Fanfic su attori > Cast Castle
Segui la storia  |       
Autore: LaniePaciock    26/06/2013    6 recensioni
Non vi siete mai chiesti come sia nata la grande famiglia Castle, come ogni personaggio abbia trovato il suo attore perfetto? Non vi siete mai chiesti come tutto è iniziato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'How it all began'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap.9 Victoria ‘Iron’ Gates


Tre anni (e qualche mese) dopo.
Il suono improvviso della sveglia mi fece prendere un infarto. La spensi con un colpo secco e mi passai le mani sulla faccia. Erano già le 7?? Sbuffai scocciato. Quanto potevo aver dormito? Quattro ore in tutto? Se poi dormire si poteva chiamare il chiudere occhio per al massimo venti minuti per poi risvegliarsi...
Mugugnai scontento e cacciai la faccia nel cuscino. Non avevo proprio voglia di alzarmi. Se poi pensavo a una delle scene che avremmo dovuto girare nel giro di qualche ora, avevo solo voglia di rintanarmi ancora di più tra le coperte. Che senso aveva tanto passare da una litigata all’altra? La sera prima con Serena, in giornata con Stana! Beh, non proprio con Stana, ma con Kate. Nel pomeriggio avremmo dovuto registrare la scena dell’ultimo episodio della stagione a casa Beckett con Kate e Rick che litigavano. Poi sarebbero mancate la parte all’hangar con Ruben, che però avremmo recitato solo a sera, e quella al cimitero per i funerali di Montgomery. Tutto il resto dell’episodio era già pronto.
Mi voltai con un sospiro e rimasi diversi minuti a contemplare il soffitto, perso nei miei pensieri, prima di decidermi ad alzarmi. Passai dal bagno e poi mi diressi in cucina. Avevo voglia di qualcosa di dolce, ma allo stesso tempo non avevo voglia di preparare niente, così recuperai i cereali e una tazza di latte in cui infilai un bel cucchiaio di miele.
Appena finita la colazione, feci per tornare in camera, ma mi fermai davanti alla portafinestra del salone. La vista era stupenda: da una parte Los Angeles, dall’altra il Pacifico. Non era più quella del mio vecchio appartamento. Avevo cambiato casa poco prima dell’inizio della seconda stagione di Castle. Sinceramente non mi sarei voluto spostare da dove stavo, ma un mio vicino era diventato un fan accanito del telefilm, quasi da stalker, e io avevo adocchiato questa fantastica villetta quasi alla periferia della città. Così l’avevo comprata e mi ci ero trasferito. Dovevo ammettere di aver fatto un ottimo acquisto. Era spaziosa e con un grande giardino sul retro, ottimo per organizzare grigliate con gli amici.
La vista mi attirava. Così aprii la portafinestra e uscii sul terrazzo com’ero, in maglietta e pantaloncini. Nonostante l’orario e il fatto che fossimo ancora ad aprile, il Sole era già ben visibile e caldo sull’orizzonte. Feci qualche passo e andai ad appoggiarmi alla ringhiera del balcone. Il mio sguardo si perse oltre la linea del mare mentre i miei pensieri volavano alla litigata con la mia ragazza, Serena, della sera prima.
In fondo, senza contare il finale, era stata anche una bella serata. Eravamo stati insieme a degli amici e ci eravamo divertiti parecchio. Poi però, a un certo punto, lei aveva semplicemente pensato bene di prendere e andarsene, mollandomi lì. L’avevo poi chiamata al cellulare per tentare di capire dove fosse sparita e avevamo finito per litigare…
 
“Serena, finalmente!” esclamai appena prese la chiamata dopo il quinto squillo. “Dove sei? Perché te ne sei andata senza dire niente?” Non ero arrabbiato. Volevo solo una spiegazione, mi ero preoccupato che fosse successo qualcosa.
“Sono a casa” rispose lapidaria. Aggrottai le sopracciglia. E ora perché quel tono?
“Stai… stai bene, sì?” chiesi cauto. Ci conoscevamo da quattro mesi e stavamo insieme da tre. Probabilmente la relazione più lunga che avessi avuto negli ultimi tempi. Solo che da un po’ di tempo a questa parte, Serena a volte sembrava diventare più fredda senza che io avessi mai capito il perché.
“Sì, sto bene” replicò secca. Rimasi per qualche secondo in silenzio, confuso. Che diavolo le prendeva??
“Tesoro, se ho fatto qualcosa che non…”
“Non chiamarmi ‘tesoro’!” mi interruppe lei brusca e decisamente arrabbiata. Presi un respiro profondo per restare calmo.
“Serena, vuoi dirmi cosa c’è che non va?” le chiesi alla fine con tutta la pazienza che riuscii a racimolare.
“Non c’è niente che non va!” esclamò di rimando.
“Certo, come no!” commentai scocciato. “Senti, quando avrai deciso di darmi una spiegazione fatti sentire, ok?” aggiunsi subito dopo. Stavo per chiudere la chiamata quando mi fermò.
“No, aspetta!” Attesi qualche secondo, ma lei non aprì bocca.
“Hai intenzione di dirmi qualcosa?” domandai irritato.
“Magari sei tu a dovermi dire qualcosa!” replicò lei sarcastica. Ma che…??
“Serena, che cavolo stai…”
“Stana Katic” disse subito lei tagliandomi le parole in bocca. Rimasi zitto per un attimo, perplesso.

“Che c’entra Stana?” domandai, in quel momento più stupito che arrabbiato.
“‘Oh, ma che donna stupenda è Stana…’” iniziò a dire in falsetto. Io rimasi a bocca aperta. Stava parafrasando le parole di uno dei nostri amici mentre cenavamo. “‘Ma che intesa pazzesca avete sul set, come fate a far sembrare tutto così reale, anche il bacio pareva così sentito...’”
“Finiscila!” sibilai con la rabbia che montava. “Lascia Stana fuori da questa discussione!”
“Nathan, Stana è la causa della nostra discussione!” replicò subito lei.
“Lei è la mia partner!” replicai punto sul vivo. “È normale che…”
“Lei non è la tua partner, Nathan!” mi fermò lei con tono esasperato, come se si tenesse dentro quel peso da una vita e ora avesse deciso di rivelarmelo. “Tu e lei non siete Castle e Beckett, lo scrittore e la sua musa! Siete Fillion e Katic, due attori! Lei non è la tua partner, è la tua collega!”

“E qual è la differenza?” domandai con la rabbia che mi ribolliva nelle vene. “Illuminami, ti prego!” aggiunsi sarcastico.
“Qual è la…” ripeté lei come se fossi impazzito. “Nathan, se sei partner di Stana, allora lo sei anche di Jon e Seamus, giusto? O di Molly? O di Tamala?” Strinsi la mascella fino a farmi male, i pugni serrati. Se avessi strizzato ancora un po’ il cellulare sapevo che mi sarebbe scoppiato contro l’orecchio. Non dissi niente. Attesi, con il respiro pesante e il cuore che mi pulsava forte dalla rabbia, che finisse di parlare. Se anche avessi voluto parlare non avrei potuto, tanto la mia bocca era serrata e la mia gola secca. “Lo vedo come la guardi, sai?” disse alla fine in un sospiro, come se tutta la sua rabbia si fosse sgonfiata. “Come ti comporti con lei, come ne parli…”
“È solo lavoro…” tentai di dire, duro, per difendermi, ma lei mi interruppe ancora una volta.
“Non prendermi in giro, Nath. Per favore non farlo.” La sua voce sembrava stanca. “Tu sei una persona fantastica. Dico sul serio. Ma devi capire quello che vuoi veramente…” Sbuffai irritato e ironico alle sue parole. “Nathan, so che non è facile. Dico davvero. Stare ore e ore con una persona con cui si deve far finta di essere innamorati…” Si fermò. Non dissi niente e attesi che riprendesse a parlare. Forse voleva che le dicessi che non ero innamorato di Stana, che appunto era solo una finta e che ero in realtà follemente innamorato di lei, la mia ragazza. Se anche fosse stato così non l’avrei fatto. Non in quel momento. Alla fine sospirò. “Forse dovresti iniziare a pensare a cosa vuoi realmente, Nath. Sei un bravissimo attore e potresti cercare magari qualcos’altro da fare e…”
“Grazie delle tue perle di saggezza” risposi gelido. Mi stava seriamente suggerendo di abbandonare Castle? “Le prenderò sicuramente in considerazione.”
“Nathan…” mormorò, stavolta con tono allarmato. “Forse mi sono espressa male, io…”cercò di rimediare, ma era inutile.
“No, no, Serena, tranquilla. Ti sei espressa benissimo.” La fermai ancora più freddo di prima. “Anzi direi che ora farò esattamente quello che mi hai detto. Cercherò qualcosa d’altro da fare. Buonanotte” conclusi veloce e lapidario. Riattaccai senza nemmeno darle il tempo di replicare.

 
Sì, in effetti ormai forse avrei dovuto dire che era la mia ex-ragazza.
Mi passai una mano tra i capelli. Da tre anni a questa parte con quante delle mie ex avevo avuto simili discussioni? Quasi tutte? E l’argomento centrale era sempre lei: Stana. Eppure ogni volta, all’inizio, ero ben chiaro. Io e Stana lavoravamo insieme e se il copione diceva ‘baciatevi’ noi lo dovevamo fare, che ci piacesse o meno.
In quel momento mi venne in mente Trisha, la ragazza con cui stavo all’epoca del mio bacio con Stana nell’episodio Knockdown. L’avevo avvertita che avremmo dovuto baciarci e a lei sembrò andare bene. Poi qualche giorno dopo Trisha venne sul set e mi convinse a farle vedere in anteprima il bacio. Mi lasciò il giorno seguente, al culmine di una litigata sul come ‘io non l’avessi mai baciata come avevo fatto con la mia collega’ nella registrazione. E che potevo farci? Dirle che non era vero? Andiamo, chi volevo prendere in giro!
Lasciai vagare ancora una volta lo sguardo sul mare e miei pensieri tornarono proprio a quel giorno, a quella scena, a quel bacio. Solo in quel momento, quando avevo attirato le labbra di Stana sulle mie, avevo capito come stavano davvero le cose. Solo quel giorno avevo compreso perché non riuscissi a tenermi una ragazza per più di qualche tempo: perché avevo creduto di aver dimenticato il sapore della sua bocca. Invece mi ero accorto infatti di non averlo mai fatto. Non ero riuscito a scordare quel sapore. Neanche volendo. Avevo tentato di nasconderlo a me stesso, cercando un gusto migliore in altre labbra. Che idea stupida e impossibile.
La cosa divertente tra l’altro era stata che io stesso, proprio per paura di non riuscire a lasciarla andare, avevo detto a Stana che mi sarei lavato i denti con del tonno. Sorrisi al ricordo. Lei aveva risposto che avrebbe provveduto a trovare dell’aglio. Quell’idea l’avevo preso da Laura Prepon, ossia Natalie Rhodes, l’attrice che avrebbe dovuto interpretare Nikki Heat e che tentava di copiare Kate. Prima di baciarmi infatti, Laura si era mangiata una scatola di Pretzel con burro d’arachidi. Avevo sentito subito il sapore strano e particolare, per nulla simile a quello che immaginavo avrebbe dovuto avere. Avevo sperato che con del tonno, che mi ero sparso davvero sui denti, e l’aglio, che sperai avrebbe usato Stana, il risultato sarebbe stato lo stesso: non percepire il gusto corretto. E invece mi ero completamente sbagliato. Ma come avrei potuto sapere che per non sentirla avrei dovuto mangiare io tonno e aglio per un mese??
Chiusi gli occhi, ricordando il suo sapore. Una leggera brezza mi scompiglio il ciuffo, ma non me ne curai. Non faceva freddo. Anzi, iniziava a fare decisamente troppo caldo. E di certo non era a causa della temperatura esterna. Ero io che producevo calore al ricordo di Stana contro il mio corpo, mentre la tenevo stretta per il viso, quasi con il terrore che scappasse. Mi ricordai che durante le riprese, automaticamente, avevo cercato di approfondire il bacio, ma non ci ero riuscito perché lei si era staccata da me (come diceva il copione e come io avevo completamente dimenticato). Subito dopo era scoppiata a ridere e il mio cuore aveva perso un battito. Lavorare con lei mi permetteva di scherzare con lei e farla ridere spesso, ma erano anni che non eravamo così vicini e che Stana non mi sembrava così allegra. Non so neanche io bene in realtà perché avesse riso. Forse per la mia faccia da pesce lesso. Avevo visto le foto che ci avevano fatto e si vedeva chiaramente che ero rimasto semi paralizzato. Altrimenti l’altra possibilità era che fosse una risata liberatoria per Castle e Beckett, che finalmente si erano baciati. Possibile anche questa visto che Stana era tra le prime fan di quei due. O forse era semplicemente scoppiata a ridere perché aveva sentito che io mi ero davvero spalmato del tonno sui denti e lei l’aglio, esattamente come, scherzando, avevamo detto di fare. Come due simpatici idioti. Forse, alla fin fine, era stato un mix di tutto.
Quella constatazione mi fece tornare un mezzo sorriso sulle labbra. Scossi al testa divertito e rientrai in casa. Notai di sfuggita l’ora e feci un verso sconfortato. Avevo cinque minuti per cambiarmi e cercare di non fare tardi agli studios.
 
Tre quarti d’ora dopo entrai sul set della casa di Beckett. Appena arrivato, Kristen, la mia truccatrice e assistente tuttofare, mi prese per un braccio e mi tirò nel mio camerino lamentandosi del mio ritardo. Sarà stata alta al massimo un metro e cinquanta, tanto che dovevo sempre sedermi o abbassarmi perché arrivasse alla mia faccia, ma era tra le migliori e soprattutto non era il caso di farla arrabbiare. A meno di non volersi ritrovare una furia contro. Una furia di cinquanta chili che neanche mi arrivava alla spalla, ma sempre una furia.
Come al solito, Kristen mi diede gli abiti che avrei dovuto indossare nei panni di Castle mentre mi spiegava come si sarebbe svolta la giornata delle riprese e quello che aveva intenzione di fare Marlowe. Conoscevo il copione, ma poteva capitare che ci fossero degli inconvenienti e che quindi bisognasse rifare qualche scena o cambiare qualcosa nel programma delle riprese. Kris mi comunicò che avremmo girato al mattino e per parte del pomeriggio la scena a casa di Beckett, poi avremmo raggiunto l’hangar dell’eliporto, creato appena fuori gli studios, e fino a tarda sera avremmo registrato lì la morte di Montgomery.
Mi cambiai velocemente. L’abbigliamento era piuttosto informale rispetto agli standard di Castle, ma molto comodo: jeans neri, camicia grigio chiaro con sottili righe più scure e giacca marroncina. Al solito lasciai un paio di bottoni aperti al collo e richiamai Kristen. La donna mi truccò per le riprese e mi sistemò i capelli, quindi mi spedì in scena.
Casa Beckett era occupata da un gran viavai di tecnici che facevano gli ultimi controlli di interni, luci e telecamere. Io e la mia partner saremmo stati gli unici attori sul set quella mattina, visto che la scena post morte di Montgomery con Jon e Seamus a casa di Kate eravamo riusciti a registrarla il giorno prima e Ruben sarebbe arrivato solo nel pomeriggio.
Notai Stana seduta al tavolo al centro della sala che ripassava il copione. Indossava semplicemente un paio di jeans chiari, un maglietta a maniche corte grigia e un paio di scarpe basse nere. Sembrava estremamente concentrata e pensierosa. E sempre bellissima.
Feci lo slalom tra un paio di cameraman intenti a discutere su quale fosse l’angolazione migliore per le varie riprese e la raggiunsi.
“Ehi” la salutai per manifestare la mia presenza. Stana alzò la testa dai fogli e mi sorrise.
“Ehi” replicò. “Come va? Pronto per la scena?” Annuii come se fosse tutto normale, cercando di far finta di niente, ma spostai lo sguardo sulla sala affollata per non doverla guardare negli occhi. Avevo ancora in mente la litigata con Serena.
Come se mi avesse letto nel pensiero, il mio telefono squillò e vidi il nome della mia ex su di esso. Rifiutai la chiamata con uno sbuffo. Era dalla sera prima che continuava a chiamarmi e quella doveva essere la decima volta che non rispondevo. Stana mi guardò interrogativa, ma io scossi la testa e non dissi niente. E poi che avrei potuto dirle? Che era lei il mio problema?
“Ragazzi, potreste spostarvi un momento?” domandò Andy, uno dei cameraman. “Dobbiamo controllare le postazioni della sala.”
“Sì, certo” esclamammo entrambi. Stana si alzò e ci spostammo fuori dalla sala per lasciar lavorare i tecnici. In quel momento mi suonò di nuovo il telefono. Ancora una volta rifiutai la chiamata con un gesto nervoso. Se aveva avuto il coraggio di chiedermi se volevo lasciare Castle, allora non aveva capito niente di me e non aveva neppure rispetto per il mio lavoro. Mi decisi a scriverle un veloce messaggio, sperando che finalmente capisse il concetto.
 
Lasciami in pace, Serena. Sei già stata abbastanza chiara ieri sera e non ho voglia di litigare di nuovo. Quindi smettila di chiamarmi.
 
Non era granché lasciare le persone in questo modo, ma mi ero stufato.
“Uh, Nath, tutto bene?” La voce di Stana mi fece sobbalzare.
“Sì, sì, scusa” risposi infilandomi di nuovo il cellulare in tasca. Mi guardò con un sopracciglio alzato.
“Davvero? Perché questa mi sembra almeno la terza volta da quando sei entrato che non rispondi alla chiamata…”
“E allora?” replicai brusco. Non volevo essere scortese anche con lei, ma ero già abbastanza irritato di mio.
Allora, tu rispondi sempre” dichiarò Stana. Sbuffai e strinsi la mascella. “Problemi con Serena?” mi chiese alla fine cauta dopo qualche secondo di silenzio.
“Perché, a te che ti importa?” risposi secco. Cazzo, il mio problema sei tu Stana! Tu e la mia testa bacata che non riesce a smettere di pensarti!
Lei mi guardò male, ferita dalla mia risposta.
“Sono tua amica…” cercò di dire, ma io la bloccai.
“Ah, è questo che siamo?” le domandai sarcastico. Le parole mi erano uscite quasi spontanee, citando quelle che, avevo imparato, Beckett avrebbe detto a Castle durante la loro discussione.
Lei mi guardò stupita per un momento. Quasi mi aspettai che mi rispondesse come Rick: ‘Non lo so cosa siamo’. Ma non fece in tempo perché Bowman venne proprio in quel momento a chiamarci per girare. Senza aspettare oltre mi voltai e mi portai direttamente dietro la porta dell’appartamento di Beckett. Sentii gli ultimi spostamenti al di là della porta e ne approfittai per cercare di riprendere la calma. Respirai a fondo per un paio di volte, cercando di ricordarmi che stato d’animo dovesse avere Castle. Preoccupato senza dubbio. La sua partner stava rischiando la vita per il caso di sua madre e lo scrittore doveva fermarla. La sua partner
Alzai gli occhi e li puntai sulla porta scura davanti a me, oltre la quale potevo sentire Marlowe che dava le ultime spiegazioni a Stana su dove muoversi. Mi tornarono in testa le parole di Serena. Lei non è la tua partner. Sospirai tristemente. In fondo aveva ragione. Chi volevo prendere in giro? Eravamo colleghi, co-star magari. Ma non partner. No, noi non saremmo mai stati come Castle e Beckett. Sperai solo che quei due testoni sarebbero riusciti dove io e Stana avevamo fallito…
Il richiamo all’ordine e al silenzio di Marlowe mi fece tornare alla realtà. Scossi la testa. Presi un respiro profondo e mi preparai alla scena. Mi spostai appena per permettere alla telecamera dietro di me di avere una buona inquadratura sulla porta. Meno di un secondo dopo, Andrew diede il via.
Bussai e attesi. Stana/Kate mi aprì la porta e io, con un mezzo sorriso, le chiesi se potevo entrare. Mi rispose affermativamente, quindi mi infilai dentro l’appartamento parlandole del terzo uomo che era insieme a Raglan e McCallister. Mentre la informavo, quasi mi dispiacque per loro. Avrebbero scoperto molto presto del passato di Montgomery.
Mi mossi per la stanza mentre lei mi chiedeva perché non le avevo semplicemente telefonato. Come faceva Beckett a essere così cieca? Non era ovvio che Castle era andato da lei perché voleva vederla, perché voleva controllare con i suoi occhi che stesse bene e al sicuro? Come poteva non essersi accorta dei suoi sentimenti?
Le parlai di Lockwood, del fatto che fossi convinto che, nonostante fossi un ottimista, non avremmo vinto e che lei sarebbe stata la prossima sulla lista delle persone uccise.
“Castle, they killed my mother. What do you want me to do here?”
“Walk away. They're gonna kill you, Kate. And if you don't care about that, at least think about how that's going to affect the people that love you. You really want to put your dad through that? And what about Josh?”
“And what about you, Rick?”
“Well, of course I don't want anything to happen to you. I'm your partner. I'm your friend.”
“Is that what we are?”
Eccole. Quelle due frasi. “Sono tuo amico.” “È questo quello che siamo?” L’unica differenza era che stavolta era lei a chiederlo a me. O meglio Kate a chiederlo a Rick. Ma in quel momento non mi importava, non riuscivo a distinguere la differenza tra loro e noi. Quella frase, detta per esigenze copione, mi fece quasi impazzire. Mi trattenni a stento dall’urlare, ma non avrei voluto altro che scaricare quella rabbia che aveva iniziato a scorrermi nelle vene come un fiume in piena. Il cuore prese a battermi furioso, quasi volesse uscire anche lui per prendere a pugni qualunque cosa gli si fosse parata davanti. Cosa siamo noi, Stana??
Strinsi la mascella e serrai i pugni.
“Alright, you know what? I don't know what we are.”
Cosa siamo? Amici? Non prendiamoci per il culo, non siamo mai stati solo quello. Siamo sempre stati più che amici, ma sempre con il freno tirato. E la cosa non mi andava più bene. Mi stava rovinando la vita quel nostro patto di tre anni prima. Non perché non potessi avere nessuna donna. Al contrario. Perché sapevo di non poter sperare di avere lei.
“We kiss, and then we never talk about it.”
Frase quanto mai vera anche per noi. Dopo quel bacio, dopo il nostro patto, non ne avevamo più riparlato. Come se veramente non fosse mai accaduto. Nemmeno dopo il bacio sotto copertura di Castle e Beckett eravamo riusciti a parlarne. Semplicemente l’avevamo messa sullo scherzo. Come ogni cosa tra di noi. Come sempre.
Mentre parlavo avevo gli occhi puntati su Stana. Potevo vedere chiaramente come le nostre battute avessero colpito anche lei, anche se forse la cosa che più la ferì, sia come Stana che come Kate, fu la mia rabbia a stento controllata. Cercai di concentrarmi sulla battuta di Castle. Il rancore che avevo in corpo era più che abbastanza per simulare quello di Rick.
“We nearly die frozen in each other's arms, but we never talk about it. So, no, I got no clue what we are. I know I don't want to see you throw your life away.”
“Yeah, well, last time I checked, it was my life, not your personal jungle gym.”
Sbuffai alla sua uscita e mi passai una mano tra i capelli.
“And for the past three years, I have been running around with the school's funniest kid, and it's not enough.”
Nel dire l’ultima frase Stana/Kate si allontanò da me per andare verso la porta dell’appartamento, probabilmente per cacciarmi fuori. Ma non le diedi il tempo di arrivarci.
“You know what? This isn't about your mother's case anymore. This is about you needing a place to hide. Because you've been chasing this thing so long, you're afraid to find out who you are without it.”
“You don't know me, Castle. You think you do, but you don't.”
Il suo tono era chiaro e deciso. Quasi troppo, contando che stavamo solo recitando. Chi stava parlando in quel momento, tralasciando il caso di Johanna Beckett e il fatto di avere altri nomi. Rick e Kate o Nathan e Stana?
“I know you crawled inside your mother's murder and didn't come out. I know you hide there, the same way you hide in these nowhere relationships with men you don't love.”
Nel dire l’ultima frase mi avvicinai a lei e gliela sputai quasi in faccia, specificando bene il ‘con uomini che non ami’. Nei suoi occhi per un attimo vidi la sorpresa. Oh, andiamo! Mi credeva davvero così stupido? Come se non mi fossi accorto che anche lei, esattamente come Kate, stava sempre con un piede fuori dalla porta in ogni sua relazione. Non ne aveva avute molte, certo, ed erano sicuramente durate più delle mie, ma non era mai stata completamente presa. Non aveva lasciato che nessuno si avvicinasse al suo cuore, nonostante lei fosse molto più aperta di Beckett.
A quel punto mi calmai un poco, anche se la mia rabbia non era svanita.
“You could be happy, Kate. You deserve to be happy. But you're afraid.”
Quello che dissi per Kate, valeva anche per Stana. Meritavano entrambe quelle donne di essere felici.
“You know what we are, Castle? We are over. Now get out.”
Il suo tono era estremamente ferito. E la calma con cui lo disse fece sentire peggio me, quasi fossi io il destinatario di quelle parole e non Castle. O almeno lo sperai che fosse ancora lui.
Stana/Kate mi passò davanti senza più guardarmi né dirmi altro. Io feci un gesto stizzito per non essere riuscito a farla ragionare e, da copione, uscii dall’appartamento.
“STOP!!” L’urlo di Marlowe mi fece prendere un colpo. Ero cosciente che stavamo recitando, ma una qualche parte di me l’aveva dimenticato. “Nathan, Stana, siete stati semplicemente fantastici!” esclamò allegro avvicinandosi a noi. Stana era ancora immobile, tesa, in mezzo all’appartamento di Beckett. Io ero alla porta, voltato solo per metà verso di loro. Alzai lo sguardo e lo incrociai con quello della mia collega. Il dolore che lessi nei suoi occhi mi provocò una fitta lancinante al petto. Un momento dopo però lei distolse lo sguardo e fece un mezzo sorriso a Andrew che le stava già dicendo, eccitato come un bambino a cui fanno un regalo in anticipo, che con quel passo nel giro di un paio d’ore avremmo finito con tutte le riprese a casa Beckett, forse anche prima della pausa pranzo.
Intorno a me sentivo gli operatori muovere le varie telecamere da una postazione all’altra. Io però non ci feci minimamente caso. Ero ancora immobile alla porta, una mano sulla maniglia, lo sguardo puntato verso Stana. Mi odiavo da solo. Avevo riversato la mia rabbia su di lei, ma non ce l’avevo davvero con lei. Ce l’avevo con me stesso, per non essere riuscito ad andare avanti tre anni prima e a far finta di niente. La colpa era mia, che fino a quel momento non avevo voluto vedere quello che era cambiato davvero tra di noi. Questo pensiero mi fece sentire solo più stupido e irritato. Guardai di nuovo Stana.
“Ok, siamo tutti pronti!” esclamò Marlowe in quel momento sfregandosi le mani. Fu in quel momento che mi lanciò un’occhiata che lo bloccò. Il sorriso che aveva avuto fino a un momento prima sulla faccia scomparve. “Nath, va tutto bene?” Strinsi la mascella e mi costrinsi ad annuire e a fare un mezzo sorriso tirato. “Ok…” disse dubbioso Andrew. Guardò per un momento Stana, ora con gli occhi rivolti a un punto indefinito del pavimento, pur di non vedermi, e poi tornò su di me. “Uhm… ragazzi ormai una scena è fatta. Se andate così bene anche adesso vedete che fra un po’ abbiamo finito. Ce la fate a continuare?” Annuimmo entrambi. “Ok…” ripeté con un sospiro Marlowe, rassegnato al nostro silenzio. “Forza, in posizione!” esclamò poi rivolto a tutti i presenti, lanciandomi comunque un’ultima occhiata. Io scossi la testa, come a dire che andava tutto bene.
Stavo per uscire di nuovo dalla porta quando i miei occhi volarono di nuovo a Stana. Anche lei mi stava osservando. Con amarezza. I nostri sguardi si incrociarono di nuovo per un attimo. Poi lei si girò e tornò al suo posto. Per un secondo sperai che mi odiasse. Avrei quasi preferito l’odio all’amicizia in quel momento. Sarebbe stato un sentimento molto più forte e sincero.
 
Finimmo le riprese verso l’una, quindi andai a pranzare da solo e il resto del pomeriggio lo passai a cercare di evitare Stana. Non che fosse stato poi così difficile. Anche lei abbassava gli occhi e cambiava direzione durante le poche volte che ci eravamo incontrati tra le strade degli studios. Quando avevo un po’ di tempo da ammazzare mi piaceva farci un giro. Le vie erano grandi e piene di persone di diversi telefilm o film. Poteva capitare di assistere a un inseguimento nel bel mezzo della strada con telecamera e telo verde per il cambio sfondo a seguito oppure di sbirciare sulla scena di un crimine. Noi stessi eravamo complici di quel casino, visto che anche noi giravamo buona parte delle scene lì.
Vagai con lo sguardo perso e le mani nelle tasche fino alle cinque, ora a cui Kristen mi richiamò all’ordine tramite una ‘tranquilla’ telefonata in cui mi perforò un timpano chiedendomi dove cavolo mi fossi andato a cacciare. Tornai sul set di Castle e la vidi che mi aspettava a braccia incrociate e sguardo torvo davanti all’auto che ci avrebbe portato all’eliporto. Per la mezz’ora che durò il tragitto, Kris, subito sbollita dalla rabbia per il mio ritardo a causa della mia faccia abbattuta, cercò in tutti i modi di portarmi sull’argomento Stana e io cercai in tutti i modi di far finta di niente o di cambiare argomento. Non volevo parlare di lei. Il suo viso addolorato per le mie parole era ancora davanti i miei occhi. E poi cosa ci sarebbe stato da dire? Avevamo litigato, punto. Litigato come non avevamo mai fatto nei tre anni che ci conoscevamo… Quella constatazione mi diede una fitta dolorosa allo stomaco.
Quando scesi dall’auto sentii quasi un senso di liberazione. Volevo bene alla mia assistente, ma tendeva a preoccuparsi (e a volte impicciarsi) un po’ troppo, anche se sapevo che lo faceva per il mio bene. Kristen mi diede altri abiti con cui cambiarmi, mentre notavo che il cielo iniziava appena a imbrunire. Mi infilai nel ripostiglio che mi indicarono e guardai i miei nuovi vestiti. Camicia blu scuro e completo pantaloni e giacca blu. Ottimi per passare inosservati nella notte. Oltre che ottimi per il mio umore scuro…
Mi cambiai e uscii. All’esterno trovai Ruben già vestito per la scena e con la pistola di Montgomery in mano. Da lontano vidi arrivare Max Martini, ovvero Hal Lockwood, mentre scherzava insieme alle comparse degli scagnozzi dell’assassino. Nonostante fosse ancora presto, erano già arrivati quasi tutti. Tranne Stana. La cercai con gli occhi, ma non la vidi da nessuna parte. Possibile che fosse in ritardo? Lei era sempre puntualissima.
Sospirai e mi rassegnai ad aspettare. Recuperai il copione di Knockout e mi misi a ripassarlo distrattamente, anche se non avevo molte battute, mentre tenevo un occhio rivolto verso l’entrata dove speravo di poter vedere apparire presto la mia collega. Sapevo che non ci saremmo parlati, e che lei probabilmente avrebbe cambiato strada se mi avesse adocchiato, ma volevo rivederla. Mi serviva come l’ossigeno.
Venti minuti dopo notai che il cielo si stava facendo sempre più scuro. Probabilmente nel giro di un’ora saremmo già stati abbastanza al buio per girare. Alzai gli occhi dal copione e, sbuffando, lo poggiai su una sedia accanto a me. Con quella luce era palese che non stessi leggendo niente, visto che iniziava a non vedersi più nulla. Stavo già pensando a cosa fare per passare il tempo, quando Stana entrò trafelata nell’hangar. Notai che aveva un’aria piuttosto irritata e che stava cercando di infilarsi in malo modo il cellulare in tasca mentre correva. Mi passò davanti senza accorgersi minimamente di me, ma io d’altronde non feci nulla per richiamarla. Semplicemente la osservai con le sopracciglia aggrottate, preoccupato per quel ritardo e per la sua espressione inquieta. Jasmine, la sua assistente, si lamentò scocciata del suo ritardo e la tirò in un altro ripostiglio, simile a quello che avevo usato prima io, perché potesse cambiarsi e truccarsi. Come se Stana Katic avesse bisogno di alcun trucco per essere bellissima! Figuriamoci!
 
Un’ora dopo, come avevo immaginato, eravamo pronti per girare. Fuori era diventato quasi del tutto buio, abbastanza da permetterci di registrare come se fosse notte. Delle luci azzurrognole erano state posizionate appena all’esterno dell’hangar e messe rialzate in modo che sembrassero la luce della Luna. Eravamo tutti pronti. A un cenno di Marlowe andai a nascondermi in un angolo buio dell’hangar e attesi che iniziassero a girare. Meno di un momento dopo, Andrew diede il via alle riprese.
Mi voltai verso Stata/Kate, in mezzo all’hangar, che chiamava a bassa voce il capitano Montgomery. Trattenni un sospiro. In quei pantaloni e maglia neri era davvero sexy. Poi i miei occhi caddero ai suoi piedi e notai i suoi immancabili tacchi. Aggrottai appena le sopracciglia, ma allo stesso tempo sorrisi appena. Se avesse puntato quei cosi a terra, ci avrei messo una vita a trascinarla fuori dall’hangar come voleva il copione!
Il mio mezzo sorriso scomparve non appena Kate ricevette il suo messaggio da Esposito e Ryan e Montgomery fece la sua comparsa. Rimasi a osservarli mentre si studiavano e i miei pensieri volarono a prima delle riprese. Come avevo immaginato, Stana, una volta uscita dal camerino-ripostiglio, mi aveva accuratamente evitato, ma non avevo potuto fare a meno di notare che continuava a tirare fuori il cellulare dalla tasca, ogni volta con uno sbuffo irritato come se stesse messaggiando furiosamente con qualcuno. E poi con chi si era arrabbiata prima di arrivare all’hangar? Perché era stato palese fosse scocciata dai suoi gesti bruschi fin da quando mi era passata davanti appena arrivata. Sospirai appena. In un altro momento sarei stato il primo a chiederle se aveva problemi, ma ora non potevo. Non dopo aver buttato la mia rabbia contro di lei per una colpa mia, per non essere riuscito a togliermela dalla testa.
Il tono di voce leggermente più alto di Stana/Kate mi fece tornare al presente e alla scena. Fino a quel momento avevano parlato in poco più di un sussurro, ma ora Kate si sentiva tradita dall’uomo che aveva sempre considerato come un secondo padre.
Sentii un tono appena incrinato nella sua voce.
“That's why you brought me here, isn't it? To kill me?”
“No. I brought you here to lure them.”
“You baited them?”
Il tono di Stana/Kate era chiaramente stupito. Sembrava davvero non sapere più cosa pensare. Roy aveva aiutato gli assassini di sua madre a trovarla e allo stesso tempo stava cercando di fregarli. L’aveva tradita e insieme stava cercando di proteggerla.
In quel momento intravidi l’auto di Lockwood e compagni in lontananza. Solo due fari nella notte. Mi voltai di nuovo verso Stana/Kate e Ruben/Roy e attesi. Tra un momento sarebbe toccato a me.
“And now they're coming. I need you to leave. They are coming to kill you, and I'm not gonna let them. I'm gonna end this.”
La voce del capitano si era fatta più bassa e veloce. Ma Kate non voleva sentire ragioni.
“I'm not going anywhere, sir.”
“Yes, you are.
Castle!”
Il richiamo di Ruben/Roy fu il mio segnale per uscire allo scoperto. Feci qualche passo in avanti fino a portarmi dietro ala donna, alla luce. Stana/Kate si voltò e mi guardò per un momento, stupita che fossi spuntato dal nulla senza che se ne accorgesse.
“Get her out of here.”
Quello di Montgomery era un ordine. Come da copione però, cercai di replicare.
“Captain, I don't--”
“Don't argue. That's why I called you. Get her out of here, now!”
La richiesta del capitano era insieme un ordine e una supplica, mentre guardava apprensivo verso l’auto in lontananza. Non aggiunsi altro. Continuai avanzare fino a portarmi dietro Stana/Kate, quindi le misi una mano sulla spalla come tacita richiesta a seguirmi. Ma lei si scrollò la mia mano di dosso e si fece invece di un passo più vicina a Ruben/Roy, allontanandosi da me.
“Captain, please, just listen to me. You don't have to do this.”
La voce della detective era preoccupata e forse insieme spaventata per quello che sapeva già sarebbe accaduto.
Cercai ancora una volta di seguire l’ordine e mi riavvicinai a lei chiamandola piano e dolcemente per nome, provando di nuovo a tirarla verso di me. Ma ancora una volta lei svicolò dalla mia presa. Quasi si aggrappò alla camicia di Roy, nella foga di convincerlo a desistere dalle sue intenzioni.
“No. Please, no. Sir. I forgive you. I forgive you.”
“This is my spot, Kate. This is where I stand.”
“No. No.”
“Castle!”

La voce di Stana/Kate era rotta dalle lacrime che minacciavano di uscire. Mi si strinse il cuore a sentirla così.
Voltai la testa verso l’esterno dell’hangar e vidi l’auto spegnere i fari. Aggrottai le sopracciglia come se mi stessi chiedendo il perché. Intanto la donna continuava a supplicare il capitano.
“No, No. Sir, please. Listen to me. You don't have to do this.”
Avevo ancora gli occhi incollati all’auto. Solo in quel momento capii che era ripartita a fari spenti e che si stava avvicinando velocemente a noi.
“Castle, get her out of here now!”
La voce adirata di Montgomery mi riportò alla realtà appena in tempo. Lo guardai e capii che era arrivato il momento. Dovevo portarla immediatamente via. Ora o mai più.
Mentre lei ancora pregava il capitano di non farlo, io la presi per la vita tirandola indietro e mormorando il suo nome piano, ma allarmato. In quel momento ero io che supplicavo lei. Ci misi un attimo a capire che non si sarebbe mossa, soprattutto ricordandomi dei tacchi. Per cui feci la prima cosa che mi venne in mente. La presi di peso per la vita e la portai via più velocemente che potei, mentre Stana/Kate urlava e scalciava, pregandomi di lasciarla andare. In realtà non c’era scritto da nessuna parte che avrei dovuto prenderla così, il copione diceva solamente di portarla via. Ma in fondo era un modo come un altro per tenerla di nuovo fra le braccia e Castle doveva portarla via, che a Beckett piacesse o no. Anche se disperata e ostinata come doveva essere Kate in quel momento. Il profumo di Stana, così vicino, mi diede un brivido lungo la schiena e mi avrebbe fatto cedere se non fosse che ero consapevole che stavamo girando.
Arrivai veloce in fondo all’hangar e con una spinta aprii la porta di metallo. Meno di un attimo dopo eravamo fuori dall’aerorimessa. Castle e Beckett sarebbero dovuti uscire completamente fuori in strada, noi eravamo semplicemente entrati in una specie di stanza quasi del tutto buia per simulare l’uscita nella notte dei due.
Fu solo in quel momento, appena la porta si chiuse alle nostre spalle, che Stana si calmò tra le mia braccia. Fui contendo di quel cambiamento improvviso. Sapevo bene che stava recitando, ma stavo male perfino io a sentirla in quello stato. La rimisi con i piedi per terra. Prima di separarmi del tutto da lei però, lasciai indugiare molto più del dovuto le mie mani sui suoi fianchi. Stana per un momento alzò gli occhi su di me. Erano lucidi. Per la scena appena girata supposi. Mi si mozzò comunque il fiato in gola e il cuore cominciò a battermi furiosamente. Non mi importava della litigata. Non mi importava più di nulla. Volevo solo stringerla di nuovo a me, confortarla e baciarla come avevo fatto tre anni prima in un momento di pazzia e lucidità assoluti. E che il resto del mondo andasse a quel paese!
Prima che potessi anche solo avvicinarmi a Stana però, lei si tirò indietro, slacciando l’esile contatto tra di noi fino a lasciare un grosso spazio tra me e lei. Fu allora che notai che il suo sguardo era ancora ferito per quello che le avevo detto quella mattina. Accettai rassegnato il suo rifiuto. Sospirai e feci un passo indietro, aumentando ancora di più la nostra distanza.
Attendemmo per qualche minuto in silenzio nella scura stanzetta. Eravamo entrambi a disagio e lo sentivo. Continuavo a lanciarle occhiate furtive nel vano tentativo di capire i suoi pensieri, ma i suoi occhi era concentrati in un punto a terra, come se la polvere sul pavimento in quel momento fosse la cosa più interessante nell’universo. Di tanto in tanto si mordicchiava il labbro inferiore, mentre il suo sguardo si opacizzava appena quando si perdeva nei suoi pensieri. Non dovevano essere neanche troppo allegri quei pensieri, visto che, nonostante la fioca luce, vedevo chiaramente la rughetta di espressione sulla sua fronte di quando era preoccupata. Quella situazione mi ricordò al’improvviso la nostra prima gita al parco di tre anni prima, quando io mi ero convinto che un energumeno mi seguisse per farmi del male e invece era solo un mio fan. Ci eravamo nascosti dentro una specie di sgabuzzino dove c’era a malapena posto per entrambi. In quel piccolo spazio c’era stata una luce quasi simile a quella che avevamo in quel momento. Ricordavo ancora perfettamente i miei mille dubbi su quel che sarebbe successo se avessi preso coraggio e l’avessi baciata, se avessi interpretato correttamente il suo sguardo pieno di aspettative o se me lo fossi solo immaginato. Eravamo stati così vicini solo il giorno che finalmente l’avevo baciata. Ora invece la sentivo lontana e non pregavo altro che mi guardasse di nuovo negli occhi. Dovevo farmi perdonare. Per quella sera forse era meglio lasciarla sbollire. L’indomani avrei cercato di fare qualcosa. Magari il fatto che Castle avrebbe detto a Beckett che l’amava avrebbe giocato a mio favore, chissà. In fondo i passi avanti di quei due testoni la facevano sempre rallegrare.
“Comunque…” mormorò all’improvviso Stana spezzando quel silenzio pesante che si era venuto a creare. “Non male la trovata di… beh… tirarmi su di peso…” continuò un po’ imbarazzata. Feci un mezzo sorriso.
“Sembri stupita” replicai senza pensarci. Lei mi guardò con un sopracciglio alzato e io mi affrettai ad aggiungere “Voglio dire, l’hai detto come se fosse la prima volta che aggiungo qualcosa al copione…” Lei scosse la testa, ma sorrise appena. Quel piccolo sorriso fece accendere un lumicino di speranza. Forse sarei riuscito a far pace con lei…
Finalmente sentimmo gli spari a salve dall’hangar e poco dopo Andrew ci urlò dal megafono che potevamo rientrare in scena. Appena lo disse, non feci neanche in tempo ad avvicinarmi alla porta che Stana l’aveva già aperta e si era fiondata fuori. La guardai ferito con la bocca semiaperta. Nonostante quel piccolo sorriso, voleva stare così lontano da me da scappare?
 
Riprovammo la scena diverse volte in modo da avere diverse angolazioni. Appena usciti dallo sgabuzzino, Marlowe si era subito congratulato con me per la trovata del sollevare di peso Stana, così mi aveva chiesto di metterlo in ogni ripresa. Di certo non me lo feci ripetere. Non ci fu però un altro momento in quello stanzino tra me e Stana come dopo il primo ciak. Il resto delle volte restammo in silenzio, quasi senza il coraggio di guardarci in faccia. Cercavo un modo con cui avrei potuto farmi perdonare del tutto e giurai a me stesso che per l’indomani mattina l’avrei trovato.
Dopo quelle riprese, Marlowe decise di girare prima la scena in cui Rick trascinava Kate all’esterno dell’hangar fino alla macchina. In questo modo avremmo dato ai truccatori abbastanza tempo per preparare Ruben, Max e gli altri con il sangue finto e ai tecnici di predisporre la scena.
Ci spostammo quindi all’esterno dell’aerorimessa con tutte le attrezzature. Meno di quindici minuti dopo le luci erano pronte e le telecamere fissate. Andrew ci ricordò la scena: Rick e Kate erano appena usciti dall’hangar, lei era distrutta per quello che sapeva sarebbe successo di lì a poco e Castle, nonostante anche lui fosse molto provato, avrebbe tenuto la detective lontana e al sicuro.
A quel punto io e Stana ci avviammo verso la porta dell’hangar che dava sull’esterno e dalla quale Castle e Beckett sarebbero dovuti uscire.
“Ok, ragazzi, preparatevi!” ci avvertì Marlowe ad alta voce per farsi sentire sopra il rumore dei tecnici che sgombravano la scena. Fu a quel punto che ebbi un attimo di incertezza. Abbracciare Kate d’impeto per portarla in salvo era un conto, ma passare le braccia intorno alla vita di Stana in attesa che ci dessero il via sembrava all’improvviso la cosa più difficile del mondo. Deglutii. Mi avvicinai e posai piano le mani sui suoi fianchi. Stana dovette accorgersi della mia esitazione perché si girò in parte verso di me con un sopracciglio alzato. Notai però, nonostante la scarsa luce, che era arrossita.
Scossi la testa come a dire che andava tutto bene. Quindi mi feci coraggio, presi un respiro profondo e portai le braccia intorno al suo corpo con decisione, tanto da farle lanciare un urletto sorpreso.
“Scusa…” mormorai appena contro il suo orecchio. Dio, il suo profumo…
Un attimo dopo però mi accorsi di una cosa. Era rabbrividita. Al mio sussurro un brivido l’aveva attraversata. E non era stato certo per il fresco della notte!
Non riuscii a reprimere un sorriso divertito. Poi Marlowe impose il silenzio e io mi imposi di smettere di sorridere come un cretino. Dovevo fare una scena da sconvolto, non da pesce lesso!
“Pronti? Azione!” gridò Marlowe per farsi sentire da tutti. Il ciak venne battuto e la telecamera si puntò su di noi. Io a quel punto tirai di nuovo su Stana/Kate dalla vita mentre lei ricominciava ad agitarsi e a pregarmi, sempre più debolmente. Un momento dopo però Kate si arrese alla realtà. Stana smise di agitarsi e semplicemente si lasciò trasportare da me, mentre erano i singhiozzi a prendere il posto delle urla.
Quando si fermò del tutto, rischiò di cadermi e dovetti rimetterla a terra. Ma non smisi un secondo di tenerla per la vita con forza, come se da questo dipendesse il mio destino. A pochi passi da noi c’era l’auto di Beckett. Con un ultimo sforzo la portai fino a lì e la feci appoggiare contro la portiera. Stana/Kate vi si accasciò sopra continuando a lanciare piccoli lamenti e preghiere frammezzati da singhiozzi.
Mi voltai per un attimo verso l’hangar per controllare che nessuno ci stesse seguendo, quindi tornai a osservare la detective. Sotto i suoi occhi si erano già formate delle scie di lacrime. La vidi scivolare e mi appoggiai contro di lei per tenerla ferma contro la portiera. Se solo non fossi stato distratto dalla scena in corso, il suo corpo contro il mio mi avrebbe già fatto uscire di senno.
Kate lanciò un altro lamento e io, preoccupato che qualcuno potesse sentirci, le tappai velocemente la bocca con una mano cercando di zittirla quanto più dolcemente e rapidamente possibile.
“Shh! Shh! Please don't. Everything's okay. Everything's alright.”
Le carezzai la testa per calmarla, ma l’attimo dopo dovetti sorreggerla perché stava scivolando di nuovo giù lungo lo sportello. All’improvviso sentii qualcosa di caldo sulla faccia e mi accorsi che Stana mi stava lasciando una lenta carezza lungo la guancia. Per un attimo rimasi senza fiato. Poi mi riscossi e continuai a parlare piano a Kate, cercando di confortarla e di sorreggerla per un tempo che mi sembrò infinito. Stavo malissimo a vederla così indifesa e disperata.
Poi ci fu lo sparo. Stana/Kate mi scostò di lato veloce, ma allo stesso tempo dolce, quindi iniziò a correre verso l’hangar. Io rimasi alla macchina, appoggiato a essa con il respiro pesante come se avessi appena corso una maratona. Riuscii a portare il dolore e la sorpresa sul mio volto abbastanza facilmente. Mi bastò pensare come sarei stato se uno dei miei più cari amici mi avesse prima tradito e poi fosse morto per la sicurezza della donna che amavo.
“Stop!!” urlò Andrew. “Nathan, Stana, siete stati grandiosi!” esclamò decisamente allegro. Io presi un respiro profondo e mi passai una mano tra i capelli per riprendermi mentre Stana tornava indietro asciugandosi le guance. “Stana, l’idea di Kate di accarezzare Rick sulla guancia mi è piaciuta molto!” aggiunse Marlowe rivolto alla mia collega. Io annuii come conferma, mentre lei arrossiva appena.
“Davvero una bella trovata…” commentai sincero. Che poi, di che avrei dovuto lamentarmi io?
Lei mi guardò con un sopracciglio alzato.
“Sembri stupito” replicò lei divertita copiando le mie parole dello sgabuzzino. Io rimasi con la bocca semiaperta, volendo rispondere ma non sapendo assolutamente con cosa. E lei dovette comprenderlo benissimo perché ghignò, si voltò e tornò come se niente fosse al punto iniziale della scena davanti l’hangar. Fu solo in quel momento che mi riscossi, sbattei le palpebre per riprendermi e mi voltai verso di lei con un mezzo sorriso. Ricominciare a punzecchiarci non poteva che essere un buon segno. Un segno di pace. Forse, e dico forse, l’indomani sarei riuscito a farmi perdonare.
 
Finii di cambiarmi e mi guardai allo specchio del camerino. Il colore del mio abito rispecchiava il mio umore. Nero. La sera prima avevamo concluso di girare verso mezzanotte e mi era sembrato che le cose tra me e Stana stessero migliorando. Pian piano avevamo ripreso a parlare e a scherzare come avevamo sempre fatto. Poi però erano arrivate quelle maledette due chiamate. La prima a Stana, la seconda a me. Non so con chi avesse parlato la mia co-star, anche se un’idea l’avevo, sta di fatto che nel giro di cinque minuti di conversazione telefonica il suo umore era tornato a quello pre-riprese hangar. In un attimo era tornata agitata, nervosa, arrabbiata e soprattutto taciturna. Avevo cercato di discuterne, ma lei mi aveva chiuso ogni possibilità di dialogo. Non ne voleva parlare, diceva. Non con me, continuavo a pensare. Di riflesso, anche il mio umore era peggiorato e la chiamata che mi era arrivata poco dopo di Serena, che voleva tentare di riconciliarsi con me, non aveva certo aiutato. Non avevo chiuso occhio per il resto della notte, continuando a rigirarmi nel letto con mille pensieri e mille diversi scenari di quello che poteva aver detto lo sconosciuto a Stana per allontanarla così.
Sospirai e mi lisciai una lieve piega sulla cravatta che sentivo anche troppo stretta in quel momento. Feci una smorfia e infilai un dito nel colletto per allargarla. Preferivo di gran lunga le camicie sbottonate al collo, anche se le cravatte non mi dispiacevano, ma Castle doveva andare a un funerale. Quindi dovevo soffrire in silenzio.
“Nathan, sei pronto?” mi domandò, bussando dall’esterno del camerino, Kristen.
“Un momento” le risposi. Non avevo voglia di affrontare di nuovo Stana. E non volevo neanche che gli altri capissero subito qual’era il mio problema. Sapevo che non ci avrebbero messo molto a farlo. Era un cast sveglio quello di Castle e sarebbero arrivati tutti a momenti per girare la scena finale: il funerale di Montgomery.
Feci un sospiro e mi passai una mano tra i capelli. Ruben mi sarebbe mancato. Era diventato un caro amico e mi sarebbe dispiaciuto non vederlo più sul set. Allo stesso tempo però avevo voglia di conoscere chi lo avrebbe sostituito a capo del dodicesimo. Marlowe parlava di una donna forte e autoritaria, chiamata Victoria Gates e soprannominata ‘Irons’, ma i provini ci sarebbero stati solo la settimana successiva e il regista non voleva dare anticipazioni prima. Fino a quel momento, saremmo stati anche noi abbastanza all’oscuro. A Andrew piaceva sempre tenerci un po’ sulle spine.
Feci un mezzo sorriso a quel pensiero. Lavorare con lui era divertente e piacevole, anche perché non si arrabbiava spesso e ci faceva mettere anche qualche cavolata nostra, di tanto in tanto, nelle scene. E inoltre conosceva ognuno di noi come pochi altri. Sospirai appena e il sorriso mi si spense un po’. Il giorno prima aveva capito subito che qualcosa tra me e Stana non andava. Era il regista ed era felice che le scene filassero per il verso giusto, ma insieme si era preoccupato per noi. Aveva anche tentato di bloccarmi a fine riprese per chiedermi se andasse tutto bene, soprattutto tra me e Stana, ma io mi ero defilato con la scusa che ero stanco e che volevo tornare a casa. Eravamo degli ottimi attori io e la mia co-star, ma quando si trattava di noi eravamo davvero pessimi. Di solito infatti, per quanto la scena fosse seria, riuscivamo sempre a scherzare un po’. Il giorno prima invece quella nostra facoltà sembrava quasi sparita, se non per pochi momenti.
Un nuovo tamburellare insistente di nocche alla porta mi fece tornare con la testa nel camerino. Sbuffai e uscii dalla roulotte che mi era stata assegnata come spogliatoio per le esterne.
“Finalmente, Nathan!” esclamò Kristen con un sospiro esasperato. Osservò la mia cravatta con occhio critico e me la sistemò prontamente. A quanto pare era storta e non me ne ero minimamente accorto. “Sono arrivati praticamente tutti. Manchi solo tu” mi comunicò lei. Io annuii senza dir nulla. Kristen lanciò un’occhiata soddisfatta alla mia cravatta e infine si allontanò di un passo da me per controllare che fossi in ordine. Fu allora che notò il mio viso. “Nathan, tutto bene?” Io, che ero rimasto per un momento sovrappensiero, scossi la testa per tornare alla realtà con la sua domanda.
“Uhm, sì, sì, tranquilla” risposi facendole un mezzo sorriso. Alzò un sopracciglio. Coraggio, sono un attore! Se non convinco la mia assistente, figurarsi tutti gli altri!
Mi passai una mano tra i capelli e sbuffai appena. Quindi presi un respiro profondo e finalmente sorrisi.
“Va tutto bene, Kris, sul serio.” La sua faccia dubbiosa mi spinse ad aggiungere qualcosa. “Ho solo un po’ di pensieri per la testa, tutto qui…”
“Si vede” fu la sua risposta secca, mentre mi sistemava una ciocca di capelli uscita dai ranghi. La guardai e notai come un po’ di compassione nei suoi occhi, come se sapesse perfettamente quali fossero le mie preoccupazioni. Scossi la testa per scacciare quel pensiero.
“Beh, allora vado dagli altri” dissi per fuggire da lei e dal suo sguardo, iniziando ad incamminarmi verso il set.
“Dovresti dirglielo” fu la sua replica. Mi voltai confuso.
“Dire cosa? E a chi?” Lei mi lanciò un’occhiataccia.
“Sai, benissimo di chi parlo” Sì, ovvio che lo sapevo. Kristen mi conosceva dal primo giorno di riprese in Castle e aveva un notevole intuito.
“No, non lo so invece” replicai però nervoso. “Scusa, devo andare. Ero di fretta, no?” continuai veloce con un mezzo sorriso. Quindi le feci un cenno di saluto e mi avviai a passo svelto verso il parco.
“Ehi, bro, sei arrivato finalmente!” La voce di Jon mi fece bloccare pochi passi più in là. Mi girai verso di lui e sorrisi. Lui e Seamus stavano avanzando verso di me nelle loro nuovissime divise della polizia.
“Ehi, ragazzi!” li salutai di rimando appena un po’ più allegro.
“Siamo davvero affascinanti, non trovi?” dichiarò Seamus copiando esplicitamente le parole e l’atteggiamento di Castle.
“Ehi! Quella battuta è mia!” esclamai in risposta fintamente offeso.
“Hai visto che bel completo??” continuò Jon indicandosi i vestiti e gonfiando il petto, come se noi non avessimo parlato. “Questo attirerà un sacco di donne, te lo dico io!”
“Chissà come sarà felice Nicole a questa notizia…” commentò Seamus sarcastico.
“Sì, la tua ragazza non mi sembra proprio una che ha voglia di condividere il suo uomo” aggiunsi divertito. Lui alzò le spalle.
“Quando vedrà il suo uomo con questa veste addosso, capirà che nessuna può resistermi e se ne farà una ragione” replicò con finto tono di accettazione. Per la prima volta in due giorni sorrisi davvero. Adoravo Jon e Seamus. Erano due idioti e se mi ci mettevo anche io, in tre eravamo terribili. Ma erano anche i miei migliori amici e, pure senza volerlo, sapevano come tirarmi su il morale in ogni momento.
“Non credere di essere così irresistibile, Huertas” esclamò la voce divertita di Tamala dietro le mie spalle.
“Che intendi dire??” domandò offeso.
“Che mi spiace contraddirti, ma il più affascinante al momento è Nath col suo completo nero” rispose lei come se fosse una cosa ovvia. Io ghignai allegro.
“Che fine ha fatto il fascino della divisa??” dichiarò Jon ferito nell’orgoglio. Tam alzò appena le spalle cercando di trattenersi dal ridere. “E poi Lanie dovrebbe essere innamorata di Javier!” esclamò un momento dopo Jon avvicinandosi a lei e prendendola per la vita. “Insomma dovrebbe essere dalla sua parte, no?” continuò abbassando la voce e cercando di avere un tono suadente, accostandosi a lei fino ad avere il volto a pochi centimetri da quello di Tamala. Quella vista mi fece male e distolsi lo sguardo, il sorriso che scivolava via dalla mia faccia. Non avevo niente contro di loro, anzi mi piacevano pure insieme, senza contare che eravamo soliti scherzare così tra di noi. Tra noi tutti. Tranne che tra me e Stana. Sospirai. Scherzavamo sempre e ci divertivamo un mondo a prenderli in giro quando dovevano girare qualche scena chiaramente Esplaine, ma non riuscivamo a fare come loro. Certo, scherzando, io e Stana ci abbracciavamo, ci prendevamo per mano, ma il tutto durava un secondo e nessuno dei due si azzardava mai ad avvicinarsi troppo l’uno all’altro. Ad esempio non era cosa rara che qualche bacio volasse per scommessa o per scherzo sul set. Era capitato praticamente a tutti. Insomma perfino io avevo baciato Jon! Ma io e Stana mai…
“Ehi, Nate, tutto bene?” La voce di Seamus mi fece tornare bruscamente alla realtà. Scossi la testa e sbattei le palpebre. Alzando gli occhi mi accorsi che tutti e tre mi stavano osservando curiosi per il mio cambio d’umore. Cavolo. Era la seconda volta che mi facevano la stessa domanda nel giro di dieci minuti. Dovevo imparare a non perdermi nei meandri della mia mente mentre ero con altre persone.
“Sì, sì a posto” risposi velocemente. Lontano, dietro di loro, intravidi le figure di Molly, Susan e Scott Paulin, ovvero Jim Beckett, che parlavano già accanto alle sedie bianche preparate per il funerale. Diversi finti agenti in divisa gli giravano intorno mentre aiutavano i cameraman a spostare le telecamere per le migliori inquadrature. Fu in quel momento che sentii qualcuno urlare dietro di me.
“Ti ho già detto che non voglio parlarne ora!” La voce arrabbiata di Stana mi fece voltare immediatamente. La mia collega stava entrando velocemente nel parco con dietro un uomo che la seguiva come un’ombra. Nonostante fossero ancora lontani, anche se si stavano avvicinando velocemente, sentivo le loro voci chiaramente, tanto erano alte. Mi stupii della cosa. Il tipo doveva aver fatto seriamente incazzare Stana perché lei non urlava mai, nemmeno quando era arrabbiata.
“E io ti ho detto invece che dobbiamo parlarne adesso!” Strinsi la mascella. Conoscevo quell’altra voce. Era di Adam, l’attuale ragazzo della mia collega.
“Adam vattene! Devo lavorare!” esclamò furiosa lei senza nemmeno voltarsi, aumentando il passo e costringendo l’uomo a inseguirla. Ormai tutti e quattro eravamo girati verso di loro e ci sarebbe mancato davvero poco che anche Susan, Molly, Scott e gli altri li sentissero. Notai che Stana era già pronta nella sua divisa da poliziotta, berretto compreso.
“No, tu non vai da nessuna parte finché non chiariamo questa cosa!” replicò furioso Adam prendendola violentemente per un braccio e strattonandola indietro con tale forza da farle cadere il cappello. Strinsi i pugni e mi bloccai mentre avevo già fatto un passo verso di loro. Sapevo che se fossi intervenuto, Stana mi avrebbe preso a pedate. Non accettava interferenze di nessun tipo con la sua vita privata. Ma come si permetteva quello stronzo di metterle le mani addosso??
Dietro di me sentii anche Seamus e Jon agitarsi nervosi.
“Adam, lasciami!!” gli ordinò Stana, togliendogli con forza la mano dal suo braccio. Mi sentii male. Più la sentivo gridare, più capivo che aveva iniziato a piangere. Lacrime di rabbia e forse dolore. In quel momento avrei voluto fare come Castle con Beckett: portarla via. Come Rick aveva portato via di peso Kate dall’hangar in cui stava per morire Montgomery, così io avrei voluto portare via Stana da quel parco. Via dalla battaglia contro quell’uomo a cui teneva, ma che non amava. Portarla al sicuro e stringerla di nuovo a me per tranquillizzarla…
L’attimo dopo lui la riprese per il braccio, ancora più brutalmente.
“LASCIAMI UN CAZZO!!” urlò lui facendo questa volta girare anche le persone più lontane. “TU SEI MIA!!” Doveva averla stretta ancora più forte perché vidi la mia collega abbassarsi leggermente sulle ginocchia.
“Lasciami, ho detto!!” gridò ancora Stana. Questa volta però, oltre la rabbia, sentii anche una nota di paura nella sua voce. Quella singola nota mi fece scattare. Non ci vidi più.
Prima che qualcuno potesse fermarmi, mi precipitai verso di loro e, anche prima che quello stronzo potesse registrare la mia presenza, gli tirai un pugno dritto su quel suo lungo naso del cazzo che si ritrovava. Per un attimo ci fu un silenzio assoluto. Il tipo mollò Stana e cadde a terra come un sacco di patate. Mi sembrò quasi di vedere la scena a rallentatore e sentivo in me un grido di gioia nel vederlo precipitare. Mi misi immediatamente in mezzo a loro. Non gli avrei più permesso neanche di avvicinarsi a Stana.
“TU!!” mi urlò dietro furioso Adam mentre si rialzava tenendosi una mano sul naso. Sanguinava. La faccia e la maglia gli si stavano imbrattando velocemente di un colore rosso scuro. Non fui mai così contento di vedere del sangue come in quel momento. “Brutto figlio di puttana!! È tutta colpa tua!! Ora ti insegno io a metterti in mezzo tra me e la mia ragazza!!” Adam aveva appena ululato quelle parole come un cane rabbioso, che già mi stava caricando. Io ero pronto all’impatto, gli occhi fissi su di lui, la mascella serrata, i pugni chiusi in avanti, il corpo completamente rigido. Non sapevo nulla di pugilato, ma non me ne importava niente. L’importante era tenerlo il più possibile lontano da Stana.
Prima che riuscisse a toccarmi però, Jon e Seamus lo placcarono lateralmente facendolo rotolare di nuovo a terra e tenendogli la testa piantata sull’erba.
“Vuoi calmarti stronzo??” gli sibilò adirato Jon mentre gli teneva un ginocchio puntato sulla schiena per tenerlo giù. Un attimo dopo arrivarono gli uomini della sicurezza, chiamati probabilmente da Tamala appena dietro di loro, che presero in consegna Adam e lo scortarono, ancora agitato e rabbioso fuori dal parco. Mi accorsi in quel momento che non stavo respirando.
Presi un respiro profondo e cercai di calmarmi. Notai che le mie mani tremavano leggermente. Non sapevo se per l’adrenalina o per la paura. In quell’attimo mi ricordai come mai ero quasi finito in mezzo a una rissa. Mi voltai e vidi Stana ancora seduta a terra dietro di me, il viso pallido e spaventato con gli occhi puntati su quello che era il suo ragazzo portato via. Notai le sue mani ancorate a terra e il suo cappello abbandonato a pochi passi da lei. I suoi capelli, sempre in ordine, ora le ricadevano a ciocche lungo il volto e vedevo dei piccoli rigagnoli di sudore misti a lacrime sulle guance. Sentii il petto farmi male come nel ricevere una coltellata nel vederla in quello stato. Avrei voluto abbracciarla, spostarle i capelli dal viso, asciugarle gli occhi con un pollice, dirle che andava tutto bene mentre le lasciavo piccoli baci sulla testa… Ma ancora una volta avevo paura. Paura della sua reazione, paura che lei mi allontanasse.
Così rimasi lì impalato a guardarla. Prima che potessi decidermi su cosa fare, Tamala mi passò accanto di corsa per andarsi a inginocchiare accanto a Stana. L’abbracciò e, preoccupata, le chiese come stava. Stana sembrava ancora sotto shock. Era abbracciata a Tam, ma il suo sguardo era perso chissà dove.
“Stana, ragazza, parlami…” mormorò ancora la donna. Sembrava quasi che stesse per avere un attacco di panico. Ma conoscevo Tamala. All’inizio si spaventava a morte, ma era dopo che bisognava temerla. Non essendoci ancora reazione dalla mia collega, mi decisi a fare qualcosa. Mi abbassai lentamente sui talloni davanti a lei, senza staccarle gli occhi di dosso.
“Stana…?” la chiamai piano. Notai che la voce mi tremava leggermente. Deglutii e ci riprovai, non avendo avuto risposte. “Stana?” Ma la mia co-star sembrava ancora persa in un altro mondo. Non sapevo che fare. Sentivo intorno a me che anche altri stavano iniziando ad arrivare e mi sembrava di aver udito qualcuno chiamare un medico, ma io non ci badavo minimamente. Ero completamente concentrato su di lei. Alla fine mi decisi a fare qualcosa di più. Dopo aver preso un respiro profondo, allungai una mano e la appoggiai piano sul suo ginocchio mezzo alzato. Fu a quel punto che Stana sembrò tornare in sé e il suo sguardo si focalizzò su di me. La guardai preoccupato e sorpreso. Era odio quello che leggevo oltre la rabbia?
“E’ tutta colpa tua…” mormorò all’improvviso. La voce le tremava e notai che i suoi occhi si stavano facendo di nuovo lucidi. Rimasi a bocca aperta.
“Cos…?”
“E’ tutta colpa tua!!” ripeté alzando la voce all’improvviso e quasi scagliandosi contro di me. Caddi all’indietro col sedere a terra mentre la guardavo paralizzato. Se non fosse stato per Tamala, che aveva ancora le braccia intorno a Stana, ero certo che mi avrebbe preso a pugni. “Tua!!” urlò con una nota disperata nella voce. “Perché ti sei intromesso?? Perché lo hai colpito??” Io la guardavo sempre più stupito.
“Ma che stai dicendo Stana?? Se io non…” Ancora una volta non mi fece finire.
“E’ colpa tua se se ne è andato!!” gridò ancora lei. Vedevo Tamala che cercava di fermarla e calmarla, ma con scarsi risultati. Non la ascoltava. Stava riversando il suo dolore su di me e non sentiva altro. “E ora lo hai anche preso a pugni!! Ma che pensavi?? Non dovevi intrometterti!! Non erano affari tuoi!!” A quella frase il sangue cominciò ad andarmi alla testa mentre mi montava una rabbia che andava a prendere il posto della sorpresa iniziale.
“Non erano affari miei?” domandai gelido mentre mi alzavo in piedi. Non le diedi il tempo di replicare che continuai. “Quel coglione ti avrebbe fatto seriamente male se non lo avessi fermato!”
“Me la sarei cavata!” replicò lei con lo stesso tono di prima. Sbuffai ironico.
“Certo! Con un paio di costole rotte e qualche livido magari!” risposi acido.
“Tu non lo conosci! Lui non avrebbe mai…”
“No, non lo conosco” la interruppi subito. “Ma ho visto abbastanza da capire che non si sarebbe fermato. E se sei tu che non vuoi capirlo, allora va bene! Resta nel tuo mondo immaginario!” dichiarai, ormai fuori controllo. Sotto il suo dolore vidi la sorpresa per la mia risposta, ma non ci badai. Ero troppo fuori di me. Mi voltai e me ne andai a passo svelto, i pugni e la mascella serrati. Dopo tre passi però mi girai di nuovo verso di lei. “Ah, e se sei convinta di essere nel giusto, allora d’accordo, hai ragione tu” dichiarai gelido. “Ma ti avverto: visto che non sono gradito, io non ti salvo più.” Mi voltai ancora una volta e, senza più guardarmi indietro, arrivai al mio bungalow e mi ci chiusi dentro. Mi fermai un secondo nel mezzo della stanza, il respiro pesante. Quindi lanciai un urlo rabbioso e tirai un pugno alla parete. Sentii una fitta lancinante alle nocche, ma non ci badai. In realtà una piccola parte del mio cervello sapeva perché Stana mi era andata addosso così. Per lo stesso meccanismo di difesa che mi aveva fatto rispondere male a lei quando avevo appena lasciato Serena. Arrabbiarsi con la prima persona che ci si trova davanti anche se non ha colpa. Potevo giustificare la rabbia di Stana, il suo sfogo per quel litigio. Potevo giustificare tutto. Ma non che non capisse che sarebbe uscita male dallo scontro con il suo ragazzo. L’avevo sentita, aveva avuto paura quando l’aveva strattonata. Come poteva essere così cieca??
Iniziai a girare in circolo per il camerino come un animale in gabbia con le mani serrate infilate in tasca, la mascella contratta, il respiro irregolare e il cuore che batteva forte. Sentivo chiaramente il sangue pulsarmi nelle orecchie. Nella testa invece mi rimbombavano ancora le sue parole. Perché non capiva?? Perché??
Continuai a vorticare incessantemente per quel piccolo spazio per non so quanto tempo. Di solito sbollivo facilmente, ma questa non potevo lasciarla passare. Mi aveva fatto preoccupare quasi a prendermi un infarto per la sua incolumità e a lei l’unica cosa che importava era che era colpa mia se quel bastardo se ne era andato!!
All’improvviso un secco bussare alla porta mi fece bloccare in mezzo alla stanza. Per un attimo mi guardai intorno spaesato, non riconoscendo quasi il mio bungalow.
“Nath?” riconobbi la voce di Jon che mi chiamava. Avrei dovuto aspettarmelo. Se c’era qualcuno che riusciva a mettermi in riga dopo Stana, quello era lui. “Bro, sei lì dentro?”
“Lasciami in pace, Jon, non è il momento!” replicai ancora furioso, sapendo bene però che il mio amico là fuori non c’entrava nulla con la mia rabbia.
“Amico, andiamo, esci fuori!” mi chiamò ancora. “Non costringermi a entrare…” mi minacciò, ma non lo lasciai finire.
“E tu non costringermi a uscire!” replicai secco. Era così difficile capire che non volevo vedere nessuno?? “Chiamatemi quando iniziano le riprese se volete, ma ora lasciatemi in pace” aggiunsi con tono più calmo.
“Nathan…” riprovò Jon, ma lo interruppi di nuovo.
“Per favore, Jon” lo supplicai. “Ho bisogno di un po’ di tempo…” Sentii un breve silenzio e poi un sospiro dall’altra parte della porta.
“Nate…” Gelai sul posto. Il respiro mi si mozzò in gola e il cuore ricominciò a pulsarmi veloce. Stana. Con una voce talmente lieve che quasi non l’avevo sentita. “So che non vuoi parlare con me… e avresti ragione…” mormorò ancora. “Ma io… insomma…”
“Stana, ho davvero bisogno di stare solo ora” dichiarai duro. Non ce l’avrei fatta a litigare ancora con lei. Non per quello.
“Ok…” sussurrò dopo qualche attimo con tono triste e rassegnato. “Volevo… volevo solo dirti che mi dispiace…” aggiunse poi. Io sbuffai piano e non replicai. Sentivo gli occhi farsi lucidi tanto erano agitati i sentimenti dentro di me nel sentire in quel momento la sua voce così piccola e nel ricordare insieme quella rabbiosa. Ma non avrei ceduto. Non subito almeno. Forse ero un po’ vendicativo, ma non avrebbe mai capito come mi ero sentito nel vederla in quella situazione con l’essere che chiamava ‘il suo ragazzo’.
Dopo qualche secondo di silenzio sentii un nuovo sospiro dietro la porta.
“Allora… ci vediamo dopo sul set…” mormorò ancora. Percepii i suoi passi allontanarsi. Poi solo silenzio.
Chiusi gli occhi e mi accasciai stancamente su una sedia, i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani. E ora? Dovevo uscire e affrontarla? Far finta di niente? Come mi sarei comportato? E gli altri che avrebbero pensato? Praticamente tutti avevano visto la nostra ‘scenetta’… Sospirai pesantemente e mi passai le mani tra i capelli senza però avere comunque idea di cosa fare. Non so per quanto tempo rimasi in quella posizione, ma all’improvviso un nuovo bussare mi fece alzare la testa lentamente, come se mi fossi appena svegliato.
“Nathan, sono Kristen. Dobbiamo girare” mi avvertì la mia assistente. “Te la senti?” chiese comunque un attimo dopo, preoccupata. Rimasi per un attimo in silenzio. Me la sentivo? No. Però che scelta avevo? E poi prima avremmo finito le riprese, prima la stagione sarebbe finita e io sarei tornato a casa.
“Arrivo…” risposi alla fine. Mi alzai, presi gli occhiali da sole che avrei dovuto indossare in scena e uscii, trovandomi Kristen appena fuori dalla porta che già mi radiografava come a voler cercare un malessere esteriore. La sua espressione era dubbiosa.
“Nath, sei sicuro che…”
“Sono a posto, grazie Kris” replicai interrompendola e appoggiando le lenti scure sul naso. “Andiamo a fare queste riprese” aggiunsi poi con un mezzo sorriso vuoto, giusto per tranquillizzarla. Mi avviai attraverso il parco fino a raggiungere una sua estremità dove già era tutto pronto. Gli attori in divisa davanti alla macchina contenente la bara, la banda poco più in là, i cameraman e il regista non aspettavano che me. Eppure mi sembrava mancasse il solito fermento. Tutto era più silenzioso, più teso.
Senza che nessuno mi chiedesse niente, e senza che io dicessi nulla, presi il mio posto in fila dietro l’auto funebre. Sentivo gli sguardi di tutti puntati su di me. Specialmente quelli di Stana, che sarebbe stata dalla parte opposta della bara rispetto a me. Non la guardai. Non volevo che vedesse quanto stavo soffrendo, né io avevo intenzione di controllare le sue emozioni. Rimasi con lo sguardo fisso verso il bagagliaio, senza curarmi di altro.
Un momento dopo Bowman, regista dell’episodio, fece partire le riprese. Marlowe, appena dietro di lui  controllava lo svolgimento delle registrazioni. Mentre Jon davanti a me apriva la macchina per tirare fuori la bara, pensai, in un momento di cupa ironia, che le nostre facce erano davvero da funerale e che quindi la scena sarebbe sicuramente venuta benissimo.
Sotto l’occhio attento delle telecamere, portammo la bara pochi passi più in là discendendo per una piccola collinetta per simulare la marcia verso il pezzo di terra a cui Roy Montgomery sarebbe stato destinato. Al solito ripetemmo la stessa scena per diverse volte in modo da avere più angolazioni. Quindi passammo alla scena del funerale vero e proprio, con tanto di colpi a salve e bandiera americana ripiegata e consegnata alla moglie del caduto.
Il clima delle riprese era grave. Non solo per la scena in sé che stavamo girando. Nessuno rideva o scherzava durante le pause. Tutti facevano il proprio lavoro senza dire nulla se non lo stretto indispensabile. Notai più di una volta Tamala appartarsi con Stana poco lontano dal set e discutere con lei animatamente di qualcosa. Di tanto in tanto Jon o Seamus cercavano di farmi parlare un poco, di tirarmi su, di farmi reagire, ma ogni volta rispondevo atono o non rispondevo affatto, così alla fine rinunciarono. Quella litigata aveva buttato giù il morale a tutti.
Alla fine, dopo quasi un’ora e mezza, arrivammo al momento culminante del funerale: il discorso di Beckett. Pensai all’ironia della cosa. Io, che avevo appena detto che non l’avrei più salvata, entro pochi minuti mi sarei dovuto buttare su di lei per cercare di tirarla via dalla traiettoria di un proiettile.
Andai a prendere il mio posto davanti alla bara e poco lontano dal leggio. Bowman mi fece segno da dietro una telecamera di togliermi gli occhiali da sole che mi ero rimesso sul naso dopo una ripresa. Li levai del tutto e li lasciai a Kristen, già al mio fianco per recuperarli e controllarmi il trucco. Gli attori si diressero per la maggior parte alle sedie destinate ai familiari e agli amici del capitano, mentre altri, tutti in divisa, si sistemavarono in piedi intorno alla bara e alla folla. Stana prese la via per il leggio. Nel salirci, si voltò per un momento verso di me e i nostri sguardi si incrociarono. Esitò un momento sulla pedana, come se volesse prima scoprire cosa stessi pensando o si aspettasse un cenno da me. Ma io non mossi un muscolo. Rimasi indifferente e dopo qualche attimo voltai lo sguardo alle file di lapidi che si estendevano davanti a noi e che tra poco avrebbero dato rifugio al quasi assassino della detective Beckett. Con la coda dell’occhio vidi Stana abbassare il capo e scuoterlo leggermente, come rassegnata.
In quel momento Rob ci avvertì di tenerci pronti a girare. Feci un respiro profondo e chiusi per un secondo gli occhi. Dovevo ancora una volta tornare Castle. Cosa provava e avrebbe provato? Avevano appena ucciso uno dei suoi amici. Dolore. Aveva litigato con la sua partner. Rabbia. E tra poco sarebbe stato testimone del quasi omicidio della donna che amava… Terrore. Assoluto terrore. Quello non sarebbe stato difficile in fondo. Dovevo solo riprendere il sentimento che mi aveva spinto qualche ora prima a lanciarmi contro Adam e amplificarlo.
Riaprii gli occhi. Ero pronto. Lanciai un’occhiata intorno a me e vidi i volti di tutti sfregiati dalla tristezza. Sì, sarebbe venuta davvero bene come sequenza…
Bowman ci segnalò che stavamo per cominciare. 3…2…1… Azione.
“Roy Montgomery taught me what it meant to be a cop. He taught me that we are bound by our choices, but we are more than our mistakes.”
Stana/Kate parlava con calma, ma percepii anche una nota diversa nella sua voce. Tensione. E come un groppo in gola, tenuto a freno per miracolo, che si notava da come si fermava spesso per riprendere fiato. La guardai sorpreso. Non solo per quel coinvolgimento che sembrava quasi reale. Anche per le sue parole. ‘Siamo legati alle nostre scelte, ma valiamo più dei nostri errori.’ Quella frase mi colpì più di quanto mi aspettassi, nonostante l’avessi letta e riletta sul copione, nonostante sapessi che si parlava del mondo di Castle e non del nostro.
Tornai a guardare la folla davanti a me con uno strano peso nel petto mentre Beckett continuava a parlare.
“Captain Montgomery once said to me that, for us there is no victory. There are only battles. And in the end, the best you could hope for is to find a place to make your stand. And if you're very lucky, you find someone willing to stand with you.”
A quelle parole, Beckett si girò lentamente verso di me, quasi avesse paura che io potessi andarmene. Ma io non mi mossi. Non mi sarei mai mosso. Perché nonostante il dolore e la rabbia, Rick sarebbe sempre rimasto accanto a Kate. Una domanda però mi distraeva dalla scena. Io avrei fatto la stessa cosa per Stana?
Quando Stana/Kate riprese a parlare, per un attimo rimasi confuso su chi realmente fossimo in quel momento. Un secondo dopo però scacciai quel pensiero e tornai a concentrarmi. Alzai lo sguardo, mentre controllavo a che punto era il discorso. Ancora un momento e… un riflesso tra le lapidi!
Aggrottai le sopracciglia, perplesso da quel fenomeno. Che diavolo…?? Di nuovo quel riflesso… puntato su Kate! Finalmente capii e scattai. Ma troppo tardi.
“Kate!!”
Mi buttai su di lei, mentre gli altri, appena compresi lo sparo silenziato e il mio grido, si gettavano a terra urlando. Cademmo insieme a terra, lei a peso morto sotto di me, il cappello volato all’indietro chissà dove. Mi alzai subito sulle braccia per controllare come stesse e per un attimo fui davvero terrorizzato, tanto da dimenticarmi quasi il confine tra realtà e finzione. Avevo dimenticato che per la prima ripresa, da fare intera senza interruzioni, Stana aveva già indossato dei guanti con del finto sangue. “Kate…” mormorai con ancora residui di autentico spavento. Le guardai il petto dove sarebbe dovuto entrare il proiettile e mi immaginai una pozza di sangue rosso. Il terrore si impossessò di nuovo di me, come se lo vedessi realmente il sangue, come quando avevo visto cedere le ginocchia a Stana mentre affrontava Adam e avevo immaginato in un istante quali avrebbero potuto essere le conseguenze. “Shh…” la zittii come se volesse dirmi qualcosa. Le tirai su la testa con una mano per non farla poggiare a terra, mentre l’altra la passavo nervoso tra il suo fianco e il braccio. Kate, please. Stay with me, Kate.”Vedevo Kate guardarmi come spaesata, come se non avesse ancora compreso a fondo perché si trovava a terra e con me sopra. “Don't leave me, please. Stay with me, okay?” Fu a quelle parole che la voce mi si ruppe. Più andavamo avanti con la scena, più io dimenticavo che avevo Kate e non Stana davanti. Poi tentai il tutto per tutto. “Kate…” la richiamai ancora, ma stavolta con voce più ferma e sicura. Volevo che capisse che non lo facevo perché stava morendo tra le mie braccia, ma perché lo provavo davvero. “I love you.” Mormorai guardandola intensamente negli occhi, perché capisse che erano sinceri. Gli occhi di Stana/Kate (non riuscivo più a distinguerne la differenza) ebbero un reale moto di sorpresa e per un attimo li vidi brillare. Come avrei fatto se non avessi più visto quei bellissimi occhi? “I love you, Kate.” Quel nome stonò con quello che avrei voluto davvero dire e mi fece tornare faticosamente alla realtà. Stana mi guardava con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Mi ricordai in quel momento che avrebbe dovuto lasciar cadere all’indietro la testa, ma non lo fece. Rimase a guardarmi, mentre quello che sembrava un piccolo sorriso iniziava a formarsi sulle sue labbra. I nostri occhi rimasero incollati per diversi secondi. Avevo paura di muovermi. Se mi fossi mosso saremmo tornati del tutto alla realtà, dove avevamo litigato, e io non volevo. Sarei anche rimasto nel limbo tra Castle e realtà per sempre se avesse voluto dire vedere quegli occhi scintillare di felicità e quel sorriso allargarsi sulle sue labbra solo per me.
Ma fu la voce di Bowman a farci tornare bruscamente con i piedi per terra.
“Stoop!” urlò. “Ragazzi davvero bravi, ma Stana alla fine tu dovevi svenire!” Sbattei le palpebre come a riprendermi da un sogno, mentre Rob si avvicinava a noi. Per un secondo notai un’espressione di disappunto sul volto di Stana. Me l’ero solo immaginato? In quel momento mi ricordai che ero ancora sopra di lei. Mi alzai velocemente. Mi passai una mano tra i capelli per riprendermi, quindi allungai una mano a Stana per aiutarla a rialzarsi. Per quella gentilezza mi regalò un piccolo sorriso mentre le guance le si arrossavano velocemente. Evidentemente stava rimettendo anche lei insieme i pezzi della nostra performance.
Mentre Stana si scusava con Rob per non essere svenuta, io rimasi a osservarla. Lei era bellissima e straordinaria tanto quanto Kate. E solo in quel momento mi accorsi di una cosa. Avevo detto molte volte ti amo per mia volontà o per volontà di un regista. Ma non ci avevo mai creduto così tanto, non l’avevo mai sentito più giusto, che rivolto verso Stana pochi minuti prima. In quell’attimo fui certo di quello che provavo. Non era più qualcosa di indefinito. Non c’era più la domanda ‘che cosa siamo?’. Beh, ok, forse la domanda c’era ancora, ma almeno ora ero sicuro di una cosa. Ero innamorato di Stana.
 
Rifacemmo la scena più volte e stavolta Stana ‘svenne’ come da copione. Notai che qualcosa sul set era cambiato. L’atmosfera sembrava… più leggera. Io e Stana non ci parlavamo ancora, ma non ci guardavamo più nemmeno in cagnesco. A volte mi trovavo a fissarla senza motivo con un mezzo sorriso ebete, mentre altre la beccavo io che mi osservava con la coda dell’occhio, come a studiarmi. Qualche volta ci scappava anche un mezzo sorriso imbarazzato per qualche momento di scena venuto male, ad esempio quando, nel caderle addosso, ero scivolato ed ero crollato completamente su di lei. Non che la cosa mi fosse dispiaciuta particolarmente in realtà, ma avevo avuto paura di farle male e quando lei aveva fatto una battuta sulla mia instabilità non avevo potuto far altro che sorridere.
Il nostro cambiamento a quanto pare aveva influenzato ancora una volta tutto il cast e i tecnici. C’erano più sorrisi, più battute. Tamala arrivò perfino a domandare a Stana, con un sorrisetto malizioso, se per caso non avrebbe preferito stare sdraiata ancora un po’ a terra prima di svenire davvero, visto il sorriso che le aveva procurato la prima ripresa. Non era il solito umore, ma di certo era migliore di prima.
Passammo la giornata sul set per completare le riprese con tutte le angolazioni possibili che vennero in mente a Andrew e andammo a casa soddisfatti, anche se un po’ malinconici perché le registrazioni erano finite.
 
La sera ci fu la festa per il finale di stagione. L’atmosfera era festosa perché avevamo passato con successo un altro anno e c’era già gente che si chiedeva se saremmo arrivati alla quota di cento episodi. Per conto mio, passai la serata a scherzare con tutti (dopo la mia illuminazione della mattina il mio umore aveva avuto un crescendo per tutto il giorno) e intanto controllavo con un occhio Stana. La vedevo pensierosa e spesso in fitta conversazione con Tamala, ma non avrei saputo dire di cosa stessero parlassero. Anche se a un certo punto fui quasi convinto di aver sentito le parole ‘cimitero’ e ‘sguardo’. Quando i nostri occhi si incontravano poi, lei si mordeva il labbro inferiore e sembrava sempre indecisa, come se non sapesse se sorridermi o mandarmi al diavolo.
Tornai a casa la sera con la testa piena di dubbi. Tra l’altro non avevo ancora chiarito niente con Stana. Non avevamo parlato della litigata, per quelle poche chiacchiere che avevamo fatto, ma solo delle riprese e su cosa avremmo fatto durante le vacanze.
Alla fine mi addormentai pensieroso, ma con ancora davanti agli occhi l’immagine di Stana sotto di me che mi sorrideva, mentre gli occhi le brillavano.
 
Lunedì mattina mi svegliai allegro. Dopo quasi una settimana finalmente avrei rivisto Stana. Era dalla festa del finale di stagione che non la vedevo e mi mancava il suo sorriso. Beh, in realtà mi mancava tutto di lei. Mi ero trattenuto a stento nei giorni precedenti dal chiamarla e avevo usato tutte le mie energie per non pensarla e per organizzare le vacanze con mio fratello. Non avrei saputo neanche che dirle d’altronde. Quante volte mi ero immaginato una nostra conversazione telefonica?
‘Pronto?’ ‘Pronto Stana, sono Nathan. Volevo chiederti se potevamo vederci perché non abbiamo parlato molto dalla litigata e volevo dirti che mi dispiace che sia finita male, ma anche che ho scoperto una cosa sorprendente, cioè che sono innamorato di te e scusa se non te l’avevo ancora detto, ma non sapevo come dirtelo e in realtà non volevo neanche dirtelo al telefono, ma è capitato così perché sto parlando a manetta e non volevo aspettare un momento di più e…’
No. Decisamente, no. Avrei voluto dirglielo in faccia, ma ero terrorizzato da una sua reazione. Sapevo che aveva lasciato Adam (per fortuna!!), ma non avevo idea di cosa provasse per me. Solo amicizia? E se davvero non avesse provato altro? Sarebbe stata solo una pugnalata nel cuore scoprirlo…
Quel pensiero mitigò decisamente il mio buon umore. Sospirai e mi passai una mano tra i capelli. Qualunque cosa fosse accaduta oggi, dovevo parlare con lei. Avevo bisogno di parlare con lei. Forse era il caso di farmi un caffè con cioccolato. Giusto per avere il coraggio necessario.
Abbassai gli occhi però e guardai la pancetta che mi si era formata e che negli ultimi tempi i miei cari colleghi avevano deciso di prendere di mira. Magari un caffè forte sarebbe bastato.
Finalmente mi decisi ad alzarmi dal letto per andarmi a fare una doccia e prepararmi per i provini del nuovo capitano Victoria Gates.
 
Raggiunsi gli studios con dieci minuti di anticipo. In effetti avevo tirato un po’ sull’acceleratore, ma volevo arrivare prima per passare dal bar a prendere due caffè per me e per Stana. Mi ero accorto infatti che era diverso tempo che non glielo portavo. Quale migliore occasione per condividere un ‘caffè della pace’?
Entrai sul set del distretto dove ci sarebbero stati i provini. Avevano già spostato tutti i tavoli e liberato la zona, tanto che sembrava che il distretto fosse in restaurazione. Era stato lasciato solo il tavolone lungo che Marlowe, Bowman e i produttori avevano usato tre anni prima per le prime selezioni dei miei colleghi e che fino a quel giorno era per servito per appoggiare viveri e vivande per tecnici e cast in uno dei corridoi laterali nascosti del set. Andrew e Rob erano già arrivati ed erano chini su un copione a confabulare di chissà cosa. Qualche tecnico gironzolava ancora per i vari set finendo di sistemare gli oggetti di scena al sicuro. In fondo avremmo dovuto già essere in vacanza, ma eravamo rimasti solo per quei provini. Poi saremmo tornati tutti a metà luglio per girare la quarta stagione. A quel pensiero mi si chiuse lo stomaco. Se non fossi riuscito a parlare faccia a faccia con Stana quel giorno, non avrei più potuto farlo per i prossimi tre mesi, visto che poi saremmo partiti in date diverse e per luoghi lontani.
Mi guardai attorno, ma non la vidi da nessuna parte. C’erano già Jon e Seamus che chiacchieravano in un angolo e con la coda dell’occhio notai Tamala entrare e raggiungere i due. Sospirai e mi unii ai tre per passare quei minuti angoscianti. Sperai che Stana non decidesse di arrivare in ritardo proprio oggi.
“Ehi, bro!” mi salutò Jon vedendomi. “Tutto bene?” domandò poi squadrandomi da capo a piedi.
“Ciao, ragazzi” risposi. “Sì, sto bene, perché?” chiesi a mia volta confuso per quello sguardo indagatore.
“Così, tanto per sapere…” replicò Seamus alzando appena le spalle. Ma i due continuavano a guardarmi con l’aria di chi si aspetta che da un momento all’altro mi sarebbe caduta sulla testa qualche calamità. Tamala invece pareva studiarmi come se attendesse una qualche mia mossa. Ma che avevano stamattina?? “Tutto bene con Stana, sì?” si decise alla fine a chiedermi Seamus.
Lo osservai guardingo. Non è che c’era qualcosa che non sapevo?
“Uhm… sì… perché?” domandai di nuovo. Seamus si passò una mano sul collo e lanciò un’occhiata a Jon, come se sperasse che l’amico dicesse qualcosa. Infatti venne in suo soccorso.
“Diciamo che è dal giorno della litig… delle riprese del funerale…” Stava per dire ‘litigata’, ma un’occhiataccia di Tamala l’aveva fatto cambiare subito. “…che siete strani” concluse. “Voglio dire, parlate a malapena, e posso ancora capirlo, ma…” Si fermò a disagio, non trovando le parole adatte per continuare.
“Oh, insomma!” esclamò Tamala sbuffando. “Quello che Jon vuole dirti è di alzare il tuo bel didietro e parlare con Stana!” Sgranai gli occhi stupito. Sì, ok, già volevo parlare con la mia collega, ma che fosse Tam, che era la sua migliore amica, a dirmelo, significava che forse qualcosa si era mosso tra me e Stana. “Fillion non azzardarti a guardarmi così!” mi riprese minacciosa socchiudendo gli occhi e puntandomi contro un dito. Feci un passo indietro e alzai i caffè come a cercarvi riparo dietro. “Cerca di chiarire la tua posizione con lei oppure… Quelli sono due caffè??” Si fermò bruscamente, stupita, quando vide i cartoni che avevo in mano. Annuii confuso. “Per te e Stana?” chiese ancora sospettosa. Annuii di nuovo e velocemente. Il suo viso arrabbiato si rilassò un poco e mi sorrise appena. “Da quanto tempo era che non le portavi il caffè?” mi domandò più dolcemente. Stavolta fui io a fare un mezzo sorriso.
“Troppo” replicai. Tamala mi guardò negli occhi a fondo, quasi volesse scavarmi dentro per capire i miei pensieri. Poi sorrise di nuovo e alzò gli occhi al cielo.
“Lo sapevo io, se non li si prende a testate non ci arrivano…” commentò a chissà chi, divertita. Jon e Seamus continuavano a passare alternativamente lo sguardo tra me e Tam e ci osservavano come fossimo improvvisamente impazziti. Un attimo dopo lo sguardo della Jones fu attirato verso qualcosa alle mie spalle. “Ti conviene portarle il suo caffè prima che si freddi allora…” aggiunse facendomi un cenno verso dove stava guardando. Mi voltai e vidi Stana entrare sul set un po’ trafelata per paura di essere in ritardo. Solo a me sembrava all’improvviso così bella? “Muoviti, testone!” esclamò Tamala, esasperata, ma divertita dalla mia faccia da pesce lesso. “E vedete di chiarirvi per favore!” Mi girai ancora una volta verso Tam e le sorrisi come ringraziamento. Quindi mi scusai e scappai veloce verso Stana.
“Ehi!” esclamai sorridendo per salutarla. Lei si voltò di scatto mentre appoggiava la sua borsa a tracolla su una sedia.
“Ehi…” replicò con un mezzo sorriso. Notai che era un po’ nervosa da come si portò velocemente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ecco, e ora? Ora che ero davanti a lei non sapevo più che dirle! Tutto il bel discorso che mi ero mentalmente preparato nei giorni precedenti era svanito completamente davanti ai suoi bellissimi occhi curiosi e ansiosi.
Mi ricordai in quel momento di ciò che avevo in mano.
“Io… ecco, ti ho preso il caffè” dissi porgendole il suo contenitore. Lei mi guardò per un momento stupita, quindi mi sorrise, un poco più tranquilla.
“Grazie…” mormorò timida prendendo il caffè tra le mani e chiudendo gli occhi per sentirne l’odore dall’apertura sul tappo.
“Figurati” replicai sincero. “Era un po’ che non lo prendevo e… beh, avevo paura che il barista non mi riconoscesse più e non mi facesse più lo sconto” scherzai. Stana ridacchiò nascondendosi dietro al caffè. Perché lo faceva? Era così bella quando rideva… Scossi la testa e mi sforzai di concentrarmi. Presi un bel respiro prima di parlare. “In realtà io… ecco, io volevo chiederti scusa…” Stana alzò gli occhi su di me e mi guardò interrogativa. “Avevi ragione, io non… io non avrei dovuto intromettermi quel giorno…” mi sforzai di dire. “Solo che ti avevo visto in difficoltà e…”
“No, avevi ragione tu” mi fermò Stana scuotendo la testa. “Se non fossi intervenuto non ho idea fin dove si sarebbe spinto Adam. Ero accecata dal fatto che avevo paura di restare sola da non accorgermi del male che mi stava facendo…” Vidi il suo sguardo fermarsi inconsciamente per un attimo sui suoi polsi. Con quel gesto seppi che l’ultimo incontro con Adam doveva averle lasciato dei segni sulla pelle. Se lo avessi avuto davanti in quel momento gli avrei rotto tutte le ossa delle mani una per una e avrei goduto nel farlo.
“Tu non sei mai sola” replicai sicuro. Lei alzò di nuovo gli occhi su di me. “Qui c’è tutto un cast e una troupe che farebbe di tutto per te…” aggiunsi facendo un cenno con la mano al set. Vidi il suo sguardo intristirsi per un attimo. “E io…” cercai di trovare le parole adatte per continuare, ma i suoi occhi, ora attenti su di me, mi distraevano. “Io sarò sempre qui per te. Sono il tuo cavaliere, ricordi?” domandai con un mezzo sorriso riferendomi alle prime uscite che avevamo fatto insieme, quando la nostra amicizia, con quel qualcosa in più, stava ancora nascendo.
Lei mi sorrise timida.
“Il mio partner” replicò semplicemente. A quelle parole fui io ad alzare gli occhi su di lei, stupito. Partner… Perché ora le parole di poco più di una settimana fa di Serena mi suonavano così vuote e senza senso? Anzi, come avevano fatto allora ad avere un qualche senso per me? Noi eravamo partner, non semplici colleghi. Semplici colleghi non lo eravamo mai stati.
Le sorrisi come non facevo da tempo. Saperlo prima che sarebbe bastato parlare con lei per chiarire ogni dubbio!! Ora ero più certo che mai di quello che provavo.
“Stana, io…” cominciai, ma la voce di Marlowe ci interruppe mentre urlava a tutti di prepararsi per i provini e soprattutto a noi di avvicinarci così da recuperare i copioni. Lo maledissi silenziosamente.
“Dobbiamo andare” commentò velocemente Stana con gli occhi bassi e un po’ rossa in volto. La fissai per un attimo, quindi sospirai e annuii. Quindi sorrisi, anche se di un sorriso un po’ tirato.
“E andiamo!” esclamai scherzando e facendole un largo gesto con la mano per farla passare avanti. Lei ridacchiò e scosse la testa, ma poi mi precedette verso il tavolo dei produttori. Non era pronta. Non era pronta a quello che stavo per dirle e l’avevo capito subito. Come lei probabilmente aveva capito quello che avrei voluto confessarle. Forse perché aveva appena rotto così bruscamente con il suo ex, voleva un po’ di tempo per riprendersi. Inoltre di certo non ero l’uomo più facile con cui avere a che fare, visti i miei trascorsi amorosi. Ma io le avrei fatto cambiare idea. Le avrei dimostrato di potersi fidare di me non solo in amicizia, ma anche in amore.
 
Leggemmo i copioni mentre due tecnici recuperavano la lavagna bianca di Beckett. Avremmo recitato due scene: la prima era un faccia a faccia Gates-Beckett sul suo ritorno al distretto; la seconda riguardava invece un caso di omicidio di cui la Gates voleva un rapporto e avrebbe coinvolto sia la detective che Castle, Ryan ed Esposito.
Nel ripassare le battute con Jon e Seamus, mi accorsi che appena potevano ci osservavano attenti e curiosi. Io e Stana eravamo decisamente più rilassati che negli ultimi giorni e sicuramente l’avevano notato. Tamala invece ci studiava senza preoccuparsi che noi la vedessimo e sembrava tentare di capire che cosa ci fossimo detti e se finalmente avessimo risolto qualcosa.
“Certo che questa Gates è un tipo interessante…” commentò Stana a un certo punto quando finimmo di ripassare il copione.
“A me fa un po’ paura” replicò Seam con una mezza smorfia pensando sicuramente al suo personaggio era semi-terrorizzato dal nuovo capitano.
“Ma per favore!” esclamò Jon incredulo, scuotendo la testa con disapprovazione all’amico.
“Ragazzi, siete pronti?” ci chiamò Bowman in quel momento.
“Arriviamo!” risposi per tutti.
“Questa almeno forse riuscirà a far rigare dritto Castle” continuò Jon ridacchiando mentre ci incamminavamo verso il tavolone.
“Ehi!” esclamai offeso. “Forse all’inizio mi odierà, ma sono sicuro che prima o poi le piacerò!” aggiunsi convinto come se fossi Castle e stessimo recitando.
“Sì, nei tuoi sogni…” commentò Stana ridendo e usando una frase di Kate. Misi il broncio e la guardai offeso.
“Anche tu la pensi così?? Questo è un colpo al cuore, detective Beckett!” dissi teatralmente portandomi una mano al petto.
“Uff, sono sicura che prima o poi le piacerai anche tu, Castle!” replicò lei scuotendo la testa e rimarcando divertita sul ‘prima o poi’.
“Ovvio!” risposi come se effettivamente fosse la cosa più normale del mondo. “Il mio fascino non ha paragoni! Perfino tu sei capitolata, detective, quindi capitolerà anche la Gates!”
“Non ne sarei così sicuro, Castle… e poi chi ti dice che io sia capitolata?” domandò poi lei con un sopracciglio alzato, ma anche con un sorrisetto malamente nascosto. Mi avvicinai a lei di un passo e abbassai la voce.
“Oh, credimi, detective, so cogliere i segnali…” dissi con un sorriso furbo.
“Ragazzi, detesto interrompervi” disse all’improvviso Marlowe. Ci voltammo spaesati, come se ci avessero appena svegliato da un sogno, e notammo che tutti ci stavano osservando divertiti. “Ma lasciate un po’ di spirito Caskett anche per le prove, ok?” Io ridacchiai e Stana arrossì, ma entrambi annuimmo.
Prendemmo posizione al centro della sala insieme a Jon e Seamus in attesa della prima candidata, mentre Tamala andò a sedersi al tavolo dei produttori con uno strano sorrisetto soddisfatto in faccia. Isabel, l’assistente di Marlowe, ci avvertì che le aspiranti erano una trentina, quindi fece entrare la prima. Era una donna sui quarant’anni, pelle bianca, labbra rosse e carnose e capelli nero pece. Nonostante l’età, mi venne subito in mente la favola di Biancaneve nel vederla. Era una bella donna e sembrava anche simpatica, ma non emanava il carisma che avrebbe dovuto avere il capitano Gates.
Mi passai pensieroso una mano tra i capelli mentre aspettavamo che si presentasse ai produttori. Mi chiesi se per trovare la Gates, Marlowe avrebbe avuto la sua solita fortuna sfacciata in fatto di attori.
 
Avevamo già visto una ventina di candidate, quando entrò una faccia conosciuta. Era una donna sulla cinquantina, non molto alta e dalla carnagione scura. Da amante di Star Trek qual’ero, avevo visto negli anni tutte le serie televisive uscite sul tema. E lei la ricordavo bene: era il capitano Kasidy Yates. Dovette riconoscerla anche Stana, perché sorrise nel vederla.
“Quella è Sherry Palmer!!” mi sussurrò eccitata. La guardai confuso.
“Chi?” Stana mi lanciò un’occhiataccia.
“Sherry Palmer. Ha recitato nella serie 24” mi spiegò. Annuii comprensivo. Era una serie che la mia partner amava molto e vi aveva anche partecipato in uno o due episodi.
“Penny Johnson Jerald” si presentò l’attrice dando il suo curriculum a Andrew. Nel spiegare la sua carriera nominò sia 24 che Star Trek, oltre a una sit-com e a diversi altri telefilm per singole brevi apparizioni.
“Perfetto, signora Jerald. Ora può raggiungere gli altri laggiù che le daranno un copione” disse Marlowe qualche minuto dopo indicandoci. La donna si girò e venne a passo spedito verso di noi con un sorriso in volto. Si presentò allegra allungandoci la mano. Notai che aveva una presa sicura e forte, nonostante la statura. Le passammo un copione che subito lesse con interesse. Nel frattempo iniziammo a conoscerla e scoprimmo che conosceva Castle e che era stata una grande fan di Montgomery. Soprattutto per come, un po’ più sottilmente, aveva cercato di far avvicinare Rick e Kate. Anche lei, come Stana, era pazza per il rapporto tra Castle e Beckett e non vedeva l’ora che si mettessero insieme. Io ero un po’ più scettico, ma mi astenni dal commentare. Molte serie tv erano finite perché i protagonisti si erano messi insieme e se quello era il prezzo da pagare per continuare a lavorare in Castle con gli altri, ma soprattutto con Stana, allora a me sarebbe andata bene pure se avessero continuato a girarsi intorno per sempre.
Qualche minuto dopo cominciammo il provino. La Jerald era fantastica. Un momento prima sembrava seria come la morte mentre recitava la parte della Gates, mentre l’attimo dopo, appena tornava sé stessa, era la persona più allegra e attiva di questo mondo. Il dialogo Beckett-Gates sembrò uno scontro all’ultimo sangue e la serietà con cui il capitano seguì il caso (e riprese Castle) furono magistrali.
Quando la salutammo, sembrava estremamente eccitata e allegra. La sua risata era piena di vita e contagiosa. Era felice di averci conosciuto e sperava con noi che la Gates, col tempo, imparasse a conoscere i suoi sottoposti e migliorasse un po’ di carattere.
 
Un’ora e mezza dopo ci riunimmo a consiglio per eleggere il nuovo capitano. Mi mancavano quelle mega riunioni. Mi ricordavano molto i primi tempi in Castle grazie ai quali avevo trovato una famiglia in pratica, oltre che fantastici amici e una donna stupenda. Non ci mettemmo nemmeno troppo. Dopo soli venti minuti, all’unanimità avevamo scelto la nostra donna. E poi chi altri meglio di un capitano della flotta stellare avrebbe potuto interpretare un capitano di polizia? Penny Johnson Jerald infatti era appena diventata ufficialmente il nuovo capitano Victoria ‘Iron’ Gates del dodicesimo distretto di New York.

----------------------------
Xiao!! :D
Sono in un mostruoso ritardo, lo so... *me si frusta da sola* ... purtroppo sono in periodo esami e, dovendo studiare, riesco a combinare qualcosa solo la sera... Se poi inoltre mi ostino pure a controllare la lunghezza dei capitoli solo alla fine sono rovinata... -.- Non mi ero neanche accorta di quanto era lungo!! In ogni caso spero vi sia piaciuto e ancora scusate *me si frusta di nuovo* per il ritardo...
Cooomunque... allora quanti si aspettavano la Gates? XD Ho fatto un bel saltino in avanti e le cose purtroppo non andavano tanto bene tra quei due, ma come sapete io sono per gli happy endings (anche se a quanto pare adoro farvi soffrire almeno un pochetto... XD) e quindi sembra che ora si sistemerà un poco... X)
Ah, c'è ancora un capitolo mancante poi anche questa fic sarà finita... (dio non pensavo sarebbe venuta così oblunga!! O.o) Anyway, volete provare a indovinare chi c'è dopo? X) 
Un grazie enorme come sempre alle mie 'consulenti' Katia e Sofia! :D Vi adoro ragazze! (Anche quando mi fate aggiungere pezzi o mi ricordate cose i mi cambiano mezzo mondo, vero draghetta? XD)
Boh, that's all folks!
A presto! ;D (spero, ma purtroppo sta arrivando il periodo nero per gli esami e non penso sarà tanto "presto"... abbiate pietà)
Lanie
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Castle / Vai alla pagina dell'autore: LaniePaciock