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Autore: ShioriKitsune    26/06/2013    7 recensioni
Dal testo:
"Tum-tum.
Non mollare.
Tum-tum.
Un ultimo sforzo.
Tum-tum.
Ci sono qua io con te.
Tum.
Devi farcela.
Tum.
Non puoi andare via.
Tum.
Ti prego.
Silenzio.
È questa la fine?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Invisible

 

Tum-tum.
Non mollare.
Tum-tum.
Un ultimo sforzo.
Tum-tum.
Ci sono qua io con te.
Tum.
Devi farcela.
Tum.
Non puoi andare via.
Tum.
Ti prego.
 
Silenzio.
È questa la fine?
 
***
 
Sentivo l’aria pungente della sera sferzarmi il viso quasi come uno schiaffo e, istintivamente, mi voltai dall’altra parte.
Che qualcuno chiuda quella maledetta finestra, pensai, assumendo un’espressione imbronciata nel bel mezzo del dormiveglia.
Il lenzuolo mi fu sottratto brutalmente, ponendo fine al mio – vano – tentativo di ristoro.
«Svegliati, Naruto!».
Era la voce di Sakura, e non sembrava nemmeno tanto tranquilla.
Poi ricordai.
Sgranando gli occhi, balzai già dal letto d’ospedale e l’afferrai per le braccia. «Sakura, lui..-».
Non riuscivo, non riuscivo a tradurre in frasi fatte ciò che mi si agitava nella testa.
Ma il mio sguardo eloquente sarebbe bastato.
Lei esitò per un momento,  indugiando su quelle parole che non si decideva a sputare fuori.
Quei secondi d’attesa furono quanto di più atroce avessi provato in tutta la mia vita.
Fa che non sia morto.
Fa che non sia morto!
«Si è svegliato».
Era tutto ciò che avevo bisogno di sentire.
Mi fiondai tra i corridoi con addosso soltanto quella misera vestaglia da malato, ignorando le proteste di Sakura e scansando chiunque si mettesse sulla mia strada, diretto verso una stanza ben precisa.
Quando arrivai, col fiatone, rimasi immobile sulla soglia, indeciso sul da farsi.
Era vero, si era svegliato.
E fissava con sguardo assente il nulla di fronte a sé.
Deglutii, facendo un passo avanti. Non era più il mio cervello che comandava gli arti, perché essi avevano ormai vita propria. Attratti irrimediabilmente dalla gravità che si concentrava in quell’essere umano che mi stava di fronte.
«Sa-Sasuke».
Stai balbettando come una femminuccia alle prese con l’oggetto della sua cotta, Naruto. Datti un contegno.
In fondo,  è solo Sasuke..
Già, solo Sasuke.
Lui voltò il capo, incrociando il mio sguardo.
I suoi occhi erano gli stessi di sempre: neri come la pece, profondi come l’oceano, tormentati dall’antico dolore che si sarebbe portato dietro per il resto dei suoi giorni.
Non si mosse.
Rimase semplicemente a fissarmi, come a volermi studiare.
Non sembrava irritato nell’avermi lì, ma nemmeno chissà quanto entusiasta.
Cosa potevo aspettarmi? Era fatto così.
Ancora un passo, poi un altro e arrivai così vicino da poterlo sfiorare.
Lo feci.
La sua pelle era fredda, ruvida, scorticata a causa delle tante battaglie. Le dita lunghe si chiusero intorno alle mie, stringendole con forza.
E poi gli angoli delle sue labbra si piegarono in un sorriso, così breve che pensai di essermelo immaginato. «Va bene così, dobe?».
Lo fissai, confuso.
«È di questo che hai bisogno per andare avanti?».
Andare.. avanti?
«Ma che stai dicendo, teme? Sei stanco, devi riposare».
Quelle parole mi avevano messo addosso uno strano senso d’ansia che non riuscivo a scacciare. Feci per mollare la sua mano, ma lui non me lo permise. «Sai benissimo di cosa sto parlando».
Lo so?
«Ti sbagli».
«E allora perché ti ostini a non voler aprire gli occhi?».
Bam.
Ecco perché.
Le sue dita divennero cenere nelle mie mani mentre quel mondo iniziava a cadere a pezzi.
L’illusione stava svanendo per l’ennesima volta.
«Sasuke, ti prego, resta».
«Non posso».
Tutto veniva distrutto e il tempo scorreva inesorabilmente veloce, come a volermi punire per avermi permesso, anche solo per un secondo, di ricordare quale fosse il sapore della felicità.
«Ciao, Naruto».
 
«NO!».
L’urlo fu soffocato da una mano calda, familiare. Riuscivo a vedere delle ombre che si muovevano da parte a parte, cercando di frenare le mie gambe che non volevano saperne di smetterla di scalciare.
«Tenetelo fermo», ordinò una voce secca, perentoria.
Tsunade.
Alla mia sinistra, qualcuno mi afferrò la mano. Non m’interessava sapere chi fosse, non mi preoccupai di controllare. Nemmeno quando sentii le sue lacrime bagnarmi le guance e la sua voce sussurrarmi che sarebbe andato tutto bene.
Uno dei ninja medici m’iniettò qualcosa nelle vene, un antidolorifico probabilmente.
Volevano cercare di attutire la sofferenza causata dalle ferite esterne? Inutile, non la sentivo nemmeno.
 Avrebbero cercato di curare ogni parte del mio corpo martoriato, ma nessuno di loro avrebbe potuto far nulla per il dolore che portavo dentro.
L’ennesimo grido, quello definitivo, che squarciò il silenzio della notte.
«Sasuke!».
 
***
 
Erano passati quattro giorni, ma nessuno era venuto a controllare le mie condizioni.
Forse, avevano semplicemente capito che avevo bisogno di affrontare quella cosa da solo.
Rannicchiato su me stesso, mi chiedevo perché non riuscissi a piangere. A vomitare tutto il dolore e tornare a sorridere, come avevo sempre fatto.
Sasuke non era la prima persona che la vita, beffarda, mi strappava via.
La guerra era stata vinta, Madara sconfitto per la seconda volta.
Ma non sarebbe bastato.
Non sarebbe bastato a giustificare il dolore di chi, quella guerra, l’aveva vissuta sulla propria pelle.
Di chi aveva perso i propri affetti su quella terra bagnata dal sangue.
La vittoria non ce li avrebbe dati indietro.
Due leggeri colpi alla porta ruppero il filo dei miei pensieri.
Non mi sarei alzato, non m’importava sapere chi fosse. Non m’importava più di nulla, a dirla tutta.
Ma il visitatore entrò lo stesso, senza essere stato invitato.
«Naruto, è ora».
Oh, adesso capisco.
Solo per un secondo ero uscito dallo stato catatonico in cui ero caduto dopo aver scoperto che Sasuke era morto.
Morto per difendere me, sotto i miei occhi.
Ed io non avevo potuto far niente per salvarlo.
In un breve attimo di lucidità, avevo chiesto a Tsunade di far avere all’Uchiha una degna sepoltura.
Almeno questo.
Nessuno, in quel momento, aveva osato obiettare. Eppure ero convinto che non mi avrebbero mai concesso questo favore. In fondo, era pur sempre un nukenin.
Ma le parole di quella che riconobbi come Sakura ebbero il potere di ridestarmi.
Mi misi a sedere, guardandola senza vederla davvero. In quel momento non riuscivo a preoccuparmi del dolore che anche lei doveva provare. C’era solo il mio, che oscurava tutto il resto.
Sai, Sasuke.. forse con la tua morte mi hai trasmesso un po’ del tuo egoismo.
La seguii in silenzio tra le strade deserte di Konoha. La gente, ancora spaventata, non aveva osato festeggiare la vittoria. Si piangevano i morti senza decantare gli eroi.
Perché stavolta decantare gli eroi avrebbe significato anche decantare un traditore.
E la gente era confusa.
«..mamma,  è lui Uzumaki Naruto? Quello che ha ucciso Madara?».
«Sì, tesoro, ma non farti sentire.  Lui non vuole che si parli di questo».
«E perché no?».
Perché dovrebbe parlare di come ha lasciato morire il suo migliore amico,risposi mentalmente al posto di quella donna che, non sapendo cosa dire, aveva preferito rimanere in silenzio.
Quello non fu che uno dei tanti mormorii che mi accompagnarono fino ai cancelli della città, dove Tsunade, Sai e Kakashi mi aspettavano.
Nessun altro era stato invitato. Nessun altro piangeva la morte di Uchiha Sasuke.
Mi sentivo privato di ogni tipo di forza, sia fisica che mentale. Caddi sulle ginocchia di fronte a quella che doveva essere la sua lapide.
Colui che si è redento e ha salvato il villaggio, recitava l’incisione.
Un flebile sorriso mi nacque sulle labbra, mentre le lacrime appena versate venivano mascherate dalla pioggia.
«Abbiamo pensato che avresti voluto ci fosse scritto questo», mormorò Tsunade.
Lo avevano scritto per farmi un favore?
Senza distogliere lo sguardo dalla lastra di pietra, domandai a me stesso se volessi davvero conoscere la risposta.
«..e perché è la verità, Naruto. Noi l’abbiamo perdonato».
Io no.
Non l’ho perdonato.
Non ho bisogno di farlo.
«Visto che ci siamo tutti, possiamo iniziare. In memoria di Uchiha Sasuke..».
Quelle furono le ultime parole che udii.
Non riuscii a reggere altro.
In memoria di Uchiha Sasuke.
 
***
 
«Svegliati, dobe. Ti prenderai un malanno».
Sbattei le palpebre senza volerlo fare davvero, ma sapevo che in realtà stavo ancora dormendo. Quella voce, anche se troppo reale, doveva per forza essere soltanto frutto della mia immaginazione.
Mi stropicciai gli occhi col dorso della mano, osservando Sasuke accovacciato di fronte a me.
Sorrideva appena.
«Dove sono gli altri?».
«Sono andati via», m’informò lui con un tono tra lo scherno e il rabbuiato. «Non ne potevano più te e i tuoi piagnistei e hanno deciso di lasciarti sotto la pioggia, nella speranza che crepassi».
Affilai lo sguardo. «Sei proprio un bastardo».
Lui, infischiandosene dell’insulto, si sedette accanto a me, la schiena appoggiata alla sua stessa lapide.
«Lo sai che questo è un sogno, vero?».
Abbassai lo sguardo, mentre i fantasmi di quel lancinante dolore tornavano a galla un pezzetto alla volta.
«Lo so».
«Bene, dovevo esserne certo».
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, fissando la pioggia e il nulla nello stesso tempo.
Non potevo sprecare quei minuti, anche se erano soltanto il frutto del dolore e del mio masochismo estremo. Come se volessi farmi ancora più male, permettendomi di parlare con lui come se fosse ancora vivo.
«Perché l’hai fatto?».
«Fatto cosa?», domandò, con quel tono piatto che mi faceva sempre venir voglia di prenderlo a schiaffi.
«Perché sei morto per me? Sarei riuscito a parare quel colpo anche senza il tuo intervento».
«Pft, idiota. Non sono morto per te. Sono morto perché mi andava di farlo».
Spostò lo sguardo su di me, il gomito appoggiato ad un ginocchio e una strana espressione nostalgica dipinta sul volto.
Era così che sarebbe stato, se lui non fosse mai andato via? Se fosse cresciuto con me, invece che vendersi per il potere?
Ci saremmo seduti nell’erba, chiacchierando e punzecchiandoci come quando eravamo bambini?
«Sei stato egoista».
«Già».
Sapevo che egoista era l’esatto opposto di ciò che era stato davvero, ma sapevo anche che lui non l’avrebbe mai ammesso.
«Lo sei sempre stato, hai sempre pensato a cosa fosse meglio per te e non per gli altri».
Sasuke sbuffò. «Perché ti stai ostinando a farmi notare l’ovvio?».
Non lo so.
Ma in questo momento ti odio.
Ti odio così tanto che fa male.
E ho bisogno di rinfacciarti il passato.
Perché sei morto al mio posto?
Non ti perdonerò mai per questo.
Non miperdonerò mai.
«Allora adesso diventerai Hokage, uh?».
Scossi lievemente la testa. «Non m’importa più di quello».
«E perché no?».
Incrociai il suo sguardo, così simile al Sasuke di sempre eppure così diverso. «Non posso diventare Hokage se non sono stato nemmeno in grado di proteggere un amico».
L’Uchiha inclinò il capo, piegando l’angolo sinistro della bocca in un quasi-sorriso. «Questo l’avevi già detto, non ti ricordi?».
Sì, mi ricordo. Ma all’epoca avevo ancora un briciolo di speranza.
Non risposi.
«Senti, Naruto».
Mi voltai, spezzando il contatto visivo. Dopo poco, lui lasciò cadere quel tentativo e sbuffò, tornando a guardare avanti.
Non saremmo mai cambiati.
«Piuttosto, che ci fai tu qui? Non dovresti essere da qualche parte con tanto di ali e aureola?».
Quella non-battuta riuscì a strappare un ghigno al di solito-mortalmente-serio teme.
«Credi davvero che quello sia un posto per me?», scosse la testa, ridendo di me. «Penso che cercherò Itachi. Gli devo delle scuse. Sai, per averlo..».
«..fatto fuori?».
Occhiataccia. «Diciamo così».
Il tempo – se tempo poteva essere chiamato quello scorrere immaginario dei minuti – passava. Forse passarono ore, magari anche giorni, ma io e Sasuke rimanemmo lì, seduti vicini, a guardare davanti a noi. Senza dire nulla.
Fino a quando la pioggia non smise di cadere.
«Devo andare, adesso».
No.
No, ti prego. Ti prego, resta.
«Sasuke..».
Abbassai lo sguardo, osservando i fili d’erba che stringevo tra le mani come se, tutt’a un tratto, fossero diventati la cosa più interessante al mondo.
Gli avrei permesso di andarsene, ancora una volta, senza dirgli ciò che da sempre desideravo fargli sapere?
Ti amo, dannato teme.
Ti ho amato dal primo momento.
Ti ho amato quando volevi uccidermi e quando ero io a volerlo fare.
Ti ho amato durante ogni litigio e ogni scazzottata. Ti ho amato per ogni sorriso che mi hai regalato quando pensavi che io non potessi vederti.
Ti ho amato perché mi hai difeso, ma ti odio perché sei morto al posto mio.
Ti amo così tanto che pensare di vivere senza di te mi uccide.
«..aspettami, va bene? Prima di andare in qualsiasi posto tu debba andare..». Deglutii, stringendo più forte i fili umidi tra le mani. «Aspettami e ci andremo insieme».
Mi costrinsi ad alzare lo sguardo, aspettandomi di trovare Sasuke che rideva di me.
Non successe.
«Va bene», sentenziò dopo un silenzio infinito. «Ma devi promettermi una cosa».
Cosa?
Non lo domandai con la bocca, ma con gli occhi.
«Devi promettermi che ti aggrapperai alla vita. Che proteggerai ciò per cui hai combattuto fino alla fine e che realizzerai il tuo sogno di diventare Hokage».
«Ma..».
«Niente “ma”, devi promettermelo. Promettimi che ti riprenderai e che non verserai più una lacrima per me. A me non servono queste sciocchezze».
Il che, in Sasukese, voleva dire “Non voglio che tu soffra per me”?
«Devi dimenticarmi fino al giorno in cui morirai».
Schiusi le labbra, scosso da quell’ultima richiesta.
Non posso. Non posso.. farlo. Come.. come..
La sua mano si sollevò per qualche istante, incerta, poi tornò al suo posto. «Nessuno vorrebbe un capo del villaggio sempre triste e di malumore».
«Tu però volevi diventare Hokage».
Sorrise appena. «Questo è un altro discorso. Io sono un Uchiha».
Sospirai. «Sasuke, io non posso.. io..».
«Non m’interessa se dici che non puoi, fallo e basta. Nessuno shinobi ha perso la voglia di vivere per la morte di un compagno».
Ma tu non sei solo un compagno.
«Hai.. hai ragione».
«Allora, me lo prometti?».
Ancora un attimo di incertezza. «Te lo prometto».
E lui mi tese la mano, proprio come feci io anni addietro, quando eravamo solo dei bambini e il mondo ci sembrava meno brutto di quel che è davvero.
Strinsi le sue dita con le mie, guardandolo negli occhi.
«È  un addio?».
Ti amo.
«Sì, credo proprio di sì».
Ti amo.
«Mi aspetterai?».
Ti amo.
«Te l’ho promesso».
Ti amo.
Le sue dita sciolsero la presa. Stava svanendo, per l’ennesima volta. L’ultima.
«Sasuke?».
«Mh?».
«Non combinare guai, ovunque tu sia diretto».
Ti amo.
 
***
 
Quando ripresi conoscenza, mi sembrò di aver dormito per anni.
Era come se il mio cuore dolorante si fosse alleggerito, e nonostante sentissi il bisogno di piangere, non lo feci nemmeno una volta.
Da quel giorno le cose iniziarono a migliorare.
Ritrovai il sorriso, un po’ alla volta. Mi perdonai. E raccontai al mondo com’erano andate davvero le cose durante la battaglia finale.
Sasuke Uchiha non era più il nukenin, ma uno degli eroi. Anche il desiderio di Itachi si era realizzato, alla fine.
Divenni Hokage.
Amai i figli di Sakura e Sai come se fossero stati i miei.
Io non ne ebbi, né desiderai averne.
Ma non la vedevo come una rinuncia: stavo bene. Ero felice.
Piansi lacrime amare quando Tsunade morì.
Ma aveva una certa età, anche se lo mascherava bene. E poi, aveva sicuramente raggiunto l’Ero-sennin.
Allenai il successivo team 7 con tutta la passione che in passato ci avevano messo mio padre e poi Kakashi.
Soffrii quando anche quest’ultimo se ne andò.
Cedetti il mio posto da Hokage a Konohamaru quando decisi che non avevo più le forze per proteggere il villaggio.
Diventai vecchio, e in quegli anni non pensai a lui nemmeno una volta.
Come gli avevo promesso.
 
Adesso non mi resta che aspettare.
Aspettarti.
E forse potrò finalmente dirti quelle parole che mi sono sempre tenuto dentro.
 

   
 
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