario e le tue forze che divenivano sempre più deboli.
Un proiettile ti aveva lacerato un lembo dell’atrio destro, un innesto magistralmente eseguito te lo aveva riparato, vedere l’amore della tua vita spegnersi davanti ai tuoi occhi ti aveva consumata, i battiti ad aumentare, le pulsazioni ad impazzire, l’innesto a cedere.
Vedere lui che ti osservava implorante, guardandoti negli occhi, tendendoti le braccia, cercando di dirti qualcosa (ma cosa?), ti avrebbe uccisa, avrebbe ucciso chiunque.
Sapevi che cosa gli stava accadendo, sapevi persino quello che stava accadendo a te, il cuore non aveva segreti, il cuore era il tuo territorio, il tuo porto franco, eppure, per beffa del destino, te ne stavi andando per causa sua.
Il cuore umano pompa oltre settemila litri di sangue al giorno, batte centomila volte in ventiquattrore, in quell’istante preciso, il tuo ha mancato un battito, il sangue ha cominciato a defluire dall’innesto e tu hai ceduto all’inevitabile, accasciandoti accanto al suo letto, le vostre mani a sfiorarsi in una stretta fatale.
 
Mi sembrava di avere ancora il cuore aperto, mi sembrava di non sentir più i battiti, il mio torace non si stava dilatando e nessuno soffio d'aria mi gonfiava i polmoni. Non ero morta. Stavo trattenendo il respiro perché non avevo necessità di respirare. Che bisogno c'era di farlo se Lui mi teneva la mano? Che bisogno c'era di compiere un atto primordiale e istintivo quando lui fermava il tempo? Mi faceva vivere con uno sguardo e a sua volta mi viveva. 
Questa è una favola, è la mia favola con il mio lieto fine.
Come in tutte le storie che si rispettino mi ritrovai sdraiata sul letto, una fasciatura a costringermi il petto e l'uomo della mia vita a stringermi la mano.
Mi aveva aspettata, così che io potessi dirglielo. Era sopravvissuto all'intervento solo per far vivere me, perché dovevo dirglielo. 
“Non farlo mai più Henry capito? Non devi farlo. Mai più”
“Riposa, dormi. Potremo dirci tutte le parole del mondo domattina”
Sapeva che volevo dirgli tutte le parole del mondo, sapevo che lui voleva fare altrettanto.
Perché ci amavamo e non l'abbiamo capito in modo banale, con quelle famose parole, l'abbiamo capito facendoci scoppiare il cuore l'uno per l'altra.
E risvegliandoci, l'uno per l'altra.

 
 
E’ buffo. Passi la vita ad inseguire un sogno, un milione di sogni, a rincorrerli come un bambino insegue farfalle con un retino e poi arriva il momento in cui ti fermi.
Ti blocchi, resti spiazzata, inerte, inerme, sola.
Allora ti guardi indietro e vedi tutti gli anni passati a studiare, a mangiare la polvere per restare allo stesso passo degli altri, a sacrificare attimi di vita preziosi in nome di qualcosa.
Che cosa poi?
Niente.
Perché se ti guardi indietro non riesci a vedere nulla, le tue piccole e grandi vittorie quotidiane, le partite a pallone con Owen e gli altri ragazzi, gli interventi a cuore aperto, il fresso, il caldo, la sete, il sonno.
Non ti è rimasto niente di buono.
Solo un cuore martoriato dalla guerra.
Un cuore che ha cominciato a battere troppo tardi, che ha cominciato a vivere un secondo prima di morire, che ti ha fatto capire che i giorni che ti restavano non sarebbero bastati, perché la felicità non basta mai, non sazia mai.
E’ come un paiolo con la base bucherellata, l’acqua che entra esce senza lasciare il tempo di goderne, così è la felicità umana, un breve sorso che non disseta mai abbastanza, che lascia gli individui con la gola secca, assetati, infelici, mai sazi.
Il rumore attorno a te è troppo forte, intenso, assordante, senti un gran vociare, urla, pianto o forse è tutto nella tua testa, forse nulla è reale, forse nemmeno tu lo sei.
 
 
 
“Yang, dichiarala!”.
“Ora del decesso, 15 e 25”.
“Un’intervento inutile” disse la donna, uscendo e lavandosi le mani.
“Era un caso senza speranza, praticamente già morto, prima di entrare in sala operatoria”.
“Povera Teddy” le disse Meredith.
“Lei come sta?” chiese la Yang.
“E’ viva”.
“Per fortuna”.
“E’ in coma”.
Cristina osservò il pavimento con espressione sconvolta.
“Owen come l’ha presa?”.
“Piuttosto male, dal momento che per espressa volontà di Teddy, se non si risveglierà o non darà segni di miglioramento, lui le dovrà staccare la spina.
“Davvero una brutta giornata”.
“Oserei dire pessima”.
 
 
 
“Il paziente X è la superstar dell’ospedale! Oggi in mensa non si parlava di altro. Del paziente X e della nuova fiamma di Sloan”.
“Quella Lexie?” chiese la specializzanda mora, passando un pacchetto di patatine al collega.
“Proprio lei”.
“Ma non aveva una cotta per George?”.
“Le sarà passata presumo. Comunque sembra che il paziente misterioso abbia fatto la speializzazione qui, in questo ospedale”.
“Accidenti, pensavo che venisse da fuori”.
“No, è uno di noi o almeno lo era”.
 
 
 
“Ehi!! Ma quello non è Andy? L'uomo che rifornisce le macchinette delle...”
“Merendine?” lo specializzando si girò nella direzione che gli era stata indicata
“Che corre....”
“Nudo?” si guardarono con la stessa faccia allibita e cominciarono a rincorrere l'uomo, sperando di poterlo fermare prima che facesse del male a qualcuno.

 Non c'era verso, Andy correva per i corridoi portandosi all'orecchio una merendina, probabilmente alla crema di nocciola, e urlando:“Mamma, ho detto che adesso non posso parlare! Ti chiamo dopo” e a quanto pareva, era così arrabbiato da buttare giù la cornetta a sua madre.

Stanza 2332

Guardati, sei praticamente solo. Il bello è che da mezzo morto non puoi farti odiare, perciò sembra che le persone come me possano stare nella tua stessa stanza senza volerti tirare un bisturi nella carotide, con casualità.
Chissà cosa sogni. Chissà se sai di essere in coma, chissà come ci si sente ad essere in coma. Non sai se sei morto, non sai se sei vivo. Non puoi chiederlo a nessuno, ti manca la parola. Il tuo cervello non risponde. Non riesci nemmeno a fare domande, magari ti piace la situazione in cui ti trovi, magari non vuoi far domande perché ti va bene così. È giusto che ti svegli, non abbiamo sbagliato nulla con te, ognuno di noi ti ha operato come meglio poteva. Eppure c'era qualcosa di irrisolto, è come se mi facesse male il cuore. 



 
 
  

   
 
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