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Autore: Potsie    25/06/2013    4 recensioni
Era riuscita a raggiungere il cimitero con un taxi e, con un po’ di fatica, era riuscita a trovare le tombe esatte. I suoi due figli la aiutarono ad alzarsi dalla sedia a rotelle e la fecero inchinare davanti a quelle due rocce lucide, con sopra incisi i nomi dei suoi genitori. Poggiò due fiori su entrambe le tombe. Delle Amaranthe, precisamente.
Ricordava che entrambi amavano quei fiori, e ricordava anche il perché.
Aveva da sempre amato la loro storia, come si erano conosciuti e come avevano combattuto per il loro amore. E ci erano riusciti soprattutto grazie ad una persona.
| One Shot | Slash | Periodo: '800 | Conteggio parole: 4172 |
Se non ti piace il genere non leggere.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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A Gaia, che mi segue e mi supporta da quando ho incominciato a scrivere.

 

Era riuscita a raggiungere il cimitero con un taxi e, con un po’ di fatica, era riuscita a trovare le tombe esatte. I suoi due figli la aiutarono ad alzarsi dalla sedia a rotelle e la fecero inchinare davanti a quelle due rocce lucide, con sopra incisi i nomi dei suoi genitori. Poggiò due fiori su entrambe le tombe. Delle Amaranthe, precisamente.
Ricordava che entrambi amavano quei fiori, e ricordava anche il perché.
Aveva da sempre amato la loro storia, come si erano conosciuti e come avevano combattuto per il loro amore. E ci erano riusciti soprattutto grazie ad una persona.

Era il 19 marzo del 1894 il giorno in cui li vide.
L’avevano presa qualche giorno prima in una cittadina sperduta vicino Amsterdam e portata sino all’Inghilterra.
Era quello che facevano, d’altronde. Appena l’organizzazione trovava qualche orfano o delle persone bisognose di soldi le vendevano alla borghesia britannica. Solo quest’ultima era a conoscenza dell’organizzazione. Sapevano ma non dicevano mai niente perché sapevano anche che se parlavano, poi sarebbero stati uccisi. E nessuno voleva creare scandali in quel periodo.
Venne comprata da una famiglia altolocata: i Tomlinson.
Quel giorno venne scortata da due uomini dall’aspetto vecchio ma robusto. Arrivò dinanzi a una villa in stile ottocentesco, quale periodo era, ornata da piante di Amaranthe che spiccavano in confronto al colore opaco delle mura della casa.
Era diventata parte della servitù oramai e, quando le chiesero il nome, riuscì a mala pena a balbettare: «I - Isabel.» Quando le dissero che non sembrava un nome inglese prese a spiegare le sue provenienze spagnole, ma il signor Tomlinson la interruppe subito in modo brusco. Poi conobbe il resto della famiglia: la signora Johanna le sembrava una brava donna, anche se spesso sottomessa alle decisioni del marito, aveva cinque figli di cui uno solo era maschio: Louis William Tomlinson.
Le sembravano una famiglia normale, con le proprie esigenze sì, ma i figli della signora Tomlinson erano totalmente diversi dal padre. Sprizzavano gioia da tutti i pori. Specialmente il figlio maggiore, non che unico figlio maschio. Era sveglio, schietto e, cosa più importante, l’unico che riusciva a non dare un’aria noiosa a quella casa che pareva più un castello.
Era venuta a sapere che il marito della signora Tomlinson era il vero padre solamente delle due gemelle e che per questo era da sempre stato duro e severo nei confronti dei tre maggiori, non che non lo fosse nemmeno con le gemelle. Aveva deciso di fare una figlio con Johanna solo per il puro piacere di sapere di avere almeno qualcosa in comune con la donna, anche se non aveva mai avuto un buon rapporto coi bambini.
Una volta presentatasi alla famiglia, aveva cominciato a pulire la cucina sotto l’ordine scontroso della cuoca. Era chinata sul parquet sporco della cucina e aveva appena inzuppato la spugna nel secchio d’acqua colmo di sapone. Poi l’aveva poggiata sul pavimento e aveva cominciato a fare movimenti circolari. Dopo qualche minuto di via vai all’interno della stanza, sentì una leggera risata roca alle sue spalle. Si voltò scorgendo una figura alta e robusta e, con un tono leggermente strafottente gli chiese: «Che ridi?» Il riccio alzò un sopracciglio, affievolendo ancora di più la risata. «Se vuoi lavare bene il parquet, ti conviene fare dei movimenti verticali. Altrimenti lo rovini.» La mora fece per rispondergli e dirgli che quello era il suo lavoro e che sapeva come farlo, ma la cuoca la precedette ed urlò al ragazzo: «Harold! Tornatene alla stalla invece che sporcare la mia cucina con i tuoi sudici scarponi!» Il giovane sbuffò, mettendo le sue grandi mani nelle tasche dei pantaloni ormai sporchi. «Sì, sì.» Le disse non ascoltandola realmente. «Ma tu guarda, io tento di farle un favore e quella mi maltratta in questo modo.» Borbottò, fingendosi irritato. «E piantala di lamentarti!» Sentì urlare la cuoca mentre se ne tornava a lavorare.

Il giorno seguente aveva anche scoperto che al figlio maggiore della famiglia Tomlinson non piaceva questa storia della servitù. Aveva scoperto da pochi anni dell’organizzazione e di ciò che faceva. Tra le poche volte che avevano chiacchierato, soprattutto quando lei innaffiava le piante di Amaranthe, le aveva confessato che se c’era una cosa che avrebbe voluto fare era una rivolta contro quel gruppo di persone che di buono non avevano nulla.
Dopo qualche giorno da quella confessione, Isabel venne mandata a pulire di fronte alle stalle. E fu lì che li notò. Erano l’uno davanti all’altro, il minore stava preparando la sella al cavallo del ragazzo di fronte a lui, che lo guardava con occhi dolci e comprensivi. «Ti do una mano?» Lo sentì chiedere. Il riccio si voltò nella sua direzione mentre accarezzava il dorso dell’animale con fare delicato. «Me lo chiede spesso, ma le ripeto che è il mio lavoro e non posso farle fare certe cose.» Il maggiore sospirò rassegnato e stanco di sentire sempre la solita scusa. «Odio quando mi dai del lei.» Lo sentì mormorare. Notò le gote del riccio arrossarsi leggermente mentre portava lo sguardo su quello grigio del ragazzo di fronte a lui che gli aveva appena riservato un sorriso che nascondeva più di quanto le persone attorno a loro potessero vedere. Tranne Isabel, che notò la scintilla passare attraverso i loro occhi. Notò il loro sguardo, il loro trattenersi dall’avvicinarsi più di quanto dovuto. Vide anche il minore abbassare lo sguardo sulle labbra fini del castano e mordersi il labbro inferiore come a trattenersi. Lo vide riportarsi alla realtà con una tosse decisamente finta mentre si voltava nuovamente per stringere le cinghie ai lati del cavallo.
Venne riscossa dalla voce gracchiante della cuoca che la intimava a sbrigarsi, e in quell’istante si accorse di essere rimasta ferma e con la scopa in mano per tutto il tempo.
Era rimasta incantata da ciò che aveva notato. Che fosse quello il tanto agognato Amore della quale le parlava spesso la sorella? Sentiva un po’ di invidia nei confronti di quei due ragazzi ma anche un po’ di pena, perché non potevano amarsi. Louis era un borghese e Harold, beh, era un servo.

Dopo qualche giorno le chiesero di badare a una delle due gemelle. Si era presa la febbre alta e Isabel continuava a bagnarle la fronte con una pezza, e solo quando si fu assicurata che la piccola si fosse addormentata con la febbre più bassa si decise ad uscire dalla stanza. Amava quelle bambine, avevano, per fortuna, preso dalla madre caratterialmente.
La mora scese al piano inferiore verso le due di notte e, quando fece per sorpassare la stanza del figlio maggiore, si accorse che la porta di quest’ultima fosse leggermente aperta. Fece per chiuderla ma sentì dei gemiti e degli ansimi provenire dall’interno. Fu lì che li vide, uniti sussurrandosi parole dolci e pregando l’uno il nome dell’altro, scambiandosi baci di fuoco, di passione, di amore. Si sfioravano e si accarezzavano tentando di toccare più lembi di pelle possibile, tentando di avvicinarsi come più potevano. Si stavano amando, ed Isabel aveva avuto la fortuna di assistere a quella scena a dir poco rara ed unica. Li ammirò nel loro modo dolce e romantico di amarsi. Ed un sorriso le increspò le labbra quando sentì il maggiore mormorare un: «Non sai quanto ti amo, Harry.» Nonostante stesse ansimando sotto il tocco del minore che sembrava decisamente più grande del ragazzo sopra di lui, il quale stava stringendo convulsamente i ricci morbidi e sudati tra le sue dita.
La mora si allontanò, richiudendo leggermente la porta per poi farsi strada nel lungo corridoio tenendo alzata la mano che reggeva la candela a farle luce in quella notte bella ed impossibile.
Il giorno dopo notò come il riccio fosse nervoso mentre si torturava le mani e si guardava intorno cercando qualcuno o qualcosa di particolare. Inizialmente non capì, così si diresse verso di lui inclinando il capo verso sinistra e alzare le sopracciglia incuriosita. «Tutto ok?» Gli chiese sorridendogli leggermente. Il giovane sembrò riscuotersi mostrando uno sguardo leggermente spaventato. «Sì, sì. È tutto ok …» Mormorò distogliendo lo sguardo. «Sei sicuro perché-» Il ragazzo non la fece finire che sbuffò e le disse in modo leggermente scorbutico: «Sto bene, non ti impicciare.» Isabel schiuse le labbra e, prima che potesse anche solo bloccarsi, mormorò ciò le che le passava per la testa in quel momento. «Mi chiedo perché con Louis sei più gentile.» Il riccio sgranò leggermente gli occhi serrando successivamente la mascella e dire: «Mi pare ovvio visto che lavoro per lui.» Un sorrisetto soddisfatto le si dipinse in volto notando le gote cominciare ad arrossarsi. «Io non intendevo quello.» Disse non badando nuovamente alla sua mente che pareva averla lasciata in quel momento. Ma perché non chiudo questa mia boccaccia? Si chiese quando notò il riccio deglutire nervoso. «Che … Che cosa hai visto?» Le chiese. Isabel cominciò a guardarsi intorno mormorando un Non qui.
Si erano diretti nel giardino ormai vuoto mentre lei aveva cominciato ad innaffiare le piante di Amaranthe. Le amava. Adorava il modo in cui i fiori ricadevano verso il basso, il modo in cui il color porpora spiccava in mezzo a quel verde. Si era persa nuovamente ad ammirarle e non si era accorta del ragazzo che le aveva ripetuto la domanda.
«Me ne sono accorta qualche giorno fa. Ho visto come vi guardavate.» Disse sottovoce, continuando a prendersi cura di quelle piante della quale oramai si era innamorata.
«Sai, vi invidio. Io non ho ancora potuto sentire sulla mia pelle come ci si sente. Ma voi siete fortunati ad amarvi così tanto.» Continuò sotto lo sguardo sorpreso del ragazzo. «Vi ho anche visto ieri notte. Non volevo guardare, lo giuro. Ma-» Venne interrotta dalla voce profonda e roca del giovane che le disse sorpreso: «Eri tu? Quando abbiano notato la porta chiusa ci siamo spaventati e …» Prese a balbettare, confuso e imbarazzato. Tutta la spavalderia che mostrava era andata a farsi benedire. Isabel sorrise, addolcita alla vista del ragazzo in difficoltà. «Come hai capito di amarlo?» Si lasciò sfuggire. Il riccio abbassò lo sguardo cominciando a torturarsi le mani. «L’ho … L’ho capito e basta.» Incominciò, prendendosi un po’ di coraggio. «Lavoro qui da un bel po’ ormai e …» Si bloccò, portando il suo sguardo improvvisamente duro su quello sorpreso della mora dinanzi a lui. «Oh, andiamo. Come facciamo a non farti schifo?» Sbottò. «Insomma, non siamo normali. Non è normale amare una persona dello stesso sesso! Non è giusto amarlo. È sbagliato.  Siamo sbagliati, capisci?! Non ci accetteranno mai! E poi, guardami! Io sono solo un’inutile servo! Vengo pagato dalla persona che amo! Che diavolo di rapporto è mai questo? Non è nor-» Venne interrotto dalla voce serie di Isabel. Era un continuo interrompersi il loro. Non serviva che finissero di parlare, sapevano già come sarebbero finiti i loro discorsi. Ma quella volta il giovane la lasciò finire, perché non si aspettava delle parole del genere da una ragazza come lei, così inesperta sull’amore ma così matura allo stesso tempo. «Amare è la cosa più giusta che si possa mai fare. Sei fortunato a poterlo fare e a poterlo provare. Non devi pensare che sia una cosa sbagliata. Sì, tu ami Louis. Una persona del tuo stesso sesso. Ma l’importante è amare, no? E tu che puoi farlo non tirarti indietro. Perché forse non ne avrai più la possibilità.» Harold tornò al suo aspetto e al suo comportamento strafottente, rassicurato dalle parole della giovane. «Tua madre ti ha letto molte storie romantiche, non è vero?» Isabel assunse un’aria particolarmente malinconica abbassando leggermente lo sguardo e cominciando a perdersi in ricordi alquanto dolorosi. «Mia madre è morta partorendomi. Comunque era mia sorella quella che continuava a raccontarmi di come si siano conosciuti i nostri genitori. Nessuno nella mia famiglia sapeva leggere, quindi … Scusa …» Disse asciugandosi una lacrima scesa senza controllo sul suo viso al ricordo della sua famiglia oramai scomparsa e lontana. «Sono patetica.» Mormorò, prima di dire con voce decisa, che non le si addiceva per nulla in quel momento: «Forse è meglio se torno a lavorare. Puoi stare tranquillo, non ho intenzione di dire nulla sulla vostra relazione. Spero che duri.» Si allontanò, tenendo con la mano sinistra l’innaffiatoio mentre con la destra si asciugava quelle lacrime salate che non smettevano più di scorrerle sul viso. La sua famiglia le mancava terribilmente, e sapere che la sorella maggiore si trovava in una qualche area sperduta del Regno dei Paesi Bassi era straziante. Almudena era l’unica ad essere rimasta viva dopo la morte del padre. Si erano trasferite in una cittadina vicino Amsterdam dalla Spagna, ma non aveva più sue notizie da mesi quando riuscirono a prenderla e a portarla via dopo che la minore si fosse nascosta all’interno di un armadio nella quale non avevano guardato. E poi era successo ciò che era successo. Era stata presa dall’organizzazione e venduta ad una famiglia alla quale si era affezionata in pochi giorni.

Da quel giorno passarono ben sette mesi. Sette mesi durante il quale Isabel aveva sempre aiutato i due innamorati a non farsi beccare né dalla famiglia, né dalla servitù della quale faceva parte assieme ad Harold.
Era un venerdì il giorno in cui successe tutto. Il padre di Louis lo aveva visto mentre poggiava le sue labbra fini su quelle carnose e rosse di Harold. Era appena uscito dal suo ufficio e, scendendo le scale, lo aveva notato. Dapprima il suo sguardo fu confuso, poi sorpreso e, infine, infuriato. Gettò sugli scalini le carte che teneva in mano per poi scaraventarsi verso il figlio e staccarlo dalla possenti braccia del minore. «Come diavolo ti permetti!» Aveva urlato contro lo stalliere. «Toccare in questo modo mio figlio! Fuori da questa casa! Immediatamente!» Aveva continuato. Il riccio, dal suo canto, non sapeva cosa dire. Non aveva mai immaginato che il padre del suo amato sarebbe venuto a saperlo in quel modo. Avrebbe preferito di gran lunga parlargliene lui stesso, magari seduti su un divano e riferirglielo in maniera più calma e composta.
«Smettila!» Fu la voce di Louis a fermare il patrigno. Entrambi si voltarono verso la sua direzione notandolo teso e con le mani serrate in due pugni stretti a tal punto da far imbiancare leggermente le nocche. «Ci si ama in due! Ma tu non puoi capirlo, vero?! Sono più di due anni che ci amiamo e tu non te ne sei mai accorto! Avevi giurato a mia madre che ti saresti preso cura di me e delle mie sorelle al vostro matrimonio ma alla fine ci hai trattati come delle pezze da piedi! Non ci hai mai calcolati e non hai mai provato un minimo di preoccupazione nei nostri confronti! Nemmeno verso Phoebe e Daisy! Ed ora vuoi imporre la tua volontà su di me? Beh sai che ti dico?! Me ne infischio di ciò che pensi! Io amo Harry e tu non puoi e non potrai mai farci nulla!» Dopo anni, finalmente, Louis si era liberato del peso che attanagliava il suo cuore. Era scoppiato, e in quel momento il suo patrigno lo guardava con aria furente. Gli si avvicinò, serio in volto e con passo lento. Poi, come un fulmine, l’impronta della sua mano fu come incisa sul volto del maggiore, che non riusciva a credere di aver appena ricevuto uno schiaffo. «Riprenditi!» Gli aveva urlato il patrigno. Quest’ultimo si allontanò e, una volta giunto verso le scale che poco prima stava scendendo, si rivoltò nella loro direzione. «Prepara le tue cose, ragazzino. Ti voglio fuori da casa mia entro la serata.»
Ma non erano bastate le parole dure e serie del patrigno per allontanarli. Anche se Harold non lavorava più per la sua famiglia, si vedevano spesso di nascosto. Nei boschi durante l’ora di caccia quotidiana del maggiore, durante le passeggiate a cavallo di quest’ultimo. E, soprattutto, grazie ad Isabel, che ancora non accennava a volerli abbandonare. Era tenace, nessuno poteva averne dubbi.

Però, dopo qualche altro mese, la cuoca vide Isabel allontanarsi col figlio maggiore verso i boschi e, pensando giustamente di guadagnare qualche soldo in più, disse tutto all’uomo di casa.
Li seguirono per tutto il tragitto, tentando di non farsi notare il più possibile.
Quando però il patrigno notò il suo figliastro scendere da cavallo e correre verso una figura alta ed imponente per poi abbracciarla e farsi roteare per un po’ sotto lo sguardo addolcito di Isabel, strinse convulsamente la cinghia legata al muso dell’animale sulla quale era in groppa.
«Spara al ragazzo più alto.» Disse freddamente ad uno dei soldati vicino a lui mentre scendeva dal suo cavallo. «Ma signore, rischio di prendere suo-» Venne interrotto dalla voce decisamente arrabbiata dell’uomo. «Spara.» Gli disse. Mentre si dirigeva lentamente verso i giovani.
Isabel sentì dei passi dietro di lei e, quando si voltò, si ritrovò davanti la figura infuriata del suo padrone, che la scansò facendola cadere.
Accadde tutto in pochi secondi.
Il fucile venne puntato e caricato.
I due giovani si erano staccati all’udito dell’urlo di Isabel.
Si sentì uno sparo ed un urlo roco che si diradò in tutto il bosco.
Louis venne trascinato verso i soldati del patrigno mentre urlava e pregava di essere lasciato così da poter aiutare il suo amato in quel momento a terra sanguinante.
Lanciò uno sguardo ad Isabel, supplicandola con gli occhi di non lasciarlo morire in balia del dolore.
Quella notte Isabel aveva portato Harold nella catapecchia in cui abitava quest’ultimo con la madre malata. Si prese cura di lui. Gli medicò e fasciò il braccio, che per fortuna era l’unica parte che erano riusciti a colpire.
Quella stessa notte, Louis venne portato ad un convento. E venne rinchiuso in una stanza nella quale veniva torturato dalle suore per ciò che era. Per chi amava.
Era contro natura. Era contro il volere di Dio.
Ma infondo, Dio non ha mai detto che amare una persona sia sbagliato. Ha detto di amare il prossimo tuo. Ed è ciò che ha fatto Louis. Ha amato, fino alla fine.

Erano passati 2 mesi da quando, quella notte, Isabel fu cacciata da quella casa. Ma era riuscita a scoprire in tempo che Louis era stato mandato al convento.
Quel giorno, come tutti gli altri giorni, stava aiutando il ragazzo a preparare il pranzo. La situazione salutare della madre di quest’ultimo non era affatto migliorata, e Isabel faceva di tutto pur di farla stare meglio.
La mora si era incantata a guardare la buccia della patate. Prese l’estremità di quella più lunga e cominciò a fissarla come se fosse qualcosa di importante e vitale.
Il suo sguardo si illuminò ed un sorriso furbo le si dipinse sul volto. Il primo dopo tanto tempo.
«Va a dormire, Harry.» Disse, scaturendo la confusione nella mente del ragazzo di fronte a lei, oramai quasi apatico per via dell’assenza del suo amato. Non poterlo più vedere era straziante, non poterlo più sfiorare, baciare, toccare. Gli mancava la sua presenza e voleva averlo con sé in quel momento più che mai.
Isabel rispose alla domanda silenziosa del riccio. «Questa notte abbiamo qualcuno da salvare.»

La mora si era portata con sé una pistola e, assieme al riccio, si era diretta verso il convento.
Dopo aver provato invano a convincere la Madre Superiora con le buone, Isabel puntò la pistola verso l’anziana donna verso di lei che immediatamente si fece il gesto della croce. «Questa è la casa del signore. Non potete né avete tantomeno il coraggio di farlo.» Ma Isabel non si era fatta intimidire ed era riuscita a farsi portare assieme ad Harold verso la stanza dell’amato di quest’ultimo.
Erano giunti all’ultimo piano, e la mora teneva ancora puntata la pistola verso la Madre Superiora che aprì la porta della fantomatica stanza.
Harold, alla vista del corpo magro e colmo di lividi di Louis, gli corse incontro stringendolo tra le braccia e cominciando a piangere e a mormorare parole sconnesse. «C-Credevo fossi … Morto …» Disse il maggiore stringendo per quanto poteva la mano del suo amato.
La suora, approfittando del momento di commozione della giovane, le prese la pistola e li rinchiuse all’interno di quelle mura che furono presenti ad ogni singola tortura subita dal maggiore steso stanco tra le braccia del riccio, che ancora non accennava a smettere di piangere.
Isabel provò ad aprire la porta con scarsi risultati, maledicendosi mentalmente per non essere stata più attenta. «Ragazzi. Credo che il mio piano geniale non sia poi così tanto geniale. Chiameranno i vostri genitori, signor Tomlinson.» Quest’ultimo riuscì a ridacchiare leggermente, poco prima che la ragazza gli facesse bere un po’ alcohol preso dalla dispensa della casa del minore. Una volta spostata la bottiglietta, il castano mormorò: «Non capisco perché le persone a cui tengo di più si ostinino a darmi del lei.» Isabel sorrise, aiutandolo a sedersi. «Perché lei è importante, Louis.»
Almeno, pensò il maggiore, la mora aveva detto finalmente il suo nome.
Passò una mezz’oretta durante la quale Isabel aveva pensato e ripensato ad un modo per uscire da quella stanza infernale.
Poi, come una scintilla, un’idea le balenò nella mente. Aveva puntato lo sguardo verso l’unica finestra di quella camera, per poi spostarlo verso i suoi vestiti e riportarlo nuovamente verso la finestra. In quel momento l’immagine della buccia di patata le era entrata nella mente, come il sorriso che le si formò sul volto. Si alzò di scatto in piedi, attraendo l’attenzione dei due amanti verso di sé. «Toglietevi i vestiti.» Disse, cominciando a farlo lei stessa. I due la guardarono confusi e non accennarono a muoversi. «Forza!» Disse incitandoli a fare ciò che aveva detto poco prima. I due ragazzi cominciarono ad imitarla rimanendo con i calzoni tutti e tre, tranne la mora che aveva anche il corpetto. «E … Ora?» Mormorò il riccio, temendo delle intenzioni della mora. «E ora si lega!» Inizialmente i due amanti non capirono ma, vedendo i movimenti della giovane, presero ad imitarla il più veloce possibile. Dopo poco tutti i loro vestiti erano legati l’uno all’altro sino a formare una lunga corda che fu gettata fuori dalla finestra dopo averla legata ad un gancio lì vicino.
Cominciarono a scendere uno dopo l’altro, stando attenti a non farsi vedere da nessuno.
Riuscirono a scendere e cominciarono a correre, aiutando anche il maggiore che ancora non aveva le forze necessarie per muoversi così velocemente. Riuscirono a superare il cancello del convento con non poche difficoltà finché non furono quasi giunti alla carrozza che li avrebbe portati in una città lontana dalla fantomatica Londinium, lontani da tutte le persone che li avrebbero odiati e che già li odiavano per il loro amore.
In quel momento, però, si sentì un urlo. Un urlo ben conciso, che pareva, anzi era, un comando: «Prendeteli!»
I soldati alle loro spalle presero a sparare inizialmente per spaventarli e per farli fermare ma, quando notarono che questi non accingevano a terminare la loro corsa, li presero di mira.
I due oramai fuggitivi erano a pochi metri di distanza dalla carrozza, quando sentirono l’urlo acuto e doloroso di Isabel, si voltarono trovandola a terra sanguinante. Fecero per tornare indietro ed aiutarla ma lei ordinò loro di correre, di salire sulla carrozza e di salvarsi almeno loro.
E lo fecero. Con fatica e controvoglia, ma lo fecero.

Quella notte Isabel morì assassinata dai soldati della famiglia Tomlinson. Aveva donato la sua vita per la salvezza di un amore impossibile.
A distanza di sei anni, i due ancora rimpiangono di averla lasciata sola, di non averla aiutata. E non sanno se lei sia ancora viva, se sia sopravvissuta, o se sia morta in balia del dolore.
Ed è esattamente dopo sei anni dal loro ultimo incontro, il giorno esatto in cui la videro, che decisero di chiamare la bambina di appena 4 mesi, adottata da poco, Isabel. In memoria di quella ragazza che, nonostante la sua giovinezza, il suo essere così inesperta ma così matura e tenace.
La bambina, come la ragazza, era spagnola. E quindi, era come se fosse rinata.
Ed ora, quella bambina che si trovava tra le braccia dei suoi due papà a quell’epoca, ora si ritrova davanti alle tombe dei suoi genitori. Ora, quella bambina, non è più una bambina. Ora, ha 93 anni. Ed ha visto la città cambiare, ha visto il mondo cambiare. Lei c’era quando avevano approvato i matrimoni omosessuali nel suo stato. E sa che i suoi genitori ne sarebbero stati felici, perché loro non hanno mai avuto la possibilità di sposarsi. Ma hanno avuto quella di amarsi incondizionatamente. Ed a loro è bastato, perché non c’è nulla di più importante delle persone che ami.

Ed ora, davanti a quelle tombe lucide, bagnate dalle lacrime salate di Isabel presa dai ricordi dei suoi genitori, l’anziana donna si accascia. E cade, davanti allo sguardo preoccupato dei suoi due figli. Ed è lì, che la sua vita termina. Tra le braccia dei due giovani che ha amato dal momento in cui sono nati. E tra le braccia dei suoi due genitori, che l’hanno amata dal momento in cui l’hanno vista.


Alloora.
Questa larry ce l'avevo in mente già da due giorni e solo oggi sono riuscita a scriverla!
Ammetto di aver preso spunto da Tierra de Lobos nella quale era Isabel ad essere rinchiusa in convento solo perché era lesbica.
Maaa, bo mi è uscito così xD

Fatemi sapere che ne pensate e, niente non ho voglia di mettervi i banner e i link delle mi altre storie quindi se vi va visitate il mio profilo e leggetele xD



Gecko.

   
 
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