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Autore: Notthyrr    26/06/2013    3 recensioni
[Post-Avengers]
Dopo il fallimento a Manhattan, Loki viene riportato ad Asgard e imprigionato. La possibilità di fuga sembra una luce di speranza che può apprestarsi a raggiungere, ma proprio quando tutto sembra andare male si può comprendere quanto in realtà questo male sia niente...
Il Bifrost sbaglia destinazione, Loki e Thor ancora divisi, su mondi diversi e senza un ricordo.
Sembra siano destinati a non ricongiungersi mai...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore in Cella


Quando la porta si aprì, ebbe occasione di credere che la creatura simile a lui fosse stata di parola: dopo averlo abbandonato in quello stanzino buio con un solo finestrotto che dava sull’esterno – e la luce che ne proveniva era davvero misera –, gli aveva confermato che presto sarebbe tornato qualcuno di piùautorevole, qualcuno che lo avrebbe con tutta probabilità convinto a parlare; come, non l’aveva detto.
La creatura che entrò non era diversa dalle altre, anzi: se il suo sguardo incuriosito non l’avesse tradito, sarebbe benissimo potuto essere uno di quelli che aveva incontrato poco prima nel mezzo della neve, tanto erano simili l’uno all’altro. Gli lasciò davanti ai piedi un vassoio con due ciotole, gli lanciò un’ultima occhiata, poi se ne andò, tradendo le sue aspettative di avere finalmente compagnia se non il modo di andarsene da lì.
In fondo, poi, non si sentiva nemmeno così prigioniero: a parte le piccole dimensioni della cella e il freddo, quantomeno si trovava al sicuro all’interno di un palazzo – che fossero i sotterranei poco gl’importava – e sia i polsi che le caviglie gli erano stati lasciati liberi. Inoltre, aveva dovuto attendere appena pochi minuti perché qualcuno gli portasse qualchecosa di cui nutrirsi. Poco, certo: uno strano alimento croccante all’esterno e bianco e morbido dentro, ma che aveva placato il fragore nel suo stomaco, e una ciotola colma d’acqua.
Prima di bere e dissetarsi, scacciando così quell’arsura che gli aveva bruciato la gola, si spostò alla luce della finestra, la scodella in grembo: si era dunque specchiato sulla superficie cristallina, osservando con attenzione i tratti del suo viso. Come aveva avuto modo di notare studiandosi mani e gambe, la sua pelle era di una sfumatura non molto scura di blu, solcata da alcune linee soltanto sulla fronte, giusto all’attaccatura dei capelli, che erano neri come il buio di quella stanza. Gli occhi erano del tutto identici a quelli dei suoi carcerieri – o avrebbe dovuto chiamarli salvatori? –, completamente scarlatti se non per una piccola pupilla nera al centro. Per il resto, i suoi denti erano bianchissimi e le sue guance lisce, prive di barba. Di certo, non aveva canoni per definirsi attraente o meno.
Bevve allora con avidità dalla scodella, scoprendosi ancora assetato, ma quando la porta sussultò di nuovo, spalancandosi verso l’interno, l’essere che era comparso non aveva vassoi o brocche d’acqua.
Si distingueva dagli altri soprattutto per le vesti: non portava una tunica sgualcita, ma un raffinato abito blu notte ricamato d’oro ai bordi e sulle maniche. Anche il suo viso aveva lineamenti più fini e, a differenza delle altre creature che aveva fino ad allora incontrato, aveva lunghi capelli neri raccolti in una coda che gli posava sulla spalla sinistra.
Persino lui, che agiva e pareva ragionare come un bambino che aveva appena cominciato a intendere, capì di trovarsi davanti a qualcuno d’importante ‒di molto importante, stando ai bracciali e ai gingilli dorati che gli pendevano sul petto e tra i capelli ‒e si tiròin ginocchio, gettandosi quindi ai piedi del suo visitatore, il corpo premuto al suolo e il viso nascosto tra le braccia, protese in avanti.
«Non c’è bisogno che tu ti premuri di mostrarmi rispetto.» si annunciò la creatura, facendogli alzare prima il capo, poi l’intero busto.
«Se nemmeno qualcuno nella mia bassa condizione deve inchinarsi, allora vorrei sapere chi dovrebbe farlo.»
La creatura sorrise appena e s’andò a sedere di fronte a lui: «Quello che hanno detto i miei soldati è vero, quindi?»
«Non posso sapere che cosa loro hanno detto di me…»
«Già… Mi hanno detto che hai battuto la testa, infatti vedo delle fasce attorno alla tua nuca. Ti senti bene, ora?»
«Siete qualcuno di troppo importante, o almeno così m’apparite, per preoccuparvi di uno come me…»
«Ti ho detto di non dilungarti in convenevoli.»
«Vi chiedo perdono, volevo solo non apparire scortese… Forse, nelle mie parole non c’è che interesse, dal momento che immagino di essere un semplice schiavo che, fuggendo, è incappato in un incidente e ha perduto i suoi ricordi.»
«Parli bene per essere uno schiavo. C’è forse qualcosa che mi nascondi?»
«Non più di quanto non nasconda a me stesso…»
«Quindi sei sincero.»
«Non vedo in che modo potrei mentirvi senza mentire a me stesso. Probabilmente, se lo facessi, sarei il primo a esserne al­l’oscuro.»
«E la tua testa è completamente vuota, priva di ogni singolo ricordo.»
«Per quanto ne so io, sono nato in mezzo a una distesa di neve. Poi ho camminato fino a imbattermi nei vostri uomini. Così sono finito qui.»
«Non t’importa sapere dove ti trovi?»
«È una domanda che mi sarebbe piaciuto molto porvi, ma poi mi sono detto che non mi serviva a molto saperlo quando non ero a conoscenza nemmeno di chi fossi io.»
«Ti trovi nel palazzo del re, a Jötunheim.»
«Jötunheim? Trattasi di una città?»
«Noi chiamiamo così il nostro mondo.»
«Sottintendete quindi che ve ne siano altri.»
«Altri otto. Ma ora non è importante.»
«Avete detto che mi trovo al palazzo del re. Chi è costui?»
«Ce l’hai di fronte.»
«E un re verrebbe a parlare con un prigioniero?»
La creatura sorrise di nuovo e si mordicchiò un labbro: «Veramente, non sono ancora abituato a questo ruolo. Mio padre, il precedente re, è morto recentemente per mano di un Asgardiano e…»
«Asgardiano?»
«Un abitante di Asgard, il regno degli dèi. Sono… uomini…» tentò di spiegargli. «… con la pelle bianca e gli occhi di diversi colori. Sono molto più piccoli rispetto noi, per questo ci chiamano giganti.»
«Piccoli… come me?»
L’essere sospirò e deglutì a vuoto: «Ma se posso rispondere alla tua domanda “Dove mi trovo?”, non saprei cosa dirti riguardo la tua identità. Davvero non hai nessun ricordo precedente l’incidente… o che riguardi lo stesso?»
Lui parve prendersi un po’ di tempo per pensarci. Cambiò posizione, trovandosi improvvisamente scomodo sulle ginocchia, poi si strinse le braccia al petto per farsi caldo: «Quando mi sono svegliato, davvero non avevo un’idea del mondo, poi, pian piano, mi sono ricordato che cosa fosse la neve, che cosa il cielo e che cosa la fame. Avevo trovato tracce del mio sangue al suolo, ma ero ancora troppo confuso per capire che fosse davvero mio. Prima di questo, ricordo solo tanta luce, più di quanta, credo, potrò mai più rivedere in vita mia. Come se la Luna splendesse proprio nel mio cervello.»
«La Luna?»
«Sì.»
Il gigante lo scrutò con una strana aria per qualche secondo, stringendo gli occhi come se non riuscisse a inquadrarlo, poi: «Continua, se hai altro da dirmi.»
«Non molto. Non c’era nulla in quella luce, o almeno io non lo distinguevo. Però… mi ricordo una voce.»
«Questo è buono. Che cosa diceva?»
«Una parola. Una sola. Il mio…  nome
«Quindi ti ricordi almeno come ti chiami.»
«Sì, credo. Ma non sono sicuro che sia davvero il mio. Quella voce… chiamava Loki
La creatura davanti a lui annuì: «Se è così che vuoi essere chiamato, d’ora in avanti non ci sarà motivo di utilizzare un diverso appellativo per riferirci a te.» Seguitò a fissarlo per un altro po’, poi: «Ti ricordi chi ti stava chiamando?»
«No, non ne ho idea…»
«E quella voce era di uomo o donna?»
«Non so nemmeno questo. C’era confusione e il timbro di voce ora mi sfugge.»
«D’accordo, non preoccupartene.» Con un sospiro la creatura si alzò, stiracchiandosi le braccia. L’altro restò a guardarlo con le sopracciglia leggermente incurvate verso la radice del naso, la fronte aggrottata: non gl’importava se quello che aveva davanti era davvero il re. Quello che non voleva, era rimanere ancora da solo. Era durato troppo.
Il gigante allontanò la coda di capelli corvini dalla spalla e andò ad aprire la porta, poi si rivolse verso il prigioniero: «Vieni.» lo incoraggiò. «Loki. Qualcosa mi dice che sei sincero.»
«Intendete che io possa…?» Esitante, il giovane privo di memorie si alzò, puntellandosi sulla mano destra. Si avvicinò piano all’altro, di quasi due spanne più alto di lui, che continuava a sorridergli sereno.
«Non ho motivo di non crederti. Inoltre, so per certo che non sei uno schiavo. Sei così bello e poi… devo ammettere che il tuo volto… assomiglia tanto al mio…»



So close, so far, I’m lost in time
Ready to follow a sign, if there was only a sign…





 

Note: Boh ^^ In queste note non so proprio che scrivere, sarà che sono io ad essere fusa, sarà che questo capitolo comincia già a deprimermi, credo non ci sia molto da dire, o almeno: credo non ci sia molto da dire che non venga spiegato meglio nel capitolo successivo, quindi...
Per mantenere la linea positiva, la canzone è Justify (ovviamente dai "The Rasmus"), che è qualcosa di stupendo.
Ricordo ai cari lettori che hanno avuto il coraggio di spingersi a leggere pure le note che una recensione è sempre molto gradita e vi prende solo due minutini per dirci una parola gentile :D
Grazie mille a tutti,

~Notthyrr

 

  
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