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Autore: lightblueTommo    26/06/2013    18 recensioni
Esiste la probabilità dell'impossibile? C'è qualche limite posto tra il normale e la fantasia? E se questo ipotetico limite dovesse essere oltrepassato? Aldilà di ciò che normalmente siamo portati a pensare esiste dell'altro, pensato da molti anche come "speciale".
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Niall Horan
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Finito di risistemare la borsa, prendo il giubbotto, le cuffie nelle orecchie e mi incammino verso casa. Inizia a piovere e io naturalmente non ho l’ombrello. Come sempre. Cammino sul marciapiede facendomi spazio nel via vai di persone che mi spingono da un lato all’altro per poter camminare riparati. Non curante del traffico che si sta formando a causa della pioggia, attraverso la strada guardando il cellulare e ascoltando la musica non a volume alto ma altissimo. Di solito lo faccio quando non voglio sentire le idiozie delle persone, questo è uno di quei momenti. Tutto d’un tratto mi ritrovo immobile. Distesa sul marciapiede dall’altro lato della strada con un ragazzo che mi sta coricato di sopra. Non riesco a vedere il suo viso, è poggiato sul mio ventre con la guancia destra. Alza lo sguardo per trovare il mio impaurito e confuso da tutto quello che è appena successo. Nell’iPod passa in rassegna ‘Look After You’ dei The Fray. Strano, molto strano. Si rialza e mi tende una mano per aiutarmi a ritornare in posizione eretta. L’afferro senza mai staccare gli occhi dai suoi. “Ma a che stavi pensando?” all’improvviso interrompe bruscamente il mio flusso di pensieri con una domanda alquanto burbera. “Come?” gli chiedo ancora sotto shock. “Avrebbero potuto ucciderti!” ancora senza capire nulla mi giro verso la strada per trovare il solito traffico che si ingorga con quattro gocce di pioggia. “Non ho guardato la strada mentre attraversavo..”  “Beh si, questo lo avevo notato.” Dice voltandomi le spalle e proseguendo per la sua strada. Incontro quasi privo di significato direi. Una volta a casa saluto mi madre che si trova in cucina e mi avvio al piano di sopra verso la mia stanza. Mi rendo conto che necessito di una doccia istantanea . Prendo l’occorrente e mi fiondo in bagno prima che lo faccia quel nano del mio fratellastro. Sembra tanto la reincarnazione di satana da bambino, però più cattivo. L’acqua bollente scorre sulla mia pelle lentamente, mentre immobile io mi godo quel momento di pace e tranquillità. ‘Toc-toc’ qualcuno deve sempre disturbarmi mentre faccio la doccia. “Bianca apri devo fare la pipì”. Ecco, lo sapevo. Non passa giorno in cui quel rompiscatole non mi dia fastidio. Lo ignoro come sempre e continuo a fare la doccia: con tutta la mia calma afferro l’accappatoio, avvolgo l’asciugamano intorno alla testa a mo’ di turbante, infilo le pantofole ed esco dal bagno andando in camera mia. Quel nano malefico mi guarda male e io gli rivolgo una linguaccia. Il momento in cui entro nella mia stanza e dopo essermi chiusa a chiave lascio cadere l’accappatoio per terra è quasi come una liberazione. Apro l’armadio per prendere il pigiama ma dando uno sguardo allo specchio mentre sono di profilo qualcosa attira la mia attenzione. Sulla mia spalla destra ci sono dei lividi. Cinque piccoli lividi situati a poca distanza fra di loro. Com'è possibile, in palestra non ho fatto niente che ha potuto farmi male. Non riesco a ricordare cosa può avermi causato quelle macchie che sarebbero andate via dalla mia pelle solo dopo alcuni giorni. Dal colore si può benissimo intendere che ci vuole del tempo perché possano passare; ma anche ammesso che in palestra abbia usato qualche attrezzo di troppo, come hanno fatto ad arrivare così’ presto sulla pelle i segni? Allora vediamo: ho fatto quindici minuti di tapis roulant, dieci di sollevamento peso, altri dieci di step e il tutto con la mia personal trainer. Mi rifiuto di credere che sia stato qualcosa che ho fatto in palestra a causarmeli. Lascio perdere la questione e afferro il pigiama; una volta indossato apro la porta e mi avvio verso la cucina. Mia madre mi ha chiamata per andare a cena. “Anche stasera Cameron non torna per cena?” il marito di mia madre, nonché padre del nano. “Sai com’è il suo lavoro.” Si si, è commercialista e bla bla bla. Le solite scuse tutte le sere ormai da due anni a questa parte. Secondo me le fa le corna. Non le ho mai detto cosa penso di Cameron, so quanto ne sia innamorata e so che una cosa di queste mi causerebbe la punizione a vita. Lei e mio padre si sono lasciati quando avevo sei anni; dopo due anni lei si è risposata e dal matrimonio è nato quella sottospecie di fratellastro che mi ritrovo. Da quando è nato tra me e lei ci sono sempre stati dei battibecchi, continui litigi che mi hanno portata a vederla come una nemica che mi infligge di continuo punizioni solo perché le rispondo per le rime e faccio di tutto per evitare ‘suo figlio’. Il mio papà invece rappresenta un po’ il mio supereroe, la persona che crede in me. Io sono la sua principessa. Lui non si è risposato, ha preferito rimanere da solo, ha sempre detto che se non potrà stare con mia madre non starà con nessun’altra donna. Quando c’è qualche problema è da lui che vado a rifugiarmi, ed è sempre con lui che mi confido. Quando hanno deciso di separarsi volevo andare a vivere con lui ma mia madre non me lo ha permesso, ha sempre tirato in ballo la scusa del ‘crescendo diventerai una donna e allora ti renderai conto che tuo padre non è in grado di prendersi cura di te’, cazzate. Lo aveva fatto fino a quel punto e avrebbe potuto benissimo continuare a farlo. “Non mi piace come hai fatto la carne. Io non la mangio.” Non sa far altro che lamentarsi. “No, tu adesso stai zitto e mangi quella fetta di carne o te la faccio ingoiare io!” sono molto delicate le mie risposte. Uno sguardo quasi minaccioso mi venne lanciato da mia madre facendomi accapponare la pelle. “Va bene tesoro, lascia stare la carne.” Fanno così tutte le sere: mi alzo, la prendo per la mano e la porto in salotto. “Sei tornata tardissimo dal lavoro, a stento ti reggi in piedi perché sei stanca dopo un’intera giornata passata in ufficio, riesci a preparare la cena per tre persone quasi fossi wonder woman e gli permetti anche di fare capricci?” ovviamente le mie ragioni non bastano per convincerla che deve stringere la cinghia con Tom. “Ha solo dieci anni, Bianca. Non posso mettermi a discutere anche con lui.”  “Ma con me lo facevi quando avevo la sua età, lo fai tutt’ora che sono maggiorenne.” Ritorna in cucina lasciandomi in piedi da sola in salotto, come se non esistessi. Sa benissimo che quello che le ho appena detto è giusto, ma non vuole darmi la soddisfazione di darle una mano. Seccata da quello che mi è sembrato quasi un monologo, mi rimetto a sedere a tavola, finisco la cena, la aiuto a lavare ed asciugare i piatti e ritorno in camera mia senza dire una parola. Ormai i miei silenzi sono all’ordine del giorno e a nessuno importa, tantomeno a lei. Sono stanca. Tutte le volte che vado in palestra, poi la sera vado a letto presto perché torno a casa distrutta.
 
-E se quel tipo non mi avesse salvata? Probabilmente adesso sarei in ospedale sotto i ferri o addirittura morta. Com’è possibile che io sia tornata indietro nel tempo? Perché sono di nuovo in mezzo alla strada e perché lui non c’è? Un momento.. Eccolo. Sta venendo a salvarmi. Sta succedendo esattamente quello che è successo la scorsa sera.-
 
“E’ stato lui!” è chiaro, è stato solo un sogno. Un sogno che mi ha fatto capire la provenienza dei misteriosi lividi che colorano la pelle della mia spalla. Il ragazzo di cui conosco solo il viso, si è stato proprio lui a procurarmeli. Mi alzo dal letto e mi avvicino allo specchio, mettendo in mostra la spalla davanti a quest’ultimo. Posiziono i polpastrelli della mia mano destra sui segni che, ovviamente sono più grandi delle mie dita. Un sospiro confuso lascia le mie labbra e i dubbi tornano a sopraffare la mia mente. Ma come diamine è stato possibile? In meno di mezzora sono venuti fuori cinque lividi violacei, e pure doloranti. Ci deve per forza essere una spiegazione in tutto questo, sono più che decisa a sapere qual è! Mi sdraio nuovamente sul letto e rimboccandomi le coperte ripenso al ragazzo che mi ha ‘salvato la vita’. Ricordo che ha un viso che non mi è nuovo, probabilmente sarà passato spesso davanti alla vetrata della palestra. Gli occhi azzurri. Un colore talmente intenso che inchioderebbe chiunque. Ho poco per poterlo riconoscere ma sono più che sicura che mi sarà necessario per fermarlo e chiedergli una dannata spiegazione. Potrà sembrare patetico ciò a cui sto pensando ma quei lividi sono venuti su troppo in fretta per essere stati causati da una normale botta. E poi, mi salva e non mi chiede nemmeno come sto emotivamente? Se quello che è appena successo mi ha turbata o se mi sono fatta male colpendo con il marciapiede? Ok d’accordo non è un’intervista, ma che cavolo!
Sono in piedi già di prima mattina. Bene. Scendo in cucina a fare colazione e trovo mia madre che da una mano a Tom per prepararsi. Lo tratta come un invalido, neanche non avesse le mani. Pronuncio un lieve e quasi inudibile buongiorno al quale mia madre risponde di fretta. “Come mai già sveglia? Sono ancora le 7am” i dubbi continuano a frantumarmi la testa, le palpebre spalancate mi impediscono di provare a dormire, il letto è scomodo. Servono ulteriori spiegazioni? “Non avevo sonno.” Semplice risposta ad una domanda che tutto ha, tranne l’aria di una che mira a sapere qualcosa di concreto. “Dato che ti sei svegliata presto puoi andare a fare la spesa?” annuisco sedendomi sul divano e strizzando gli occhi. “Ah, io oggi non posso andare a prendere Tom all’uscita da scuola. Dovresti andare tu.”  “No.”  “Bianca tu andrai a prenderlo alle 3pm.” Odio quando mi impone di fare qualcosa. “Ci vediamo stasera.” Dice prima di uscire chiudendo la porta. Appena sveglia e sono già stanca della giornata che si andrà a presentare. Non ho voglia di fare colazione, perciò dopo essermi lavata indosso la tuta, gli auricolari nelle orecchie, il telefono a portata di mano ed esco in strada a correre. Sembra non ci sia nessuno in giro a quest’ora. La zona in cui abito è abbastanza tranquilla e lontana dal rumore assordante dei clacson suonati dagli automobilisti impazienti di andare a lavoro. Correndo non mi accorgo di essere arrivata davanti all’insegna della palestra che frequento; per fortuna oggi è aperta anche di mattina. Entro e mi avvio verso il bancone. “Bianca! Che ci fai qui a quest’ora?” mi chiede George, l’addetto alle iscrizioni. Il perfetto amico gay capace di dare consigli seri in qualsiasi ambito. Io gli dico sempre che dovrebbe fare lo psicologo. “Mi trovavo per strada a correre. Tu come mai oggi sei qui?”  “Sai com’è, le ferie finiscono per tutti.” Sorrido stancamente a causa dell’intensità della corsa che ho interrotto qualche minuto fa. “Già che sono qui, mi sapresti dire dov’è Diana?” la mia personal trainer. “Ancora non è arrivata, l’aspetti insieme a me?”  “D’accordo.” Mi sorride e vado a sedermi accanto a lui. In questa palestra fa sempre un gran caldo. Tolgo la felpa e rimango con addosso solo una canotta grigia; sembra che George abbia appena notato i lividi sulla mia spalla. “Chi è stato?”  “A fare cosa?” mi fingo disinvolta per non iniziare a spiegare una cosa della quale non ci capisco neanche io un accidenti.  “A farti quei lividi!”  “E’ complicato da spiegare..” con aria indagatrice mi guarda negli occhi e poi riporta lo sguardo sulla mi spalla. Proprio in quel momento mi accorgo che sta varcando l’ingresso Diana e corro da lei, mimando a George ‘scusa’. Rimetto la felpa per evitare altre domande e la saluto. “Ehi Bianca.” Mi sorride mostrando la fila perfetta di denti che le illuminano il viso. “Facciamo una sessione di esercizi speciale oggi?”  “Si.” Sono stanca ma mi obbligo ad eseguirli per evitare di tornarci oggi pomeriggio. Sudata e stanca mi accorgo che sono in ritardo per andare a prendere il nano a scuola. Saluto Diana e George e corro da lui. Sono usciti tutti ed è rimasto solo sulle scale della scuola, con il viso poggiato nelle mani e i gomiti sulle ginocchia. Mi avvicino e per poco non si spaventa. “Come sei puntuale.” Sdrammatizza. Si alza e ci incamminiamo verso casa. “Puzzi.”  “Ero in palestra.” Si ferma e mi guarda in faccia. “Quindi non sei andata a fare la spesa!” porca miseria dovevo fare la spesa! Ma come cavolo fa a ricordarsi tutto, è una specie di robot o cosa? “Non hai fatto la spesa.”  “Senti smettila. È vero non ho fatto la spesa ma il frigo non è vuoto.” Fa spallucce e continua a camminare. Una volta a casa scaraventa lo zaino sul divano e va in camera sua; lo seguo e mi accorgo che si è messo a giocare alla Play Station. “Alt. Posa quell’aggeggio e vieni ad aiutarmi in cucina.” Sbuffa e scende le scale insieme a me, il mio sguardo minaccioso funziona sempre. Ma oggi è particolarmente strano, si fa comandare a bacchetta, probabilmente sarà successo qualcosa a scuola. Preparo la pasta e una volta pronta, ci sediamo al tavolo e iniziamo a mangiare. “Sputa il rospo: cos’è successo?” fa cenno di no  con la testa. Non vuole parlare perciò sto zitta e continuo a mangiare, non mi interessano i suoi ‘problemi’, se così si possono chiamare quelli di un bambino di dieci anni. Una volta finito, lavo i piatti e gli dico di aiutarmi. Cosa non rara ma di più, lo fa senza battere ciglio! Li asciuga con cautela, sale sulla sedia e li sistema al loro posto. Ma cosa sarà mai successo di così tanto particolare a questo bambino, mistero. Verso sera riorna mia madre che per prima cosa, come ogni volta, va da Tom ad assicurarsi che stia bene. Dopo aver controllato viene da me a rompere un po’: “Sei andata a prenderlo a scuola?”  “Se lo vedi qui..” sorride falsamente quasi a dispetto. “Cos’avete mangiato?”  “Ci siamo arrangiati con quello che c’era in frigo.”  “Non sei andata a fare la spesa?”  “No, mi sono dimenticata.” Sembra che il fumo le esca dalle narici, per poco non scoppia. “E per tutta la mattinata che hai fatto?”  “Sono andata a correre e poi in palestra.” E ora scoppia. “Una cosa ti chiedo di fare, una sola e non la fai. Non badi mai a tuo fratello, sai che è malato e potrebbe prendergli una crisi da un momento all’altro.” si, soffre di crisi epilettiche. “Ma no, pensi sempre ai fattacci tuoi! Per te esiste solo la palestra e basta. Non ti importa un ficosecco di come si senta tua madre dopo un’intera giornata a lavoro.”  “Non è mio fratello.”  “Non voglio più sentirti dire una cosa del genere, Bianca.”  “Continuerò a farlo perché è così che la penso e lo hai sempre saputo. È sempre lui il centre delle attenzioni di questa casa. Il resto vale meno di niente.” Qui scatta lo schiaffo. Una sberla che mi fa ruotare la testa verso destra; non mi aveva mai picchiata prima. Mi alzo senza dire nulla, afferro la felpa e scendo le scale mentre la infilo. Mi segue. “Bianca dove stai andando?” non ho la minima intenzione di risponderle, non se lo merita. “Torna subito qui.” Esco sbattendo la porta. Lo odio, è solo un problema vivente quel ragazzino. Mi ha rovinato la vita. Persa nei miei pensieri non mi sono nemmeno accorta di essermi allontanata di due isolati ed essere arrivata quasi di fronte a casa di mio padre. Forse inconsciamente era proprio lì che avevo intenzione di andare. Busso e come al solito viene ad aprire subito. “Bianca!” mi precipito all’istante tra le sue braccia e scoppio in un pianto liberatorio. Capisce immediatamente che è successo qualcosa con la mamma e mi tira dentro chiudendoci la porta alle spalle. “Racconta.” Dice asciugandomi i lacrimoni con entrambi i pollici. “E’ tornata a casa e ha cominciato a darmi contro urlando che non so pensare ad altro che a me stessa. Non faccio altro che andare in palestra invece che prendermi cura di lui. Tutto questo solo perché non ho fatto la spesa!”  “Perché non hai fatto la spesa?”  “Si. Abbiamo comunque mangiato, non mi sembra che si sia deperito solo per un pranzo un po’ meno abbondante del solito!” soffoca una risata e ci dirige verso il divano. “Papà per favore aiutami.”  “Tesoro è tua madre, sai che ti vuole bene.”  “No! È proprio qui che ti sbagli caro papà. Se me ne avesse voluto veramente non mi avrebbe mai trattata così.” Mi stringe forte a sé e continua ad asciugare le lacrime che da sole scendono giù. “Mi ha anche dato uno schiaffo.” Sgrana gli occhi, non conosce questo lato di lei. “No.”  “Lo ha fatto papà, e non mi ha nemmeno chiesto scusa. Non si è pentita di aver fatto una cosa del genere.” Mi abbraccia. Sembra essere rimasto deluso e amareggiato dalle parole che gli ho detto.
  
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