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Autore: BeeMe    25/06/2013    3 recensioni
Aveva ricoperto la casa di specchi, per non dimenticare. Ogni volta che passava davanti ad uno specchio non poteva fare a meno di guardarsi e a quel punto lo vedeva, vedeva lui.
“Ciao Fred” diceva ogni volta per poi scappare via da quella casa di vetro piena di ricordi troppo dolorosi per essere dimenticati.
Eppure tornava sempre. Un colpo di bacchetta ed era di nuovo lì, circondato da migliaia di repliche perfette.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: George, e, Fred, Weasley, James, Sirius, Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Reflections of a lost soul

 

 

Gli avevano detto che le persone dimenticano, che alla fine riescono a superare i momenti peggiori della loro vita.

George non c’era mai riuscito.

Come farcela se ogni volta che si vedeva allo specchio vedeva il gemello, se quando parlava sentiva la sua voce, se in ogni suo movimento riconosceva abitudini che il fratello non aveva più? 

Avevano provato a farlo tornare a vivere, ma lui continuava a tornare a quegli ultimi secondi passati con Fred, la sua risata come unico rumore di sottofondo. 

E ogni volta che quel maledetto muro esplodeva e travolgeva Fred, George moriva con lui.

Si crogiolava nei ricordi del fratello perché erano gli unici che per lui valessero qualcosa, che serviva conservare con cura, al riparo da tutto e tutti.

Li riviveva in continuazione, gli occhi strizzati nel tentativo di concentrarsi e centinaia di immagini che si susseguivano sulle palpebre chiuse.

Un giorno Ginny era riuscita a scuoterlo dalla sua apatia, a farlo uscire dall’appartamento scuro dove viveva recluso e da cui non usciva mai.

“Ho avuto un figlio, Georgie.” gli aveva mormorato all’orecchio e l’aveva strattonato fuori dalla porta.

E mentre la sorella lo chiudeva dentro alla stanza del piccolo, lui si chiese se quel sentimento che gli vorticava nel petto non fosse gioia, quell’emozione che non gli scuoteva il cuore da anni.

Si chinò in avanti sulla culla e osservò il piccolo Potter cercare di afferrargli le ciocche rosse che gli ricadevano davanti al viso.

Gli fece il solletico e lui rise, felice. George si paralizzò. Aveva già sentito quella risata. Ripercorse col pensiero tutta la sua vita per poi finalmente capire. Era la sua.

La stessa risata squillante e vibrante che aveva legato lui e il gemello tintinnava leggera nella bocca del figlio della sorella.

“Fred?” sussurrò guardando fisso il neonato e dando senza volere una sfumatura interrogativa a quella che nella sua testa era nata come un’affermazione.

Il piccolo Potter sorrise e cercò di ripetere quella parola che il novello zio aveva appena detto, ma non ne uscì altro che un suono buffo.

“Ciao James” bisbigliò lui al bambino che ridacchiò fra sé “Assomigli a qualcuno che mi manca molto, sai?”

Ginny entrò nella stanza e abbracciò stretto il fratello: “Manca molto anche a me.”

Poi sembrò riprendersi e sorrise a James: “Lo zio Fred se ne sta andando, tornerà presto, te lo prometto.”

George la guardò scioccato mentre lei rimboccava le coperte e si girava per andarsene.

“Fred? Dai, muoviti. Ti riporto a casa.” esclamò spingendolo fuori.

“Ginny...” iniziò lui e la sorella si rese conto di ciò che aveva appena detto e aprì la bocca per scusarsi, ma lui non le lasciò il tempo di fare nulla.

Si materializzò a casa sua con la testa che sembrava gli stesse per esplodere.

“Fred, Freddie, torna ti prego. Senza di te stiamo impazzendo tutti.” bisbigliò ad un’ombra che scomparve in fretta nel buio della stanza.

 

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James si ricordava di suo zio, quello che tutti chiamavano Fred, 

quello che aveva visto una sola volta, da bambino.

Per qualche motivo era sicuro che il suo nome non fosse quello,

che lo stessero confondendo con qualcun altro.

“Ma è pazzo?” gli aveva chiesto una volta Rose, sottovoce, 

perché quella non era una verità che si può dire liberamente, 

era una di quelle tenute, sussurrate per timore che qualcuno le sentisse.

“Non lo so” aveva ammesso James “Penso che abbia perso qualcuno.”

 

_________________

 

Aveva ricoperto la casa di specchi, per non dimenticare. Ogni volta che passava davanti ad uno specchio non poteva fare a meno di guardarsi e a quel punto lo vedeva, vedeva lui.

“Ciao Fred” diceva ogni volta per poi scappare via da quella casa di vetro piena di ricordi troppo dolorosi per essere dimenticati.

Eppure tornava sempre. Un colpo di bacchetta ed era di nuovo lì, circondato da migliaia di repliche perfette.

A volte si sedeva davanti ad uno di quegli immensi specchi e aspettava che la sua immagine riflessa -che Fred- dicesse qualcosa.

Passavano ore e sia lui che la sua copia rimanevano inattesa di qualcosa che non accadeva mai.

-Perché non mi parli, Freddie? -urlava allora George e si scagliava contro lo specchio.

In quei momenti non gli importava di ferirsi con i frammenti pieni di riflessi che gli cadevano addosso sotto l’effetto dei suoi pugni.

Non gli avrebbero mai fatto più male della sua anima divisa in due.

Voleva solo che l’immagine del gemello sparisse, che quella brutta copia se ne andasse e che Fred -il vero Fred- tornasse.

Alla fine crollava sempre a terra, circondato da schegge insanguinate che non riflettevano più nulla se non un rosso vermiglio più intenso di quello dei capelli di qualsiasi Weasley.

Rimaneva solo in quella desolazione fino a quando Ginny non veniva a scuoterlo.

“Devi riprenderti, Fred.” gli ripeteva e poi agitava la bacchetta con fare esperto. “Reparo.” diceva e lo specchio tornava ad essere quello di prima, con Fred che lo fissava dall’altra parte del vetro.

George si chiese se non esisteva un incantesimo del genere per la sua anima.

 

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“Ciao zio” disse James Potter entrando nella casa fatta di specchi che gli avevano indicato quando aveva chiesto informazioni.

“Ma fa attenzione, ragazzo.” gli avevano sussurrato “Lì dentro ci vive il gemello sopravvissuto, quello pazzo, senz’anima. E si sa che le anime perdute non tornano mai indietro”

Chiudendosi la porta alle spalle, James si domandò se non avessero davvero ragione, se quello che suo zio aveva perso e per cui mancanza soffriva tanto, non fosse altro che la parte più importante di sé.

Trovò George seduto davanti al gigantesco specchio a parete che occupava il muro di fronte al suo letto. Aveva la testa fra le ginocchia, le mani premute sugli occhi.

“Vattene” sibilò sentendo la porta sbattere “Non sono chi tu cerchi.”

“Sei George, vero?” chiese il nipote, avanzando piano.

Davanti non aveva il mostro che i paesani dipingevano, aveva solo un uomo disperato, che stava annegando nel suo dolore.

“Come fai a sapere che non sono Fred?” gli domandò allora lui di rimando, alzando la testa e fissandolo dritto negli occhi.

“Tuo fratello è morto” rispose James, pregando di avere ragione.

E quando vide George accasciarsi su sé stesso, distrutto da quella semplice frase, capì di averci visto giusto, ma si chiese se ne era valsa davvero la pena.

 

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Quel giorno James se n’era andato senza dire più nulla, era scappato da quella casa dove ricordi e rimpianti si inseguivano in un giro senza fine.

Tornò quando si sciolse la neve lasciando in terra grosse pozzanghere che non facevano altro che riflettere la sua silhouette magra di adolescente.

Raggiunse suo zio nel corridoio dove lui era intento a esaminarsi con cura il viso.

“Sei invecchiato, Freddie.” stava sussurrando a sé stesso per poi annuire come se dall’altra parte ci fosse davvero qualcuno in ascolto.

“Stanno iniziando a dimenticarci, Fred, a dimenticare tutto quello che è successo. Ormai siamo solo il gemello sopravvissuto e quello che se n’è andato in battaglia.” fece una pausa e scrutò a lungo il suo riflesso. “A volte mi chiedo chi di noi sia sopravvissuto, sai Freddie?”

Eppure dentro di sé sapeva che quell’esplosione non aveva lasciato nessuno in vita. Erano morti entrambi, lui nello stesso esatto momento in cui la vita abbandonava il suo gemello.

James si avvicinò lentamente a lui, nello stesso modo che si usa per non spaventare un animale selvatico.

Quando George lo vide, lo indicò con un rapido cenno del capo e si affrettò a spiegare al fratello chi fosse quel ragazzo forse un po’ troppo magro per la sua età: “Lui è James, Freddie. E’ il figlio di Ginny e Harry, pensa che tu sia morto!” esclamò ridacchiando. “Sai, penso che sia un po’ suonato” aggiunse tamburellandosi sulla tempia con un dito.

“George” lo chiamò James quando si accorse che questo aveva finito di ridere “Perché tutti pensano che tu sia Fred?”

Il gemello stese le labbra in un sorriso amaro e per un attimo sembrò essere tornato quello di una volta, quello che credeva che dietro gli specchi non ci fosse altro che un cornice e che amava fare scherzi con il fratello.

“Devi sapere, James, che lui manca a tutti, che nessuno vuole davvero digli addio. E’ più semplice fare finta che io sia entrambi, che Fred sia sempre con loro e che forse George è uscito per comprare qualcosa di buono. Ogni cosa è più facile dell’affrontare la realtà.”

Poi scosse la testa e ritornò a fissare il suo riflesso nello specchio, perso in una discussione con Fred che nessuno a parte lui poteva sentire.

James rimase lì per ore, lo osservava parlare con il fratello morto e cercava di capire come si poteva diventare lì, diviso fra due mondi.

Quando il sole tramontò, si alzò e sollevò la bacchetta, pronto ad andarsene.

Aveva già visualizzato casa sua ed stava per smaterializzarsi quando la voce sommessa dello zio lo raggiunse: “Forse perché non sono io quello matto qui” borbottava e James si rese conto che stava rispondendo alla domanda che gli aveva posto ore prima.

Se andò senza aggiungere altro.

 

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Il gemello sopravvissuto morì una notte di ottobre, nella sua casa di specchi.

Gli abitanti del piccolo paese dove viveva si erano convinti di avere a che fare con uno spettro, un Mangiamorte sfuggito agli Auror e roso dal senso di colpa verso le sue vittime.

Diedero fuoco al suo appartamento di vetro mentre dormiva e lo lasciarono solo, circondato da riflessi di fiamme dalle quali non poteva scappare.

Il giorno dopo non esisteva più nessun gemello sopravvissuto, era tornato dalla metà perduta della sua anima. Alla fine era riuscito a tornare indietro.

Quando James arrivò, di quella strana casa e di suo zio non restava altro che schegge annerite e qualche ciocca di capelli rossi.

Gli assassini di George negarono ogni cosa, diedero del folle al defunto e iniziarono presto a dimenticare.

Presto, di quella casa di specchi in cima alla collina, non sarebbe rimasto nulla.

James se ne andò per l’ultima volta, deciso a non tornare mai più, e si chiese se suo zio non avesse ragione, se alla fine non fossero davvero impazziti tutti per colpa di un’anima perduta.

 

 

 

 

 

 

  
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