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Autore: Agapanto Blu    26/06/2013    9 recensioni
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.
Quando Mathieu decide di rivelare al padre la sua omosessualità spera in un aiuto per risolvere la confusione e la paura nella sua testa, nonostante i suoi non ci siano mai stati per lui. L'ultima cosa che il ragazzo si aspetta è di essere cacciato per questo e iscritto alla Chess Academy, una scuola maschile molto esclusiva in Inghilterra.
Ma è qui che arriva il peggio, perché nella scuola esistono due soli colori, o bianco o nero, e le vie di mezzo vengono brutalmente soppresse.
Mathieu non vuole questo, non vuole essere un sovversivo e non vuole lottare, certo non vuole l'oppressione che sente addosso e spesso pensa di chinare la testa e smettere di resistere.
Sarebbe facile, quindi perché non farlo? Semplice: perché gli occhi di Gregory, ragazzo spigliato e decisamente ribelle, sono troppo azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Scolastico
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Capitolo 1: Il posto vuoto

L’interno della scuola era inquietantemente diviso in due colori: bianco e nero. Ogni cosa, dalle piastrelle romboidali del pavimento che alternavano i due non colori, alla pelle delle poltrone. Il piano terra era un unico salone immenso in cui si apriva direttamente il portone d’ingresso e di fronte a me vidi un’altra porta a doppio battente dietro la quale sparivano gli studenti; sulla destra in fondo stavano due enormi camini con davanti le sopracitate poltrone mentre per il resto lo spazio era organizzato con librerie e scrivanie vicine alle pareti in modo da lasciare il vuoto in mezzo. Invece, sulla sinistra, sulla parete di fronte a me correva un enorme bancone che mi fece pensare all’accettazione di un ospedale perché coperto di fogli e carte e ospitante un paio di persone intente a lavorare al computer o con delle cartelle, e invece quella di fondo era un’immensa vetrata che dava sul giardino e da essa entravano ed uscivano alcuni ragazzi. Osservandoli, notai che perfino i loro libri avevano o la copertina nera e le pagine bianche o la copertina bianca e il lato delle pagine nero. Inquietante.
Deglutii, sempre più a disagio, ma prima che potessi fare qualcosa una donna mi si avvicinò. Sembrava uscita direttamente da un romanzo di Jane Austen, solo che lei doveva essere stata l’antagonista più che la protagonista. Doveva avere quarant’anni, non gliene davo di più, e teneva i capelli castani stretti in una crocchia sopra la nuca; indossava semplicemente una camicetta bianca a maniche lunghe dentro una gonna nera che le scendeva liscia fino a terra.
“Mathieu Legris?” mi chiese, avvicinandosi con un sorriso strano. Non sapevo perché, ma lo trovai falso.
Annuii, incerto se darle la mano visto che lei teneva le sue ben strette l’una nell’altra di fronte al ventre.
“Sono la preside, Camille Williams.” si presentò, “Immagino tu sia appena arrivato.”
Annuii, sempre incapace di parlare, e lei sorrise.
“Bene, tuo padre ci ha avvertiti dei vari motivi che ti hanno spinto qui” e io arrossii di botto, imbarazzato, “e puoi star certo che riusciremo a porvi rimedio.”
A quel punto, sbiancai. Cosa intendeva con ‘porvi rimedio’?
“Detto questo,” continuò, “ci tengo a ricordarti che qui abbiamo regole rigide che non permettiamo vengano infrante, perciò ti inviterei a fartele spiegare dal tutor che ti ho fatto assegnare e che sarà il tuo compagno di stanza.”
Non smetteva mai di sorridere e più lo faceva più sentivo il bisogno di scappare via.
“Mi ha fatto chiamare, preside Williams?”
Quasi sobbalzai nel sentire una voce di un ragazzo arrivare alle spalle della donna e interrompere la sua inquietante eloquenza.
La facciata della Williams si increspò solo per un attimo poi tornò a sorridere e si voltò verso colui che aveva parlato. Quando si spostò, mi permise di vedere il volto del mio salvatore e per poco non mi venne un colpo.
Era lui! Il moro della finestra!
A distanza ravvicinata, potevo notare che era più alto di quanto avessi supposto, doveva superarmi di una testa buona, e i capelli castani corti erano abbastanza in disordine rispetto a quelli di altri. Gli occhi scuri erano grandi e scintillavano quasi provocatori su di un naso semplice e un sorriso che sembrava troppo smagliante per essere sincero. Probabilmente mi stavo facendo io delle paranoie.
“Ma certo, Hastings, vieni.” gli disse allargando un braccio per farlo avvicinare e poi posandogli una mano sulla spalla quando lo ebbe fatto.
Lui non fece una piega ma guardò me, quindi probabilmente ero io che mi stavo sognando tutto. Sembrava gentile e mi porse la mano, che strinsi con un po’ d’esitazione.
“Benvenuto alla Chess Academy.” mi disse, tranquillo, “Io sono Ryan Hastings, sono al terzo anno” diciassettenne come me?, sembra più grande “e tu sei?”
“Mathieu Legris.” mi presentai, cercando di non inciampare nelle sillabe, “Terzo anno.”
Mi aspettavo mi chiedesse da dove venivo ma non lo fece, semplicemente mi indicò le valige che avevo addosso e rise.
“Forse è il caso che ti faccia vedere dove lasciarle, eh?” mi chiese.
Annuii, un po’ rinfrancato, e la Williams rise.
“Perfetto, allora!” disse lasciando Ryan e indicandoci la porta alle sue spalle, “E ricordate di essere puntuali a cena: non vogliamo iniziare con il piede sbagliato, vero Legris?”
“No, certo…” mormorai, di nuovo a disagio, ma il moro mi mise una mano sulla spalla invitandomi a seguirlo.
Ryan aprì uno dei due battenti e mi ritrovai di fronte ad una scalinata dai gradini alternati bianchi e neri, illuminata solo da una finestra tra le due rampe opposte che la componevano e perciò un po’ in luce e un po’ in ombra. Lui mi stava seguendo ed era sul punto di chiudere di nuovo il portone quando sentimmo la Williams richiamarlo.
“Sì, preside?” chiese lui, apparentemente tranquillo.
“I capelli, Hastings.” disse lei, con la voce gentilissima, e lui se li aggiustò con la mano, “Alle nove nel mio studio?”
“Certo, preside.” rispose, ma quando chiuse la porta mi parve di vederlo stringere leggermente il pomello, come per calmarsi.
Fu un attimo, poi tornò a me.
“Scusami, altre questioni.” mi rassicurò, sempre sorridendo ma ora sembrava più sincero, “Andiamo?”
Annuii e prima che potessi accorgermene lui aveva afferrato una delle mie due borse.
“No, davvero Ryan, non serve!” tentai ma lui mi ignorò, iniziando a salire le scale.
“Allora, al secondo piano ci sono gli uffici dei professori e le aule, cinque aule normali per le cinque classi più un laboratorio di scienze e uno multimediale che usiamo raramente assieme poi alla biblioteca dell’istituto.” mi spiegò, “Al terzo ci sono le camere dei professori e al quarto e quinto piano stanno le stanze degli allievi. In realtà c’è ancora una soffitta minuscola ma non la sua nessuno. La mensa invece è nel gazebo sul retro, in giardino, quando fa caldo mentre d’inverno viene spostata al piano terra, vicino ai camini sulla destra.”
“Quali sono le regole dell’istituto?” chiesi subito, ricordando la minaccia implicita della Williams.
Ryan sospirò, scuotendo la testa.
“Rispetta gli orari, obbedisci ai professori e vedi di essere sempre in ordine.” mi elencò, “Basilarmente, le regole sono queste. C’è una tabella di orari appesa all’interno della porta della nostra stanza e sul tuo letto ne troverai una copia assieme ai tuoi libri di testo.”
Annuii e rimasi in silenzio mentre salivamo le scale. Avevo visto solo due rampe prima ma in quel momento mi accorsi che ce n’era una coppia per ogni piano, per un totale di otto per arrivare al quarto piano, dove scoprii esserci la mia stanza. La nostra era la prima dalla porta, sulla sinistra, e dentro appariva abbastanza normale.
I due letti a una piazza erano con la testiera contro la parete di fronte alla porta, avevano coperte nere su lenzuola bianche come il cuscino e tra essi stavano due piccoli comodini neri, così come due scrivanie stavano ai due lati della porta e due piccole panche stavano sulle pareti laterali.
“Il tuo è il sinistro, se ti va bene.” mi disse Ryan, “Io sono nel destro dal mio primo anno, perciò…”
Annuii, ringraziandolo, e lo seguii a posare le mie borse sulla panca a sinistra del mio letto, accanto ad un porta di mogano nero –come tutte le altre, ovviamente incassate in pareti bianche–.
“Quello è il bagno, se vuoi darti una rinfrescata. Però ti consiglio di mettere a posto dopo cena.” continuò Ryan, “Rischi di far tardi e non mi pare il caso. Si mangia alle sette e mezza.”
Mi sembrava un po’ presto ma annuii e iniziai a tirar fuori un po’ di cose dalle valige, tanto per essere pulito a cena. Ryan si era seduto sul suo letto, le braccia all’indietro in modo da sorreggersi su di esse, e un sorriso condiscendente in viso.
“Paura?” mi chiese a bruciapelo, “Non parli mai.” Arrossii, di botto, ma lui rise e continuò. “Tranquillo, Mathieu: nessuno dei ragazzi ti mangerà, promesso. Tutto sommato, siamo una bella congrega.”
Lo guardai, imbarazzato.
“Si vede così tanto?” gli chiesi.
Lui rise e annuì.
“Sembra che tu stia aspettando di essere fatto a pezzi alla prima parola sbagliata!” ammise poi mi fece l’occhiolino, “Stai tranquillo, male che vada ci sono io a difenderti.”
Sorrisi, un po’ rassicurato, e promettendogli di fare presto svanii nel bagno.
Posai il ricambio sul ripiano di marmo bianco del lavandino (con perfino le tubature in nero) e mi sciacquai un po’ il viso. Mi guardai allo specchio e quello che vidi fu un diciassettenne terrorizzato, nessuna sorpresa che Ryan l’avesse notato. I capelli castani erano davvero in disordine perciò tentai di aggiustarli come avevo visto in testa agli altri ragazzi, eccezion fatta per il biondino, ma per gli occhi potei fare ben poco: erano del solito color nocciola con sprazzi verdi, ma erano un po’ arrossati dal pianto che ancora cercava di uscire ed apparivano forse troppo liquidi e luminosi. Mi vergognavo a voler piangere alla mia età ma io ero sempre stato così, nonostante gli anni mantenevo la lacrima facile e quando mi arrabbiavo o ero triste piangevo senza riuscire ad impedirmelo.
Il ricordo dell’ultimo dialogo con mio padre mi aggredì come un pugno allo stomaco.
-Che diamine significa gay?!
-Papà, v-vuol dire che…
-Lo so che vuol dire, idiota! Ma è una cretinata! Tu non puoi esserlo, maledizione! Sei un debole, ma non fino a questo punto!
-Papà, ti prego…
-Taci, Mathieu: tuo padre ha ragione! È vergognoso, adesso che facciamo? La stampa ci distruggerà quando saprà la cosa!
-Scordatelo, Michelle: la stampa non scoprirà mai la cosa perché mio figlio non è un finocchio del cazzo!
-Papà, smettila, ti prego…!
-No, smettila tu di chiamarmi ‘papà’! Io non avrò mai un figlio frocio: quando tornerai ad essere normale tornerai anche ad essere mio congiunto!
-Io non…
-Piantala di fare la femminuccia e smettila di piangere! Imbecille. Come diavolo è possibile che sia figlio mio, Michelle?! È nato da una delle tue scopate, non c’è altra spiegazione!
-Ah, adesso sarebbe colpa mia?! Guarda che, se è finocchio, la colpa è del fatto che tu non gli hai insegnato ad essere un maschio, Charles!
Strinsi le mani al ripiano, chinando il capo e chiudendo gli occhi mentre le dighe che avevo accuratamente costruito si spezzavano e lasciavano passare tutte le lacrime accumulate in quei giorni.
Da quel punto in poi, la discussione dei miei era degenerata sui toni di “È colpa tua se nostro figlio è una delusione continua” e cose simili, fino a quando mio padre non aveva emesso la sua sentenza: -Ah, ma adesso basta! Questa è l’ultima che mi fai, Mathieu: hai superato ogni limite! Ci avevo già pensato ma prima di sborsare tutti quei soldi per te volevo aspettare, però a questo punto pagherei anche un occhio della testa per sbatterti lontano da qui e trovare qualcuno che riesca a farti diventare un uomo serio anziché lo smidollato che sei ora. “Gay”, tsk! Alla Chess Academy sapranno rimetterti in riga, vedrai!
L’ultima cosa che mi aveva detto, dopo avermi spedito nella mia stanza, era stato un “Non tornerai prima di essere guarito, dovessero volerci anni!” attraverso la porta e poi ero stato segregato là dentro fino alla partenza, con proibizione di vedere e sentire qualsiasi amico avessi, ovviamente amiche escluse.
Continuavo a piangere e a mordermi la lingua per evitare che il mio compagno di stanza mi sentisse ma volevo solo smettere. Avrei fatto tardi, non avrei trovato la mensa e avrei iniziato malissimo con ripercussioni ad vitam sulla mia carriera scolastica.
Sobbalzai quando sentii due mani posarsi sulle mie spalle e mi voltai, spaventato, per ritrovarmi davanti Ryan. Non sorrideva più, era tremendamente serio, e la presa sulle mie spalle era salda abbastanza da farmi sentire la forma calda delle sue mani.
“Non hai chiuso a chiave, ho bussato ma non mi hai sentito. Volevo farti vedere dove prendere gli asciugamani e dove mettere le cose sporche ma ti ho sentito piangere.” mi spiegò, accennando un mezzo sorriso, prima di fare una leggera pressione per convincermi ad abbracciarlo.
Per quanto in imbarazzo, quel contatto gentile mi fece sentire molto meglio e così lo strinsi continuando a piangere senza riuscire a fermarmi.
“Stai tranquillo. È normale, è il primo giorno. Capita praticamente a tutti, qui, o prima o poi.” mi sentii dire, poi mi parve che la voce di Ryan si facesse leggermente più allegra, quasi stesse sorridendo, “Se può farti star meglio, io ho pianto un sacco di volte da quando sono entrato qui.”
Non ci avrei creduto nemmeno se l’avessi visto. Ryan, con il fisico atletico che percepivo sotto il viso e il sorriso perfetto, non mi pareva affatto il tipo che si permetteva di piangere; però apprezzai il tentativo e mi costrinsi a staccarmi notando che finalmente avevo fermato le lacrime. Mi asciugai il viso con le mani, in fretta, e poi rialzai lo sguardo su di lui, deciso a ringraziarlo, ma mi accorsi con sgomento che la camicia della sua uniforme era costellata di macchie trasparenti.
“Ryan, scusami!” esclamai, capendo che ero stato io a bagnargliela, ma lui scoppiò a ridere.
“Ehy, è un passo avanti!” scherzò, “Mi aspettavo quasi che mi chiamassi per cognome, a questo punto: forse non sei così imbalsamato come sembri!”
Arrossii ma sorrisi, più a mio agio di prima, però poi ricordai una cosa ed esitai.
“Ryan, forse è il caso che ti dica una cosa…” esitai.
 “Che sei gay lo so già.” mi avvertì scrollando le spalle, la tranquillità fatta a persona.
Cosa?! Ma che diavolo…?!
Ryan dovette notare il mio sconcerto perché sorrise.
“Non sono dalla tua sponda, posso dirtelo subito, ma conosco qualcuno che ha un radar incorporato per indovinare la sessualità dei ragazzi in arrivo.” scherzò, “Forse però sono i cinque anni qui dentro che insegnano a capire i comportamenti altrui.”
Aggrottai la fronte.
“Cinque?” chiesi, “Non sei al terzo?”
“Sì, ma ho diciannove anni.” mi spiegò, annuendo, “Ho ripetuto la seconda e adesso ripeto la terza: che vuoi che ti dica, i professori qui mi vogliono così bene che vogliono tenermici il più possibile!”
Mi parve di notare acidità e forse anche rancore nelle sue parole, perciò non commentai e mi limitai ad assicurargli che sarei arrivato presto e a guardarlo uscire dal bagno. Che strano, non mi sembrava il tipo capace di farsi bocciare due volte in cinque anni ma non stava a me giudicare.
Mi aggiustai in fretta, giusto quel tanto da essere presentabile, e uscii, trovando Ryan in piedi fuori dalla porta della stanza, il pomello in mano per tenerla socchiusa alle sue spalle, e intento a parlare fitto fitto con un altro ragazzo. Mi accostai a lui appena in tempo per riconoscere il biondino di prima mentre salutava e se ne andava, sgusciando via con grazia.
Ryan sembrava molto cupo quando riaprì la porta e sobbalzò nel trovarmi davanti a sé. Fu solo un attimo, e riprese il suo sorriso.
“Pronto?” mi chiese.
Annuii, un po’ più deciso, e con lui mi avviai alle scale, sperando di poter dire di essermi già fatto un nuovo amico.
 
La mensa, in realtà, erano tre tavoli: uno di media lunghezza messo in orizzontale e su di una specie di palco, ed immaginai fosse quello dei professori perché vi era la Williams intenta a parlare con un altro uomo, e due più lunghi ancora messi paralleli tra loro e perpendicolari all’altro, e ospitavano i ragazzi. Il tutto era sistemato sotto un enorme gazebo bianco, nel bel mezzo del prato che avevamo raggiunto oltrepassando la porta finestra del piano terra e spostandoci sul retro della scuola.
Notai che gli studenti con lo stesso numero sulla scacchiera erano vicini perciò dedussi che eravamo sistemati per classi e mi accostai ancora di più a Ryan che mi sorrise rassicurante.
Lui si muoveva tranquillo e notai che ogni tanto, quasi senza farsi notare, sfiorava la schiena o posava per un istante la mano sulla spalla ad alcuni ragazzi. La maggior parte di loro, gli lanciava dietro un’occhiata…riconoscente?, e solo alcuni facevano finta di niente per continuare a parlare sottovoce con altri ragazzi.
Il cibo non era ancora in tavola e parecchi posti erano vuoti, soprattutto al tavolo dei professori, ma Ryan tirò dritto verso il fondo del tavolo sinistro e mi fece mettere accanto a lui nel lato interno del tavolo. Se io ero alla sua sinistra, però, il posto alla sua destra era vuoto.
“Ricordati dove sei.” mi disse, “Fino all’anno prossimo, quando si scala per classe, dovrai sederti sempre qui: così notano subito chi manca o chi è in ritardo.”
Annuii e mi sporsi verso di lui quando notai i professori mancanti arrivare all’appello e sedersi assieme alla Williams.
“Quel posto?” gli chiesi, indicando quello accanto a lui.
Mi parve di vederlo stringere le labbra ma poi sorrise di nuovo. Diavolo, ma avevo le allucinazioni?!
“Tranquillo, arriverà.”
Perché mi sembrava stesse parlando con sé stesso?
Comunque, mentiva. Perché il cibo arrivò, la Williams si alzò in piedi e scrutò la sala sussurrando –mano a mano che trovava posti vuoti– qualcosa all’uomo che scriveva alla sua destra, noi mangiammo e ci alzammo per tornare in camera, ma quel posto rimase vuoto.





Abituatevi, dico una cosa e poi ne faccio un'altra: con questa storia sarà così.
Allora, massimo aggiornerò tra due settimane ma è possibile, per non dire probabile che aggiorni prima. Non mi darò scadenze con questo racconto, non ne potrei rispettare in questo momento. Mi dispiace che sia così, davvero, ma non posso dare certezze.
Detto questo, è apparso Ryan, che sarà molto importante per la storia. Vi avviso che i fatti, l'azione della storia, saranno molto rapidi almeno all'inizio: in tre giorni, a Mathieu potrebbe accadere di tutto. Mathieu, a proposito, è preso dal film Les Choristes, che ho rivisto di recente e mi ha spinta a mettere su carta questa storia che mi ronzava in testa da parecchio tempo.
Poi, avete notato i genitori di Mathieu? Che splendida famiglia, non è vero?
E il biondino? Lui si che sarà parecchio importante ;)
Boh, direi che ho detto tutto :)
A presto!
Ciao ciao!
Agapanto Blu

  
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